Di guardia

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L'amore Fiori d'arancio

[p. 173 modifica] DI GUARDIA

Il vecchio si caricò sulle spalle la culla, e cominciò a salire penosamente la scala del granaio.

Bisognava nasconderla. Il telegramma annunciava a un tempo la morte del piccolo e l'arrivo dei genitori. Dovevano esser fuggiti a precipizio da Roma dove li aveva colti all'improvviso tanta sventura, e venivano a rifugiarsi nella vecchia casa paterna.

Battista, che da anni ed anni custodiva e abitava solo la casa padronale, si era fatto leggere il telegramma dal fattorino stesso che l'aveva portato, ed era rimasto come impietrito.

Egli non sapeva che il bambino fosse malato, e a un tratto.... così....

Il fattorino aveva dovuto tossire e toccargli la spalla per farsi dare la mancia, poi se n'era andato, e il vecchio immobile aveva continuato a fissare il foglio giallo rimasto spiegato sulla tavola, a fissare i misteriosi segni che volevano dire: «Il piccolo Cici che ti voleva tanto bene, il piccolo Cici che si divertiva a [p. 174 modifica] tirarti il naso e ad arrampicarsi sulla tua gobba, il piccolo Cici colla testina tutta a ricciolini, non tornerà più. È morto».

E a un tratto l'orologio di cucina aveva suonato le ore, il canarino si era messo a cantare, e il vecchio si era scosso, violentemente richiamato alle necessità del momento: essi, i poveretti, il papà e la mamma di Cici, i suoi padroni cari, tornavano; e Dio sa in quale stato!

Presto, nascondere la culla: nascondere il cavalluccio di legno; cancellare dalla lavagna la figura del gatto coi baffi irti che Cici l'autunno prima, a due anni e mezzo, aveva tracciato col gesso, con grande meraviglia e orgoglio di tutti; presto, nascondere il panchettino, e il pupazzo senza testa, portare in granaio anche la minuscola giacca rossa e il cappuccetto che erano rimasti appesi all'attaccapanni....

Su per le scale, su, su, su.... affinchè essi tornando non incontrassero ad ogni passo.... Il cappuccetto odorava ancora di latte, dalla tasea della giacchettina rossa erano caduti due sassolini....

Il vecchio con mani tremanti li raccolse, li rimise nella saccoccia di «lui».

Quando tutti gli oggetti appartenenti al bambino furono accuratamente accatastati nel più remoto angolo del granaio, e coperti da una tela cerata, il vecchio scese, rientrò nella stanza nuziale, mise l'acqua nelle brocche, approntò il bagno, preparò in anticamera una piccola tavola colle modeste risorse della sua dispensa.

Prese in mano le forbici per staccare qualche [p. 175 modifica] fiore e adornarne la tavola come sempre, ma le ripose senza servirsene, e, più gobbo del solito, trascinando molto le gambe, sedette fuori della porta di casa, al suo solito posto, ed aspettò.

Ogni sera, da cinquant'anni, egli sedeva colà, fra i rami di vite selvatica che serravano di selvaggia rete la vecchia casa.

Cinquant'anni prima — egli aveva allora quindici anni — la Signora delle «Torricelle», la Signora pallida che portava il lutto vedovile, lo aveva fatto chiamare, e gli aveva chiesto:

— Vorresti accompagnare a caccia i miei ragazzi? portar loro la civetta ei vischioni? badare che non vadano in pericoli?... Si tratta di restar con noi durante le vacanze, poi tornerai colla tua famiglia.

Battista aveva acconsentito, un po' per timidezza riverente al desiderio della Signora da cui i suoi tenevano in affitto il podere, ma molto più per l'ammirazione che gli ispiravano Valerio e Carlo, i due terribili padroncini, che nessun precettore riesciva a seguire, di cui tutto il paese raccontava le imprese.

Non erano essi saliti a passeggiare sulle mura sgretolate della rocca d'Asolo, fra un merlo e l'altro, col pericolo che una pietra smovendosi li facesse precipitare nel vuoto? Non usavano essi all'insaputa della madre cavalcare a dorso [p. 176 modifica] nudo i puledri della fattoria, per boschi e per fratte? Non erano scappati più volte di collegio?

E con tutto ciò passavano i loro esami: ed erano così simpatici, allegri, pieni d'ingegno e di coraggio, che gli stessi parrucconi più arcigni del paese non sapevano ancora se condannarli od assolverli.

Battista li vedeva ogni giorno passare davanti a casa sua: bei ragazzi dagli occhi e dai capelli neri e dal colorito olivastro; li udiva ridere e chiacchierare, e li seguiva con uno sguardo pieno di curiosità e di desiderio.

Egli, maggiore di loro di qualche anno, timido ed irrosoluto per natura, sentiva vivamente il fascino della loro diversità; era attratto verso di loro da ciò appunto che a lui mancava: l'audacia, l'arguzia, l'energia.

Essi l'avevano accolto dapprincipio con diffidenza.

Insofferenti di vigilanza e di disciplina, quel compagno scelto dalla madre sembrava loro una schiavitù da portare, uno spionaggio da temere; ma in pochi giorni avevano capito il semplice cuore di lui e avevano finito per associarselo davvero come un compagno.

