Il Buddha, Confucio e Lao-Tse/Parte Seconda/Capitolo XI
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Capitolo XI.
Della Morale taose. — Il Kan-yin-phien.
I commenti al libro di Lao-tse sono moltissimi. Stanislao Julien ne cita sessantaquattro; de’ quali ventitrè dovuti ad autori taosi, e fra questi tre imperatori: Wu-ti (102-550 d. C.) e Kien-Wén-ti (550-551 d. C.) de’ Liang, e Hsüan-Tsung de’ Thang (713-756 d. C.); sette scritti da autori buddhisti; e trentaquattro, da letterati della scuola confuciana. I commenti de’ letterati ortodossi non tendono ad altro che a svisare la dottrina taose, e ad abbattere il sistema filosofico di Lao-tse; i commentatori delle altre scuole, oltre ad illustrare e a chiarire il testo del Tao-tê-king, intendono anche alcuna volta a metter d’accordo gl’insegnamenti che sono esposti in quella scrittura, con quegli delle scritture classiche e canoniche, e singolarmente poi con le scritture buddhiche. Il più celebre e il più antico tra quest’ultimi è forse Su-Céh cognominato Tse-yu, che fioriva nel dodicesimo secolo della nostra èra. Costui all’età dì quarant’anni fu esiliato dal suo paese e mandato a Yun-ceu, dove allora erano assai conventi buddici. Stretta egli amicizia con uno di quei monaci, uomo molto dotto e pio, insieme con esso discuteva sovente di filosofia; e in siffatte discussioni il monaco esponendo gl’insegnamenti di Câkyamuni, e Su-Cêh paragonandoli con quegli dei filosofi Cinesi, gli pareva di trovarvi grande rassomiglianza. Allora si mise a commentare il libro di Lao-tse; e a mano a mano ch’egli andava avanzando nell’opera, leggeva quel che aveva scritto, al monaco buddhista; il quale a sua volta s’accòrse di tanta analogia tra la dottrina del Tao e quella di Câkya, che ne faceva le meraviglie. «Ritornato dipoi alla capitale, così narra lo stesso Su-Cêh, per vent’anni continui mi adoprai a correggere e ampliare il commentario; e non accadde che io trovassi un passo del mio testo, il quale non rispondesse del tutto ad altro passo delle scritture buddhiche. Ma tra gli uomini del mio tempo non c’era nessuno, col quale potessi io disputare intorno a così alto soggetto».1 Su-Cêh s’era anche accinto a illustrare alcuni libri classici; i quali trovò che avevano essi pure molta analogia con gli scritti di Lao-tse. Insomma, secondo quel che afferma anche Cu-tse,2 il fine che si propose questo filosofo, fu di tentare l’unione delle dottrine del Confucianesimo e del Taoismo, per metterle poi in armonia con le teorie buddhiche. Questa unione, o meglio questa confusione delle tre dottrine, avvenne in fatti; ma non tanto per opera di Su-Cêh, quanto per opera di quel gran manipolatore di credenze religiose, che è il volgo. Tale unione e tale accordo, negati da’ seguaci della scuola de’ letterati, sono pienissimi nella odierna religione taose; e il libro che ora stiamo per esaminare, che è il testo più importante dopo il Tao-tê-king, ce ne porgerà la prova.
L’autore di quest’operetta, che s’intitola Thai-shang-Kan-ying-phien, è sconosciuto. In Europa si tenne per alcun tempo che fosse scrittura di un certo Wang-siung; ma uscita per le stampe la traduzione del Julien, ivi si corresse l’errore, nel quale incorse il traduttore antecedente. Parecchi taosi hanno commentato questo libriccino; la cui pubblicazione e la diffusione son tenute in Cina opere meritorie, in virtù delle quali il Cielo perdona agli uomini molti peccati: e spesso accade che diverse pie persone si uniscono per supplire alle spese occorrenti all’edizione del volume, dove non si tralascia di ricordare con onore i loro nomi.
