Il duomo di Spoleto/Delle origini, secondo i documenti
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IL DUOMO DI SPOLETO
Delle origini, secondo i documenti.
Tommaso Hope, in quella sua fantastica Storia dell’Architettura1, sull’incerto ricordo di una fugace visita, o sopra un disegno infedele, a pag. 322, scrisse intorno al Duomo di Spoleto queste mirabili parole: «Cattedrale pseudo gotica: la parte inferiore ed il portico in istile del risorgimento. Due pulpiti: superiormente un arco acuto o composto, entro cui una pittura a musaico circondata da molti rosoni; nel mezzo vedonsi i simboli degli Evangelisti. Il frontispizio è basso e mozzato.» Tommaso Hope, se vide il monumento, non lo intese2; nè molto più meglio di lui, purtroppo, lo intesero e ne scrissero quanti, fin qui, ne hanno trattato.
E la ragione di ciò va ricercata, in gran parte, nel fatto che il Duomo di Spoleto non è un edificio sorto tutto in un tempo, con un solo e schietto carattere stilistico, a cancellare completamente il quale, nei secoli di decadenza, non riescono nemmeno i più dissennati trasformatori; ma è, invece, un vero musaico architettonico, di epoche e stili diversi, cui quel gran pittore che, particolarmente nell’Umbria, è il tempo, ha data un’apparenza, solennemente lieta, di armonia mirabilissima.
Anche gli storici spoletini, del loro Duomo, parlano poco e male: non offrono quasi alcun corredo di documenti, e i due che citano, purtroppo, o non li intendono o li intendono a rovescio. Nè, del difetto devesi dar loro tutta la colpa, perchè, in verità, la penuria dei documenti intorno a questo, come agli altri edificî monumentali di Spoleto, è veramente straordinaria3.
Spigolando, infatti, con ogni diligenza, dagli scrittori spoletini si può soltanto raccogliere: che nel luogo dove, ora, sorge il Duomo di Spoleto, fu già una chiesa dedicata a S. Primiano, della quale sussisterebbe la tribuna principale, la stessa del Duomo odierno; che quella primitiva chiesa fu Cappella Ducale, fabbricata, anzi, dai Duchi di Spoleto presso il loro Palazzo, cui era congiunta per mezzo di un portico4, e dagli stessi Duchi trasformata poi in sontuosa Basilica; che, ricostrutta nell’undicesimo secolo dal Vescovo Andrea, questi, dedicatala alla Vergine, vi trasportò, nell’anno 1067, la sede episcopale dalla chiesa suburbana di S. Pietro, innalzandola così alla dignità, che ancora conserva, di Cattedrale spoletina.
Tali notizie però, lo diciamo subito, sono in gran parte erronee, e in parte addirittura fantastiche.
Incominciamo dal confessare che di S. Primiano Martire, primitivo titolare, secondo alcuni scrittori, del Duomo di Spoleto, sappiamo poco o nulla.
Bernardino di Campello5 nel suo volume a stampa Delle Historie di Spoleti, lib. sesto, pag. 176 (Spoleti, Ricci, 1672), narra che Primiano6 «nato in Ancona, e quindi venuto a Spoleti vi fu preso per la confessione della fede di Christo, e dopo haver tollerato virilmente i tormenti dell’Equuleo, la crudeltà degli uncini di ferro, e l’incendio delle accese fiaccole, finalmente perseverando nella costanza della fede, fu nella stessa Città di Spoleti dicapitato l’ultimo giorno di Agosto per gli anni 307 dell’humana salute. Et essendo il suo Corpo restato abbandonato, fu sepolto furtivamente dentro della Città quasi su ’l Muro in parte all’hora discoscesa, et impraticabile; dove poi, procedendo i tempi, e prosperata la Chiesa, si edificò la Ducal Basilica di S. Maria, che è oggi la Chiesa Pontificale il Choro della quale, fino al nostro tempo chiamato Tribuna di S. Primiano, con la memoria del suo antico Sepolcro conserva anche quello del nome del medesimo, con perpetua ricordanza di lui nei sacri Ufici, che vi si celebrano, quantunque il Corpo trasportatone alla Città di Ancona in tempo e con occasione, che non sappiamo, ivi al presente nella chiesa del suo proprio titolo si conservi.» E in una nota, pag. 194, lo stesso Autore dichiara di aver tolte quelle notizie dalla Vita di S. Primiano «che attesta haver veduta fra gli antichi monumenti dell’Archivio della chiesa Spoletina, Giacomo Filippo Leoncilli»7, e dal Ferrari, Catal. Sanct., che le trasse dagli stessi monumenti. Jacobilli, Vita de’ Santi e Beati dell’Umbria, tom. 2., pag. 197 (Foligno, Alterii, 1656), ripetendo su per giù le stesse cose, aggiunge la citazione di un’antica Vita manoscritta esistente nell’Archivio della Cattedrale di Ancona8.
Queste antiche Vite manoscritte, però, da secoli non esistono più nè in Ancona, nè a Spoleto. A Spoleto, secondo il Campello, che allega la testimonianza personale, indiscutibile, del Ferrari e del Leoncilli, la vita di S. Primiano avrebbe dovuto trovarsi nei Lezionari del Duomo9; ma noi ve l’abbiamo cercata invano. In Ancona, forse, una vera e propria antica Vita di S. Primiano non è mai esistita10.
Esaminando ponderatamente ciò che di S. Primiano ci hanno lasciato scritto gli storici spoletini e anconetani11, questo parrebbe risultare: che il S. Primiano di Spoleto nulla abbia a vedere col S. Primiano di Ancona, il quale fu Vescovo e non Martire, mentre Martire e non Vescovo sarebbe stato quello di Spoleto. Del Primiano spoletino è asserito il martirio, sulla fede, come abbiamo visto, di antiche fonti, nei primi anni del IV secolo: dell’altro, nulla si sa, tranne che fu Vescovo e Greco, secondo l’iscrizione incisa nella tavola di marmo che chiudeva il loculo in cui erano state nascoste le sue ossa; iscrizione e loculo scoperti nel 137311.
Ma, senza entrare nella discussione, del resto per noi inutile, di tanto incerta materia, questo, come proveremo, non è dubbio: che, cioè, la memoria di un Martire, di nome Primiano, abbia avuto realmente culto assai antico presso il Duomo di Spoleto.
Scrisse Bernardino di Campello, nel passo riportato di sopra, che ragione di tale culto fu l’essere stato il corpo del Martire Primiano furtivamente sepolto, in quel luogo; ma, è da osservare, innanzi tutto, che questa pretesa inumazione, nell’interno della città, nei primi anni del IV secolo, non ha il conforto di documento alcuno. Certamente, non ne era cenno nelle fonti relative a S. Primiano, fonti cui attinsero il Ferrari e il Leoncilli, altrimenti ne avrebbero fatto essi ricordo. Invece, su di un particolare di tanto rilievo, tali scrittori tacciono completamente. Rimane dunque su ciò la sola incidentale affermazione del Campello; essa però è così tarda e in tanto contrasto con il rigore della legge12 e con l’esempio costante della locale consuetudine13, da non doversi, almeno, accettare senza discussione.
E Bernardino di Campello, scrivendo quelle parole, intuì forse le naturali obbiezioni cui andavano incontro, e queste prevenne quasi, accennando ad una sepoltura furtiva e alla località discoscesa e impraticabile, in cui sarebbe la deposizione avvenuta: il che però, non può ammettersi per le parole con le quali lo stesso scrittore, giustamente, avverte essere stato il Martire sepolto «quasi su ’l Muro», cioè in un luogo assai prossimo alla primitiva cinta urbana. Ora, una cinta urbana, per il suo carattere sacro e per le necessità della difesa, tenuto conto anche dei tempi, non era di certo trascurata, nè impraticabile, in particolar modo poi nei tratti più in vista e di maggiore importanza, qual’è appunto quello14 presso cui sarebbe stato sepolto S. Primiano.
Ma, anche non ammettendo, come è d’uopo, la originaria sepoltura di S. Primiano in quel luogo, si potrebbe ritenere, almeno, che il corpo o le ossa di quel Santo abbiano, una volta, riposato sotto l’altar maggiore del Duomo di Spoleto, come si credeva ai tempi del Leoncilli e come molti non hanno dubitato di affermare.
Con ciò sarebbe facile spiegare l’equivoco di alcuni tardi scrittori, i quali, seguendo la moda del tempo, avrebbero fatto risalire ad alta antichità un particolare storico, certamente più recente e diverso. Ma nemmeno questo è provato dai documenti, anzi viene da essi escluso.
Il Campello, invero, accennò di volo e vagamente, come abbiamo visto, che il Coro del Duomo «fino al nostro tempo chiamato Tribuna di S. Primiano, con la memoria del suo antico Sepolcro conserva anche quello del nome del medesimo». Altri, invece, assai più tardi di lui affermarono con la massima sicurezza che, trasportato in Ancona il corpo del Martire, sotto l’altar maggiore del Duomo di Spoleto, se ne conservasse il cranio, e perfino, che il Vescovo Castrucci, quando, verso la metà del XVII secolo, la Cattedrale spoletina fu quasi interamente ricostruita per ordine di Urbano VIII, ve lo avrebbe rinvenuto.
Ma, anche a questo riguardo, si è corso troppo, affermando cosa non vera.
Lasciato da parte che in Ancona, con le ossa di S. Primiano si trovò anche il cranio, il che può interessare soltanto coloro i quali ammettono l’identità dei due Santi, quanto all’asserito trovamento di Spoleto, ecco veramente che cosa narra il Serafini, sacerdote contemporaneo e forse testimone oculare del trovamento stesso. Il Serafini, dunque, nelle sue addizioni al Leoncilli, ci narra che restaurandosi nell’anno 1653 la Cattedrale di Spoleto, furono trovate nella colonnetta lapidea dell’altar maggiore, sette diverse reliquie di Santi e le nomina ad una ad una; e aggiunge: «itemque unum cranium quod esse putaverunt huiusmet S. Primiani, quamvis nomine minime esset consignatum»15. Queste reliquie nota lo stesso Serafini furono quivi deposte «a Papa Honorio tertio in consecratione eius Altaris An. 1216. 30 Augusti».
