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Nel salotto pochi mobili di stile inglese, un pianoforte di Erard, un grande ritratto di sua madre, una fotografia di suo padre a cavallo, alcune acqueforti di pregio, qualche delicata maiolica faentina, molti libri, i pennelli, i colori, ed alcuni oggetti strani, disparati, che parlano un linguaggio noto a lei sola: memorie della sua infanzia e dei suoi vagabondaggi.
Ella siede allo scrittoio, presso alla grande vetrata. Risponde ad una lettera di Emma Maina. Tre giorni sono passati dal suo colloquio con Gualtiero. La nonna è indisposta ed ella ha definitivamente relegato miss Leight nelle sue stanze. Può almeno essere sola.
Ma anche la solitudine, nell'attesa, è un male!
Tutto, tutto, è un male; ed ella si sente mancare se Gualtiero non torna presto.
La nota voce annuncia:
— Contessina, il signor duca di Cantelmo!
Ella balza in piedi, va incontro al cugino, gli tende le mani con tutta l'anima nello sguardo.
— Dunque?...
— Partito.
— No?!!
— Il mio telegramma l'ha raggiunto a Cannes; ha risposto subito che si tiene a mia disposizione otto giorni colà — Grand Hôtel — per qualunque comunicazione io volessi fargli.
Ella non parla; gli occhi suoi quasi neri nel volto illividito si attaccano su Gualtiero con una tale espressione che egli si sente morire.
— Ascolta, Valeria, non irrigidirti così. Ascolta.