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Fiori d'arancio

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Di guardia La donna e la lente

[p. 204 modifica] FIORI D'ARANCIO I.

Intorno al tavolino da gioco, posto fra due finestre in un angolo del salotto, quattro persone silenziosamente assorte facevano la solita partita a bezigue.

I giocatori erano sempre gli stessi, ogni giorno: la padrona di casa Marchesa Ottavia Monfalcone, Mademoiselle Sarazin, vecchia dama di compagnia, Don Luigi, cappellano di casa Monfalcone, e il Barone Virdia, cugino in terzo grado della marchesa, e suo fedele amico da cinquant'anni.

Erano le quattro del pomeriggio; nel salotto vasto ed austero dalle pareti coperte di ritratti antichi, cominciava a fare un po' scuro e un po' freddo.

Entrò Ignazio, il cameriere, curvo sotto il peso di dieci lustri di fedeltà, e inchinandosi domandò se la signora marchesa desiderava il lume e il fuoco.

Donna Ottavia che era un po' sorda guardò [p. 205 modifica] Mademoiselle Sarazin, questa rispose sì, ed Ignazio uscì con tutta la fretta delle sue vecchie gambe.

Un minuto dopo rientrò reggendo una grande lampada velata di rosso, mentre un altro cameriere, Benedetto, fratello d'Ignazio, come lui bianco, curvo, e colle mani tremule, posava due pesanti candelabri d'argento sulla mensola e s'inginocchiava davanti al caminetto per accendere il fuoco.

I due vestivano i colori della casa — verde ed azzurro -, ed avevano i calzoni corti e le calze bianche.

Fuori del salotto, nella grande anticamera, s'intravedeva un'altra livrea verde ed azzurra, immobile: era Gianni, un ragazzo, nipote d'Ignazio e di Benedetto, che faceva il suo noviziato.

— Quando vi deciderete, donna Ottavia, a far introdurre la luce elettrica nel vostro appartamento? — chiese il barone Virdia a sua cugina, senza alzare gli occhi dalle carte che teneva in mano.

— Per amor del cielo, Everardo, non mi parlate di modificazioni! Questo è ancora l'unico sito dove possa illudermi che non siano passati questi ultimi disgustosi quarant'anni!

— Disgustosi per davvero, cugina, se non foss'altro perchè ci hanno portato le rughe e i capelli bianchi!...

— Voi sapete meglio di me che non è la vecchiaia che mi affligge, ma il disordine che sento negli uomini e nelle cose. Tutto è così sconvolto, [p. 206 modifica] mutato.... La nostra società stessa è così cambiata, che vi assicuro, Everardo, io non mi trovo bene che qui, in mezzo alle vecchie cose, dove mi rifugio come in una rocca.

La marchesa Ottavia aveva pronunciato queste parole con un'amarezza e una forza che rivelavano sotto il vecchio involucro un'anima ancora giovanilmente energica e volontaria.

La partita era finita; ella congedò con un cenno il cappellano e mademoiselle Sarazin, e si alzò.

Era una vecchia alta, magra e dritta, con capelli candidi e il profilo imperioso. Vestita di un semplice abito di seta viola, colla cuffietta di trina in capo, conservava nello sguardo e nel portamento qualche cosa d'inconsape-volmente altero, di rigido, e quasi di dispotico, che teneva le persone a distanza malgrado la sua amabilità di gran dama.

Rifulgevano nel suo sangue e nei suoi lineamenti le caratteristiche dei Monfalcone: la tenacia, l'orgoglio indomabile, e l'indomabile intransigenza; ed ella impersonava due volte la razza, per la sua nascita e per il suo matrimonio, poichè nata Monfalcone, aveva sposato a sedici anni suo cugino Norberto dello stesso casato.

— Avete ragione, Ottavia, — disse il barone alzandosi lentamente e zoppicando un po'. — Milano è divenuta impossibile! Questa è l'ultima città dove noi della vecchia guardia possiamo trovarci bene. Scioperi, dimostrazioni, arbitrati, congressi, comizi.... ed anche quando [p. 207 modifica] tutto è tranquillo qualche cosa di rivoluzionario, di urtante, rende l'aria irrespirabile!... Io credevo che quest'anno vi sareste fermata a Monfalcone...

— Eh, caro mio, come si fa? Bisogna maritare Valeria....

— E l'inverno in un'altra città meno sanculotta non vi tenterebbe? Roma, per esempio? Dicono che c'è una stagione brillantissima, e Valeria potrebbe....

— Avevo pensato anch'io a Roma, Everardo; ma Monsignore Arcivescovo cui ho chiesto consiglio me ne ha francamente dissuasa. Già, il soggiornare in una città dove l'usurpazione è riverita pubblicamente mi sarebbe stato un supplizio.... Come potrei dimenticare che mio marito, a fianco del Santo Padre, ne divise le angoscie durante le fatali giornate del '70?... Eppoi, credetemi; anche a Roma la società è orribilmente democratizzata; non v'è luogo dove tutti non possano arrivare. L'aristocrazia nera, l'unica che si mantenesse fedele alle tradizioni, comincia anch'essa a lasciarsi trascinare dalla corrente.... Ah, non ci sono che ben poche case, Everardo, che portino ancora il lutto del '70! E fra qualche anno, chi sa?...

Una fanciulla era apparsa sull'uscio ed attendeva.

— Nonna, miss Leight è pronta per la passeggiata. Mi permettete d'uscire?

La contessina Valeria Monfalcone attraversò il salotto col suo passo regale e si avvicinò alla nonna, le baciò la mano e le porse la fronte. [p. 208 modifica] — Buona sera, Everardo, come va?

Ella era tanto bella, d'una bellezza così luminosa e viva nel semplice vestito di panno cupo, colla volpe bianca al collo, che il vecchio scapolo rimase per un attimo estatico a guardarla, poi le baciò galantemente la piccola mano.

— Permettete, nonna?

— Sì, sì, va subito, — rispose la marchesa Ottavia, — altrimenti non riesci a rincasare per le sette.

Il barone e la marchesa la seguirono cogli occhi in silenzio mentre si allontanava.

Alta, snella, con una figura scultoria, grandi occhi chiari pieni di luce e d'espressione, pareva portare la vita e la gioia, pareva creata per l'amore e per il dominio.

— Scusate, Ottavia.... fra i partiti che ha avuto finora Valeria, nessuno di conveniente?

La marchesa Ottavia sospirò.

— Eh, sì, purtroppo, amico mio. Non ne ho mai parlato neppure a voi, tanto me ne duole. Alcuni molto convenienti, l'ultimo, splendido addirittura.

— E perchè non accettarlo?

— Valeria non ha voluto saperne. Si trattava, — e qui la marchesa abbassò la voce, — si trattava del principe Ruffo, lo conoscete? Bel giovane, ricchissimo, figlio unico, di nobiltà purissima ed antica, e nondimeno....

— Ma perchè?

— Per nulla. Valeria dice che non pensa per ora al matrimono, dice che vuol prima godere [p. 209 modifica] un po' di gioventù, accampa mille scuse, e maggiormente insiste su quella di non voler sposarsi senza essere innamorata....

— E la vostra autorità?

— La mia autorità?... Povero Everardo! Non avete ancora capito che la mia autorità presso Valeria è quasi nulla? Ella ha verso di me le forme del più cerimonioso rispetto, mi vuole fors'anco un po' di bene perchè sono tutto quello che resta della sua famiglia, ma è di una indipendenza morale che spaventa. Fino a quindici anni ha vissuto con sua madre, e non era certo da quell'americana di nascita e di abitudini che si poteva attendersi un'educazione perfetta.... Io l'ebbi troppo tardi per poterla ridurre, ed ella è già una donna....

— Qualche simpatia?

— Non credo. Non è facile piacerle! Io spero sempre che arrivi questo «Prince Charmant»!... Sono vecchia, e la responsabilità comincia a pesarmi.

— Non avete lasciato nessuna speranza al Ruffo?

— Sono riescita ad ottenere da Valeria che lo rivegga qualche volta ancora prima di dargli una risposta definitiva.... Devono ritrovarsi insieme sabato sera al Ballo di beneficenza pro Infanzia Abbandonata.