D’onde il Serafini traesse quest’ultima notizia ripetuta anche dal Fontana16, ci è ignoto. Il Cadolini17, il Sansi18 ed altri affermano sulla fede dell’Anonimo Fuxense, che la Cattedrale di Spoleto venne consacrata da Innocenzo III nel 1198, quando questo Pontefice, da Rieti, per Spoleto, si recò a Perugia. Un’antica memoria, già esistente in quella Cattedrale, non servì che ad aumentare la confusione sulla data di tale consacrazione e sul nome del Pontefice19, consacrazione però che avvenne, di certo, secondo le testimonianze che ci restano, non prima degli ultimi anni del XII secolo.
Ma, fosse Innocenzo od Onorio il Papa che consacrò l’antico altare maggiore del Duomo di Spoleto, un’osservazione emerge subito spontanea per la questione nostra, ed è che, se al tempo di quei Papi si fosse saputo in qualche modo, della asserita originaria dedicazione del Duomo di Spoleto a S. Primiano, e che quel cranio era appunto del Santo titolare, si sarebbe, senza dubbio, avuta cura di dichiarare l’una cosa e l’altra, come erano pur state dichiarate le reliquie degli altri Santi e della Croce, tanto meno importanti rispetto alla dedicazione dell’altare e della tribuna. L’intero cranio di un Santo, e di un Santo cui sarebbe stata già dedicata quella chiesa, non era reliquia trascurabile, e per niuna cosa al mondo doveva rimanere anonima, se un nome sicuro, o almeno probabile, avesse potuto avere.
È d’uopo concludere, dunque, che, della asserta originaria sepoltura di S. Primiano in quel luogo, o anche di reliquie insigni di tale Santo conservate sotto l’altar maggiore del Duomo di Spoleto, non esistesse, fin dai primi anni del XIII o negli ultimi del XII secolo, nemmeno una vaga tradizione. Come nessuna tradizione esisteva di una Cappella e Basilica Ducale, nè della Cattedrale a S. Pietro, nè della ricostruzione e dedicazione alla Vergine, per opera del Vescovo Andrea, del Duomo spoletino. Tutte queste notizie, più o meno particolareggiate e amplificate, noi vediamo apparire sulla fine del XVI secolo e prender vigore solamente nel successivo. In qual modo ciò avvenne? È facile immaginarlo.
Nell’Archivio capitolare del Duomo di Spoleto, tra molti insigni documenti, si conserva un Decreto del Vescovo spoletino, Andrea, vissuto secondo il Leoncilli ed altri dal 1063 al 1075. Tale Decreto reca la data dell’anno 106720: consta di un foglio membranaceo largo m. 0,50, lungo m. 0,72, scritto in una sola pagina con caratteri dell’epoca, ed è indubbiamente autentico. Esso venne già, per intiero, trascritto dal Bracceschi (MS. cit, c. 203-205), pubblicato dall’Ughelli che ne ebbe copia dal Serafini, e, nel 1848, fu ristampato dal Cav. Pietro Fontana in appendice alla sua Descrizione della Metropolitana di Spoleto21. Trattasi, quindi, di documento notissimo e che noi non ci prenderemmo la pena di riprodurre integralmente in appendice al presente scritto, se non fosse per la rarità delle precedenti pubblicazioni, per le gravi inesattezze occorsevi, e perchè da esso, parrà incredibile, son nati tutti gli errori che per tre secoli circa, hanno offuscato il punto di storia spoletina che abbiamo impreso a restituire.
Il Vescovo Andrea, con questo suo Decreto, istituisce puramente e semplicemente, nella seconda metà dell’undecimo secolo, la Canonica del Duomo di Spoleto e le assegna dei beni.
Tali costituzioni e dotazioni, come ognuno sa, erano comuni in quel tempo, e miravano unicamente alla riforma del Clero, obbligandone la parte più cospicua a vivere vita comune e disciplinata presso le chiese matrici, al cui servizio erasi dedicata.
Letto attentamente quel Decreto, null’altro vi si può scoprire: eppure è questo il documento che sconvolse l’intelletto di tutti coloro i quali hanno trattato del Duomo di Spoleto, fino a condurli ad asserire il rovescio di quello che il documento stesso, in modo chiarissimo dice. Poichè è appunto questo Decreto, citato fin qui a sostegno della opinione contraria, che ci prova come, anche prima del Vescovo Andrea, la Cattedrale fosse non giá a S. Pietro, ma nel Duomo odierno; come S. Primiano non avesse culto nella tribuna principale di questa chiesa, ma in tutt’altra parte; come, infine, al Vescovo Andrea non si debba nè la ricostruzione, nè la dedicazione alla Vergine di una chiesa di S. Primiano22.
E il caso, per quanto strano, non deve produrre eccessiva meraviglia.
Sulla fine del XVI secolo, uno studioso (forse il Bracceschi, per altri rispetti tanto benemerito) lesse male, affrettatamente, quel documento: gli scrittori posteriori, fidandosi di lui, ripeterono alla cieca come accadeva, l’opinione di quel primo, e cercando poi di accordarla con altre notizie, più o meno esatte, che già si avevano sullo stesso argomento, accumularono errori sopra errori.
Il primo accenno, infatti, che abbiamo potuto rinvenire, della Cattedrale a S. Pietro, è del Bracceschi e leggesi in quel raro e prezioso libretto intitolato: Discorsi ecc. ne’ quali si dimostra che due Santi Hercolani Martiri siano stati Vescovi di Perugia, et si descrivono le Vite loro, et di alcuni Santi di Spoleti, et appresso le antichità et laudi di detta città, Camerino, Gioiosi, 1586. Il buon Bracceschi, a pag. 20 di quel suo libretto scrisse: «la Chiesa grande et antica e celebrata di S. Pietro a piè del Colle dove è edificato Spoleti (la quale era già la Cattedrale di quella città)» ecc.
Dal Bracceschi, come è noto, derivò direttamente il Leoncilli. Ai loro volumi largamente attinsero il Serafini, il Campello e l’Ughelli; da tutti poi discesero il Cadolini, il Fontana e il Sansi. Strano assai, però, è che il Serafini, l’Ughelli e il Fontana, i quali non solo lessero, ma trascrissero, e due di essi stamparono anche il Decreto in questione, non si accorgessero che trattavasi semplicemente della istituzione e dotazione della Canonica e di null’altro. Il Vescovo Andrea, infatti, scrisse nel suo Decreto, dopo una breve introduzione:... ego Andreas sancte spoletine sedis provisor indignus admodum rogatus ab universo clero et populo eiusdem sedis ut per institutionem normae canonicorum eam sublimassem, quorum justae petitioni dare consensum negare nolens sed totius bone voluntatis affectum prebens dignum duxi omnibus fidelibus Christi notificare qualiter et quibus inpensis beneficiis prefatam ecclesiam statutis sanctorum patrum commendavi. Parole semplici, rozze, ma chiare, nelle quali è espressa tutta intiera la sostanza dell’atto.
E sarebbe bastato, del resto, por mente soltanto allo scopo del Decreto, dichiarato in maniera così esplicita in quelle parole, tenuto conto del tempo, per non dubitare punto che la istituzione così solenne di una Canonica, non potesse aver luogo in chiesa diversa dalla episcopale. E che la chiesa, in cui Andrea stabiliva la Canonica, fosse già episcopale e dedicata, non a S. Primiano, come sognarono alcuni, ma alla Vergine, ne abbiamo nel Decreto stesso la prova incontrastabile.
Dice, infatti, Andrea, poco dopo le parole citate di sopra, che egli istituisce la Canonica ob honorem sancte et intemerate virginis Marie atque omnium Sanctorum et ob remedium omnium parentum nostrorum nec non omnium fidelium christianorum et eorum omnium quorum corpora infra cimiterium praefatae ecclesiae sanctae Marie requiescunt, vel deinceps in eodem humata fuerint ecc.23. Egli, dunque, con la sua istituzione, non solo intende di onorare la santa e intemerata Vergine Maria e tutti i Santi, ma intende altresì di far del bene anche alle anime di tutti coloro che sono e che saranno sepolti nel cimitero della prefata chiesa di Santa Maria. Santa Maria è, dunque, veramente, e non altro, il titolo che già aveva la chiesa presso cui Andrea istituiva la Canonica; il qual titolo era ed è ancora quello del Duomo di Spoleto. E qui non deve trascurarsi di notare il significato di alta antichità che assume un titolo ecclesiastico, quando è dato non solo ad una chiesa, ma anche al suo cimitero. Che se il Vescovo avesse, proprio allora, come asseriscono alcuni, cambiato titolo alla chiesa, e nulla può farlo supporre, anche soltanto l’avesse ricostruita, certo e giustamente ne avrebbe in questo luogo del Decreto menato vanto o almeno lasciato ricordo. E, in ogni caso, il cimitero non col nuovo titolo della chiesa, ma con quello antico e suo proprio sarebbe stato chiamato.
E di ciò vi sono esempî nella stessa Spoleto. Intorno alle chiese di S. Gregorio, di San Ponziano e di San Sabino, vi furono antichissimi cimiteri cristiani, e sebbene delle chiese, in quei luoghi e a quei Santi dedicate, si abbiano memorie anteriori al mille, pure i cimiteri loro vennero sempre denominati di S. Abbondanza, di S. Sincleta, di S. Serena.
Non a S. Primiano, dunque, dopo il mille, fu mai intitolato l’odierno Duomo di Spoleto, poichè lo stesso Vescovo Andrea ci prova che era già da tempo dedicato alla Vergine. Nè questo titolo, come vedremo, ad esso fu dato mai dal mille in su.
Abbiamo però, detto di sopra, che S. Primiano ebbe culto presso il Duomo di Spoleto; e dove e come, lo stesso Decreto ce lo insegna.
