Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera nobile di locanda.

Dorina e Giannino, poi Falco.

Dorina.   Ho risolto, voglio andar.

  Non mi state a tormentar.
Giannino.   Ah, Dorina, per pietà,
  Mi volete lasciar qua?
Dorina.   Vostro danno: voglio andar.
  Giannino.
Falco. Che c’è, che c’è di nuovo,
Che mi par di sentirvi un po’ alterati?
Dorina. Fateci i nostri conti.
Per me voglio andar via.

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Giannino. Mi vuole abbandonar Dorina mia. (a Falco

Falco. Ma perchè mai? Oh povero ragazzo!
Dorina. Perchè nel duro caso,
in cui ci ritroviamo,
È necessario che ci separiamo.
Giannino. Ch’è l’istesso che dir, che a dirittura
Vada a porsi Giannino in sepoltura.
Falco. Non mi credeva mai,
Con vostra permissione, (a Dorina
Che aveste così poca compassione.
Dorina. Egli di casa mia
M’ha fatto venir via;
Ed or per sua cagion son nell’intrico.
Giannino. Ma la voglio sposar...
Dorina.   Sposar mi vuole,
Ma non ha un soldo in tasca,
Onde sfogate le amorose brame,
Presto ci converrà morir di fame.
Falco. Dorina m’ha spiegato i sensi suoi;
Ora, signor Giannin, che dite voi?
Giannino. Io dico... che... vorrei...
Falco. Sposarla?
Giannino.   Sì, signore.
Falco.   E poi?
Giannino.   E poi,
Quando morrà mio padre,
Ch’è vecchio ed ammalato,
In casa mia vivremo in buono stato.
Falco. Dite la verità, Dorina mia,
Gli volete voi ben?
Dorina.   Se non l’amassi,
Non avrei seguitati i di lui passi.
Falco. Dunque sta tutto il mal, per quel ch’io sento,
Nel non aver denaro.
Dorina.   E vi par poco?

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Falco. E quando in questo loco

Vi trovassi un onesto assegnamento?
Dorina. Gli porgerei la mano in quel momento.
Falco. Lasciate fare a me.
Giannino.   Falco, vi prego.
Dorina. Caro Falco gentil.
Giannino.   Falco garbato.
Dorina. M’obbligherete assai.
Giannino.   Vi sarò grato.
Falco. Udite: evvi un riccone,
Che ha nome don Poppone,
Il quale amando assai l’argento e l’oro,
Cerca sempre trovar qualche tesoro.
Basta che un forestier gli si presenti,
E con franchezza ostenti
L’abilità per tali scavazioni,
Gli leva dalia man scudi e dobloni.
Giannino. Ma io non ne so niente.
Falco.   Cosa importa?
Istruirvi saprò, se voi volete.
Fidatevi di me, mi conoscete.
Dorina. Tutto farò quello che far si puote
Per aver saviamente un po’ di dote.
Falco. Basta che col maestro
Si divida la preda.
Dorina.   È cosa giusta.
Giannino. Voi farete il comparto.
Falco. Di quello che verrà, mi basta il quarto.
V’insegnerò la casa:
Andrete soli, per non dar sospetto,
E vi dirò quello che dir dovrete.
Poi, quando in casa siete,
Anch’io vengo a drittura
Per dar credito e forza all’impostura.
Giannino. Intanto ci darete

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Da mangiare, cred’io...

Falco.   Siete padroni.
Tutto Dorina avrà quel che comanda;
È a sua disposizion la mia locanda.
  Se non fossi maritato,
  Non so dir cosa farei. (a Dorina
  Oh Giannino fortunato, (a Giannino
  Che costei si goderà!
Dorina.   Oh dawer, siete garbato! (a Falco
Giannino.   Ma non tanta carità. (a Falco
Falco.   È graziosa, ed è gentile;
  Non conosco la simile.
Dorina.   Obbligata in verità. (a Falco
Giannino.   Ma non tanta carità. (a Falco
Falco.   Sei geloso, poverino!
  È geloso il mio Giannino,
  E da ridere mi fa. (parte
Giannino.   Ho a soffrir questo dolore!
Dorina.   Colla1 fame, mio signore,
  Gelosia non si confà. (parte
Giannino.   La signora dice bene,
  E soffrire mi conviene
  Per la mia necessità. (parte

SCENA II.