Il primo autunno egli li aveva seguiti alla caccia, di macchia in macchia, lungo le siepi, presso al ròccolo sulla collina: instancabilmente. Aveva diviso ogni gioco, ogni avventura, mantenendo il segreto quando si trattava di monellerie e d'imprudenze, ma esigendo con montanara ferrea ostinazione di partecipare ai [p. 177 modifica] pericoli. Intuiva con sicuro istinto che quello era l'unico mezzo per indurli a riflettervi.

E l'autunno era passato senza troppi malanni.

Venuto l'inverno la Signora l'aveva chiamato nuovamente. Gli aveva chiesto:

— Vuoi restare ancora? Li accompagnerai a scuola. Lavorerai nel giardino, e la sera andrai a riprenderli. Resti?

Sì, restava. Come aveva potuto la Signora dubitare della sua risposta?

Egli li aveva accompagnati ogni giorno alla scuola della vicina città guidando lungo l'argine la cavallina bianca che correva come il vento. Per la strada i ragazzi cantavano, salutavano con nomi buffi gli alberi, i paracarri, i passanti, mettevano in musica le declinazioni latine, e qualche volta la cavallina s'impauriva alle voci e sbandava improvvisamente. Battista la teneva con polso fermo, e nel ritorno la riconduceva al passo perchè a casa non s'accorgessero che era sudata.

Così passò un anno, due anni, tre anni.

Carlo ebbe il tifo, e Battista lo vegliò. Battista prese il male, e i due ragazzi l'assistettero giorno e notte.

Nessuno ormai più gli chiedeva se voleva restare. Egli era della casa, come la vite selvatica che la serrava intorno intorno ed ogni giorno più tenacemente l'abbracciava.

I due ragazzi erano cresciuti; erano ormai quasi due adolescenti: alti e svelti, dagli occhi ardenti nel viso pallido.

Essi si pettinavano con cura, ed avevano un [p. 178 modifica] numero infinito di cravatte: declamavano le poesie d'Aleardi, e leggevano Jacopo Ortis.

E Battista, che era brutto e tozzo con un lunghissimo naso un po' storto, si faceva la scriminatura da un lato, come Carlo: e annodava la cravatta alla bohémienne, come Valerio.

Anche Elena, la sorella, che Battista aveva conosciuta bambina fra due bambole gigantesche, era divenuta una leggiadra giovinetta, vestiva di celeste, e si guardava molto allo specchio.

Fausto, il piccolo, era sempre assorto nelle sue fantasticherie, delicato e malinconico su di un panchettino, presso alle ginocchia di sua madre.

Nella villa vicina, da molte stagioni vuota e squallida, era uscita una famiglia a villeggiare, la famiglia dei conti Frattina.

E il ragazzo Frattina si era legato subito d'amicizia con Carlo e con Valerio.

Erano gli anni febbrili che preludevano la guerra coll'Austria.

Un fremito di ribellione correva la patria, pulsava ed urgeva nelle sue più profonde vene.

Qua e là, all'improvviso, moti di malcontento scoppiavano, e scoppiavano in dieci luoghi nello stesso giorno, quasi nella stessa ora, subito repressi con violente reazioni. Poi tutto [p. 179 modifica] pareva quietarsi, e, per un lungo intervallo di calma, tutto pareva dimenticato.

Ma un nulla bastava a far sprizzare nuove faville dal fuoco ormai troppo ardente e troppo profondo per non propagarsi; e la febbre riprendeva gli animi, dimentichi d'ogni prudenza, folli di poesia e di speranza.

Si tentavano le prime audacie: illuminazioni, fiori, colori, saluti; dimostrazioni che erano un misto di coraggio e di puerilità, ma che avevano tutte lo stesso significato, da un capo all'altro della patria, come una parola d'ordine, come uno squillo d'allarme.

I ragazzi vi si divertivano come ad un gioco.

Un giorno era corsa l'intesa in paese, d'illuminare interamente ad una stessa ora tutte le case, e di lasciare tutta la notte le imposte aperte di modo che inaspettatamente la borgata intera brillasse da mille e mille occhi luminosi quasi a dire: Si veglia!

I ragazzi si erano divertiti un mondo nei preparativi, ma più ancora, il giorno appresso, a contraffare le facce dei tedeschi che avevano dovuto ingoiare la provocazione senza potere in nessun modo punire i cittadini.

Si divertivano: era un gioco.

Ma un'ora suonò, una notizia venne, in mezzo a quell'inconscia spensieratezza, che li chiamò duramente alla realtà.

A poche miglia da loro, italiani e tedeschi si erano battuti. I nostri erano stati sopraffatti dal numero, le case incendiate e messe a sacco, tutti fuggivano costernati. [p. 180 modifica] Carlo Frattina aveva avuto la casa dei suoi nonni devastata: la vecchia casa deserta, ma piena di memorie care, ed era corso dai suoi amici, pallido, mordendosi le labbra, cogli occhi pieni di lagrime.

Per qualche settimana il paese fu a lutto: non più una voce, non più una risata per le strade; nelle case i pianoforti tacevano, le fanciulle avevano smesso di cantare, si parlava sommessamente come intorno a un funerale.

Poi la vita riprese la consueta apparenza.

Ma Carlo e Valerio non erano più gli stessi. Sulla loro infantile spensieratezza un velo era sceso, una raffica, che li aveva maturati a un tratto, fatti uomini.

Carlo Frattina veniva ogni giorno e passava con loro lunghe ore. I tre parlavano a bassa voce, s'interrompevano al sopragiungere di qualcuno, si guardavano intorno.

Battista aveva finito per esser geloso di Frattina.