La prima terra che Andrea concede agli istituendi Canonici, è quella appunto su cui sorge, anche oggi, l’edificio della Canonica del Duomo. La descrizione è così esatta, i lati di essa terra sono così determinati, da non permettere equivoco. Il Decreto dice: «terra que iuxta ecclesia adiacet cum domibus et sine domibus. Latera vero eiusdem terrae ec sunt: primum latus Ecclesia, secundum latus descendens ab ostio ecclesie per gradus in viam, que infra se continet terra et domum, et hortum presbyteri Petri eiusdem ecclesiae famuli, et domum Joannis similiter usque in Trivuna S. Primiani. A bene intendere questo passo basta un’occhiata allo schizzo topografico qui annesso, sapendo che trattasi del terreno a occidente della chiesa. Il fianco della chiesa (latus ecclesiae) e il lato che discende dalla porta di quella, per una rampa a gradini, verso la odierna Via del Seminario (latus descendens ab ostio ecclesiae per gradus in viam), formano un angolo così perfettamente determinato che, anche oggi, può riconoscersi, e nella cui apertura sorge ancora la vecchia Canonica. Dal punto di incontro con la odierna Via del Seminario partiva un terzo lato, determinato dalla via, cui accenna il Decreto, la quale delimitava case ed orti appartenenti a preti addetti alla chiesa, fino alla tribuna di S. Primiano (usque in Tribunam S. Primiani).
Ed eccoci, finalmente, a S. Primiano e alla sua ormai famosa tribuna.
Il Decreto del Vescovo Andrea è il più antico documento, da noi conosciuto, così del Santo, come del culto che esso ebbe presso il Duomo di Spoleto, dove in suo onore, non può cadervi dubbio, sorse una speciale tribuna, confusa da molti, come abbiamo visto, con la tribuna principale della chiesa. Ma che la tribuna principale della chiesa non potesse essere così denominata, è chiaro, perchè lo stesso Andrea ci ha detto esplicitamente, senza nessuna restrizione, che la chiesa stessa era dedicata alla Vergine, nè memoria alcuna ci è rimasta di un culto o di reliquie di tale Santo, come abbiamo facilmente provato, nell’altare di quella tribuna. Ora, come è possibile che il Vescovo Andrea, così minuzioso ed esatto nella determinazione dei confini, volendo indicare la tribuna principale della chiesa, la chiamasse di S. Primiano, anzichè di S. Maria, quando a Santa Maria era la chiesa stessa intitolata, e da S. Maria prendeva nome l’annesso cimitero? Dunque, è necessario concludere che la tribuna di S. Primiano fosse qualcosa di diverso da quella maggiore del Duomo.
E non solo della tribuna principale, ma di nessuna tribuna che sorgesse nel fondo della chiesa poteva trattarsi, perchè, non dalla parte posteriore, ma dal fianco della chiesa era partito il Vescovo nel determinare il primo lato del terreno che cedeva. Ora è chiaro che, per descrivere esattamente una figura geometrica, al punto ICNOGRAFIA DEL DUOMO DI SPOLETO
E DELLE SUE ADIACENZE
stesso da cui era partito, a quel primo lato cioè o a qualche cosa che da esso sporgesse, il Vescovo, descrivendo, doveva tornare. La logica e la geometria naturale24 così imponevano, nè il Vescovo pensó di sottrarvisi.
Nè lo avrebbe potuto, perchè, come esporremo più avanti, egli stesso ci dice a chi apparteneva e da che era occupato il breve tratto di terreno che si stendeva e si stende dietro l’abside maggiore della chiesa di S. Maria, fino alla primitiva cinta urbana.
L’evidenza e la forza di tali osservazioni ci obbligarono, non appena prendemmo in esame il Decreto di Andrea, a pensare ad una tribuna sporgente dal lato di ponente del Duomo di Spoleto, e a cercare se ne esistessero almeno le traccie, poichè nulla era noto, od appariva, di un così antico monumento. E fummo fortunati, perchè ben presto trovammo ciò che cercavamo; ma, forse non saremmo giunti tanto facilmente a conseguire il desiderato intento, se non ci favoriva lo strano equivoco del buon Vice Parroco, ora defunto, Don Gaetano Valesini.
Questi, vedutici così assidui in una ricerca che non riusciva a comprendere, volle ingenuamente assicurarci che una tribuna, sporgente lungo il fianco della chiesa, non era mai esistita; e soggiungeva che, invece, era quivi sorto un fortilizio, di cui rimaneva tuttavia la base, nella quale si vedevano ancora le feritoie per i cannoni!!! Recatici subito, colla guida del buon Valesini, nei sotterranei della sua abitazione, oltrepassato un primo vano, nel cui fondo vedevasi una parete curva sporgente verso l’ingresso, per una porticina già aperta in breccia in quella parete, ci trovammo, d’improvviso, in una cripta a ferro di cavallo, con corridoio semicircolare e sfondo centrale, decorata di resti di pitture, alla quale davano luce, ancora in parte, due feritoie a strombo e un foro circolare: i buchi per i cannoni del povero Valesini.
Fu di tal maniera che potemmo accertarci della verità ed esattezza della nostra interpetrazione, e scoprire altresì un altro raro e prezioso monumento sacro, unico, se non erriamo, in tutta questa regione.
E che la cripta da noi scoperta fosse, in origine, dedicata sicuramente a un Martire e, quindi, a S. Primiano, come dice il Decreto, non vi ha dubbio, essendo provvidenzialmente scampate alla distruzione alcune parole, dipinte in una delle pareti, parole alludenti, con tutta sicurezza, ad una scena di martirio, quivi rappresentata25.
Messa, subito, questa cripta in rapporto con la fabbrica superiore, rilevammo facilmente che essa sottostà alla Cappella delle Reliquie o Coro d’inverno, la quale Cappella segna appunto, verso settentrione, l’estremo limite della attuale Canonica, la quale, è chiaro, sorge ancora esattamente entro i confini che le assegnava più di otto secoli fa il Vescovo Andrea26.
È notorio che, fino da tempi molto antichi, lungo i fianchi delle chiese, si usò di costruire tribune e cripte dedicate al culto particolare di Martiri o di Santi. L’ipotesi più ovvia, quindi, è che la tribuna di S. Primiano, ricordata dal Vescovo Andrea, e sporgente appunto dal fianco sinistro della Cattedrale spoletina, sia una di tali tribune. Ma ad accogliere questa ipotesi, a me sembra che si oppongano e la eccessiva sua sporgenza, che dal muro del più antico Duomo da noi conosciuto misura oltre m. 14 per 6 circa di larghezza, e un tardo ma importante documento.
Una sporgenza tanto rilevante, che io sappia, non venne mai data a delle semplici tribune, le quali rassomigliarono piuttosto a grandi nicchie, addossate alla parete di una chiesa, anzichè a vere e proprie cappelle, secondo il concetto moderno, formanti un organismo particolare, annesso alla chiesa come appendice, e con essa comunicanti a mezzo di un arco di una porta. Ma queste ragioni di fatto non avrebbero tutto il valore che noi crediamo di dover dare ad esse, se un documento, ben tardo, è vero, ma importantissimo, non ci dimostrasse nel modo più sicuro che la già lunga tribuna di S. Primiano si protendeva entro la Cattedrale del XII secolo.
Nel Libro Capitolare Terzo che è uno dei registri delle deliberazioni del Capitolo del Duomo, a c. 152 r. sotto la data 4 Novembre 1630, si legge: «Mons. Priore espose, che il giorno avanti nel Capitolo spirituale fatto avanti Mons. Illlmo. Vescovo nella Sacristia era stato letto un memoriale dato per parte della Congregatione del Consortio, dove si dimandava al Capitolo una stanza sotterranea che sta vicino alla sacrestia della Sma Cona sotto la Cappella del Glandio, per farne due seppolture, una per li sacerdoti della d.a Congregatione, et l’altra per li secolari benefattori; soggiungendo di più che anco li Signori Operali l’han detto che desiderano di havere in detta stanza un spatio per poterci far trasportare le ossa de morti che stanno al presente nel cemeterio sotto l’antrone della Cappella del Smo. Sacramento, poichè sotto quel luogo si deve fabricare per servitio di delli fondamenti di detta Cappella» ecc. Il che fu concesso a voti unanimi.
Ora, bisogna sapere che la stanza sotterranea chiesta dalla Congregazione del Consorzio (un’antica Società di mutuo soccorso istituita tra i Sacerdoti spoletini, ancora esistente) e dai Signori Operali (i Fabbriceri della chiesa) per farvi delle sepolture, stava nella navata sinistra del Duomo di Spoleto, proprio dinanzi all’odierno ingresso della Cappella delle Reliquie (trasformazione abbastanza antica della tribuna di S. Primiano) ed era una continuazione di questa e della cripta sottostante. Quivi, si vede ancora la tomba del Consorzio segnata con le lettere T. C. e con il numero 9. Quanto fosse lunga questa stanza sotterranea non sappiamo. Probabilmente attraversava in larghezza (circa sei metri) tutta la navata. Ma, comunque, una stanza sotterranea, di che si voleva fare due sepolture e un ossario, era di certo molto grande. Ora, mi sembra chiaro che, ponendo nel debito rapporto la tribuna di S. Primiano, la cripta e la stanza sotterranea, noi abbiamo gli elementi di una piccola antichissima chiesa, il cui asse di simmetria si incontrava perpendicolarmente con l’asse di simmetria del Duomo, e che venne in gran parte distrutta per gli ampliamenti di questo.
E che, del resto, un’antica costruzione, anche senza tener conto della cripta, sia sorta in quel luogo, chiunque sappia indovinare la decrepitezza di una fabbrica, anche se velata dalla barbarie dell’intonaco, può accertarsene, esaminando, da capo a fondo, la parete che chiude a tramontana il chiostro della Canonica, e osservando come essa protendasi ad angolo retto dal fianco della chiesa e retta si mantenga per un certo tratto, dopo il quale si piega dolcemente in curva, fino alla parete opposta, nel senso appunto della cripta sottostante. Il resto della tribuna è forse scomparso, ma in questo tratto noi vediamo un cospicuo avanzo della antica tribuna di S. Primiano, fino alla quale si estendeva il terreno concesso dal Vescovo Andrea, e fino alla quale si estende, anche oggi, la Canonica del Duomo.