— Allora tutto non è perduto, cara Ottavia! «Bonne chance!...» E adesso mi congedo, perchè è già tardi e per voi è quasi l' ora del pranzo. [p. 210 modifica] II.

Il coupé di casa Cantelmo, nero filettato di bianco, e quello di casa Monfalcone, verde colla gran fascia azzurra, arrivarono contemporaneamente alla porta del Casino.

Dal primo scesero il barone Virdia e il duca di Cantelmo e si affrettarono premurosamente verso la seconda carrozza di cui un giovane cameriere aveva aperto lo sportello.

Il barone Virdia aiutò a scendere donna Ottavia, tutta imbacuccata nelle pellicce, poi una manina guantata di bianco porse al duca di Cantelmo un ventaglio, una borsetta d'oro, una lunga sciarpa di merletto, e infine Valeria balzò leggermente a fianco di lui, fulgida e bionda, colla testolina sbocciante come un fiore dall'alto colletto del mantello azzurro.

E le due coppie s'incamminarono lentamente su per lo scalone.

Era già molto tardi, e la festa era nel suo massimo splendore.

Ma Valeria arrivava sempre tardi, per indifferenza o per civetteria, e i suoi adoratori che lo sapevano l'aspettavano al varco nel vestibolo per accaparrarsi subito un giro di valzer o una quadriglia: vana lusinga sperare il cotillon che ella disertava troppo spesso colla scusa della stanchezza della nonna, o che [p. 211 modifica] talvolta le saltava il grillo di concedere a quel mezzo gobbo di suo cugino Cantelmo: altra civetteria, dicevano i maligni.

Quella sera una gran nuova correva nei crocchi e si sussurrava a mezza voce: il prossimo fidanzamento Ruffo-Monfalcone.

Tutti avevano notato da tempo la corte serrata del Ruffo, e siccome da ambe le parti si riunivano tutti i requisiti necessari: gran nome, gran censo, gran parentado, la notizia non suscitava sorpresa.

Gli adoratori della vigilia si mettevano in seconda linea aspettando gli eventi; gli intimi del Ruffo gli mormoravano passando qualche frase scherzosa a cui egli rispondeva sullo stesso tono, ma veramente seccato in fondo: seccato del ritardo di Valeria, e seccato che si fossero sparse con leggerezza delle chiacchiere che molto probabilmente avrebbe dovuto presto smentire.

Egli non aspettava nel vestibolo, ma sulla porta del salone, colle spalle alla scala. Era alto, biondo, elegantissimo; col profilo regolare, un po' allungato e un po' freddo, che gli veniva dalla madre inglese; gran sïgnore dalla testa ai piedi, avvezzo a piacere alle donne.

E Valeria saliva lo scalone al braccio di Gualtiero Cantelmo cui sorpassava per statura di tutta la testa, e si chinava, e gli sorrideva, motteggiando, stuzzicandolo, e scherzando con lui e su di lui come una bimba.

Egli le portava il ventaglio, la sciarpa, la borsetta, e levava su di lei grandi occhi timidi [p. 212 modifica] di cane avvezzo a leccare la mano che lo colpisce. Quando fu nel vestibolo, l'aiutò a togliersi il mantello, la guardò riflessa tutta nel grande specchio, l'avvertì sottovoce che una fibbia delle scarpette era slacciata. Ella tese sorridendo il piede, ed egli gliela allacciò.

Dal salone veniva un ronzio confuso come da un alveare.

Il vecchio marchese di Santa Silia, sorridente nella gran barba bianca, e don Giannetto Maina, accorsero ad offrire il braccio alle signore; alcuni ufficiali di cavalleria che chiacchieravano presso all'uscio fecero ala rispettosamente in un improvviso silenzio d'ammirazione.

Valeria infatti in quella sera era in tutto lo splendore della sua bellezza: bianca e bionda nella veste di merletto, senza un fiore, senza un gioiello; coi suoi strani occhi di color cangiante animati infantilmente dal sorriso.

Ella sentiva il suo trionfo, ed entrava nella sala con quella noncurante sicurezza che accresceva il suo fascino, e che aveva fatto esclamare ad un osservatore: — Eccone finalmente una che è abituata ad essere bella!

Si era appena affacciata all'uscio del salone e già uno sciame di cavalieri l'attorniava: don Roberto Guarienti, don Emanuele Farinola, il piccolo conte D'Effrè, il tenente Vallotti....

Il carnet di pelle grigia colla data in argento, dono delle patronesse, si copriva di nomi.

— Fate pure!... — rideva Valeria in mezzo [p. 213 modifica] a quell'assalto. — Dopo, rimetterò io le cose a posto!

Don Vittore Ruffo l'aveva scorta da qualche minuto ed indugiava deliberatamente ad avvicinarsi.

Intanto anche donna Carla e donna Emma Maina, le gemelle, l'avevano vista da lontano e accorrevano a lei tenendosi per mano, spumeggianti nelle fresche toilettes di tulle rosa.

Erano le amiche più intime di Valeria, e Carla la baciò sull'orecchio, e le sussurrò qualche parola ridendo, poi si allontanarono di nuovo tenendosi per mano, leggere come farfalle.

L'orchestra attaccava un boston.

Don Vittore Ruffo si era intanto lentamente avvicinato.

— Si è ricordata, contessina, d'avermi promesso il primo boston? — chiese egli inchinandosi e baciando la piccola mano che gli si offriva.

— Quale primo? — disse Giannetto Maina. — Il primo è già passato da un pezzo, amico mio!

— Il primo dopo il suo arrivo, naturalmente, — rispose il Ruffo indirizzando la parola a Valeria.

— Meriterebbe che le dicessi di no, — esclamò la fanciulla, — giacchè viene così tardi a reclamare i suoi diritti!

— Ha ragione, donna Valeria! — tuonò il tenente Vallotti col suo vocione fragoroso. — Anche per i diritti c'è una prescrizione!

— Vorrà essermi così severa? — chiese il Ruffo [p. 214 modifica] fissandola per un momento nei begli occhi cangianti.

— No, per questa sera le perdono! Sono in vena d'indulgenza!... È per noi subito, non è vero? — chiese ella sentendo le prime note lente di un valzer. E, lasciato il braccio di don Giannetto Maina, posò leggermente la manina su quello di don Vittore Ruffo.

Ballavano ed erano belli. Che splendida coppia! Tutti li ammiravano e ripetevano la facile profezia. Ma non era possibile parlare in quell'arruffio di gente, nè conveniva appartarsi. Don Vittore prese un mazzo di violette dalla cesta che una dama sorridendo gli tendeva.

— Grazie per i miei poveri! — disse la Signora; ed il giovane le porse una moneta d'oro e passò le viole a Valeria guardandola lungamente.

— Può concedermi il cotillon? — le chiese egli, sentendo un indefinito disagio dal prolungarsi di quella situazione, e volendo ad ogni costo uscirne la sera stessa.

— Volentieri!... — rispose Valeria, e in quel momento i suoi occhi furono chiamati improvvisamente e violentemente da altri occhi che da lontano la fissavano e, non appena incontratisi coi suoi, la sfuggirono. Ella impallidì. — Dov' è Gualtiero? — chiese, cercando suo cugino, come sempre quando voleva liberarsi di qualche importuno, quando voleva un cavaliere con cui non fosse necessario sorridere, nè chiacchierare, nè esser gentile. [p. 215 modifica] — Eccolo laggiù; — disse il Ruffo e, traversata la sala, raggiunse il duca di Cantelmo e gli confidò la sua dama.

— Vuoi che usciamo di qui? Si soffoca stasera... — disse nervosamente Valeria al cugino, e, preso il suo braccio, lo sospinse e lo guidò ella stessa attraverso la folla verso i due occhi che l'avevano afferrata e sfuggita.

Ora quegli occhi seguivano distratti l'ondeggiar, nella danza, delle chiare vesti femminili, e la fanciulla andava verso colui che l'aveva guardata senza ch'egli mostrasse di accorgersene nè di osservarla. Era un uomo sui trent'anni, pallido: un volto profondamente e duramente segnato, una bocca sensuale, uno sguardo volontario ed ironico.

Passando davanti a lui, Valeria lasciò cadere il mazzo di mammole che teneva in mano. Egli si curvò, lo raccolse, e glielo porse inchinandosi.