Il Conte e la Contessa, poi Cabrino.

Contessa. Eh ben2, signor consorte,

Quanto dovremo noi
Stare in questa locanda?
Conte.   Un po’ di flemma,
Cara contessa mia.
Contessa. Qua non ci voglio star, voglio andar via.

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Conte. La lettera ho mandata

Al signor don Poppone,
Cui siam raccomandati,
E saremo da lui forse alloggiati.
Contessa. Lo staffiere non vien colla risposta?
Conte. Napoli è città grande.
Da don Poppone a noi
V’è non poca distanza;
Aver conviene un po’ di tolleranza.
Contessa. Aspetterò che torni;
Sentirem la risposta; ma se mai
Noi questo don Poppone
Ad invitar non manda,
Tosto voglio partir, cambiar locanda.
Conte. Perchè? Non siamo noi
Ben trattati finora?
Contessa.   Eh sì, signore,
Siam trattati benissimo.
Lo so che contentissimo
Ci sta il signor consorte mio garbato,
Della bella straniera innamorato.
Conte. Oh! di chi? di Dorina? V’ingannate.
Contessa. Ch’io m’ingannassi si potrebbe dare;
Ma qui lo torno a dir, non ci vuò 3 stare.
Conte. Ecco Gabrin che torna: or si saprà.
Contessa. Bastami che si vada via di qua.
Conte. Che risposta mi rechi?
Un foglio? Sentiremo.
Temo che, per esimersi,
Trovi qualche pretesto.
Contessa. Sia com’esser si voglia, io qui non resto.
Conte. V’ho inteso; cento volte
L’avete replicato,

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E mi avete stancato in verità.

Leggiamo.
Contessa.   Ma andar voglio via di qua.
Conte. Che pazienza! S’inchina
Don Poppone Corbelli
Al Conte Nastri e alla Contessa ancora.
Non potendo per ora
Venirli a riverire alla locanda,
A supplicar li manda,
Che si degnin passar nel di lui tetto,
Esibito di cor per lor ricetto.

Contessa. Andiam subito dunque...
Conte.   Adagio un poco.
Andar tosto in un loco
Senza saper... senza conoscer chi...
Contessa. Ve lo ritorno a dir: non vuò star qui.
Conte. Dunque andiamo, e sarà quel che sarà.
Contessa. Bastami che si vada via di qua.
Conte. Via, tacete una volta;
Andremo sì, vi renderò contenta,
Ma fate che gridar più non vi senta. (parte

SCENA III.

La Contessa sola.

Pretendono i mariti

Esser da noi trattati dolcemente.
Ma se non si fa niente colle buone,
Convien gridare per aver ragione.
Tant’è. La forestiera
M’ha dato gelosia; Di
qua voglio andar via. L’ho detto assai,
E son disposta a non tacer più mai.

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  S’inganna chi crede

  La donna sia schiava.
  Se il peso l’aggrava.
  Desiosa si vede
  Di sua libertà.
  Compagno è lo sposo,
  Non prence tiranno.
  È un misero inganno
  Di cuore orgoglioso
  L’usar crudeltà. (parte

SCENA IV.

Camera in casa di don Poppone.

Don Poppone, poi Ghiandina.

