Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
di cane avvezzo a leccare la mano che lo colpisce. Quando fu nel vestibolo, l'aiutò a togliersi il mantello, la guardò riflessa tutta nel grande specchio, l'avvertì sottovoce che una fibbia delle scarpette era slacciata. Ella tese sorridendo il piede, ed egli gliela allacciò.
Dal salone veniva un ronzio confuso come da un alveare.
Il vecchio marchese di Santa Silia, sorridente nella gran barba bianca, e don Giannetto Maina, accorsero ad offrire il braccio alle signore; alcuni ufficiali di cavalleria che chiacchieravano presso all'uscio fecero ala rispettosamente in un improvviso silenzio d'ammirazione.
Valeria infatti in quella sera era in tutto lo splendore della sua bellezza: bianca e bionda nella veste di merletto, senza un fiore, senza un gioiello; coi suoi strani occhi di color cangiante animati infantilmente dal sorriso.
Ella sentiva il suo trionfo, ed entrava nella sala con quella noncurante sicurezza che accresceva il suo fascino, e che aveva fatto esclamare ad un osservatore: — Eccone finalmente una che è abituata ad essere bella!
Si era appena affacciata all'uscio del salone e già uno sciame di cavalieri l'attorniava: don Roberto Guarienti, don Emanuele Farinola, il piccolo conte D'Effrè, il tenente Vallotti....
Il carnet di pelle grigia colla data in argento, dono delle patronesse, si copriva di nomi.
— Fate pure!... — rideva Valeria in mezzo