— Oh, voi?!... — diss' ella donnescamente quasi lo vedesse in quel momento, e non gli stese la mano, ma lo fissò con un appassionato, lunghissimo sguardo.

— Potete concedermi un giro? — chiese egli inchinandosi di nuovo sotto l'impero di quei begli occhi.

Valeria lasciò il braccio di suo cugino e passò a quello del giovane.

Si mossero. Vi fu un attimo di silenzio.

— Devo a queste violette la fortuna di passare un quarto d'ora con voi?... — chiese ella con voce che si sforzava di rendere indifferente [p. 216 modifica] e scherzosa. — Dite la verità, avreste avuto il coraggio di non avvicinarvi neppure per un piccolo saluto?...

— Temevo di essere di troppo questa sera.

— Di troppo, questa sera? E perchè?

— Mi hanno dato per certo il vostro fidanzamento col principe Ruffo....

— E voi ci avete creduto?

— Perchè non avrei dovuto crederci?... Sarebbe una bellissima alleanza ... — aggiunse il giovane dopo una pausa; e la piega ironica delle sue labbra si accentuò.

— Sì, l'alleanza di due vanità, se io fossi una donna per cui «tout prince est beau»! Voi dunque mi approvereste, se fosse vero?...

— Io non potrei approvare nè disapprovare....

— Ve ne disinteressate completamente, dunque? che sia o non sia vero vi è del tutto indifferente? — chiese ella con impeto. — Oppure mi consigliate?... Ditemelo, in tal caso! Non dipende che da me, e sono ancora in tempo....

— Non mi fate dire quello che non ho mai detto! — replicò il giovane bruscamente. — Io non consiglio nè sconsiglio nulla, ma credevo che la vostra famiglia lo volesse.

— E mi conoscete così male da supporre che io mi sposi secondo le imposizioni della mia famiglia?... Io mi mariterò....se pure mi mariterò....quando e come vorrò io.... secondo il mio criterio e il mio sentimento.... Non voglio essere un'infelice come mia madre! Saprò scegliere [p. 217 modifica] da sola, credetemi, e non accetterò consigli che dal mio cuore.

Egli taceva.

— Io avrei forse già scelto....- proseguì la fanciulla a voce bassissima, senza guardarlo in viso, aprendo e chiudendo nervosamente il ventaglio di merletto, — ma non mi si ama abbastanza per accettare il poco che offro.... senza preoccuparsi di ciò che dirà il mondo.

Egli non rispose, e distolse gli occhi da lei.

....Ah, resistere all'impeto di stringerla fra le braccia, di coprire di baci quella bella bocca, quei capelli d'oro pallido, quegli occhi color d'acqua marina!...

Valeria vide forse passare un lampo di quel desiderio; portò il mazzo di mammole alle labbra, ne aspirò lungamente il profumo, poi sorrise in silenzio al giovane, e glielo porse.

Erano rimasti quasi soli in un angolo del salotto; qualche coppia passava a quando a quando per raggiungere il buffet.

— Dunque, non è vero? — chiese egli afferrando e trattenendo per un attimo coi fiori la mano di lei.

— Ma no! no! non è vero!... È necessario proprio che «ve lo dica» perchè lo sappiate?... Cattivo!... — proseguì la fanciulla piano in tono di rimprovero. — Perchè non siete venuto a Brera in questi ultimi giorni? Non lavorate più? Ero in pensiero per voi.... vi ho aspettato.... Suvvia! — continuò con volubilità toccandogli lievemente il braccio col ventaglio. — Non siate così scuro! Ditemi qualche cosa carina.... Fatemi [p. 218 modifica] un po' la corte.... Come mi trovate questa sera?

— Siete anche troppo bella! — mormorò egli con asprezza, quasi il constatarlo gli costasse pena e fatica.

— Ah!... — sospirò Valeria con occhi improvvisamente divenuti serî, — che m'importa di essere bella?... Vorrei piacere solo a quelli che amo.

Intorno si incominciava a notarli. La contessina di Monfalcone era un astro troppo fulgido perchè una sua prolungata eclissi non fosse presto osservata. Sentirono entrambi ad un tempo l'inopportunità di continuare il colloquio e lentamente rientrarono tra la folla. Il pittore Lollita sbarrò loro il passo.

— Dunque, caro De Renzis, il tuo quadro, un trionfo! I giornali sono pieni del tuo nome...

— I Sovrani l'hanno notato! — rincalzò Vallotti colla sua voce da basso profondo.

— E tu, perchè non ti sei fatto vedere all'Esposizione? Sei modesto come la violetta, o superbo come Lucifero? — chiese ridendo lo scultore Gargià.

— Non mi è stato possibile, — rispose De Renzis. — Sono stato tutt'oggi fuori di Milano....- e si sottrasse alle lodi con una fretta che poteva essere veramente modestia, o smisurato orgoglio.

Ma la vecchia duchessa Del Maino il cui salotto accoglieva tutte le notabilità dell'arte, della politica, della bellezza, gli si fece incontro con un raggiante sorriso. [p. 219 modifica] — Aiutatemi, De Renzis: come dice Bourget?... «Il y a des touches de pinceau....- sì, è così — ....il y a des touches de pinceau comme il y a des touches de style qui sont une façon, non pas de peindre ou d'écrire, mais de sentir, mais de souffrir, d'aimer.... de vivre!...» Il vostro quadro è una rivelazione! — E gli strinse calorosamente la mano, accarezzò i capelli a Valeria.

Un giovanotto dalla lunga chioma che discuteva in un gruppo proclamava intanto molto forte sul loro passaggio:

— C'è dello Stuck, del Franz Stuck in lui, non c'è dubbio; ma vivificato dalla genialità del temperamento latino. Il temperamento latino, cari amici....

Valeria e De Renzis sorrisero insieme.

— Eccone uno che è persuaso di avervi fatto un grande elogio scoprendo in voi dello Stuck....- diss'ella. — Mentre voi.... dite la verità?... scommetto che preferite di essere peggiore di tutti, i vivi e i morti, ma di essere «voi»....non è vero?

Egli le strinse lievemente il braccio col braccio: certe parole che ella gli diceva gli erano infinitamente care.

Il principe Ruffo, che da qualche minuto cercava Valeria, si appressò premurosamente alla coppia.

— Donna Valeria, — diss'egli, — il cotillon è prossimo, ed io vorrei non arrivare tardi una seconda volta.

Valeria esitò un attimo; ella aveva perduto [p. 220 modifica] il carnet, dimenticato il cotillon, l'impegno preso, il mondo intero.

— Mi dispiace, principe, — disse poi con fredda cortesia, — ma non mi sento bene.... lo dicevo adesso al mio cavaliere.... Non è vero, De Renzis? Cercavo anzi la nonna.... Sono costretta a lasciare la festa prima del cotillon.... Sono veramente dolente....

Don Vittore Ruffo era abituato ad essere festeggiato, desiderato, conteso; quel rifiuto che per lui chiaramente ne dissimulava un altro ben più grave e più seccante, lo feriva nel vivo; nondimeno s'inchinò con perfetta amabilità, disse qualche frase gentile di rammarico, s'incaricò di avvertire la marchesa Ottavia e di ritirare dal guardaroba i mantelli delle signore.

Esse furono tosto circondate da amici e da amiche che si dolevano per la partenza improvvisa. Anche De Renzis s'inchinò alla marchesa Monfalcone, ed ella rispose al suo saluto coll'amabilità distratta e un po' stanca con cui trattava quelli che non facevano parte del suo mondo.

Valeria intanto aveva impigliato alla maniglia dell'uscio la lunga catenella che reggeva il ventaglio; chiamò con un cenno il giovane perchè l'aiutasse a sciogliersi.

— Domani alle tre, a Brera! — mormorò ella in un soffio, quasi senza muovere le labbra, con un'audacia che contrastava colla grazia quasi infantile del volto, colla purezza dello sguardo e del sorriso. [p. 221 modifica] Egli non rispose.