Poppone. Eh! ci mancava adesso

Questo novello imbroglio.
Alloggiar forestieri... E mi dispiace...
Non vorrei che sturbassero
L’operazion vicina
Del tesor che cavar deggio in cantina.
Dopo tant’anni e tanti,
Alfin son arrivato
Un tesoro a trovar sicuro e certo;
E in casa mia, l’ho in casa mia scoperto.
Ma i forestier... Ghiandina.
Ghiandina. Signor, la mi comandi.
Poppone. Un amico di Roma,
Cui disgustar non voglio,
Mi ha mandato un imbroglio.
Un conte e una contessa
Mi son raccomandati;
Alloggiar li ho invitati in casa mia:
Fate che tutto preparato sia.

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Ghiandina. Caro signor padrone,

È ver che ricco siete;
Ma se così spendete allegramente,
La stato vostro ridurrassi al niente.
Poppone. Cosa importa? Domani
Piene le casse avrem d’argento e d’oro.
Ho scoperto un tesoro. (piano
Ghiandina. Scoperto veramente,
O al solito trovato con la mente?
Poppone. Questa volta è sicuro.
L’ho trovato, Ghiandina.
Ghiandina. Dove? Si può saper?
Poppone.   Zitto: in cantina.
Ghiandina. Che al solito non sia...
Poppone. La cosa è certa;
Ho fatto la scoperta
Per via di certi sogni;
E ho fatto l’esperienza sopra il suolo
Anche colla bacchetta di nocciuolo.
Ghiandina. Per me non me ne intendo.
L’oro vedere attendo,
E quando lo vedrò,
Che l’abbiate trovato io crederò.
Poppone. E quando lo vedrete
Escir dalla cantina,
La padrona sarà... sarà Ghiandina.
Ghiandina. Se fosse ver!
Poppone.   Verissimo:
Lo vedrete a momenti.
Ho imparato in un libro a far portenti.
Finor da più di un restai gabbato;
Ma or sono illuminato,
Ed opero al sicuro,
E i tesori trovar posso all’oscuro.
Ghiandina. Voglia il Ciel che sia vero; e poi, signore,

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Un altro tesoretto

Di farvi ritrovare anch’io prometto.
Poppone. Dove? Come?
Ghiandina. Un tesoro
Voi troverete in me
D’onestà, di costanza, amore e fè.
  Una donna che apprezza il decoro,
  È un tesoro che pari non ha.
  La bella onestà,
  La mia fedeltà,
  Potrà farvi felice e contento,
  Chè l’argento - col tempo sen va,
  Ma l’amore - nel core - si sta. (parte

SCENA V.

Don Poppone, poi Ghiandina che torna.

Poppone. È vero: una fanciulla come questa,

Certamente è un tesoro;
Ma mi preme trovar quello dell’oro.
Perchè finor, poco nell’arte esperto,
Ho consumato il certo per l’incerto;
Ma ora sono al sicuro.
Ghiandina.   Son venuti
Due forestieri 4 a domandar di voi.
Poppone.   Uomo e donna?
Ghiandina. Sicuro.
Poppone. Saranno il conte e la contessa. Oh bene,
Venghino5 pur; riceverli conviene.
Ghiandina. Spiacenti.
Poppone.   Di che cosa?
Ghiandina.   Niente, niente.

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Poppone. Parlate.

Ghiandina.  La contessa
Mi pare un po’ bellina:
Non vorrei vi scordaste di Ghiandina. (parte

SCENA VI.

Don Poppone solo.

No, no, non dubitar... S’ella è gelosa,

Segno è che mi vuol bene.
Tosto che del tesoro
Fatta ho l’operazione,
La vuò sposar senz’altra dilazione.
Criticato sarò, perch’è una serva?
Che cosa importa a me?
Ognuno in questo ha da pensar per sè.

SCENA VII.

Dorina, Giannino e il suddetto.

Dorina. Serva di don Poppone.

Giannino.   Riverisco.
Poppone. M’inchino al signor conte, (a Giannino
Alla nobil contessa umil m’inchino. (a Dorina
Dorina. (Contessa a me?)
Giannino.   (Che non son io Giannino?)
Poppone. Alloggiar in mia casa
Mi chiamo fortunato
La dama illustre, il cavalier garbato.
Giannino. Ci conoscete voi?
Poppone.   Certo. L’amico
Che li ha diretti a me, di lor signori
M’accenna il grado ed i sublimi onori.