Il testo è di frequente accompagnato, oltre che da un commento, da una raccolta di qualche centinaio di novelle, le quali vogliono addimostrare con l’esempio la veracità delle sentenze morali, alle quali stanno come illustrazione. Il Julien ha tradotta in francese una di queste edizioni, che contiene quattrocento di tali storielle, aneddoti o favole;3 e ha procurato così agli studiosi delle dottrine religiose dell’Oriente un libro importantissimo per la conoscenza della religione popolare del Tao; libro che anche a noi servirà per compilare il presente capitolo.
Il titolo del testo cinese è, come dicemmo, Thai-shang-Kan-ying-Phien; ed esso medesimo ci dà schiarimenti e sul titolo e sull’indole dell’opera. Ed ecco quel che dice: «Thai-shang, l’Altissimo, è l’epiteto che vien dato da’ Taosi alla persona ch’essi più d’ogni altra venerano, cioè a dir Lao-tse. — Le azioni degli uomini, buone o cattive, commuovono gli spiriti del Cielo e della Terra: ora, questa commozione, questo sentimento che provano i detti esseri soprannaturali a veder le opere dei mortali, viene espresso, nel titolo, con la voce kan. La retribuzione poi che gli spiriti del Cielo e della Terra inviano agli uomini in ricompensa o punizione delle loro opere, si chiama ying. Phien vuol dir libro o capitolo».
«La felicità o la sventura, dice l’Altissimo (Lao-tse), non dipendono dal destino; l’uomo solo, con la propria condotta, può procurarsi o l’una o l’altra. La ricompensa e la pena succedono alle buone o alle cattive azioni, come l’ombra segue il corpo; la quale è in ragion della forma di quello».
«Per la qual cosa su nel Cielo e quaggiù in Terra vi sono diversi spiriti, che hanno ufficio d’osservare attentamente le colpe de’ mortali; e quindi tolgono tante centinaia di giorni di vita, secondo la gravità del peccato, a colui che lo ha commesso. In Cielo vi sono tre magistrati e cinque sovrani deputati a quest’ufficio;4 in Terra vi sono gli spiriti delle «Cinque montagne sacre».5 Percorron eglino per ogni verso il mondo; e notano, da un lato esattamente le cattive azioni della gente, dall’altro i giorni e gli anni che essi diminuiscono all’esistenza de’ peccatori. Egli accade, che il giorno de’ conti si trova, per esempio, che i tali e i tali altri peccatori hanno esaurito, a forza di cattive opere, il termine assegnato alla vita umana. Allora la fiamma vitale si spegne, e il corpo muore; e il peccatore discende nell’altro mondo, dove lo aspettano tre sorta di pene (san-tu). O divien bestia da soma, o demonio di continuo divorato dalla fame: oppure è condannato a’ supplizi dell’inferno.6 Quando poi i periodi di cento giorni, tolti a ragion delle colpe, come s’è detto, sono in tal numero, che, a conti fatti, si trova che la durata della umana esistenza non può pagare il debito del peccatore verso il Cielo; allora le pene ricadono sopra i figliuoli o sopra i nipoti; i quali pagano il fio de’ delitti de’ loro padri e de’ loro avi.
Oltre a’ sopraddetti personaggi sono deputate a questo ministero anche le stelle dell’Orsa maggiore;7 le quali, stando proprio sopra le nostre teste, sono nel caso di ben sorvegliarci.
Ma come se ciò fosse poco, nella propria lor casa i Cinesi hanno uno spirito, che di continuo gli tien d’occhio, e registra a una a una le male azioni de’ membri della famiglia; e quando è arrivato l’ultimo giorno del mese, sale al Cielo, e fa il suo rapporto a quell’eccelso tribunale. Questo referendario degl’Iddii, a cui non sfugge nulla, per quanto segreto, di ciò che fanno i miseri mortali, si chiama Tsao-shên «Genio del Focolare».