Mentre aspettavano nel vestibolo che i camerieri facessero avanzar le carrozze, Valeria intravide Don Vittore Ruffo traversare il salone a fianco della bella miss Smart, un'australiana giunta da poco, rossa di capelli ed elegantissima, cui molti già facevano la corte per la sua eccentricità e per i milioni, e dal modo insolitamente animato con cui egli le parlava,e da tutto l' atteggiamento di lui, comprese che aveva trovato, o per lo meno cercato, una consolazione.

Gualtiero Cantelmo, l'unico che avesse preso sul serio l'indisposizione di Valeria, le raccomandava premurosamente di coprirsi bene lungo le scale.

Ella sorrise e lo rassicurò.

Come tutto, tranne il suo amore, le era completamente, profondamente, indifferente!

III.

Col bavero della pelliccia tirato fin quasi sugli occhi e la sigaretta fra le labbra Fausto De Renzis uscendo dal ballo si era diretto a piedi verso il solitario e lontano Corso Sempione dove abitava.

Faceva molto freddo. Ed egli era malcontento e nervoso.

Perchè era andato a quel ballo? L'avventura [p. 222 modifica] doveva finire. Egli se lo ripeteva da mesi, e quando pareva vi fosse veramente deciso, ecco che la sua inerzia morale lo riconduceva sulla ridicola via dell'idillio.

Lui, Fausto De Renzis, a trentaquattr'anni, dopo una vìta come la sua, filare l'amor puro con una fanciulla di diciotto! Con una fanciulla che non faceva un passo senza essere accompagnata, che dall'amore non chiedeva che uno sguardo, un fiore, un sorriso!...

Era ridicolo e stupido.

Oltre a ciò, qualche cosa gli diceva che era anche pericoloso.

Egli non amava Valeria, o almeno credeva di non amarla, come del resto credeva di non poter amare più nessuna donna, ma pure, quella sera, all'udire come certa la notizia del fidanzamento di lei aveva provato qualche cosa, non sapeva bene se rabbia, malinconia, o gelosia, che non l'avevano lasciato finchè dalle labbra stesse della fanciulla non aveva sentito il diniego.

Ora, il loro colloquio gli tornava tutto alla mente, gli sembrava più strano e più grave. Ella lo amava, lo amava! Glielo aveva detto in tutti i modi: colla parola e col silenzio. Ed era splendidamente bella, fine, vibrante: bisognava sfuggirla ad ogni costo, al più presto.

Fausto si fermò ed accese la ventesima sigaretta. Un'ondata di fumo e di malinconia l'avvolse ancora e lo tenne.

Era inutile negarlo!... Nella sua vita aspra, turbinosa, la sua amicizia per Valeria segnava [p. 223 modifica] una sosta, un'oasi di purezza, in cui egli aveva riposato alquanto lo spirito affaticato ed amaro; la sua tenerezza per la fanciulla, lentamente sorta dalla curiosità fredda dei primi tempi e dissimulata da lui sotto le parole ironiche e mordaci, era quello che gli restava di più sano nel cuore, estremo fiore germogliato da rovine. L' amore di lei gli dava un fremito d'orgoglio....

Non bisognava farle del male. Bastava una parola, ed egli non l'aveva ancor detta. Ed ogni giorno aveva promesso a sè stesso di dirla, ed ogni giorno si era abbandonato alla corrente, accidiosamente....

Domani.

....Si erano incontrati a Monaco, tre anni innanzi. Valeria aveva quindici anni e tornava da un lunghissimo viaggio. Mentre sua madre trascinava d'albergo in albergo i suoi mali, la sua stranezza, e la sua noia, la fanciulla affidata ad un'istitutrice francese, correva i musei, le pinacoteche, i laghi e i castelli della Baviera, con una gioconda avidità di godere e di vivere.

Fausto l'aveva incontrata per la prima volta su di un battello che faceva il giro del lago di Starnberg, del malinconico lago che sa i folli sogni, i languori, la disperazione, d'un'appassionata anima regale.

Lungo la traversata egli non aveva fatto che ammirar la fanciulla, colpito dalla sua strana ed espressiva bellezza, ed ella non se n'era accorta. [p. 224 modifica] Poi erano sbarcati tutti e tre, soli passeggeri in quella grigia giornata di settembre, presso il castello di Berg.

Un barbuto colossale custode era accorso ad aprire e li aveva guidati lungo le stanze non tocche dopo la morte del re: nella camera da letto tappezzata di pallide stoffe, nelle sale, nello studio, in quei chiari piccoli salotti delle torri d'angolo che le onde del lago, appena appena recinto da molli siepi di rose, sembrano lambire con tacito invito.

Qua e là ritratti di Luigi: uno ve n'era che lo raffigurava giovinetto, che sbarcava da una nave sulla cui prora stava scritto a caratteri d'oro: «Tristano». Ed era bello, con grandi occhi sognanti, e teneva in mano una rosa.

— «Oh! qu'il est beau, ce roi!» — aveva esclamato ad alta voce Valeria. — «Quel dommage qu'il soit mort!... Je suis amoureuse de lui!...»

Mademoiselle aveva sgranato due rotondi occhi esterrefatti, e Fausto non aveva potuto trattenere una franca risata.

Anche Valeria aveva riso, e così avevano incominciato a chiacchierare.

Ella gli aveva raccontato che detestava la lingua tedesca, che non capiva la musica di Wagner, ma che tuttavia quella musica le dava una impressione profonda.... come dire?... solenne, religiosa.... Presto sarebbero passate a Bayreuth, se la mamma migliorava. La mamma era sempre stanca.... malata....

....Il giorno dopo, egli l'aveva rivista al Prinz Regenten Theater, vestita d'azzurro, con [p. 225 modifica] un mazzo di violette alla cintura, molto diversa da quella del giorno innanzi; non più bambina, non ancora donna: un essere ïmpreciso, dalla grazia conturbante e misteriosa.

Una raffinata curiosità d'artista e di corrotto l'aveva spinto a cercare le occasioni d'incontrarla, di parlarle. Seguiti dall'istitutrice francese che sgretolava pasticeini, avevano fatto delle lunghe passeggiate e delle lunghe conversazioni.

....Non più bambina, non ancora donna.... E così ingenua nella sua audacia, così inconscia, così noncurante della sua bellezza e del suo fascino!

Più di una volta i grandi occhi puri di lei avevano fermato sulle labbra di Fausto le parole ardite, ed egli aveva finito per mettersi all'unisono colla fanciulla con quella flessibilità di spirito che egli ben si conosceva e che veniva, ahimè, dall'ombra più ambigua del suo passato.

Valeria era partita all'improvviso, senza congedi, portata altrove dal capriccio e dal male di sua madre. Egli l'aveva pensata per due giorni, si era anche provato a fissare sulla carta il suo profilo; poi la corrente l'aveva ripreso, vertiginosamente.

Tre anni dopo, venuto a Milano per istudiare, se l'era vista ricomparire dinnanzi a Brera, o meglio l'aveva trovata seduta a un cavalletto colla tavolozza in mano, intenta a copiare un Luini. Un'istitutrice inglese, dagli occhi e [p. 226 modifica] dai capelli gialli, aspettava, seduta a pochi passi.

Senza dissimulare la sua sorpresa e il suo piacere, la fanciulla l'aveva subito riconosciuto e salutato, e le conversazioni iniziate a Monaco erano state riprese, nell'ombra amica della Galleria.

Nuovamente, la curiosità raffinata di lui l'aveva spinto a scrutare in quell'anima.

Valeria era divenuta una giovane donna, elegantissima, piena di fascino: la sua personalità come la sua bellezza, completandosi, si erano affinate; e l' indipendenza, le contraddizioni, le originalità del suo pensiero e del suo sentimento, facevano di lei un fiore raro e interessante. Ma i suoi grandi occhi puri erano sempre gli stessi, ed arrestavano sulle labbra di Fausto le parole ardite.

Fino a quando?... Ella lo amava, e, in qualche ora fosca, egli sorrideva di sè stesso. Valeria poteva tutto temere da quel sorriso.

....Fausto non aveva mai conosciuto sua madre. Suo padre era un attore. Egli bambino l'aveva seguìto coi comici nelle piccole città di provincia; rammentava gli albergucci pieni di mosche e di odor di cucina, i camerini disordinati e sporchi, il vociar fra le quinte, il gergo pittoresco ed ignobile, il belletto, i crayons, le parrucche, e la fiala d'acquavite, sul tavolo da toilette di suo padre.