Essi lo preferivano a lui; si capisce: era giusto! Egli era un servo!... Ma perchè nascondersi? Perchè diffidare?... Non l'amavano più; lo mettevano da parte con disprezzo, ora che avevano un amico più degno, un loro pari!

Eppure... no, no; non era così! Battista sentiva che non era così!

Ma che cosa, allora, che cosa, li separava?...

Le notizie più varie e più contradittorie correvano intanto.

Il medico del paese era stato perquisito e [p. 181 modifica] arrestato. Altre perquisizioni si prevedevano. Nascostamente si vendeva l'argenteria delle case più ricche per far denaro, si preparavano bende e filacce. Garibaldi....

Un'inquietudine, un'ansia, un'eccitazione continua e mal dissimulata, teneva gli animi.

E una mattina Battista entrò in camera dei suoi padroncini, e non li trovò più.

I letti erano intatti: sul letto di Valerio una lettera.

Era per Elena, la sorella: poche righe.

«Partiamo con Frattina; andiamo a batterci; ti raccomandiamo di tranquillizzare e confortare la mamma».

Una parola scritta a matita era in fondo alla pagina, per Battista:

— «Battista, fa buona guardia!»

E questo era tutto.

Battista aveva ascoltato la lettura di quella lettera in silenzio, a capo basso. E per tutta la giornata aveva atteso alle sue consuete occupazioni senza che nulla rivelasse il tumulto del suo cuore.

Ma la sera, quando finalmente aveva potuto sottrarsi agli sguardi, si era rintanato sotto la vite selvatica, nel più folto dei rami aspri e contorti, ed era scoppiato in violenti singhiozzi. Singhiozzi di dolore e d'offesa.

— Se n' erano andati!... Se n' erano andati!... E non gli avevano detto nulla!... Non l'avevano creduto degno di un loro segreto! Avevano; avuto paura di lui! Paura che li seguisse! E forse non sarebbero tornati mai più! Non [p. 182 modifica] li avrebbe più riveduti!... Che cosa faceva egli ormai nella casa, dacchè essi non c'erano più? Si era trattenuto per loro: era rimasto anche troppo! Se ne sarebbe andato: era tempo.

Era rientrato in casa cogli occhi gonfi e il viso sconvolto, sperando che tutti ormai fossero addormentati.

Invece, nel salotto dove ogni sera la famiglia si riuniva, ardeva ancora la grande lampada velata di rosso. La porta era spalancata.

E al di là di quella porta, tre figure immobili nel cerchio luminoso colpirono violentemente Battista «come se le vedesse in quella sera per la prima volta».

Una era la madre. Ella sedeva sotto alla lampada, presso alla tavola, e non piangeva. Abbandonava la testa fra le mani pallide e guardava nel vuoto.

Accanto a lei Elena, la fanciulla, colle bionde trecce serrate intorno al viso smorto, ricamava.

Battista sapeva che ella e Carlo Frattina si amavano.

Fausto si era addormentato coi ricci sul tappeto.

Battista sentì che non avrebbe mai avuto la forza di lasciarli, e sentì anche che non aveva il diritto di piangere.

La sera stessa si costrinse alla calma; e la mattina dipoi rientrò coraggiosamente nella stanza dei fuggiaschi, ripulì i fucili, i carnieri, allineò i libri, i disegni, riordinò il guardaroba messo a soqquadro, le cento cravatte abbandonate. [p. 183 modifica] Ogni giorno passava in quella stanza l' ora di libertà che gli restava; riordinava tutto ogni giorno come se da un momento all'altro essi dovessero tornare.

A furia di pensarci e di rifletterci aveva finito per confessare a sè stesso che i padroncini avevano fatto bene a nascondergli il progetto di fuga.

Avrebbe egli capito?...

Come, come, avrebbe potuto egli comprendere la sublime follia di quei fanciulli che dai giochi correvano alla morte, per amore di una terra più grande, e più lontana del loro paese natio? Egli, povero zotico, per cui l'idea della patria si arrestava al casolare dove era nato, e, più ancora, alla casa dei suoi padroni, al chiuso giardino che un muricciuolo irto di punte serrava?... Per lui.... c'era forse un «al di là»? Come capire? Che cosa sognare al di là?...

Servo egli era: servo; «e l'esserlo era per lui una gioia». Come intenderli?

Essi avevano avuto ragione; il suo affetto avrebbe potuto tradirli: per paura o per amore svelarli alla madre. Ed ella li avrebbe trattenuti. Li avrebbe trattenuti?... Chi sa?...

Più di una volta Battista scrutava quel volto pallido, quel dolore muto, coll'ansia di indovinare, di leggere al di là del silenzio tragico.

Ella soffriva; era ancora più pallida; passava le notti insonni; il male di cuore da cui era insidiata da tempo si era aggravato; eppure....

Non si sa, non si sa, se li avrebbe trattenuti, pur soffrendo come soffriva Era tale la sua [p. 184 modifica] somiglianza anche materiale coi figli: gli stessi capelli, lo stesso ardore contenuto degli occhi cupi sul viso olivastro, che Battista pensava che ella era così intensamente la loro madre, ed essi erano così intensamente i suoi figli, che non potevano esser dissimili neppur nel pensiero.

Ma soffriva, soffriva!... Battista tremava per lei. Non per Elena. Elena aveva sedici anni e non taceva come sua madre.