Ma ciò neppur basta; non basta all’inquisizione celeste questo guardiano giusto, ma severo, insinuato nelle pareti domestiche. Ogni Cinese ha dentro al suo corpo, non uno, ma tre spiriti, che osservano tutti i suoi pensieri, le sue parole, le sue opere. Affermano alcuni, che siffatti spiriti stanno uno nella testa, un altro nello stomaco, il terzo nel ventre. Si chiamano San-she, e salgono al tribunale celeste, a far la relazione dei falli commessi dall’individuo, in cui dimorano, il giorno trentesimo quinto (kêng-shên) del ciclo: giorno stabilito, da’ supremi giudici, per esaminare la condotta de’ mortali, durante i sessanta giorni, di cui si compone il ciclo cinese. Ma siccome questi spiriti, che abitano in noi stessi, non potrebbero abbandanare il corpo dove stanno, senza lasciarlo privo di vita, approfittano del sonno degli uomini; e a quel modo addormentati li lasciano, senza che essi se n’avveggano, corrono a riferire in Cielo, e poi tornano d’onde partirono.
Il Kan-ying-phien, benchè libro appartenente alla scuola taose, dimostra grandissima venerazione per tutt’e tre le religioni che si professano in Cina. Le scritture buddhiche, gli Wu-king e i Sse-shu della scuola confuciana sono citati, nel sopraddetto volume, come autorità incontrastabili, per confortare alcuna massima o alcun comandamento. E tra gli altri precetti uno appunto prescrive special rispetto a’ savi e a’ santi uomini, i quali con le loro opere e le loro virtù sono stati la gloria dell’una dell’altra di quelle tre dottrine: «inquanto chè, dice il testo, benchè le religioni de’ Letterati, de’ Buddhisti e de’ Taosi siano tra loro differenti, tutte hanno però un medesimo fine, quello di far l’uomo virtuoso ed onesto».
Il rispetto che ogni buon cinese deve alla memoria degli uomini, i quali si resero celebri in alcune di queste tre dottrine, lo deve anche alle opere che eglino scrissero; e distruggere alcuna di esse è delitto gravissimo, che gl’Iddii non mancano mai di punire severamente. «Anche la carta scritta o stampata, dice il nostro testo, la quale può contenere spesso qualche bella massima di morale, è peccato adoprarla a certi usi, o calpestarla per la strada, invece di raccoglierla e conservarla con rispetto: e se non lo facciamo ci rendiamo così colpevoli, come se direttamente si fosse fatto affronto ai savii e ai santi». Il Kan-yin-phin reca alquante storielle che stanno a dimostrare la veracità di quella sentenza; e nelle quali si fa conoscere la ricompensa che ebbero coloro che strettamente osservavano il precetto di rispettare i libri e la carta stampata; e quali crudeli punizioni ebbero coloro, che operarono il contrario. «Anc’oggi», così la citata scrittura termina il paragrafo che si riferisce a questo soggetto, «anc’oggi vi sono di quelli che conservano accuratamente i fogli a stampa; ma li conservano per impastarli alle finestre, per rinvoltarvi quel che loro abbisogna. Costoro è come se ne facessero altro pessimo uso; e possono esser certi che il Cielo li punirà come si meritano».8
Un altro comandamento del Kan-yin-phin prescrive di non inculcare nel popolo false dottrine: alla lettera «Dottrine sinistre» (tso-tao); «le quali abbracciano», dice il nostro testo «tutti quegl’insegnamenti che si dipartono da’ tre sistemi religiosi nominati di sopra; e che non son nemmeno compresi nelle Nove scuole o Kiu-liu».9 Si portano specialmente a esempio i disordini avvenuti nell’Impero a cagione di Cang-kioh, nel secondo secolo, e di Liu-Fu-thung, nel quattordicesimo dell’èra volgare. Il primo di essi, dopo aver praticato per molti anni la scienza occulta dei Taosi, si pose a capo, insieme col fratello Cang-Pao, d’una nuova setta che fu chiamata de’ «Cappelli gialli» (Huang-kin); la quale dopo aver messo a soqquadro varie province, riuscì a impossessarsi per poco di tutta la Cina settentrionale. L’altro, Liu-Fu-thung, apparteneva alla setta chiamata del «Giglio bianco» (Pe-lien-kia); il cui capo, avendo dato a credere che Buddha era sceso in terra a riscattare il popolo dalla tirannide de’ Mongoli, sollevò le province di Shang-tung, di Ho-nan e di Kiang-nan. E Liu-Fu-thung, alla testa degl’insorti, intorno al 1350, tentò di abbattere la dinastia degli Yüan, per mettere in trono un preteso discendente de’ Sung.