Rammentava una delle amiche di lui, un'attrice rossa di capelli e grassa con cui avevano vagabondato cinque anni per finire col separarsi [p. 227 modifica] dopo una scenata orribile di grida e di pianti; ne rammentava un'altra, pallida, romantica, tutta occhi e denti, che si faceva venir le convulsioni ad ogni piè sospinto e singhiozzava con suo padre la Signora dalle camelie. Una sera prima di uscir di teatro ella lo aveva schiaffeggiato; poi erano rincasati insieme tranquillamente. Quante donne, nei ricordi di Fausto!... Tranne sua madre.

Dove, chi, era ella?... Perchè l'aveva abbandonato?... Più che contro il padre che s'ubbriacava e lo batteva; contro la madre ignota che l'aveva tradito, il piccolo accumulava nel cuore un rancore implacabile. Se gli avveniva d'incontrare una donna con un bimbo fra le braccia, egli sussultava di dolore, d'ira e di vergogna, e si nascondeva per piangere.

....Tratto tratto la compagnia restava incagliata in qualche grosso paese finchè si organizzava una colletta per farla partire, e intanto era la miseria, la miseria nera....

Questa, era stata l'infanzia di Fausto.

Egli aveva veduto tutto con grandi occhi profondi e cupi, e nella sua anima infantile si era maturato poco a poco il proposito irrevocabile: fuggire, uscirne.

Ed era fuggito infatti, a quindici anni: a piedi, senza saper dove andare, portando seco cento lire tolte a suo padre.

Attraverso a quali amarezze, a quali lotte, egli era passato prima di giungere a essere ciò che era: l'artista riconosciuto e ammirato? Attraverso a quali roveti si era insanguinato le [p. 228 modifica] mani prima di giungere a strappare la fronda d'alloro? Quante volte era scivolato e aveva creduto di non più rialzarsi prima di lasciare per sempre la palude da cui veniva?... Egli solo sapeva; e avrebbe voluto dimenticarlo.

Era arrivato, era libero, era giunto alla vetta: aveva collocato sè stesso al posto dei vincitori. Ma in fondo all'anima?

In fondo all'anima egli era un vinto; dominato e stretto tuttora con artiglio feroce dal suo passato: reso crudele dai ricordi, indifferente e scettico dall'esperienza; raffinato e cinico da anni di disordinata vita vagabonda, schiavo, che trascinava al suo piede una catena da cui non avrebbe potuto mai più liberarsi: la lassitudine delle troppe battaglie.... La sua vittoria non celava che rovine.

Egli aveva raccontato a Valeria parte della sua storia — parte — anche l'episodio delle cento lire, fino al primo suo collocamento nello studio d'un pittore ungherese, dove la sua attitudine per l' arte aveva cominciato a delinearsi.

Ed ella aveva ascoltato avidamente ciò che Fausto aveva voluto narrarle, ed ogni parola di lui si era impressa a caratteri di fuoco nel suo cuore. Per il suo dolore, per la sua povertà, per le sue lotte, per la vittoria strappata a prezzo di lagrime non piante, per la sua diversità dagli altri uomini, ella lo amava. Perdutamente.... Anch'ella era un'anima irrequieta.... Anch'ella nella sua infanzia, fra un padre indifferente e una madre malata e vagabonda, [p. 229 modifica] aveva sofferto e giudicato in silenzio.... Anch'ella era una ribelle.... Un fremito di simpatia attraeva la sua femminea volontà, anelante di svincolarsi dai ceppi di una vita arida e vuota verso la maschia volontà, di lui, superba, ardita, sempre in arme contro gli uomini e contro il destino; un brivido di passione spingeva le giovanili sue labbra ardenti verso le labbra di lui, memori di troppi baci, stanche, come il suo desiderio ed il suo cuore. Perdutamente....

Fausto era arrivato davanti alla casa dove aveva lo studio e l'alloggio. Trasse di tasca la chiave ed aprì. In quel momento si ricordò che don Vittore Ruffo nel vestibolo del Casino gli era passato davanti senza salutarlo, anzi volgendo ostentatamente la testa da un'altra parte.

Un lampo d'ironia gli balenò negli occhi.

— Chi l'avrebbe detto che sarei arrivato ad avere degli scrupoli in fatto di donne?... Vuol dire che invecchio.

Da un vicino caffè «chantant» giungevano a ondate le strofe d'una canzonetta miagolata da una stanca voce femminile:


La liberté, l'amour! Il me faut ces deux choses. Pour mon amour je donnerais ma vie, Et pour la liberté, l'amour! [p. 230 modifica] IV.

Pioggia a rovesci. Il castello di Monfalcone fosco tra i pini. Gli alberi del parco frementi con lunghi brividi sotto l'uragano.

Via via che le ore passavano Valeria si sentiva invadere da un'inquietudine, da un orgasmo, sempre più forti.

Ella aveva mentalmente calcolato il tempo necessario all'andata e al ritorno del messo — un'ora e mezzo di salita e un'ora per la discesa -: egli avrebbe dovuto tornare a Monfalcone prima del tramonto, invece erano già scoccate le nove e nessuno era ancor comparso.

Gianni, il groom addetto al servizio della contessina, ispezionava dalle larghe bifore dell' anticamera la strada livida, sferzata dalla pioggia, ed ogni tanto veniva a riferirle che non si vedeva arrivare nessuno.

Valeria si aggirava da una stanza all'altra, fermandosi a guardare i delicati pastelli appesi alle pareti, ad accomodare le rose nelle coppe, con mani febbrili, con occhi che non vedevano nulla.

Miss Leight lavorava silenziosamente all'uncinetto, e sbirciava coi suoi ipocriti occhi gialli le mosse della fanciulla.

Ah, come Valeria odiava quella donna! La [p. 231 modifica] testimone della sua umiliazione, la complice legata a lei dalla colpa!

L'odiava, e non poteva scacciarla; la disprezzava, e non poteva gridarglielo in faccia; l'odiava per la sua condiscendenza che le aveva permesso di perdersi, l'odiava per l'ipocrito rispetto, per l'ipocrito sguardo dei suoi occhi gialli.

— Contessina, il signor duca è qui!

Tra il sibilar del vento e lo scrosciar della pioggia, un tintinnar di sonagliere, un risuonar di ruote, e il calesse scoperto del duca, tirato da due poneys russi a lunghe code, entrava a gran corsa nel cortile.

Guidava il duca stesso, caso rarissimo, benchè avesse a fianco il cocchiere; e i cavalli sbuffavano, grondavano pioggia e sudore.

Gianni spalancava i battenti della porta della grande anticamera, precedeva il duca lungo le chiare stanze dai soffici tappeti dove ogni suo passo lasciava impronta d'acqua e di fango.

Valeria guardava il cugino avvicinarsi, curvo, coi ginocchi grossi, colla sua andatura dinoccolata, colle lunghe braccia che sembravano pesargli, e i capelli biondastri scompigliati dal vento: era molle d' acqua dalla testa ai piedi.

Ella gli si fece incontro, gli tese la mano, ritrovò un sorriso per accoglierlo davanti ai domestici.

Gualtiero borbottò arrossendo alcune frasi confuse per scusarsi di non essere accorso prima: era assente da casa fin dal mattino per un [p. 232 modifica] giro nei boschi coll'agente generale, il mal tempo l'aveva colto per istrada; giunto a Torri aveva trovato la lettera e il messo e aveva proseguito in calesse malgrado la pioggia, per non perder tempo....

— Scusami se mi presento così....

— Povero Gualtiero! Come sei buono! Ti ringrazio! Sei tutto bagnato.... Avrai anche freddo.... Vuoi una tazza di thè?

Ella ritrovava i gesti e le frasi convenzionali, sorretta, anche in quel momento, dalla forza dell'abitudine.

Avvicinò una poltrona, premè il bottone elettrico, diede ordine a Gianni di accendere il samovar, appressò al cugino la piccola table à thé coi sandwiches e il latte.

Era pallidissima.

Egli ne seguiva i movimenti colla fisionomia illuminata, ravvivata, e quasi abbellita, dalla gioia che la presenza di lei bastava a donargli.