Passato il primo doloroso accasciamento la fanciulla si era confidata con Battista; gli aveva detto le sue inquietudini, le sue speranze, il suo amore; e ben presto aveva ripreso a curare i fiori, a spaventare con una fronda i cardellini della grande uccelliera, a cantare anch'ella dopo il tramonto, come l'usignolo cantava. Ella era certa che Frattina sarebbe tornato, e l'amava con orgoglio per il suo coraggio.

Ma il silenzio della madre!...

Ah, difendere, difendere quel silenzio da un nuovo dolore!... Vegliare su Fausto!...

Fausto, l' ultimo che restava, biondo come Elena, delicato, taciturno, chiuso in una timidezza un po' dolce, un po' triste, un po' selvaggia, arrossiva e impallidiva per nulla: in casa l'avevano battezzato «la femminuccia».

Ma Battista diffidava di quella timidezza.

Egli l'aveva colto più di una volta a leggere di nascosto delle carte, più di una volta l' aveva trovato in camera dei suoi fratelli, solo, pallido, e quasi febbricitante. [p. 185 modifica] E il cugino del medico già perquisito e arrestato, ed altri ragazzi delle famiglie più sospette, venivano troppo spesso a cercarlo.

Giocavano. Sì, giocavano. Ma in quegli anni ogni anima di bambino nascondeva un soldato o un cospiratore.

Più di una volta Battista era tentato di gettarsi ai suoi ginocchi, e supplicarlo:

— Fausto, per amore di lei, per amore di lei, non fuggire! Le rimani tu solo. Guardala. Se tu la guardi bene, se tu la guardi.... non partirai.

E non aveva il coraggio di parlare, per paura di, determinare colle sue parole l' irreparabile, e lo seguiva cogli occhi ansiosi, e si trovava sempre sui suoi passi, e nella notte trasaliva al più lieve rumore, pronto a balzare, pronto ad ogni eccesso, purchè ella fosse risparmiata.

Ma non vi fu bisogno di nulla.

Una notte bussarono.

Silenzio.

Battista solo era desto e non si mosse. Il cuore gli si era fatto di gelo, i denti gli battevano. Ad occhi sbarrati, seduto in mezzo al letto, aspettava. Forse si era sbagliato, forse non era vero. Non erano essi.

Bussano ancora più forte. Non c' è più dubbio. Sono essi. I tedeschi. La perquisizione.

E Battista balza; a piedi nudi si affaccia all'uscio della stanza di Fausto, lo trova già sveglio, coi biondi capelli scompigliati; coll'indice sulle labbra egli accenna a Battista di tacere, tende l'orecchio. [p. 186 modifica] Bussano ancora: replicatamente, violentemente: tutta la casa ne rimbomba.

Fausto comanda la calma con voce bassa e calma, ed ordina d'aprire.

Egli passa intanto nella stanza di sua madre.

La circonda colle sue braccia, le parla sommessamente, la supplica.

— Mamma, non è nulla. Non troveranno nulla. Sii tranquilla. È una formalità. Se ti mostri desolata, puoi perdermi.

Ed ella ringoia le lagrime, si fa di bronzo; guarda che entrano, che mettono i gendarmi alle porte, e frugano dappertutto, e prendono alcune carte, e spiano fra i ritratti e le memorie più gelose e più care....

E non dice una parola. E poi il figlio la bacia ancora, e le sussurra che se ne va con loro, che tornerà subito, che nulla può risultare contro di lui.

Per tutta la notte, per tutto il giorno appresso, ella lo attende: terrea, coi grandi occhi spalancati, comprimendosi colle mani il cuore che non si frena, e scruta la strada, la tortuosa strada tra i boschi, di dove e gli deve ritornare.

Tende l'orecchio, se una sonagliera, se lo stridere di ruote sulla ghiaia, se una voce....

— Sì....No....

Quante volte!!... E il cuore batte, martella una danza tremenda e disordinata....

— Sì....No....

Finalmente....

— Sì! Sì!... È la carrozza! È lui! [p. 187 modifica] Ella si sporge con impeto, ed il sangue le colora violentemente le tempia, tende le braccia che tremano....

Ma la carrozza è vuota; egli non c'è!

— Non c'è!... L'hanno trattenuto!... Me lo fucileranno!...

E cade pesantemente sulla terra nuda, e non si rialza mai più.

A distanza di tanti anni, ancora oggi Battista singhiozza se rammenta quell'ora, ancora oggi egli, credente, stringe il pugno, e guarda con rancore il cielo, l'impassibile cielo, che era là e non doveva permettere.

Poichè, non era vero che Fausto fosse stato trattenuto, non era vero che fosse prigioniero; nulla di grave era risultato contro di lui, ed egli seguiva a piedi di pochi metri la carrozza: attorniato da amici che l'avevano ricondotto, aveva sostato con essi ad una svolta...

E sua madre era morta di quell'errore.

Patria, patria, terra lontana al di là del chiuso giardino, libertà, grandezza.... Battista non ti vede che con occhi foschi da cui grondano lacrime....

Fra te e lui c'è quella donna morta, distesa sulla nuda terra, inutilmente, mentre i suoi figli si battevano per te. [p. 188 modifica]

Sul cadavere di sua madre Fausto giurò di non partire, di non abbandonar la sorella. E non l'abbandonò infatti, per quanto quella promessa gli costasse. Ah, avere del sangue nelle vene, e sentire che gli altri si battono, che si vince, che si muore, e fremere nell'inerzia, e non accorrere....