E qui cade in acconcio di considerare, se questa tribuna di S. Primiano possa essere stata mai parte, come venne asserito, di una Cappella o Basilica Ducale, eretta dai Duchi di Spoleto27. Non ci perderemo in molte parole. L’accennata, assoluta affermazione di alcuni tardi scrittori, non è confortata da verun documento antico, e le dimensioni dell’edificio, come abbiamo visto, nonchè la sua ubicazione sulla china scoscesa di un poggio, con la tribuna a valle e l’ingresso a monte, non presentano nemmeno la possibilità di un’opera di qualche importanza. Anche la pretesa Basilica di S. Primiano o Cappella Ducale, dunque, sono da relegarsi tra i vani sogni di tempi, nei quali si credeva di accrescer lustro ai monumenti, alle famiglie, alle città, con altisonanti, ma gratuite amplificazioni congetturali, spacciate come verità documentate e sacrosante.
Però, se la rigidità della critica storica ci obbliga a liberare il Duomo di Spoleto dalle decorazioni posticce, immaginate nel tardo e barocco seicento, non è men vero che la stessa critica storica ci consente di rendere a quella chiesa un onore ed un pregio cui pareva non potesse mai pretendere. Accenniamo alla dignità di Cattedrale, che la chiesa di Santa Maria aveva già prima che il Vescovo Andrea emanasse il suo Decreto. E in questo Decreto abbiamo anche di ciò la prova chiarissima, benchè, fino ad ora, pur essa inavvertita.
Continuando Andrea a descrivere le terre, attorno alla chiesa, assegnate ai Canonici, esso dice: «Insuper concedimus ecc. ipsam terram et vineam in pjaja28 montis S. Eliae29 supra Spoletinum episcopatum, quae est posita a lateribus eius; a primo lato secus murum ipsius ecclesiae Sanctae Mariae; ab alio muro Civitatis, a capite ecclesia S. Eliae30 ab alio capite revertente de ipso monte, sicut descendit in casalini, qui Adelpertus modo tenet, et Iohannes presbyter et venit in ipso muro de ecclesia episcopii qui est primo lato cum ecclesia S. Angeli.» È bene avvertire che trattasi del terreno a levante della chiesa, i confini del quale sono ancora, in gran parte, quelli del Decreto e, non solo i confini, ma la proprietà stessa è tuttavia, dopo tanti secoli, per un piccolo tratto, della Canonica del Duomo31. Anche qui, il fianco della chiesa e il muro della primitiva cinta urbana, determinano un angolo così certo che non è ancora variato, nella cui apertura si stende, in pjaia (in piaggia, sulla costa), il terreno assegnato da quella parte ai Canonici.
Ma, ciò che in questo passo apparisce, a colpo d’occhio, di massima importanza, è l’esplicito ricordo dello Episcopio spoletino (supra Spoletinum Episcopatum), accennato, come già esistente, sotto il terreno concesso e, quindi, tra il muro urbano e la parte posteriore del Duomo. E se la residenza episcopale, l’Episcopio, già prima di Andrea, era dietro il Duomo odierno, come mai potrebbe pensarsi che la Cattedrale fosse a S. Pietro? Nessuno di certo, che abbia lume di ragione vorrà supporlo e tantomeno crederlo32: e se qualcuno pur fosse così cieco, dovrebbe rendersi all’evidenza risultante da quello stesso passo di quello stesso Decreto, là dove il Vescovo Andrea chiama la chiesa di Santa Maria, cioè il Duomo odierno, ecclesia episcopii.
Nel breve tratto di terreno che si stende dal muro di fondo della chiesa fino al muro della città, per confessione dello stesso Andrea, sappiamo, dunque, che sorgeva la residenza episcopale. Avevamo, quindi, ben ragione di accennare, come abbiamo fatto più addietro, che questo spazio il Vescovo non poteva cederlo ai Canonici. E la ragione potentissima sta in ciò, che avrebbe dovuto rinunziare, cedendo quel terreno, alla sua stessa residenza episcopale, o per lo meno avrebbela incarcerata in guisa tra il muro della cinta urbana, la parte posteriore della chiesa e i terreni assegnati ai Canonici, da non aver più libero il transito alla sua ordinaria abitazione, se non per la proprietà di questi. Nè è inutile aggiungere che mentre, dal lato di levante, il limite nord del terreno ceduto è il muro della città, dal lato di ponente non è affatto nominato il muro suddetto, ed al suo posto apparisce, invece, la tribuna di S. Primiano: e ciò, mentre la primitiva cinta urbana correva, anche allora, parallela alla parte posteriore della chiesa. È chiaro, dunque, anche per questo che, dal lato di ponente la concessione era più ristretta, appunto perchè il Vescovo doveva lasciare libero, almeno, il passaggio alla sua ordinaria residenza, all’Episcopio. Ed è parimente chiaro, anche per questo, quindi, che la tribuna di S. Primiano doveva necessariamente sporgere dal fianco della chiesa e giammai dal fondo di quella. Errarono, dunque, e gravemente tutti coloro i quali credettero ed asserirono che la tribuna di S. Primiano sia una cosa sola colla tribuna dell’odierno Duomo di Spoleto33.
La nostra restituzione storico-topografica, procede così semplice e piana ed ha fondamenta così solide, da non aver bisogno, per certo, di controprove. Per alcuni punti, però, abbiamo anche queste, in documenti anteriori e posteriori al Decreto del Vescovo Andrea, e non vogliamo trascurarle.
Nella vecchia Cancelleria del Palazzo Arcivescovile di Spoleto, da secoli, è esposta una copia di un Diploma dell’Imperatore Enrico II, il quale concesse a un Conte Acodo, mercè il Diploma stesso, il Monastero di S. Eufemia in Spoleto e il Monastero di S. Angelo presso Fermo34. Tale copia, avuta per autentica dai dotti compilatori dei Monumenta Germaniae historica e di cui per la straordinaria ostentazione fattane, non può mettersi in dubbio, in alcun modo, il fondamento in un reale Diploma dell’Imperatore Enrico, segna la data della soppressione del Monastero di S. Eufemia, nell’anno 1016, data del Diploma stesso. Ora, nel primo volume dei Lezionarî del Duomo di Spoleto, il qual volume venne scritto nell’anno duo centum et milia, è inserita a carte 109 v. e seg., una narrazione della vita di S. Giovanni Arcivescovo di Spoleto, e della traslazione delle ossa di lui, dal primitivo sepolcro, alla chiesa di S. Eufemia; traslazione eseguita, come è detto in quell’antica scrittura, regnante secundo piissimo ottone, cioè sul cadere del X secolo e, più esattamente, nel decennio 973-98335.
Quando sia stata compilata questa Vita, in essa non è detto; ma avendo il suo autore dichiarato che la scrisse per commissione delle Monache di S. Eufemia e della loro Badessa Berta, ragione vuole che venisse composta poco dopo detta traslazione, sia per diffonderne la notizia, sia per magnificare le virtù del Santo; in ogni caso, certamente dovette essere scritta non più tardi del 1016, anno in cui il Monastero di S. Eufemia cessò di esistere. Ora, in questa vita, composta almeno mezzo secolo prima del Decreto del Vescovo Andrea, è detto che la Badessa Gunderada trasportò il corpo di S. Giovanni Arcivescovo nella chiesa del Monastero di S. Eufemia, il qual Monastero, aggiunse per maggior chiarezza il buon biografo, sorge presso l’Episcopio di S. Maria, «quod iuxta episcopatum Genitricis Domini nostri situm est». Dunque, anche allora, almeno mezzo secolo prima di Andrea, il Vescovato era presso il Duomo che aveva il titolo di S. Maria e non di S. Primiano, e la ecclesia episcopii ossia la Cattedrale era, anche allora, Santa Maria e non S. Pietro.
Non sfuggì al dotto Bollandista, che pubblicò questa Vita nel Tom. VI degli Acta Sanctorum, lo stridente contrasto che esisteva tra quanto avevano scritto Iacobilli e B. Campello: essere cioè in quel tempo Cattedrale S. Pietro36, e l’enunciazione chiarissima dell’episcopatum Genetricis Domini; come non gli sfuggì il fatto, cui accenna l’autore di quella Vita, quando narra che mentre imperversava il furore dei Goti e i cittadini chiedevano di fuggire, l’Arcivescovo Giovanni era, invece, e rimaneva in città. E, non sapendo come conciliare ciò che asseriva lo scrittore di questa Vita, con ciò che narravano gli storici allora in voga, nel primo caso il dotto Bollandista suppose un errore di dicitura, e nel secondo immaginò che l’Arcivescovo S. Giovanni, all’appressarsi dei Goti, abbandonata la sua Cattedrale suburbana, S. Pietro, si fosse rifugiato dentro la città. Tanto può un errore, comunemente accettato, anche negli intelletti più illuminati!
E che l’antico, il primitivo Episcopio spoletino fosse realmente dietro il Duomo attuale, ce lo dichiara anche un altro irrefutabile documento, pur esso conservato nell’Archivio capitolare di quella chiesa. Il Vescovo Galardo, il quale se non fu dei primi ad occupare il Monastero di S. Eufemia per farne la residenza vescovile37, certo, ebbe delle molestie per quel possesso, tanto che volle ricorrere alla straordinaria ostentazione del Diploma imperiale, ricordata di sopra; Galardo, sostenendo il suo diritto di abitare in quel Monastero trasformato in Episcopio, bruciò, come suol dirsi, le proprie navi, regalando ai Canonici del Duomo, il breve tratto di terreno che era dietro il Duomo, fino al muro della città, nel qual tratto appartenente tuttora al Vescovato, e dove un tempo, sono parole del Leoncilli, era stata la residenza episcopale: «quod ad Episcopatum spectabat, ibique Episcopalis sedes quondam fuerat38». È questo il terreno ove sorgeva l’antico Episcopio spoletino, che perciò appunto, il Vescovo Andrea non aveva potuto regalare ai Canonici da lui istituiti presso il Duomo, terreno che, dopo tre secoli, finalmente, capitava anch’esso e per tal maniera nelle mani di quelli39.