Valeria tese a suo cugino una tazza di thè; le sue mani tremavano tanto che un po' del liquido bollente le si rovesciò addosso, strappandole un piccolo grido.

Quella scossa fisica le ridonò il suo coraggio, come una staffilata.

— Gualtiero, — disse sedendo di fronte a lui. — Devo dirti delle cose gravi. Tu mi vuoi bene, non è vero? Io non ho che te, non posso fidarmi che di te solo.

Fissandolo coi suoi cangianti occhi quasi per trasfondergli la sua imperiosa volontà, ella proseguì: [p. 233 modifica] — Io posso considerati come un fratello, non è vero? Posso contare su di te?... Dimmi francamente, Gualtiero, tu che sei stato sempre con noi quest'inverno.... ai concerti.... ai balli.... non ti sei accorto di nulla? non hai notato che io.... preferissi qualcuno.... tra quelli che mi erano intorno?...

Gualtiero scosse malinconicamente il capo.

— No!... Scusami, Valeria, ma io.... non ho notato nessuno.... in particolare!... Sono così miope e distratto! E sono tanti, intorno a te!... Scusami, ma non ho proprio notato nulla, particolarmente....

Egli insisteva nelle scuse, con una confusione che la leggera balbuzie e lo strisciar dell'esse rendevano più evidente e più penosa.

In fondo era vero. Egli non si era mai curato di distinguere l'uno dall'altro i molti adoratori di Valeria riunendoli tutti in un solo senso di diffidenza, colla certezza che un giorno l'uno o l'altro gliel'avrebbe rapita. Egli divideva il mondo, di cui Valeria era centro, lume, ragione di essere, in due parti l'una dall'altra separate da un'insormontabile barriera: dall'una era lui.... solo.... colla sua bruttezza.... colla sua infermità....colla sua malinconia.... colla sua goffaggine.... colla sua disperata febbre d'amore; dall'altra Valeria ed «essi», i belli, gli audaci, i fortunati, quelli che si chinavano sorridendo sulle spalle ignude delle dame, che strisciavano il boston con movenze serpentine, che dicevano madrigali più cogli occhi che colle labbra. Tosto o tardi, l'unoo l'altro di coloro [p. 234 modifica] gliel'avrebbe rapita: che importava il nome?

Ed ecco: era arrivata la confessione tante volte prevista! Ella aveva finalmente scelto.... Ella amava!... E gli confidava il suo segreto.... aveva forse bisogno di lui per rimuovere qualche ostacolo, per persuadere la nonna. Coraggio!

— Tu non hai dunque capito nulla! — esclamò Valeria balzando in piedi.

Attraversò la stanza e si affacciò all'uscio del salotto attiguo.

— Miss Leight, — diss'ella, — «please, leave me alone».

Era in balìa di quella donna e seguitava a parlarle in aspro tono di comando. La piccola inglese si alzò e sguisciò via.

— Devo dirti dunque tutto io stessa, Gualtiero! — continuò Valeria tornando di fronte al cugino. — Sentimi dunque. Tu conosci Fausto De Renzis, non è vero? Non è del nostro mondo, ma l'ho amato e l'amo con tutta l'anima. Naturalmente ho dovuto nascondere a tutti quest'amore perchè tutti voi mi avreste disapprovata. Gli ho scritto e ci siamo visti di nascosto.

Lo sguardo costernato di suo cugino le arrestò per un attimo le parole sulle labbra.

— Sì. Ci siamo visti di nascosto, — proseguì ella lentamente con un'energia fredda e disperata. — Per quattro mesi ci siamo incontrati quasi ogni giorno a Brera, alle Conferenze di storia d'arte, nello studio del pittore Lollita. [p. 235 modifica] Quando lo seppi ferito nei tumulti del Maggio — i giornali dicevano «gravemente ferito» — mi recai a casa sua con miss Leight.

Vi fu una pausa in cui si sarebbe sentito il batter dei due cuori.

— Tornai più volte.

I lampi rigavano il cielo di gran luci gialle.

— Un giorno, io sono stata sua.

— Non è vero! — balbettò Gualtiero fattosi pallido come un morto.

— Sì, Gualtiero, è vero, è vero purtroppo!... Ti ho fatto chiamare per questo, per confessarlo a te, a te che sei tanto buono, che mi hai dimostrato sempre dell'affetto. A chi rivolgermi se non a te? Tu solo, tu solo, puoi compatirmi, comprendermi un poco, aiutarmi ad uscire dalla mia condizione orrenda! Tu solo puoi sollevarti al disopra dei nostri pregiudizi, delle nostre catene! Non abbandonarmi, Gualtiero, non abbandonarmi, se mi vuoi bene! — e gli afferrò le mani sperando, in quell'atto, di afferrargli l'anima.

Ma Gualtiero si svincolò violentemente dalla stretta.

L'incredulità e l'angoscia gli si leggevano in volto e lottando furiosamente lo rendevano come cieco e come pazzo.

— Ma non è vero! — balbettò smarritamente quasi parlando a sè stesso, stringendosi la testa fra le mani. — Non è possibile che tu, Valeria, abbia fatto questo!... Io ti aiuterò, farò tutto quello che mi domandi, ma non è necessario che io ti creda perduta per aiutarti! [p. 236 modifica] Hai mentito per questo, dimmi? Perchè torturarmi così? Dimmi.... che hai mentito!

— Ma vuoi dunque che te lo ripeta? — proruppe la fanciulla. — Vuoi che ti dica le date, vuoi che ti racconti i particolari, per persuaderti?....Fu alla vigilia della nostra partenza per Monfalcone. Da alcuni giorni non lo vedevo. Andai da lui per pregarlo di scrivermi qualche volta. Fino ad allora l'avevo sempre visto in presenza di miss Leight. Comprendi? Ella era stata sempre presente ai nostri colloqui. Quel giorno, per esser più libera di parlargli, pregai quella donna di aspettarmi in chiesa. Ella acconsentì. Salii sola. Egli non voleva promettermi di scrivere, diceva che era bene finire, troncare, abbandonare ogni idea, ogni speranza, non vederci mai più....Io mi disperai.... piansi.... lo supplicai.... divenni come pazza.... E tu disprezzami, odiami, insultami, ma non farmi aggiungere di più, non essere così crudele!...

Gualtiero era ripiombato nell'ampia poltrona dove sembrava ancora più debole e più meschino, aveva nascosto il volto tra le mani; grosse lagrime mute gli colavano lungo le guance, tra le dita.

Lei! lei! la più fiera! la più bella! l'adorata! l'unica!...

Valeria aveva preso una rosa da una coppa e ne lacerava convulsamente i petali.

Il pianto di suo cugino, più che impietosirla, sorprendeva ed urtava il suo orgoglioso e impetuoso carattere. Ella si aspettava dei rimproveri [p. 237 modifica] acerbi, delle parole dure; gli riconsceva in cuor suo ogni diritto: dopo tutto egli era suo cugino, quasi suo fratello! Se l'avesse insultata, battuta, ella avrebbe piegato umilmente il capo sotto i colpi, ma quel pianto no, non poteva sentire quel pianto! Ella non ne coglieva che il ridicolo, la viltà, l'umiliante impotenza....

E quello era l'uomo che doveva salvarla! alla cui energia si era rivolta per avere un sostegno! Quello, era il suo difensore!

— Gualtiero! — chiamò ella in tono aspro e impaziente chinandosi su di lui e scostandogli a forza le mani dalla faccia. — Gualtiero! Smetti di piangere. Io ho bisogno di te, hai capito?... Ti ho confessato tutto come a un fratello nella speranza che tu faccia per me quello che io non posso fare. E tu non sai che piangere!....Ma non capisci che bisogna che tu faccia qualche cosa di più per salvarmi? Dimmi, sei disposto a qualche cosa per me?

Egli scattò in piedi, avvicinò il volto al volto di lei, afferrandola ai polsi, tremando come una foglia.

— Non posso battermi, lo sai! Non posso battermi!... Nessuno accetta un duello con me!... Posso uccidermi, ma non punirlo!... E tu non vuoi che pianga!... e tu non vuoi che pianga!... — e ricadde a singhiozzare.