No, bisognava restare. Già Elena aveva patito una troppo dura scossa alla morte di sua madre; ella era al suo fianco quando era stramazzata a terra, e i suoi occhi parevano sempre pieni di quella visione.

Talvolta nella notte l'incubo la riafferrava, ed ella balzava con un urlo sul letto:

— Mamma! Mamma!

E pareva che quel dolore avesse travolto come in un naufragio tutto il coraggio, tutta la speranza e la fiducia della fanciulla, e tutto ora la impressionava, tutto la faceva tremare, alimentava un orgasmo, una febbre, che dall'ora funebre datavano.

Inutilmente Battista si affaccendava intorno ai fiori, intorno agli uccelli, coll'ingenua speranza d'interessarla ancora ad essi, di riattaccarla a ciò che un giorno le era stato caro. Mai i fiori erano stati più belli, mai l'uccelliera più ricca di ospiti variopinti, ma i cardellini cantavano soli sotto l'ontano: la loro garrula [p. 189 modifica] compagna d'un tempo aveva disimparato tutte le sue canzoni.

Ed era Battista, il grosso Battista colla sua sgraziata voce nasale, che s'incaricava di tenere alto il diapason dell' allegria: da qualche tempo una bizzarra abitudine lo aveva preso, ed egli accompagnava il suo lavoro in giardino con lunghe cantilene.

Un giorno Elena gli passò accanto finchè cantava. Ella era vestita di nero, colle trecce bionde che le fasciavano il viso tanto dolce e tanto triste: tutto in lei parlava dolore, memoria.

Gli passò accanto, e stava per dirgli:

— Come puoi tu cantare, Battista?...

Ma lo guardò, e vide che egli aveva i grossi occhi pietosi dei bimbi che fanno il chiasso per ingannare l'angoscia, per illudersi e per illudere di non aver paura. Ed allora gli posò una mano sulla spalla, e gli disse:

— Povero Battista!

Entrambi avevano gli occhi pieni di lagrime.

I mesi, gli anni passavano; ed essi non tornavano.

Si sapeva che si erano battuti a Vinzaglio, a San Martino, a Gaeta; che avevano fatto in Sicilia la campagna contro il brigantaggio. Fra una battaglia e l'altra peregrinavano di città in città col loro fardelletto: espulsi da un luogo ricomparivano in un altro, collo stesso fuoco, collo stesso ardore di fede.

Deposto il fucile, lavoravano colla penna e colla parola. [p. 190 modifica] Da Pisa a Ferrara, da Ferrara a Bologna.... collaborando nei giornali, promovendo dimostrazioni, seguendo a sbalzi le lezioni dell'Università....

Poichè in quegli anni una popolazione particolare, libera, audace, prepotente e ardente, si agitava nelle scuole, che talvolta comprometteva la tranquillità pubblica e i lavori sottili degli uomini di governo e da una città o dall'altra venivano improvvisamente pubblicati decreti con cui si imponeva che quella falange turbolenta di studenti e di emigrati si sciogliesse, si sparpagliasse per altri luoghi. Ed essi partivano, per rimettersi tosto all'opera sotto altro cielo, o per riprendere il fucile e battersi.... Il sentimento della patria era scudo in tanta giovinezza, in tanta libertà di vivere.

Ignorando la morte della madre, erano riesciti a far avere loro notizie in famiglia con una lettera per lei, che non era più....Ed erano parole di coraggio, di fede, quasi di gioia, destinate a due occhi ormai chiusi per sempre, Ah, essi non erano tristi. Tutta la tristezza è per chi resta, per chi ama ed aspetta. Vecchia storia che tutti conoscono, non si sa che cosa voglia dire averti vissuta!...

Le case più ricche si spogliavano, le povere si facevano ancora più povere. Ogni giorno in paese si segnalavano nuove partenze: presso il focolare deserto non restavano che i vecchi e le donne.

Di Garibaldi e dei suoi volontarî si narravano [p. 191 modifica] le cose più sublimi e più folli. Quasi senza artiglieria, con armi arrugginite, con soldati scalzi e affamati, egli vinceva, vinceva....

La fantasia popolare lo circondava già di poesia e di mistero. Monte Suello e Storo e Condino suonavano vittoria, e la terribile e gloriosa Bezzecca....

Dopo Bezzecca non più notizie dei tre che erano partiti.

Fausto fremeva d'inquietudine; Battista vigilava come un cane intorno ad Elena, e nondimeno seguitava a cantare, lavorando, per dimostrare la sua tranquillità.

Ma ogni sera prima d'andare a letto, si inginocchiava sul nudo pavimento, e, stringendo fra le mani la corona ereditata dai suoi vecchi, cominciava a pregar Dio per coloro che «non si sapeva dove fossero, non si sapeva se fossero vivi o morti».

Cominciava con umiltà, a mani giunte, a capo chino; poi a mano a mano che la passione lo afferrava, come il servo si ribella al padrone quando l'ingiustizia soverchia di troppo, egli si ribellava contro il Dio onnipotente davanti a cui giaceva prostrato, e lo minacciava quasi, a pugni chiusi:

— «Non farete morire anche questi!... Avrete pietà!...»

Poi, colla testa sulle pietre, subitamente umiliato, singhiozzava:

— Fateli tornare, fateli tornare, Dio mio! [p. 192 modifica]

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Tornarono: ma non tutti. Frattina era morto a Bezzecca. Carlo riconduceva Valerio gravemente ferito.