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Giannino. Falco ci ha posti in qualche brutto impegno.

(piano a Dorina
Dorina. Ei ci nobilitò, vi vuole ingegno. (piano a Giannino
Poppone. Saran stanchi dal viaggio;
Che vadano al riposo;
Già sono sposa e sposo.
Onde compatiranno
Se un solo letto ed una stanza avranno.
Giannino. Questo non è gran mal.
Dorina.   No, no, signore,
Vi prego per favore,
Sono avvezza così fin da figliuola,
Piacemi nella stanza di star sola.
Poppone. Ma io non ho gran comodo.
Dorina. Codesto poco importa.
Anderò sola.
Poppone.   E lui fuor della porta?
(accennando Giannino
Giannino. Io fuori, signor sì.
La signora comanda, e vuol così.
Poppone. Oh, signora contessa,
Perchè così crudel con suo marito?
Dorina. Voi non siete istruito,
Per quel ch’io sento, dell’usanza nuova.
(Seguitar la finzion per or mi giova).
Poppone. So ch’io, se avessi moglie.
Notte e giorno vorrei
Starmene in buon amor vicino a lei.
Giannino. Anch’io davver son del parere istesso:
Notte e giorno vorrei starle dappresso.
Dorina. Quelli che così fanno,
Sappiano lor signori,
Che si chiaman mariti seccatori.
Libertà, libertà.
Giannino.   Basta... per ora

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Taccio... ma quando poi... (a Dorina

Dorina. Quando poi, quando poi... Già vi capisco.
Quando verrà quel dì,
Averete di grazia a far così. (a Giannino
Giannino. Sentite? (a don Poppane
Poppone.   Non intendo. (a Dorina
Dorina.   Eh, che l’amore
Più candido, più puro,
Vuole il suo chiaroscuro.
E poi convien distinguere
Della plehe l’amor, come si sa,
Da quello della nostra nobiltà.
Voglio che civilmente ci trattiamo.
O che siamo, cospetto! o che non siamo.
  Si distingue dal nobile il vile
  Anch’in questo, mio caro signor.
  Una donna ch’è nata civile.
  Non si lascia avvilir dell’amor.
  Il villano, che sempre sta lì,
  Alla moglie suol dire così:
  Vieni qua - passa là - non ti vuò.
  Vien di su - va di giù - ti darò.
  Ma alla donna, che sempre non va,
  Il marito gentile dirà:
  Perdonate... vorrei... compatite...
  Fate grazia... venir... favorite...
  E la donna fa il proprio dovere
  Con piacere - ma con nobiltà. (parte

SCENA VIII.

Don Poppone e Giannino.

Poppone. In questo io mi rimetto.

In casa mia quel che si vuol si fa,
E lascio a ciaschedun la libertà.

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Giannino. Ma signor, favorite.

Voi non mi conoscete6.
Poppone.   Eh sì, signore.
Voi siete il conte Nastri,
Un cavalier romano,
Che a Napoli sen vien per suo diporto
Colla contessa sposa.
L’amico mi ha informato d’ogni cosa.
Giannino. (Oh gran Falco briccone!)
Discorreremo poi
Sull’affar del tesoro.
Poppone.   E che tesoro?
Io non so di tesori.
Io non cavo tesori; e chi v’ha detto,
Che si cercan tesori in casa mia?
Giannino. Quel che mi manda da vossignoria.
Poppone. Non è ver, non è vero,
Vi replico di no;
E all’amico di Roma io scriverò.
(Se si sa del tesoro,
Sarà la mia rovina.
Lontani li terrò dalla cantina).
Giannino. Dunque voi non volete,
Che v’aiuti a cavar...
Poppone.   Mi maraviglio;
Di tacer vi consiglio un tal proposito,
O mi vedrete far qualche sproposito.
  Chi v’ha detto del tesoro.
  Se ne mente per la gola.
  Ah, mi manca la parola
  Dalla bile ch’ho nel cor.
  La mia casa è tutta qui;
  Le mie stanze, eccole lì;
  E di qua v’è la cucina...