Ah! quel grido finalmente le arrivava all'anima, l'avvicinava al cugino più di quanto avrebbero potuto mille proteste di devozione e d'affetto. [p. 238 modifica] ....Quando, dove, l'aveva sentito un'altra volta piangere così?...

Ah sì!... ora rammentava!... Molti anni innanzi.... Ella una bimba.... egli un ragazzo.... nella prateria verde innanzi al castello cavalcavano due piccoli arabi irrequieti.... Il duca Gian Carlo li guardava, colla ruga fonda e gli occhi cupi che aveva sempre davanti all'unico debole rampollo della sua razza.... A un improvviso scarto del cavallo, Gualtiero era caduto goffamente sull'erba.... Il duca era accorso e l'aveva staffilato in volto.... mentre lei, coi capelli al vento si allontanava al galoppo.... Quel pianto!...

— Senti, — disse Valeria facendosi ad un tratto tenera, dolce, e femminea. — Senti, Gualtiero. Non si tratta di battersi. Se pure tu lo potessi, non rimedieresti a nulla e faresti del male a me. Io lo amo. Fui sua di mia volontà e di piena coscienza: bisogna che tu lo sappia. Sono «io» la sola colpevole in questa triste avventura. Ma appunto per questo, appunto perchè non voglio ritogliere il dono liberamente fatto, io ti prego di aiutarmi, Gualtiero, a crearmi un avvenire meno fosco del presente, a troncare quest'esistenza d'ipocrisia e d'inquietudine che mi avvilisce e mi ripugna!... Ti prego, ti supplico, e ti scongiuro, di farlo, se mi vuoi bene!... Liberati dai nostri pregiudizi d'educazione e di casta e ricorda solo che l'uomo che ho scelto vale quanto, e più, di noi... O meglio ricorda solo che io l'amo!... che egli mi è necessario.... che non posso vivere [p. 239 modifica] senza di lui! Io sono qui come uno a cui manchi la luce e l'aria.... Voglio esser sua moglie, voglio poter amarlo senza arrossire e senza nascondermi!... Gualtiero, ti supplico, aiutami tu!...

— Devo parlare alla nonna? — balbettò egli con voce fioca, quasi afona.

— La nonna? — esclamò vivamente Valeria, e il suo volto riprese un'espressione dura, quasi crudele. — La nonna? Ella è chiusa nei suoi pregiudizi e nel suo egoismo. Ella non mi ha mai amata, ed io non l'amo. Sono decisa a far senza del suo consenso! E quel giorno in cui lascerò questa casa dove sono stata sempre infelice, la lascerò senza voltarmi indietro. Ma è ad altri che tu dovresti parlare, Gualtiero....- e si rifece dolce, quasi timida. — ... È presso altri, che tu dovresti perorare la mia causa....

— Presso altri?

— Sì, presso di lui, Gualtiero!... Tu non puoi credere quanto sia orgoglioso.... Il nostro orgoglio è nulla in confronto al suo! Figúrati che all'inizio della nostra conoscenza, pur amandomi, per fierezza mi sfuggiva; e più tardi, quando non ebbe più la forza di sfuggirmi, mi ripetè inesorabilmente che non avrebbe mai potuto, nè voluto sposarmi.... La mia ricchezza, la nobiltà, comprendi?... ciò che avrebbe attirato e lusingato un altro, è un ostacolo insormontabile per lui.... Ed anche in questo io riconosco la sua delicatezza!... Ma ora? Tu che sai tutto, non pensi come me che non c'è più [p. 240 modifica] da esitare?... Va da lui, Gualtiero, parlagli in nome del mio amore, trova le parole buone e forti; vinci la sua fierezza, i suoi scrupoli, digli il mio soffrire, qui, sola, lontana, senza sue lettere!... Vuoi farlo, non è vero?... per me?... per la tua sorellina che ti sarà grata in eterno del bene che le fai?...

— No, — rispose egli, gelido di fronte a quell'ardore.

— Non vuoi? non vuoi?... — ripetè la fanciulla non potendo credere ai suoi orecchi, — E perchè dunque non vuoi?...

— Perchè quel giorno che io dovessi cercare e trovare quell'uomo, sarebbe per cacciargli un coltello nell'anima, — disse Gualtiero pallido come se non gli rimanesse stilla di sangue nelle vene, — non già per implorare che ti sposi dopo averti disonorata!

— Dunque tu mi abbandoni? Dunque tu vuoi esser lasciato tranquillo? Vuoi seguitare a suonare il tuo violino e a studiar Nietzsche senza seccature? Ed è questo il tuo affetto? il tuo fedele attaccamento?... Tu mi lasci sola nel momento dell'angoscia: sola, e disperata! Batterti non puoi, salvarmi non vuoi!... Che sarà di me?... Chi mi vorrà tendere una mano?... Chi pregherò? A chi mi rivolgerò?...

— A nessuno! — si rispose ella stessa, fissando il cugino con occhi lampeggianti di dolore, d'audacia, di sfida. — A nessuno!... Andrò io stessa da Fausto, lo pregherò io stessa, lo supplicherò di sposarmi, di togliermi da questo ambiente di vili e di egoisti! Egli mi respinge [p. 241 modifica] per fierezza, e non sa che vale più di tutti voi!... Andrò io stessa!

— Tu non andrai! — gridò Gualtiero afferrando la fanciulla per un braccio e scuotendola con un'energia che lo trasfigurava. — No, per Iddio, tu non andrai!

— Sì! Io andrò, io andrò! Devo forse chiedere il permesso a te? Chi sei tu? Io non ho bisogno di nessuno! non ho bisogno di nessuno!... Ormai!...

— Che cosa: «Ormai?» — fremette egli. — Che cosa: «Ormai!...» Tu non ti muoverai di qui, hai capito? tu non farai un passo fuor di casa prima del mio ritorno! Giuralo sulla memoria di tua madre, e se manchi!...

Ella si era lasciata cadere su di una seggiola, accasciata su di sè stessa, col capo abbandonato fra le braccia, e singhiozzava disperatamente e gemeva, ridivenuta donna, debole e bambina. Il suo bello e giovane corpo sussultava scosso da lunghi fremiti, la sua testina, già cosi altera e allegra, pareva non sapesse rialzarsi più....

Egli si sentì struggere di pietà, di tenerezza, d'amore. Ah! ogni supplizio, ogni umiliazione, la morte stessa, piuttosto che vederla soffrire e piangere così!

— Valeria....

Ella sollevò lentamente il volto inondato di lagrime, gli occhi gonfi e stanchi.

— Valeria, càlmati.... senti....

— Andrai? — singhiozzò ella.

— Farò quanto sta in me.... [p. 242 modifica] — Ah! tu sei buono! — esclamò la fanciulla balzando in piedi e gettando indietro i capelli che le facevano velo agli occhi. — Tu sei buono, Gualtiero!... Grazie! — e gli afferrò ancora le mani, l'attirò vivamente a sè, avvicinò la sua bocca alla fronte di lui.

— Grazie, Gualtiero mio!

Egli impallidì d' angoscia e duramente la respinse.

Il bacio lieve gli aveva sfiorato i capelli

Egli appoggiò la fronte ai vetri rigati dalla pioggia, e rimase qualche minuto immobile, in silenzio.

— Telegrafagli avvisandolo del tuo arrivo.... Non dirgli che sai tutto.... Digli soltanto «che sai che io l'amo»....

— Addio.

Egli riattraversò le chiare stanze, discese a testa bassa l'ampio scalone.

Gianni lo precedeva.

Nell'atrio d'ingresso il maggiordomo aspettava e chiedeva rispettosamente se il signor duca desiderasse far attaccare una carrozza coperta.

Gualtiero accennò di no colla mano, e si diresse con lui verso il cortile delle scuderie.