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E allora fu la volta di Elena.

Finchè il fratello fu in pericolo, finchè lo vide, sfigurato, irriconoscibile, colla barba ispida su di un volto scarno ed acceso, giacere sul letto, guardarsi intorno con occhi ardenti e folli, delirare chiamando con lunghe urla sua madre e i suoi compagni d'arme, e poi placarsi in un singhiozzo atroce, e balzare ancora e voler strapparsi le bende, ella parve dimenticare completamente sè stessa.

Per loro che tornando non avevano più trovato la madre, ella si sostituì a colei che mancava, prese il suo posto, ebbe il suo cuore: sempre intorno al letto del ferito, sempre in quella stanza, colla mano lieve sulla fronte del febbricitante, con dei passi così silenziosi, come se un'anima si movesse, e non una creatura.

Così per tre mesi, finchè Valerio si riebbe: finchè comprese dov'era, e perchè era così tornato, e immediatamente cessò dal lamentarsi, e cominciò, colle grucce, seguìto da Battista, [p. 193 modifica] a scendere in giardino, a muovere, lento e curvo come un vecchio, i primi passi verso i luoghi cari.

Allora la volontà di vivere abbandonò colei che non era più necessaria: il lume ch'ella aveva acceso, si spense.

E cominciò a morire.

Ogni giorno un poco, con abbandono e con dolcezza.

Continuava a scendere in giardino, a sedere presso all'oleandro, e chi vedeva passando la gentile testa bionda china sul ricamo, i grandi occhi di malinconia, non avrebbe mai pensato che la fanciulla aspettasse così, in silenzio ed in pace, con tanta grazia, la gran voce di Colei che divide e riunisce.

Ogni giorno un poco. Ella si allontanava.

E non aveva ancora pronunciato il nome di lui, non aveva pianto una lagrima, non aveva chiesto nulla di lui ai fratelli.

Forse perciò moriva: il suo silenzio la devastava di dentro.

E Battista, che aveva già visto la madre di lei tacere e morire, non aveva illusioni sul prossimo domani, e ogni sera le diceva addio come se non dovesse rivederla mai più.

Finalmente un giorno (ella non lasciava già più la sua stanza ed era seduta presso alla finestra aperta verso i colli):

— Come fu?... — chiese; e non pronunciò nessun nome; e tutti compresero, come se quella domanda continuasse un colloquio da gran tempo incominciato. [p. 194 modifica] Valerio le prese la mano, gli altri le si strinsero intorno con un brivido.

Valerio incominciò:

— Sai, egli era gravemente ferito. Si era battuto come un leone. Io me l'ero caricato sulle spalle e lo trascinavo su per l'erta sperando di deporlo in un sito sicuro. Eravamo pochi, accerchiati da ogni parte, il terreno coperto di morti. Le palle fischiavano. Una mi colpì al ginocchio, ed anch'io caddi.... Quando rinvenni, lo vidi al mio fianco, ma già....

Ella non ascoltava più. Era passata.

Tanti anni, tanti avvenimenti sono trascorsi.

Elena riposa accanto a sua madre nel cimitero di Sant'Anna; Valerio e Fausto si sono sposati, e dai loro matrimoni sono nati un altro Carlo, ed un'altra Elena, in memoria dell'amico e della sorella.

I due cugini si sono amati, sono sposi: sono il papà e la mamma di Cici.

Ad uno ad uno i vecchi se ne sono andati a dormire a Sant'Anna; Valerio, l'ultimo, è partito per sempre da poco tempo.

A guardia della casa e delle memorie è rimasto Battista.

Egli non porta livrea, ma l'amore ha impresso egualmente un sigillo ed un nome sulla sua [p. 195 modifica] vecchia fronte: invecchiando, egli ha preso senza volerlo qualche somiglianza di voce e di gesto coi padroni: si passa la mano sulla fronte come Valerio, parla ad alta voce da solo come avveniva a Fausto nei suoi ultimi anni. La gente dice che egli parla coi morti.

E Battista ama Carlo ed Elena non soltanto perchè sono essi, ma perchè vede in loro anche gli altri, quelli che non sono più; perchè a lui, spettatore della vita dei suoi padroni, il presente non sembra una pagina nuova, ma una continuazione, e quasi una ripetizione del passato.

Carlo ed Elena rappresentano per lui il presente ed il passato; e Cici era e rappresentava tutto; il passato, il presente, e l'avvenire; i vivi e i morti, tutte le memorie e tutte le speranze. Cici era tutto, e tutti.

Ed ora?... Il vecchio attende che gli sposi tornino senza il loro bambinetto, e a un tratto singhiozza ad alta voce nella sera, al giardino addormentato, agli spiriti che vegliano con lui:

— I bambini non dovrebbero morire!...

Carlo ed Elena, gli sposi, avevano riparato precipitosamente nella casa paterna, come in un rifugio.

Il piccolo Cici era stato loro rapito in tre giorni, e là, nel grande appartamento di Roma, [p. 196 modifica] la disperazione li aveva scossi e afferrati con tal forza da render loro impossibile di resistere in mezzo ai ricordi di lui e alle imagini di dolore e di morte.

Erano fuggiti a precipizio, sperando in una sosta, in un'oasi di calma....

Ed ecco che tornando si accorgevano di aver portato con loro tutto quello che li rendeva infelici.