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  Casa mia non ha cantina,

  E tesoro qui non c’è...
  E pensar non so perchè...
  Chi lo crede, non sa niente.
  Stia pur certo l’illustrissimo,
  Signor conte stimatissimo,
  Non c’è niente, in verità. (parte

SCENA IX.

Giannino solo.

Io non la so capire.

Siam restati d’accordo
Con Falco d’una cosa; ed or ne trovo
Un’altra bella di caratter nuovo.
Che diavolo sarà?
Con questa nobiltà
Certo m’imbroglio assai,
Chè il gentiluomo non l’ho fatto mai.
A farlo mi vorrei un po’ provare,
Ma non so da qual parte principiare.
  Colle dame, colle dame:
  Di madama servitor.
  Di buon cor...
  All’onor... - della beltà.<7i>
  Non ho grazia, in verità.
  Coi signori: Riverisco,
  Mi esibisco, - mi offerisco
  Colla nostra autorità...

  Oh, malissimo anderà.
  Vuò provar con bassa gente,
  E vuò fare il prepotente.
  Insolente, - non do niente;

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  Pagherò - quando vorrò.

  Ne7 ho: via di qua.
  Ah, ah, ah. - Bene va. (ridendo
  L’ho trovata, in verità. (parte

SCENA X.

Don Poppone, poi Falco.

Poppone. Come diavolo mai l’hanno saputo?

Possibile che sia
Sino a Roma passata la notizia
Del tesoro?... Eh, pensate!
Queste son chiacchierate8
Che fa Ghiandina. Lei l’averà detto.
Oh vizio delle donne maledetto!
Falco. Si può venir?
Poppone.   Falco, venite pure.
Falco. Compatisca, di grazia.
Poppone.   Eh, lo sapete,
Vi vedo volentieri.
Falco. Son venuti da voi due forestieri?
Poppone. Sì un conte e una contessa,
Che vengono di Roma.
Falco.   Altri?
Poppone.   Non altri.
Falco. (Che Dorina e Giannino
Sbagliato abbian la casa?)
Poppone.   E chi doveva
Da me venir?
Falco. Un giovane di garbo,
Che Giannino s’appella,
Unito ad una bella,
Venuti a posta sino di Turchia
Per ricercare di vossignoria9.

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Poppone. Che vogliono da me?

Falco.   Per quel che intesi
A ragionar fra loro,
Credo vadano in cerca d’un tesoro.
Poppone.   San tesori cavar?
Falco. Credo di sì.
Poppone. Fateli venir qui.
Falco.   Par che dovrebbero
Essere già venuti.
Son forestieri; si saran perduti.
Poppone. Trovateli di grazia.
Falco.   A ritrovarli
Subito andrò.
Poppone. Ehi, non crediate mica,
Ch’io pensi di cavar qualche tesoro;
Ma parlo volentier di certe cose...
E mi piaccion le genti spiritose.
Falco. Io di quelli non sono,
Che cercan gli altrui fatti, ma ho sentito,
Così per accidente,
A dir da quella gente,
Che al signor don Poppone il Cielo, il fato.
Una fortuna grande ha preparato.
  Il Cielo vi precipiti
  Sul capo d’oro i fulmini,
  E d’oro una voragine
  Vi possa subissar.
  Marte, Saturno e Venere
  Con l’oro10 vi tempestino,
  Ed i tesor vi facciano
  Nel giubilo crepar11 (parte

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SCENA XI.

Don Poppone, poi Ghiandina.