Nè, per l’assunto propostoci, è trascurabile, in fine, un altro documento, conservato anch’esso nell’Archivio capitolare del Duomo. Accenniamo alla Bolla con cui Alessandro II, nel 1069, confermava il Decreto del Vescovo Andrea, due anni dopo da che quello era emanato. Tale Bolla (riproduciamo anche questa per intiero in appendice) è così intestata:
ALEXANDER EPISCOPVS SERVVS SERVORVM DEI. — Petro venerabili praeposito canonicae sanctae Mariae in matrice ecclesia spoletani episcopatus suisque successoribus in perpetuum.
Basta por mente, secondo noi, a queste parole della suprema Autorità ecclesiastica per convincersi che il titolo di chiesa madre (matrice ecclesia), dato tanto solennemente al Duomo di Spoleto, non poteva spettare se non ad una vecchia Cattedrale, qual era, appunto la chiesa di S. Maria.
Giunti a questo punto, si potrebbe però, forse, domandare, se a favore di S. Pietro sia mai esistita almeno una vecchia tradizione, risultante da qualche antica carta da qualsiasi altro monumento.
Della chiesa suburbana di S. Pietro, mercè il creatore dell’Archeologia cristiana, il non mai abbastanza compianto De Rossi, noi possediamo quasi le tavole di fondazione. Accenniamo ai tre celebri epigrammi del Vescovo spoletino Achilleo, dal De Rossi scoperti nel Codice Palatino Vaticano 833, f. 75, da lui stampati nel Bullettino del 1871, pag. 117 e segg., e recentemente riprodotti dall’illustre Grisar nella Civiltà Cattolica40.
Achilleo, secondo il Leoncilli, fu Vescovo di Spoleto dal 402 al 420. Certamente egli lo era nel 419, essendoci rimasta una lettera dell’Imperatore Onorio, colla quale questi gli ordinava, in quell’anno, di recarsi a Roma a celebrarvi le funzioni della Pasqua, essendo la Sede di Roma invasa dall’usurpatore Eulalio. Al primo ventennio, quindi, del secolo quinto, noi dobbiamo ascrivere la fondazione della chiesa suburbana di S. Pietro, per opera di Achilleo, come chiaramente attestano i tre epigrammi. Ora, di certo, non fu questa la prima chiesa spoletina, come Achilleo non ne fu il primo Vescovo. Bisognerebbe, quindi, altrove cercare, nei tempi anteriori ad Achilleo, la chiesa e la residenza episcopale spoletina. Nè è a dire che quella di Achilleo fosse ricostruzione di più vecchio edificio, sorto sul sepolcro di qualche Martire; poichè la chiesa fu dedicata a S. Pietro, e il pio Vescovo, quasi, chiede scusa che in essa non fosse il corpo del Santo:
Nemo pidet vacuam venerandi nominis aulam |
Ora, in tutti e trenta quei versi, non v’è il menomo accenno che il luogo fosse già sacro, nè in modo alcuno può indursi che Achilleo fabbricasse quella chiesa per farne la sua Cattedrale. E questo non avrebbe mai taciuto nei versi che compose e fece incidere ad ornamento e per memoria dell’opera sua. Senza dire, che la costruzione di una nuova Cattedrale, con relativo Episcopio, in aperta campagna, sulla via che conduce a Roma, al cominciare dal quinto secolo, e prima e poi, sarebbe tale un assurdo da non mettere nemmeno il conto di rilevarlo. Tanto più che Achilleo avrebbe trasportata quivi la sua sede, togliendola, dall’interno della ben munita Spoleto!
Noi, inoltre, abbiamo diligentemente esaminate tutte le più antiche scritture dell’Archivio della chiesa suburbana di S. Pietro, e vi abbiamo trovati tre contratti degli anni 1128, 1156, 1165: in tutti e tre, si fa parola del Priore e della Canonica sancti Petri, ma in nessuno v’è allusione alcuna ad una maggiore dignità, avuta un tempo da quella Chiesa. E l’allusione sarebbe stata naturale per la brevità del tempo trascorso dal preteso trasferimento della Cattedrale, e perchè, se nessuno mai sa rassegnarsi completamente ad una diminuzione di autorità e di grado, ciò è tanto maggiormente vero per il Clero e per la disciplina stessa eminentemente conservatrice della Chiesa: onde avvenne che si perpetuarono e giunsero fino a noi l’eco di fatti e il nome di persone che mai diversamente ci sarebbero stati noti.
In quell’Archivio, un tempo già bene ordinato e rubricato, derubato e venuto meno, poscia, in più modi41, avemmo la fortuna di trovare anche un vecchio esemplare delle antiche costituzioni della chiesa, esemplare che data dal 1370. Ebbene, nemmeno in questo documento capitale v’è una sola parola che possa, in qualche maniera avvalorare la tarda ed erronea tradizione della dignità di Cattedrale, avuta, in qualsiasi tempo, da quella chiesa.
Ma, due documenti, in parte già noti e pubblicati, di cui in quell’Archivio abbiamo rinvenuti gli originali, richiamarono subito e vivamente la nostra attenzione. Sono due Bolle pontificie, una di Giovanni XXII del 1328 ed una di Bonifacio IX del 1384, con le quali si raccomanda la riedificazione della chiesa di S. Pietro, e si concedono indulgenze a chi vi concorra, essendo essa stata bruciata e quasi distrutta per sciagurate, feroci vicende di parte che, in quei tempi, funestarono Spoleto come quasi tutto il resto d’Italia. Orbene, se vi erano documenti in cui la pretesa antica dignità della chiesa di S. Pietro doveva essere ricordata a maggiore stimolo della pietà dei fedeli, i quali erano chiamati a promuoverne la ricostruzione, certamente sono dessi, queste Bolle. Eppure, nè Giovanni XXII, nè Bonifacio IX, di ciò fanno il cenno più lontano. Silenzio, questo, eloquentissimo e che, posto a raffronto, in specie, con la Bolla di Alessandro II del 16 Gennaio 1069, in cui viene esplicitamente la chiesa di S. Maria chiamata madre (in matrice ecclesia) come abbiamo visto di già, ne pare debba disperdere anche l’ombra di una dubitazione qualsiasi, se fosse ancora rimasta.
Non si parli più, dunque, del Duomo di Spoleto come di chiesa di S. Primiano, di Cappella Basilica Ducale; di ricostruzione e di dedicazione alla Vergine per opera del Vescovo Andrea; non di S. Pietro Cattedrale; non del trasferimento di questa dignità da S. Pietro alla chiesa di S. Maria. La luce che si diffonde dai documenti è tale, da aver fugate per sempre, vogliamo crederlo, le tenebre che fin quì si distesero sopra un punto storico di tanta importanza per le origini di una delle principali chiese d’Italia, della chiesa spoletina, da cui, è tradizione antica e tenace, il cristianesimo avrebbe, nei primi tempi, irradiato su tutta l’Umbria.
Giuseppe Sordini
Note
- ↑ Milano, Lampato, 1840: versione dal francese di Gaetano Imperatori.
- ↑ Abbiamo posta, qui avanti, una riproduzione, da una fotografia, del prospetto del Duomo di Spoleto, affinchè il colto lettore, da quella, meglio che da una descrizione qualsiasi, possa farsi un’idea esatta del vero carattere dell’edificio.
- ↑ Si è scritto che gli Archivi di tutte le città, prima del regno di Federico Barbarossa, perirono. E il Sansi (Documenti storici inediti, Foligno, Sgariglia, 1879, pag. 197), riportando questa sentenza di Enrico Hallam, osserva che per Spoleto essa è letteralmente vera. E, a prova di ciò, egli pubblica, in nota, l’unica carta da lui rinvenuta in tutta la città, anteriore all’eccidio memorando; carta invero, di poco valore, riguardando semplicemente un contratto di vendita tra privati. Non deve però credersi, come ebbe ad asserire il ch.mo Barone Sansi, che quella sia l’unica carta conservata a Spoleto, anteriore all’anno 1155. Due documenti pubblici importantissimi, di circa un secolo piú antichi del 1155, li produrremo noi stessi in questo nostro scritto, ed erano, del resto, già conosciuti. Altri sappiamo che esistono nell’Archivio capitolare del Duomo, in quello di S. Pietro e presso qualche privato. Dunque, se è vero che gli Archivi anteriori al Barbarossa vennero distrutti, non è esatto che perissero tutte le carte di cui erano composti: é però da augurarsi che queste trovino, presso gli attuali possessori, la grazia di una buona conservazione e di una non eccessiva gelosia verso gli studiosi, altrimenti le parole del Sansi acquisteranno purtroppo un doloroso ed esatto senso di verità.
- ↑ Qualcuno volle ravvisare tale portico nella colossale costruzione ad arconi che vedesi in Via del Seminario, simile alle costruzioni di S. Francesco di Assisi e del Palazzo Consolare di Gubbio, la quale doveva servire anche a Spoleto per elevarvi sopra, secondo noi, un sontuoso Palagio della Signoria, nel XIV secolo. La fabbrica rimasta incompiuta, per vicende di parte, fin dal suo primo sorgere, non fu mai portata a termine. Ha, però, una storia singolare, il cui racconto potrà opportunamente servire di prefazione ad un volumetto illustrativo del Museo archeologico spoletino che, in quell’edificio, si viene da noi stessi raccogliendo e ordinando per incarico affidatoci dal Municipio. Vedi: G. Sordini, Di un Palazzo della Signoria a Spoleto (con otto incisioni), in Rassegna d’Arte, Milano 1903.