Dove il loro piccolo aveva passato gli autunni della sua breve esistenza, tutto, tutto, raccontava la sua storia gentile: la testina arruffata sbucava da ogni cespuglio, la vocetta squillante scampanellava in ogni voce e in ogni suono, il sorriso di lui rideva negli occhi di tutti i bimbi che passavano....

Ah, che pena, che pena!

Essi non uscivano, perchè il veder gente e il rispondere a condoglianze era loro insopportabile; non ricevevano nessuno; e là nella casa tutto era lui, tutto portava l'impronta del suo piccolo piede.

Battista aveva ben potuto nascondere in granaio la culla e il panchettino: non c'era filo d'erba, nè sasso, che non parlasse alla mamma del suo bambino.

E così, non volendo nominarlo per non accrescere la pena l'uno dell'altra, e pensandovi di continuo, e volendo celare reciprocamente l' angoscia, e indovinando che l' una e l'altro avevano pianto, e «si erano nascosti per piangere», i due giovani sposi avevano finito per sorvegliarsi a vicenda, per scrutarsi, per assumere [p. 197 modifica] un contegno d'imbarazzo e di disagio che li rendeva doppiamente infelici.

Battista, colla chiaroveggenza profonda dell'affetto, era colpito ogni giorno più da qualche cosa che non capiva.

Egli guardava Elena: la fragile e delicata sua giovinezza che piegava, i suoi grandi occhi di malinconia, che troppo gli ricordavano quelli di un'altra Elena lontana....

Dunque un fato tragico pesava sulle donne della casa: tutte, d'una rara armonia di forma e di pensiero, erano colpite al di là della loro forza? Anche questa?...

Implorava il vecchio:

— Signore, un altro bimbo, a questa mamma, un altro bimbo!

E non sapeva, nella sua ingenua primitiva bontà, nella semplicità del suo sentimento, ciò che martoriava e turbava i due giovani sposi dopo la morte del loro piccolo, l'artiglio che li aveva afferrati, l'incubo dove la loro acuta sensibilità li aveva gettati: essi non osavano più amarsi, essi avevano pudore e vergogna di amarsi, di poter essere ancora felici, quando il loro bimbo non era più, e freddo e bianco riposava sotterra....

Una strana timidezza li coglieva, un brivido, come se il piccolo Cici li chiamasse, rimproverando:

— Voi non piangete dunque più, mi avete dimenticato!...

Elena sopratutto si ritraeva con un fremito, si staccava volontariamente da Carlo con paura, [p. 198 modifica] lo allontanava con freddezza.... quasichè Cici alzando dalla fossa la testina tutta a ricciolini fosse là a guardare se almeno la sua mamma gli era fedele, se piangeva ancora....

....L'amore.... che è gioia, voluttà, giovinezza, vita, oblio.... di fronte a quella piccola bara, così presto!... No! No!...

Battista non capiva nulla di tutto ciò. Come poteva egli, avvezzo alle forti volontà e alle sane energie delle vecchie generazioni, comprendere i nervi malati, l'abbattimento inquieto, la sensibilità acuta, complicata e dolorosa, dei figli di un altro tempo?

Ma ben capiva un'altra cosa, la vedeva scritta negli occhi di Elena, in tutta la sua figura languida e dolente:

— Anch'essa, anch'essa, come le altre!...

....Una sera, dopo settimane di chiusa malinconia, Carlo annunciò ad Elena:

— Domani vado a Roma a prendere il bambino. Ho ottenuto l'autorizzazione per il trasporto. Lo metteremo a Sant' Anna insieme con loro.

E l'indomani per tempo partì.

Egli era molto triste: gli pareva che Elena non l'amassè più.

La giovane donna accettava infatti quasi con riconoscenza la separazione. Ella era in uno di quei momenti, fortunatamente rari nella vita, quando la presenza degli esseri più cari pesa su di noi quasi come un giogo: appunto perchè ci sono cari, perchè ci amano, perchè ci guardano, perchè il loro affetto ci vigila e ci spia. [p. 199 modifica] Il dolore di Elena reclamava la solitudine. La mamma voleva piangere senza essere consolata. Anche gli occhi di Carlo, quegli occhi che ora pareva l'interrogassero, ora la supplicassero, erano di troppo fra lei e il suo bambino morto.

Poco dopo la partenza di lui, ella si chiuse nella sua stanza, e, immersa nella disperata contemplazione di una piccola imagine sorridente, le parlò, le parlò, fra i singhiozzi, per lunghe ore, senza paura finalmente che nessuno la sentisse; le ripetè all'infinito le parole di dolcezza note solo alle mamme e ai bambini, quella musica eterna che si bisbiglia tra i baci, tra i riccioli d'una indocile testina....

Ed infine il suo dolore parve placarsi, distendersi, in un'amara ma tranquilla attesa, quietarsi in una speranza:

— Cici, piccolo mio, amore della tua mamma.... ti porteranno quassù coi nonni, cogli zii: non sarai più così solo! Non sarai più così solo, anima mia!... — E a un tratto, fulmineamente, le balenò al pensiero l'imagine di Carlo, di lui che era solo, davvero solo, in quel momento, in viaggio verso una meta triste, ed era partito senza il conforto d'una parola affettuosa.

Solo, veramente solo: poichè il cuore di lei non l'aveva seguito, e soltanto ora, così tardi, si ricordava.

Quanto tempo era passato?... Era egli già a Roma?... Era già rientrato nella casa?...