Poppone. Messer Falco gentil troppo m’onora;

Io non mi sento di crepar per ora.
Ghiandina. È questo il giorno delle seccature.
Altri due forestier che vi domandano.
Poppone. Chi sono?
Ghiandina.   Io non lo so.
Poppone. Falco li vide?
Ghiandina.   Signor no; venuti
Son eglino di qua,
E Falco se n’è andato per di là.
So ben, per quel che intesi
A dir da loro stessi,
Che abitavan da lui...
Poppone.   Sì, saran dessi.
Fa che venghino tosto.
Ghiandina.   Allegramente,
Che se cala il denar, cresce la gente. (parte

SCENA XII.

Don Poppone, poi la Contessa ed il Conte.

Poppone. Falco non li ha incontrati.

Essi per altra via sono arrivati.
Ti ringrazio, fortuna: eccoli qui.
Mi seconda la sorte in questo dì.
Conte. Riverente m’inchino.
Poppone.   Oh, galantuomo;
Che siate il benvenuto.
Contessa. Serva sua.

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Poppone.   Giovanotta, io vi saluto.

Contessa. (Che inciviltà!)
Conte.   (Che trattamento abietto I)
Poppone. (Si vede che son gente d’intelletto).
Conte. Signor, siam qui venuti...
Poppone. Sono di già informato;
Discorreremo insieme.
Quello che più mi preme,
È che voi con la vostra signorina
Meco venghiate nella mia cantina.
Conte. Signor, mi maraviglio;
Non si fa un tal invito a’ nostri pari.
Poppone. Nella cantina mia sono i denari.
Contessa. Per chi presi ci avete?
Poppone. Lo so, lo so chi siete;
Falco m’ha detto tutto;
So che per me veniste da lontano,
E in casa mia non resterete invano.
Conte. Spiegatevi, signore; non capisco.
Poppone. Sappiate che in cantina...
Ma vien gente; non voglio,
Che sappian quel che passa fra di noi.
Andate, andate; parleremo poi.
Contessa. Come!
Poppone.   Non vuò che siate
In casa mia veduti.
Conte. Perchè?
Poppone.   Se conosciuti
Siete, mi può accadere qualche intrico.
Contessa. Ma noi chi siamo?
Poppone.   Andate via, vi dico.
Contessa. Ad una dama?
Conte.   A un cavalier?
Poppone.   Va bene.
So che finger conviene

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Nobiltà in casi tali, e signoria;

Ma vien gente, vi dico, andate via.
Contessa. Parto per or, ma si saprà perchè;
Conto di tutto renderete a me. (parte

SCENA XIII.

Don Poppone ed il Conte.

Conte. Un simil trattamento,

Un simile strapazzo,
Vi fa credere un pazzo. Io son chi sono;
E in grazia dell’amico vi perdono.
  Tenta invan co’ suoi vapori
  D’oscurar la terra il sole;
  Ch’ei tramanda i suoi splendori
  Tra le nubi a scintillar.
  Nobil sangue non si oscura
  Dalia misera ignoranza,
  E l’orgoglio a lui non fura
  Quel che a lui non può donar. (parte

SCENA XIV.

Don Poppone, poi Dorina.

Poppone. In fatti quest’è il solito

Di quei che voglion far certi mestieri,
Di spacciarsi per dame e cavalieri.
Ecco qui la contessa,
Che sola a me si appressa.
Non mi spiace, per dir la verità;
Ma la deggio trattar con nobiltà.
Dorina. Il signor don Poppone
Perchè ci priva della sua presenza?