Fatti pochi passi, si ricordò che bisognava pure spiegare la sua visita ed evitare che la nonna ne venisse a conoscenza. Pregò il maggiordomo di non parlare alla marchesa della sua venuta che, avendo per iscopo di prender notizie della sua salute, poteva impressionarla inutilmente. [p. 243 modifica] — Troppo giusto! troppo giusto! — annuì il maggiordomo con ossequio, ed aiutato Gualtiero a salir sul calesse e ad avvolgersi le gambe negli scialli, assistè alla partenza di lui non senza permettersi di ricordare rispettosamente al signor duca che, dato l'uragano infernale, avrebbe potuto pernottare alla palazzina: in dieci minuti le stanze sarebbero state pronte.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

....No! No! Meglio quelle tenebre paurose, quella pioggia, quel freddo; meglio correre all'impazzata fra gli alberi che si curvavano fino a terra sotto l'urto del vento, fra i tuoni, e i lampi, e lo scrosciar del torrente; meglio sentire i cavalli balzare e fremere allo scoppiar delle folgori, e dover aguzzare gli occhi, e tenere il polso vigile e fermo, e stordirsi in quella guerra, piuttostochè agonizzare lentamente nella pace d'una chiusa stanza sotto il morso tenace del proprio dolore!

Già, anche nella pazza corsa attraverso alla foresta devastata dall'uragano, una voce perfida lo inseguiva, ed egli la discerneva nel sibilar del vento, nello scrosciar del torrente, che gli sghignazzava all'orecchio:

— «Ella ti ha baciato!... ella ti ha baciato! Per lui! per lui!...»

....Quanti giorni, quante notti, quanti anni, non aveva egli fantasticato, sognato follemente, la felicità inarrivabile di un bacio di lei?... Quante volte non si era egli sdegnato acerbamente con sè stesso sorprendendosi a [p. 244 modifica] sperare quello che ben sapeva non sarebbe stato mai?...

E invece.... Era avvenuto!... Ella.... sì... — ella! — gli si era avvicinata.... gli aveva posato una mano sulla spalla....- così — lo aveva baciato là....sui capelli.... con quelle labbra rosse che egli aveva proibito a sè stesso di pensare anche in sogno....

Ah! come si odiava per quel bacio! Come si disprezzava e si malediceva per non averlo più duramente respinto!... Vile! vile!... E non poter liberarsi dall'ossessione di quel ricordo!...

— Per lui! per lui! — sghignazzava la voce perfida, nello scroscio dell'acque, nell'urlo del vento. — «Gobbo Cantelmo, hai avuto

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

il tuo bacio!»

V.

Il salotto dove Valeria passa la maggior parte delle sue giornate è nell'ala moderna del castello — grande, semplice, chiaro — con un'ampia vetrata che dà sulla terrazza, e da questa a picco sul mare.

Di quella terrazza Valeria ha fatto una specie di giardino pensile, e il glicine si abbandona sulla balaustra, e le rose thee vi sfioriscono con molle grazia, e le rondini in primavera vi intessono nidi, voli, e garriti. [p. 245 modifica] Nel salotto pochi mobili di stile inglese, un pianoforte di Erard, un grande ritratto di sua madre, una fotografia di suo padre a cavallo, alcune acqueforti di pregio, qualche delicata maiolica faentina, molti libri, i pennelli, i colori, ed alcuni oggetti strani, disparati, che parlano un linguaggio noto a lei sola: memorie della sua infanzia e dei suoi vagabondaggi.

Ella siede allo scrittoio, presso alla grande vetrata. Risponde ad una lettera di Emma Maina. Tre giorni sono passati dal suo colloquio con Gualtiero. La nonna è indisposta ed ella ha definitivamente relegato miss Leight nelle sue stanze. Può almeno essere sola.

Ma anche la solitudine, nell'attesa, è un male!

Tutto, tutto, è un male; ed ella si sente mancare se Gualtiero non torna presto.

La nota voce annuncia:

— Contessina, il signor duca di Cantelmo!

Ella balza in piedi, va incontro al cugino, gli tende le mani con tutta l'anima nello sguardo.

— Dunque?...

— Partito.

— No?!!

— Il mio telegramma l'ha raggiunto a Cannes; ha risposto subito che si tiene a mia disposizione otto giorni colà — Grand Hôtel — per qualunque comunicazione io volessi fargli.

Ella non parla; gli occhi suoi quasi neri nel volto illividito si attaccano su Gualtiero con una tale espressione che egli si sente morire.

— Ascolta, Valeria, non irrigidirti così. Ascolta. [p. 246 modifica] Forse tutto non è perduto, può essere che c'inganniamo. Ma in ogni caso, se le tue, se le nostre speranze vengono a mancare, se la tua fiducia in quell'uomo è destinata a cadere, non disperarti, Valeria!... Se egli ti abbandona, io ti offro il poco che posso: se ne hai bisogno, se lo vuoi, il mio nome e la mia vita ti appartengono. E non sarai tu che dovrai essermi grata!

Valeria balza come sotto un colpo di scudiscio.

— Che mercato mi proponi? — esclama con voce strangolata e rotta. — Che mercato mi proponi, Gualtiero?... Ma tu credi che le ricchezze ed il nome.... Suvvia! Non si tratta di questo!!... Se non hai altro da dirmi!

Egli abbassa il capo sotto l'affronto.

— Tu mi hai frainteso....- dice poi con semplice umiltà. — lo volevo solo darti il mio nome se egli ti abbandonava; ma era mia intenzione....«starti sempre lontano».

— Perchè non l'hai raggiunto dov'era? Per chè non hai condotto a termine la missione che ti era affidata?... Avevi bisogno di consiglio?... Il consiglio era uno solo, lo sai! Vederlo, parlargli: ottenere «ad ogni costo» quello che chiedo. Poichè egli non sa tutto! Ma.... io.... temo di essere madre.

— Ho una lettera per te....

— Dammela dunque, dammela! Sai che agonizzo da tre giorni, sai che sto per morire d'angoscia, e non mi dai la lettera!...

— Valeria!... [p. 247 modifica] -. ... «Ammogliato.... diviso dalla moglie.... con una bambina di otto anni in collegio a Losanna....» — ella legge con una voce diversa, strana, tremante e rotta. — Tu.... tu sapevi?

— Il pittore Lollita solo lo sapeva, e l'ha raccontato ieri a Santa Silia e a Vallotti in mia presenza.... Perciò indugiavo a darti la lettera.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Silenzio. Ella non piange. Si è appoggiata al davanzale della finestra, ha gli occhi spalancati e fissi sul mare che scintilla. Le sue mani tremano e tengono ancora la lettera, il suo volto sembra invecchiato, avvizzito a un tratto, reso più duro, più imperioso, più freddo. Somiglia alla nonna.

Dice a sè stessa:

— Non mi resta che morire.

Ed ecco, guarda la morte ai suoi piedi: la scogliera irta di punte, contro cui il mare combatte e si frange in una schiuma d'argento.

— Non mi resta che morire.... non mi resta che morire....

Ed ecco, vede il suo corpo giovane e bello dilaniato dagli scogli, portato lontano dalle furie del mare, scoperto, toccato, da mani villane; fatto mèta alla curiosità profanatrice del volgo.... poi lo scandalo, la vergogna, la pubblicità, che di ogni errore fa un'arma, di ogni passione ludibrio....

— Non mi resta che morire?....

Ed un'immensa pietà la prende, di sè, della creatura che forse le freme in seno, e un impeto [p. 248 modifica] di ribellione contro quest'onta, contro quest'infamia, di dover morire.... per colui.

Ella si guarda intorno. Il mare è glauco e dolce come un lago, una rondine si posa sulla balaustra, un soffio di vento stacca i molli petali del glicine e li sparge sulla terrazza.

....Dice forse il mare:

— Sai che i tuoi occhi sono glauchi ed azzurri come l'onda mia più profonda?...

....Dice forse il vento:

— Sai che è più dolce scompigliare i tuoi biondi capelli che i grappoli delicati del glicine?...

...Dice forse la rondine:

— Sai che primavera torna ogni anno, ed ogni anno riporta i nidi e le rose sulla tua terrazza?

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

— «No! Non bisogna morire! Sopratutto non bisogna morire per colui!»

Nè morire, nè piangere.

....Ella si muove. Posa le mani sulle spalle di Gualtiero; gli si aggrappa: comanda:

— Va dalla nonna, presto, non perdere un minuto. Dille che abbiamo deciso le nozze per il prossimo mese. Non tornare se prima non hai ottenuto il suo assenso. Ella te l'accorderà certamente. Era il suo sogno. Va presto! Va!

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ed egli andò.