....Arrivare nell'appartamento deserto.... rivedere [p. 200 modifica] il disordine delle stanze abbandonate come in fuga.... toccare le cose note alla morte.... rivivere le ore terribili.... Quanto, quanto soffrire, povero Carlo!...

Come mai ella non aveva pensato, non aveva sentito prima d'allora nulla nel suo cuore che l'avvertisse di ricordarsi di lui, di non abbandonarlo in quel momento, di essere più buona?... Come mai l'aveva lasciato partire così, con tanta indifferenza, quasi con freddezza?... Perchè?... Perchè?...

Affannosamente Elena scrisse poche righe; chiamò Battista e gli consegnò il telegramma.

Era una parola di saluto dove vibrava timido il rimorso.

Attese fino a sera la risposta che non venne. La giovane donna si coricò inquieta e affannata. Quel silenzio le diceva troppe cose....

E nella notte, a grandi occhi aperti, accusandosi come sanno accusarsi le donne che amano di fronte a un assente che tace, ella rivisse tutti i suoi ricordi più cari, tutta la storia del loro amore che partiva dalle confuse reminiscenze dell'infanzia per arrivare fino all'ultima dolorosa tappa (e non una parola l'assente vi aveva scritto che non fosse gentile, che non esprimesse protezione, sollecitudine, tenerezza) fino agli ultimi mesi, dacchè il piccolo li aveva lasciati, dacchè ella, chiusa nell'egoismo feroce del suo dolore, aveva intrapreso a torturare, ad offendere, a respingere, il cuore a lei troppo devoto. Perchè?... Perchè? Perchè non stringersi invece più forte a lui nell'angoscia?... Perchè sfuggirlo?... [p. 201 modifica] Ah, era stata cattiva ed ingrata!... Ed ora?... Se egli non l'amasse più?... Se non tornasse?...

Si era allontanato, non rispondeva alla sua voce.... Anche lui, anche lui, voleva forse «piangere senza essere consolato»!...

Elena si rivolse al suo bimbo e disperatamente lo pregò:

— Cici, Cici mio, ritornami il tuo babbo!... Digli che non sia geloso di te!... Digli che mi perdoni, piccolo mio!

Il telegramma tanto atteso arrivò.

Carlo tornava la sera stessa. Indisposto, era stato ospitato da un amico. La corrispondenza gli era giunta in ritardo. A voce i particolari del triste viaggio.

Nell'ombra della sera tranquilla il giardinetto odora. La casa tutta ammantata di foglie rossastre, colle grandi finestre e le porte spalancate sulla valle, è immersa in una placida serenità, dolce come un invito.

Battista siede come sempre al solito posto in faccia ai monti che la sera ha tinto di viola.

Ad un tratto una finestra brilla, e nel vano luminoso due giovani figure appaiono. Una testa bionda si posa sulla spalla di Carlo, e le labbra di lui sfiorano quelle della sua donna. Prima incerte, esitanti.... poi, al tacito consenso, audaci, avide, ardenti, imperiose, suggenti [p. 202 modifica] l'anima di lei perdutamente in un lungo bacio profondo.

Le due figure avvinte lentamente si sciolgono, rientrano.... la luce si spegne. Sul giardinetto addormentato non brillano più che le stelle, non veglia più che il vecchio, che ha veduto, che sa.

Ed ella si lascia baciare.... e Cici non chiama più la sua mamma.

Cici riposa ormai sereno sul poggio di Sant'Anna; è in buona compagnia: stretto fra la nonna Paolina, e la zia Elena, ascolta le storie di guerra che gli racconta lo zio Carlo, e reclina il visetto ardito sul petto dello zio Fausto. Nonno Valerio gli tiene la manina....

Cici non chiama più la sua mamma.

Un velo di lagrime annebbia i poveri occhi del servo, un impeto di gioia scuote il suo vecchio cuore fedele. Rabbrividiscono di dolcezza gli oleandri al soffio dell'eterna canzone. Dicono le ombre:

— «Vecchio, non tremar più! Ella è salva, se le resta l'amore!...»

Pochi giorni appresso, quando gli sposi annunciano che partono, che tornano a Roma, Battista non è sorpreso, non è afflitto, non domanda; ma li aiuta nei preparativi, e canticchia, e sgambetta per la casa affaccendato ed ilare come se vent'anni fossero discesi dalle sue spalle.

E quando essi se ne vanno, li accompagna alla stazione con un grosso mazzo di rose muscose [p. 203 modifica] e di vaniglia, e mentre il treno si muove, sventola il fazzoletto e fa gran gesti di saluto e d'augurio.

Torna solo. Trova la casa deserta.

Non si guarda intorno. Non sente il silenzio. Non è triste. Non è stanco.

Sale allegramente le scale del granaio. Ridiscende portando la culla, il panchettino.

Rimette tutto al posto antico: la culla presso al letto di Elena, presso allo scrittoio di Carlo il panchettino. Allinea i due sassi, il pupazzo senza testa.

Poi va a rintanarsi nella solita sua nicchia, nel più fitto della vite selvatica, colle spalle alla porta della vecchia casa, ed aspetta.

Asolo: da Sant'Anna.

N. d. A. Di guardia ritrae, per quanto riguarda gli episodi patriottici, una pagina di storia vera vissuta dalla mia famiglia. Valerio e Carlo Bianchetti, mio padre e mio zio; la Signora pallida la N. D. Paolina Radonich Bianchetti, la mia nonna. Alla loro memoria questa novella è dedicata.