Per il preteso portico, vedi: Fontana P., Descrizione della Chiesa Metropolitana di Spoleto, Spoleto, Bossi, 1848, pag. 5-6. Altri, poi, tale sostruzione additò come un resto del Palazzo Ducale. E questa opinione ebbe tale credito, da indurre, sul finire del XVII secolo i Sodali della Confraternita stabilita nella chiesa della Manna d’oro, elegante edificio in massima parte del XVI secolo, a porre nell’interno di quel tempietto, questa iscrizione che ancora vi si legge: D. O. M. Aedes dudum et Principum Regumque Spoletinorum aula et Divi Petri Apostoli apparitione percelebres postmodum non minus Barbarorum rabie quam temporis edacidate consumptas in honorem Deiparae Virginis aere publico instauratas ob aureum manna e coelo dimissum in stimma italicae annonae caritate demum supremo apposito lapide sodalitas eiusdem Virginis S. P. Q. S. suffragante in hanc augustiorem formam exhibuit Anno salutis MDCLXXXI. - ↑ Di Bernardino di Campello e delle sue opere, parlarono con grande e meritato onore il Tiraboschi, il Baglivi ed altri. Chi volesse notizie più ampie sulla vita e sugli scritti, anche inediti, di questo insigne storico, letterato e diplomatico spoletino del XVII secolo, le troverà in un aureo volumetto di A. Cristofani, intitolato Della vita e degli scritti del Conte Bernardino di Campello, Assisi, Sensi, 1873; e in un bel libro del Conte Paolo Campello della Spina: Il Castello di Campello, memorie storiche e biografiche, Roma, Loescher, 1889.
- ↑ Abbiamo riportato per esteso il passo del Campello perchè questi riassunse e compendiò tutte le notizie, anteriori a lui, intorno a S. Primiano, coordinandole e amplificandole secondo il sentimento, il criterio e la dottrina a lui particolari.
Di S. Primiano, del resto, tacciono completamente il Minervio (De rebus gestis atque antiquis monumentis Spoleti), Parruccio Zampolini (De gli annali de Spuliti) e il Martani (Commentarium). Ne scrisse una Vita Giov. Batt. Bracceschi, il cui manoscritto, secondo Jacobilli, si conservava nel Convento di S. Domenico in Spoleto; ma, come mi viene assicurato, più non v’è. Il Leoncilli (Historia spoletina per Episcoporum seriem digesta MS.) in S. Giovanni Vescovo, ne riassunse la vita, cui fece qualche giunta importante il Serafini. I Bollandisti parlano di S. Primiano nel Tomo VI degli A. S., pag. 664-65, desumendone le notizie dal Ferrari: Catalogus Sanctorum. Vi accennano, infine, il Cadolini (Spoleti, Orazione accademica, Spoleti, Bassoni, 1836) e il Fontana, Descrizione della Chiesa metropolitana di Spoleto, Spoleto, Bossi, 1848, pag. 5-6. - ↑ Giacomo Filippo Leoncilli, nato nel 1572, morto nel 1613, fu uno dei molti insigni uomini che vanta quella nobile famiglia spoletina. Il nome di Giacomo Filippo é raccomandato, in particolar modo, ad un suo volume, ancora inedito, cui dette il titolo di: Historia Spoletina, per Episcoporum seriem digesta. Presso la famiglia se ne conserva una copia manoscritta che reca nel frontispizio questo titolo: Historia spoletina | per Episcoporum seriem digesta | Auctore | Jacobo Philippo Leoncillo V. I. D. Spoletino | In pluribus correcta, et locupletata | a Seraphino de Seraphinis | MDCLVI. Quando, pochi anni or sono, si estinse in Spoleto il ramo dei Leoncilli che possedeva questo manoscritto, l’Accademia Spoletina ebbe cura di acquistarlo dagli eredi.
Dove trovisi l’originale del Leoncilli non sappiamo. Il Serafini nel libretto: Elogia de Sanctis Ecclesiae spoletinae (M. S. presso di me) dice, a pag. 39, che a tempo suo il prezioso manoscritto del Leoncilli velut thesaurus custoditur apud Reverendissimum D. Fredericum eius germanum spoletinae Cathedralis Priorem ac totius Cleri spoletini parentem optimum; cuius humanitate saepius in his nostris eo MS. uti licuit. Questo Federico Leoncilli, fratello di Giacomo Filippo e Priore del Duomo di Spoleto, regalò, come è detto nel C. I. L. Vol. XI, pag. 700, una copia della Historia spoletina ecc. al Cardinale Francesco Barberini (Barberin. XXXIV, 29). Nell’anno 1890, questa copia fu esaminata dal Bormann, che non vi ravvisò l’originale. Probabilmente è anch’essa, una delle tante copie eseguite di mano del Serafini.
Il Serafini fu un colto Parroco spoletino, fiorito nella prima metà del XVII secolo. Scrisse varie opere rimaste inedite; e, trascrittore infaticabile e valente, eseguì quasi tutte le copie che ci sono rimaste delle antiche memorie spoletine, tantochè devesi a lui, in grandissima parte, la conservazione di un materiale veramente prezioso. - ↑ Le citazioni di Jacobilli, del resto, sono assai spesso, tanto vaghe e quasi sempre di seconda mano, da non meritare soverchia considerazione.
- ↑ Sono tre grossi volumi membranacei, scritti nel XII secolo, e provenienti da due antiche Abbazie benedettine dell’Archidiocesi di Spoleto. Si conservano nell’Archivio Capitolare del Duomo di quella città, dove li fece collocare il Vescovo Sanvitale al chiudersi del XVI secolo. La storia di questi preziosissimi volumi si può leggere nel mio lavoro intitolato: Di un sunto inedito di storia spoletina scritto nel secolo X, pubblicato nel Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per l’Umbria. Vol. XII, Fasc. III, N. 34.
- ↑ Da ricerche fatte eseguire in Ancona, risulta in modo indubbio che nell’Archivio Capitolare del Duomo non si trova alcun manoscritto con la Vita di S. Primiano e non vi è memoria che vi sia mai stato. Chi desiderasse maggiori notizie intorno alla questione dei due S. Primiano, e alla invenzione del corpo di quello di Ancona, legga la Istoria di Ancona e la Dissertazione sulla Chiesa Anconitana di Mons. Peruzzi.
- ↑ 11,0 11,1 L’iscrizione diceva: Hic requiescit corpus Beati Primiani Episcopi qui fuit Graecus. Vedi la nota precedente.
Ora è chiaro che, soltanto sulla incontestata autenticità e antichità di questa scritta, la quale più non esiste, riposa la pia credenza che i Santi di nome Primiano, venerati in Ancona e a Spoleto, siano due. E il dubbio su quella iscrizione, non solo è lecito per ragioni epigrafiche, ma può anche essere avvalorato dalle parole del Leoncilli, op. cit., in S. Giovanni Vescovo, c. 57, il quale scrisse: «Admoniti autem sumus hunc Sanctum (Primiano) ex Ancona Clarissima Piceni Civitate oriundum fuisse, et apud Spoletum pro fide Christi martyrem fuisse, ut in eius vita, quae olim in eiusdem Cathedralis Archivio servabatur, clare constabat.» Come abbiamo detto, il Leoncilli vide veramente la Vita di S. Primiano nei Lezionarî del Duomo di Spoleto, vita che era stata trascritta in quei volumi, circa due secoli prima della ricordata invenzione anconitana e che, certamente, venne composta prima del mille. - ↑ È ovvio il ricordo della disposizione delle dodici tavole: Hominem mortuum in urbe neve sepelito, neve urito, ripetuta da Adriano, da Antonino Pio, da Teodosio II. Vedi anche Cicerone, De legibus II, 23. In Roma stessa, non si contano che un paio di casi di sepoltura furtiva di Martiri, nell’interno della città. Ma se ciò fu possibile così raramente in Roma, ognun vede quanto maggiori sarebbero state le difficoltà in una piccola città di provincia.
- ↑ A Spoleto, i sepolcri dei Martiri di cui ci è rimasta memoria, erano tutti fuori delle primitive mura urbane. È, forse, inutile notare che entro la nuova cinta del 1297, assai più ampia della primitiva, vennero compresi antichi cimiteri e chiese che prima erano esterni. Ma questo non accadde presso il Duomo, dove la cinta primitiva rasentava quasi l’abside maggiore e quella medioevale, per il declivio del terreno, di pochi metri se ne discosta.
- ↑ Basti osservare che il Duomo di Spoleto, posto in luogo assai eminente, domina tutta la valle spoletana, e sta quasi a vedetta di un lungo tratto delle mura urbane contro il quale, di preferenza, gli eserciti nemici diressero i loro assalti o posero gli accampamenti, da Annibale a Totila, da Federico Barbarossa a Ladislao di Durazzo, a Braccio Fortebracci, per non dire di altri.
- ↑ Ecco il passo del Serafini, come leggesi nel citato manoscritto, già esistente in Spoleto presso i Signori Leoncilli (ora passato in proprietà dell’Accademia Spoletina). In una delle tante giunte che questo colto, infaticabile sacerdote spoletino, fiorito nella prima metà del XVII secolo, fece alla storia del Leoncilli, in S. Giovanni Vescovo, c. 57, ebbe cura di narrare: «Anno 1653 die 6 maij in nova Cathedralis restauratione per Dominum Cardinalem Franciscum Barberinum sublato Maiori Altari ab Episcopo Laurentio Castruccio intra Columnam e Lapide Tiburtino, et in Capsulis Plumbeis septem cum signis repertas esse sacras reliquias S. Crucis, SS. Apostolorum Petri et Pauli, SS. Gregorii, Eusebi et aliorum, itemque unum Cranium quod esse putaverunt huiusmet S. Primiani, quamvis nomine minime esset Consignatum: ibi omnia deposita a Papa Honorio tertio in consecratione eius Altaris An. 1216. 3 Augusti».
- ↑ Op. cit., pag. 12 e 13.
- ↑ Spoleti, Orazione accademica, Spoleti, Bassoni, 1836, pag. 24, nota 32.
- ↑ Storia cit., Vol. 1. pag. 29.