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Poppone. Faccio a lei riverenza. (fa vari inchini

A lei chiedo perdono;
E servitor della contessa io sono.
Dorina. E la contessa a voi
Fa con rispetto i complimenti suoi. (s'inchina
Poppone. (Com’è graziosa!) (guardandola
Dorina.   (Parmi innamorato).
Poppone. S’io fossi in altro stato,
S’io fossi un cavaliere come lei,
Forse mi esibirei...
Dorina.   Con libertà.
Già intendo, e l’aggradisco.
Poppone.   Oh gran bontà!
Dorina. Per dirvela, signore,
lo son venuta qui...
E mi trattiene un certo non so che...
Non posso dirlo.
Poppone.   (È innamorata in me).
Dorina. (Allettarlo conviene il turlulù).
Poppone. (Qualche cosa scoprir voglio di più).
Di che paese è lei?
Dorina.   Non ve lo dice
L’amico nella lettera?
Poppone.   Da Roma
Dice che vien, ma non se sia romana.
Dorina. Io sono... signor mio... palermitana.
Poppone. E il marito?
Dorina.   Spagnuolo.
Poppone.   E dove vanno,
Se è lecito il saperlo?
Dorina.   Per il mondo
A conoscer la gente
Di merito, di mente,
Ch’io venero, ch’io stimo,
Fra quali certo don Poppone è il primo.

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Poppone. Grazie di tanto onor...

Dorina.   Con sua licenza,
Ora ritorno subito.
(Vo a ritrovar Giannino,
E renderlo avvisato
Come ha da dir, se fosse ricercato). (parte

SCENA XV.

Don Poppone, poi Giannino.

Poppone. Ora ci avevo gusto, e se n’è andata.

Spero ritornerà.
Mi piace in verità,
E parmi che a lei pur vada a fagiuolo.
Oh, s’ella lo spagnuolo
Non avesse in consorte,
Non uscirebbe più da queste porte.
Eccolo qui.
Giannino.   Saprebbe
Dirmi vossignoria,
Dove si trovi la consorte mia?
Poppone. Poc’anzi è stata qui. Se l’illustrissimo
Signor conte comanda,
A richiamar la mando diviato.
Giannino. Non importa, signor; bene obbligato, (con gravità
Poppone. Ah, come si conosce
In un’occhiata sola
Nel signor conte la nazion spagnuola!
Giannino. Io spagnuolo non sono.
Poppone.   No? di dove?
Giannino. Son fiorentino.
Poppone.   (Averò inteso male).
E la sua dama?
Giannino.   E la mia dama... è nata

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Signore... in Macerata.

Poppone. Non è nata in Palermo?
Giannino.   Oibò. Perchè?
Poppone. (Non la capisco).
Giannino.   (Qualche imbroglio c’è).
Poppone. E, se si può sapere.
Perchè venuti sono
In questo nostro stato?
Giannino. Siam venuti a comprare un marchesato.
Poppone. La signora contessa
Detto non ha così.
Giannino. Che vi disse la dama?
Poppone.   Eccola qui.

SCENA XVI.

Dorina e detti

Dorina. (Non vorrei che Giannino

M’avesse contradetto).
Giannino. (Qualche imbroglio m’aspetto. Or si saprà).
Poppone. (Voglio un poco scoprir la verità).
Signora, (a Dorina) con licenza, (a Giannino
Non mi ricordo ben la patria sua. (piano a Dorina
Dorina. Palermo. (forte che Giannino senta
Poppone. Sente lei, signor toscano? (piano a Giannino
Giannino. È vero, è vero, io son palermitano. (forte
Dorina. (Diavolo!)
Poppone.   Non è lui? Non è spagnuolo? (a Dorina
Dorina. Egli è oriondo di Spagna.
Giannino. Orionda è la contessa di Romagna.
Dorina. Io son...
Giannino.   Di Macerata.
Dorina. In Palermo allevata.
Egli è del suolo ispano.

[p. 449 modifica]
Giannino. Ma per educazion sono toscano.