- ↑ Il Bracceschi, a carte 189 dei suoi Commentari, notò, nella seconda metà del XVI secolo: «in domo in cappella maiori intorno intorno alla cupola di detta cappella eretta sopra quattro colonne così è scritto: Honorius III. Pon. Max. An. salutifere incarna. Millesimo cente. sexage. IIII - III Kal. Septembris. Aram. hanc, cum phano consecravit et annuo eiusdem diei tempor. redeunte Peccat. Ven. induls.» E riporta anche nella stessa carta una simile iscrizione della chiesa di S. Ansano in Spoleto. Giustamente il buon frate fa osservare che Onorio III fu Papa non prima del 1216 e quel nome ritiene, quindi, errore dell’Intagliatore. Che quella iscrizione fosse riferita esattamente dal Bracceschi, ne abbiamo la prova nella Sacra Visita del Cardinale Barberini, da noi stessi recentemente ritrovata e rimessa in onore nella Cancelleria Arcivescovile di Spoleto; nella quale Sacra Visita, sotto la data 6 Luglio 1610, leggonsi queste parole: .... «cui (altare maggiore) supereminet tribuna quatuor columnis suffulta cum Imagine Salvatoris in forma Pueri in summitate, et quatuor Evangelistarum in angulis, circum circa in Corona haec verba leguntur aureis notis in spatio cerulei coloris depicta». E qui riporta la iscrizione stessa notata dal Bracceschi. Il ciborio, o tribuna, in cui leggevasi tale iscrizione, purtroppo, è perduto, e sembra che non ne resti frammento alcuno. Senza anticipare giudizï, sempre pericolosi, quando manchino della base di un’ampia dimostrazione, vedremo che cosa debba pensarsi, a parer nostro, di quel ciborio e della iscrizione che in esso leggevasi, quando tratteremo in modo particolare, dell’antico Altare maggiore del Duomo di Spoleto.
- ↑ La data di questo prezioso documento è scritta, nell’originale pergamena, così: in anno ab incarnatione domini millesimo LXVII et regnante hejnrico rege anno eius nono et dies III ianuarias quod est XIIII Kalendas februarias pro indictione VIII.
Non riuscendo a conciliare i varî elementi che costituiscono questa data, abbiamo voluto consultare in proposito l’illustre Prof. Kehr, il quale così ha risposto al nostro quesito: «le note cronologiche sono in pieno disordine. Evidentemente il Notaio spoletano non conosceva bene il computo cronologico. All’anno 1067 corrispondono l’anno XI del regno di Enrico e l’Indizione V. È impossibile, dunque, fissare con sicurezza l’anno. Ma il documento esisteva già il 16 gen. 1069, quando fu confermato da Alessandro II papa. Iaffé Loevvenfeld 4661». - ↑ Pag. 99 102.
- ↑ E che sia precisamente cosí, per quanto possa sembrare inverosimile, noi vogliamo provarlo riportando qui le parole di alcuni scrittori spoletini.
Bernardino di Campello nel libro XXIV, ancora inedito, delle sue citate Historie scrisse: «Era stata la sede Pontificale di Spoleto fin dalla sua prima istituzione nell’antichissima chiesa di S. Pietro e come che per esser quella Basilica fuori della città non potesse essere opportuna alla frequenza, nè commoda al ministerio havea nondimeno infino a quel tempo la veneration del luogo fatto sofferire ogni disagio. Alla fine mosso il soprannominato Vescovo (Andrea) dalle istanze del Popolo desideroso di haver dentro la città la sua chiesa principale, l’Anno, che seguì prossimo alle cose narrate, che fu quello del 1067, levata da S. Pietro la Dignità della Cattedra Episcopale, la trasferí nella Ducal Basilica di S. Maria (a) fabbricata già dal Duca Theodelapio intorno alla Cappella o Tribuna di S. Primiano, come a suo luogo dicemmo. Era quella chiesa dotata di non picciole rendite et istrutta di molti Sacerdoti, e ministri, che la servivano (b). Ma nondimeno, eretta che l’ebbe in Cathedrale, le attribuì il pio Vescovo con molta liberalità diversi altri proventi, che decentemente bastassero al sostentamento e decoro di un Collegio di Canonici Cardinali (c), che ci istituì con le dignità necessarie all’esistimatione e servitio di una nobilissima Chiesa Pontificale».
E al testo fa seguire queste note:
(a) Dalle lettere originali di questa traslatione et erettione conservate nell’Archivio dell’istessa chiesa e da quelle il Leonc., de Ep. Spolet. in Andrea e dopo di lui Ferd. Ughelli.
(b) Dalle d. lettere con quel che segue.
(c) Così sono chiamati nelle sottoscrittioni delle citate lettere.
Ora è curioso osservare che il Leoncilli, almeno nell’esemplare da noi veduto, non parla mai di questa traslazione, benchè qua e là (ad esempio: c. 57, 91 ecc.) accenni che S. Pietro fu Cattedrale. In Andrea, fogl. 134 dice semplicemente: Hic in S. Mariae Ecc.la Canonicam instituit, quae primaria, et Cathedralis esset. E trascrive il Decreto di Andrea. E che le lettere allegate dal Campello per provare la pretesa traslazione, si riducano al Decreto del Vescovo, ne sembra che lo sveli chiaramente la nota c. nella quale asserisce che i Canonici erano chiamati Cardinali come appunto leggesi in quel Decreto.
Ma anche più chiaramente ce lo dice il Fontana, op. cit., pag. 11 e 12. «Da antichi documenti, egli scrive, conservati nell’Archivio di questa Metropolitana.... si rileva che ad istanza del Clero, Andrea Vescovo di Spoleto, decretò nell’anno 1067 che la Cattedra Episcopale, dalla chiesa di S. Pietro fuori delle mura, fosse trasferita in quella Ducale di S. Primiano, dedicandola a Maria Vergine Assunta in Cielo. Il Pontefice Alessandro II, con sua Bolla data da Narni, il 16 Gennaio 1069, confermò quel Decreto». E a pag. 99, infatti, stampa per intiero il Decreto col quale il Vescovo Andrea istituisce la Canonica del Duomo.
Il Sansi, Storia cit., Vol. 1., pag. 158, afferma la traslazione per opera di Andrea, ma non cita documento alcuno. Nel libro Degli Edifici e dei frammenti storici delle antiche età di Spoleto (Foligno, Sgariglia, 1869) pag. 245, rimanda il lettore al Documento pubblicato dal Fontana, cioè al Decreto del Vescovo Andrea. E ne pare che basti. Ma a chi non si contentasse ancora, ricorderemo le parole dell’Ughelli, nell’Italia Sacra, Tom. 1º (Romae, Bernabò, MDCCIV), pag. 1530: «Andreas hodiernam Cattedralem erexit, dotavitque, in titulum B. M. Virginis ut ex eius Diplomate inserto in appendice primi tomi Italiae Sacrae videre est quod extat datum 13 Kal. Febr 1067. Quae donatio con firmata deinde est ab Alexandro II. an. 1069». - ↑ Vedi il Decreto riportato in appendice.
- ↑ Il Vescovo dichiara esplicitamente tre lati come confini della terra che dona ai Canonici: il fianco della Chiesa che è il primo; il secondo discende dalla porta della Chiesa per alcuni gradini (come anche oggi si vede; e il terzo la via che insieme al secondo lato, delimita alcune terre orti e case, fino alla tribuna di S. Primiano. Ora è chiaro che non si può, con tre lati, costruire altra figura geometrica che un triangolo, se l’ultimo lato va a ricongiungersi con il primo, oppure una figura trapezoide, se l’ultimo lato va a toccare qualche cosa che sporge dal primo. Ed una figura trapezoidale, in pianta, conserva ancora, dopo tanti secoli, la Canonica del Duomo di Spoleto, secondo la primitiva concessione del Vescovo Andrea, benchè tante modificazioni successive e ampliamenti abbia subiti l’antico Duomo di Spoleto. E le ragioni di questa persistenza di forma debbono ricercarsi nella natura del terreno, nell’essere rimasta costante l’orientazione del Duomo, nella conservazione rispettosa della preesistente tribuna di S. Primiano e, infine, nella esistenza di un viottolo ancora oggi praticato benchè chiuso al pubblico, viottolo che, dalla odierna Via del Seminario, conduceva alle mura urbane, e agli edifici che presso di queste sorgevano, rasentando la Canonica.
- ↑ In un altro studio, abbiamo illustrati tutti i più antichi avanzi costruttivi, scultorî e architettonici del Duomo di Spoleto, tra i quali, naturalmente, ha luogo non ultimo questa cripta. Senza ripeter qui ciò che ha il suo posto altrove, accenneremo solamente che il frammento di iscrizione dice così: + VBI TERRIBILIS..... PERCVSSIT ecc. Verificato che non trattasi di un passo biblico, non resta che attribuirlo ad una leggenda di martirio e, di certo, troveremmo tali parole in quella di S. Primiano, se ci fosse stata conservata.
- ↑ L’attuale edificio della Canonica del Duomo di Spoleto, non è noto quando venisse costruito. Il Chiostro, sicuramente è della metà del XVI secolo e Sansi, Storia cit., Vol. II, pag. 241, in nota, lo afferma basandosi su documenti esistenti nell’archivio comunale. Il fabbricato apparisce, invece, opera del XIII secolo incipiente, e, infatti, abbiamo due carte una del 1230, che reca «Actum Spoleti in palatio sancte mariae». (Sansi Documenti cit. pag. 247); e un’altra del 1232, la quale dice parimenti: «Actum in palatio canonicorum majoris ecclesie Spoleti (Sansi Docum. cit. pag. 242).
- ↑ Bernardino di Campello nel libro XII pag. 359 delle sue citate Historie così scrive: «Edificò (Teodelapio Duca di Spoleto) per la sua Ducal residenza nel più eminente sito della città, presso alla Chiesa di San Primiano, ch’è oggi la Basilica maggiore di Santa Maria, un grande e, rispetto alle fabbriche di quella età, maestoso e nobil Palazzo, le cui reliquie imminenti a i più bassi edifici della soggetta parte della Città, e che riguardano con rara vista le spatiose pianure dell’amenissima Valle, fan piena fede dell’antico splendor dell’opra, e della Real magnificenza di chi l’eresse. Al Palazzo uní con breve portico la già detta chiesa di S. Primiano, la quale ampliata da lui con non dissimil modo di fabrica, proprio di que’ tempi e ridotta in forma di amplissimo Tempio, lasciato il primo titolo, hebbe il suddetto, ch’oggi ritiene di S. Maria, dove in progresso di tempo si trasferì poi la Sede Pontificale, come a suo luogo diremo.
Nessun dubbio che, di qui, abbia origine gran parte della leggenda di cui ci occupiamo. E che la paternità non d’altri possa essere, ci induce a crederlo il vedere che Bernardino di Campello, sempre sollecito di indicare le fonti cui attinse, a tutto questo passo non appone nemmeno una nota, o un richiamo.
Del resto Teodelapio ebbe lungo e quieto dominio e, come ben dice il Sansi per fargli fare qualche cosa, fra le altre, gli venne affibbiata anche la costruzione della chiesa di S. Maria. - ↑ Dal Bracceschi al Fontana, invece che in pjaja, come chiaramente dice, avevano letto tutti in platea. E tale erronea lettura, doveva imbrogliare non poco una qualsiasi determinazione topografica.
- ↑ Il monte S. Elia è il poggio attorno al quale venne edificata la città di Spoleto. Non è per nulla improbabile che siasi così chiamato da un antichissimo tempio dedicato al Sole (elios), sorto sulla sua sommità, come congettura il Sansi (Degli Edifici ecc. pag. 206). E di un tempio del Sole, esistente in Spoleto nell’epoca romana, abbiamo sicura memoria in Plinio Lib. XI, 37, — in Svetonio (Augusto), in Giulio Ossequente. Nè doveva trattarsi di un santuario di poca importanza, se il furbo Ottaviano lo scelse per farsi predire le sorti dell’impero. Il tempio del Sole gli scrittori spoletini lo hanno fatto sorgere più qua e più là senza ragione: l’unica congettura ragionevole che possa farsi è che la chiesa medioevale di S. Elia, mutati i tempi e i Santi, abbia occupato quel luogo. Del resto, che quel luogo fosse in grande venerazione al tempo pagano, può anche esserne indizio la esistenza, su quella costa, di numerose chiese molto antiche. Il Decreto del Vescovo Andrea ne nomina quattro: S. Maria, S. Primiano, S. Elia, S. Angelo; di una quinta consacrata alla Trinità, dereto a S. Maria Magiure, abbiamo notizia da Parruccio Zampolini (pag. 118). Ad esse vanno aggiunte S. Eufemia dell’Arcivescovato, S. Donato presso la Piazza del Mercato, S. Marco presso le mura e in fine la chiesa della quale occupò poi il luogo quella monumentale di S. Simone. E, forse ve ne furono anche altre!
- ↑ Andrea scrisse: a capite, ecclesia S. Eliae: da capo la chiesa di S. Elia. Da queste parole chiaramente si scorge che la chiesa di S. Elia occupava sulla sommità del poggio, una parte dell’area in cui fu edificata, dopo altri tre secoli, per opera del Cardinale Albornoz, la celebre Rocca di Spoleto. Dove precisamente sorgesse questa antica chiesa non è noto. In una pianta non antica del Duomo di Spoleto e delle sue adiacenze, esistente nel Palazzo Arcivescovile di quella città, pianta che ha servito di base al nostro schizzo, quasi a ridosso della cinta della Rocca, vedesi segnato un piccolo edificio quadrilungo, diviso in due stanze, una delle quali maggiore dell’altra. È questa la pianta ordinaria di antichissime chiese, e il vederla segnata presso le mura di un castello, cui certamente preesisteva, e il vederla conservata dopo l’edificazione di questo, ne fa supporre che quivi appunto sorgesse la ecclesia S. Eliae ricordata da Andrea: e il luogo, in alto e di fronte al fianco della chiesa, ben risponderebbe alla indicazione del Vescovo.
Se la nostra induzione avesse valore, sarebbe questa la chiesa di S. Elia presso cui nel 1214 avrebbe avuto principio, secondo alcuni, un convento di frati minori in Spoleto, ai quali fu concessa poi (1226) anche la chiesa che venne, in seguito, sostituita da quella monumentale di S. Simone, oggi soppressa.
Dentro il circuito della Rocca, erano, in tempi più tardi, una chiesa e una cappella dedicate a S. Elia. In un volume ms. intitolato: Informationes Ecclesiae Cathedralis Spoleti, che si conserva nella Cancelleria Arcivescovile di Spoleto, sotto la data 29 agosto 1690, si legge: Dentro li confini della Parrocchia (di S. Maria) vi è la chiesa della Madonna dell’Orto, oltre la Chiesa e la Cappella che sono dentro la Rocca (c. 24 v.): E nella pianta prospettica di Spoleto, disegnata da Giovanni Parenzi e pubblicata dal fratello suo Francesco il 1. Dicembre 1613, innanzi all’antica porta della Rocca, che guarda a sud, si vede una chiesuola con campaniletto, certamente la chiesa o la cappella dedicate a S. Elia.
E in un libro, di mano del Serafini, vero zibaldone di notizie storiche spoletine abbiamo letto che: Ecclesia S. Eliae in Arce Spoleti aedificata fuit a Marino Tomacello Neapolitano Anno Domini 1400, vel infra. E aggiunge che la tribuna di quella chiesa era stata dipinta dallo stesso pittore che aveva decorata con affreschi tutta la Cattedrale spoletina nel 1904. — Il pittore cui accenna il Serafini è un certo Bartolo spoletino che ebbe grande fama ai suoi tempi e dovette essere valentissimo, ma del quale ci resta appena il nome! - ↑ Appartiene al Priore del Duomo il tratto che dall’angolo della Cappella Eroli va fino alla casa Luparini. La parte superiore, dal fianco cioè della chiesa al muro della Rocca, e dalla Piazza Campello alle mura urbane, venne acquistata dal Governo Pontificio, il quale la tolse ai Canonici per costruirvi il Carcere Politico di cui vennero gettate le sole fondamenta nel 1860. Caduto il Governo Pontificio, e smessa l’idea del nuovo Carcere, quel terreno passò per acquisto ai Conti Arroni, i quali non molti anni dopo lo rivendettero ai signori Luparini.
- ↑ Vedi anche, a questo proposito, nella Rassegna d’Arte di Milano, 1906, A. VI, n. 3: G. Sordini, Di alcuni monumenti spoletini.
- ↑ In molte carte conservate nell’Archivio Capitolare del Duomo, in occasione di affitti o di altro, è ricordato il breve terreno ortivo che si stende dietro l’abside del Duomo. Ebbene, fino alla metà, circa, del XVII secolo, mai mi è avvenuto di imbattermi nel titolo di S. Primiano: sempre si parla della parte posteriore della chiesa. Eppure era tanto naturale ricordare il titolo della tribuna, se veramente lo avesse avuto. Non ho potuto ancora proseguire le indagini per il tempo posteriore alla metà del XVII secolo, ma sarà interessante determinare l’epoca precisa, recentissima di certo, nella quale, alla tribuna del Duomo, si cominciò ad appiccicare il titolo di S. Primiano.
- ↑ Vedi il mio scritto: Di un Diploma e di un affresco esistenti nel Palazzo Arcivescovile di Spoleto, Firenze, Minori Corrigendi, 1894, pubblicato in Arte e Storia di quell’anno N. 15, 16 e 17.
- ↑ Vedi la mia pubblicazione inserita nel Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, Vol. XII, Fasc. III, N. 34, intitolata: Di un sunto inedito di Storia spoletina scritto nel secolo X. Tale lavoro venne composto molti anni dopo il presente, ma fu stampato prima.
- ↑ Il Bollandista (Acta SS. Tom. VI pag. 31) dice che Jacobilli varia citat instrumenta archivii spoletini, con i quali proverebbe che la Cattedrale di Spoleto era in S. Pietro. A farlo apposta, la Vita di S. Giovanni Arcivescovo narrata da Jacobilli, è un così strano accozzamento di nomi, di date e di madornali errori, da non meritare alcun conto. Nè v’è traccia degli asseriti istromenti (Jacobilli, Op. cit. Tom. II. pag. 197).
- ↑ Quando il Monastero di S. Eufemia passasse in proprietà dei Vescovi spoletini non è noto. Certamente v’era già nel 1340, poichè troviamo fatto ricordo in un atto di detto anno, di una «camera prope salam palatii episcopatus civit. Spoleti (Sansi, Storia cit. Vol. I pag. 211). Forse l’avevano già prima del 1294, quando Tommaso Priore ordinava ai Canonici della Chiesa spoletina «quod venirent statim ad cameram episcopatus positam iuxta portam claustri ipsius episcopatus ad capitulum. Al qual Capitolo i Canonici e il Priore vennero e dettero il loro parere che fu autenticato Spoleti in quadam domo ipsius episcopatus posita iuxta portam claustri episcopatus (Sansi, Documenti cit. pag. 356-57). Indicazioni più antiche non ci sono note, ma non è improbabile che altre se ne trovino, allorchè tutte le vecchie carte spoletine si saranno potute debitamente esaminare.
- ↑ Leoncilli, in Galardo, MS. cit. f. 175.
- ↑ Non sono ancora riuscito a trovare il documento cui accenna il Leoncilli, documento importantissimo, che getterebbe una luce sfolgorante sulla nostra questione e altre ne chiarirebbe di ordine secondario. Però, in un inventario dell’Archivio Capitolare del Duomo, da me recentemente rinvenuto e trascritto, la donazione del Vescovo Galardo è così registrata: 1373 — Cessione di un certo terreno sterile fatta dal vescovo al Capitolo presso la Chiesa per farvi un Cemeterio. Se la registrazione è esatta, l’antica Residenza Vescovile, ai tempi di Galardo, doveva essere già ridotta un cumulo di macerie.
- ↑ Fasc. 16 Luglio 1898, pag. 212.
- ↑ Quanto era rimasto di quell’Archivio, venne ultimamente su mia proposta, a norma di Legge, devoluto al Comune di Spoleto; e, a spese di questo, fu testè completamente riordinato dal Dott. Felice Tonetti, il quale ne compilò anche la nuova Rubricella.