Poppone. E sono qui venuti...
Dorina. Si sa...
Giannino.   Già l’ho svelato...
Dorina. Per conoscenze...
Giannino.   E per il marchesato.
Dorina. Titolo rispettoso...
Giannino. Che vogliamo comprare...
Dorina.   Oh, signor sì.
Giannino. Non è vero, contessa?
Dorina.   Ella è così.
Poppone. Vi è un pochino d’imbroglio;
Ma tutto creder voglio,
Quando trovi che sia la verità,
Che abbiate in mio favor della bontà.
(piano a Dorina
Dorina. Di ciò siete sicuro. (piano a don Poppone
Poppone.   Il signor conte
Ch’io la possa servir sarà contento? (piano a Dorina
Dorina. Contento, contentissimo. (piano a don Poppone
Non è vero, marito? (forte a Giannino
Giannino. Sì, è verissimo.
(Per dubbio di fallire,
Tuito quel ch’ella vuol mi convien dire).
Poppone.   Conte mio, per tutti i titoli,
  Or vi voglio venerar:
  Per il sangue e per il merito,
  Perchè siete ricco e nobile,
  E per questa sposa amabile
  Ch’io mi pregio d’onorar.
Giannino.   Obbligato per i termini;
  Obbligato del buon animo;
  Ma poi tanto per la femmina
  Non vi state a incomodar.
Dorina.   Non ricuso di ricevere

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  Le sue grazie preziosissime. (a don Poppone

  Egli è un uom12 di buone viscere,
  Non lo voglio disgustar.
Giannino.   Di grazie carico
  Non vuò lo stomaco.
Dorina.   Son cibi teneri,
  Si digeriscono.
Poppone.   Non si esibiscono
  Che cose lecite,
  Che cose facili
  Da digerir.
Dorina.   Signor conte, una parola. (a Giannino
Giannino.   Con licenza. (a don Poppone
  Eccomi qua. (a Dorina, accostandosi
Dorina.   Se non facilita,
  Se non s’accomoda,
  Signor sofistico 13,
  Non mangerà. (piano a Giannino
Giannino.   Dice benissimo,
  Non so rispondere:
  Quel ch’è possibile
  Si soffrirà. (piano a Dorina
Dorina.   Don Poppone,
  Una parola.
Poppone.   Con licenza. (a Giannino
  Eccomi qua. (a Dorina, accostandosi
Dorina.   Quell’occhio languido,
  Quel labbro tenero,
  In me cuor docile
  Ritroverà. (a don Poppone
Poppone.   Fermo qual rovere,
  Qual scoglio stabile,
  Per lei gratissimo
  Mio cuor vivrà... (piano a Dorina

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Giannino.   Favorisca. (a don Poppone

Poppone.   Mi comandi.
Giannino.   Cosa dice?
Poppone.   Lo domandi.
  Dalla dama lo saprà.
Giannino.   Faccia grazia. (a Dorina
Dorina.   Cosa vuole? (a Giannino
Giannino.   Cos’ha detto?
Dorina.   Non si sa.
Giannino.   Questa è poca civiltà. (a tutti e due
Poppone.   Signor mio... (a Giannino
Giannino.   Mi meraviglio.
Dorina.   Cos’è stato?
Giannino.   Son chi sono.
Poppone.   Non vorrei... (a Giannino
Giannino.   Troppa licenza.
Dorina.   Pazzo siete. (a Giannino
Giannino.   È un’insolenza.
Dorina.   Non badate. (a don Poppone
Giannino.   Son marito.
Poppone.   Oh, padron mio riverito.

a tre.

Che si taccia: - non si faccia
    Fra di noi pubblicità.
    Che si salvi almen la mostra
    Della nostra nobiltà.


Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. Zatta: con la.
  2. Zatta: Ebben.
  3. Ed. Geremia (1755): vo'. Seguo l’ed. Zatta, perchè sempre, o quasi sempre, nelle stampe goldoniane trovasi vuò.
  4. Nelle edd. Geremia e Zatta, qui e altra volte, è stampato: forastieri.
  5. Così il tasto.
  6. Nell’ed. Zatta c’è l’interrogativo.
  7. Zatta: .
  8. Nel testo: chiaccherate, forma dialettale.
  9. Zetta: vussignoria.
  10. Ed. Geremia: Coll’oro.
  11. Nel testo: creppar.
  12. Zatta: è uom.
  13. Nel testo: soffistico.