Il libro, di cui ora discorriamo, per quanto predichi la morale più rigida, non per questo consiglia il popolo a esser fanatico, bigotto, e troppo assiduo frequentatore delle chiese; e cita anzi come savissima la grida promulgata da un certo sovrano, la quale, fra le altre cose, diceva: «Siate buoni padri di famiglia, buoni figliuoli, buoni sudditi; dominate le passioni, guardatevi dal vizio, praticate più che sia possibile la virtù, e non vi curate d’altro». E l’autore del libro, per suo conto, seguita a dire: «Coloro che con false dottrine ingannano la gente sono ben meritevoli di mille morti; ma non sono eglino colpevoli altrettanto que’ capi di famiglia che permettono alle loro mogli e alle loro figliuole d’andare sempre in chiesa, a tutte le feste; e per di più a sentire i discorsi di certi predicatori, i propositi de’ quali sono una continua offesa alla morale, al buon senso, e alle istituzioni della nazione?».10
Veniamo ora ad esporre la morale della religione taose, secondo che si ricava dalla citata scrittura, la quale può riguardarsene il codice. La morale del Confucianesimo, che si fonda su’ doveri degli uomini, vi è naturalmente compresa. Un precetto del nostro testo condanna specialmente come colpa gravissima il non praticare nessuna delle «Sei virtù cardinali», Lu-shun; le quali, come dicemmo a suo luogo, sono: pel principe la giustizia, pe’ ministri la rettitudine, pe’ genitori la tenerezza e l’amore, pe’ figliuoli la pietà e l’ubbidienza, l’affetto tra fratelli, e il rispetto pe’ superiori.11 Ma oltre a queste virtù, che tutti, secondo il loro stato, sono in obbligo di osservare, l’uomo per essere chiamato veramente buono e virtuoso ha da mettere in pratica ventitrè precetti e comandamenti, i quali formano la prima parte del Kan-yin-phien. La perfetta osservanza di questi ci rende degni, dice il testo, del rispetto e della stima di tutti gli uomini e della sollecita protezione del Cielo. Inoltre, un cosiffatto uomo godrà sempre d’ogni sorta di felicità, gli spiriti malefici staranno lontani da lui, mentre gli Dei saranno sempre pronti a soccorrerlo; per la qual cosa, in tutto quel ch’egli imprenderà a fare, non mancherà di riuscir perfettamente. Ma c’è anche di più: per la pratica delle sopraddette buone azioni potrà giungere a diventare uno spirito immortale (Sien-shén);12 inquantochè, un celebre Taose, venerato tra gli Iddii, chiamato Tung-hsieng-sse-ming, dice: «Se un uomo dotato di perfetta rettitudine e somma pietà verrà oggi a morte, risusciterà domani fra gli eterni».13 Ora, per diventare uno spirito immortale del Cielo (Thien-sien), di quelli che s’innalzano e volan per l’aere, ci vogliono tremila opere buone; per diventare uno spirito immortale in Terra, ce ne vogliono trecento. Se un uomo fa un’opera buona, tutti gl’immortali gliene tengono un gran conto; se ne fa dieci, gl’Iddii gli accrescono la vita di cento giorni; se ne fa cento, il Dio Tung-hoa ne scrive il nome in su i registri celesti. Se ne fa poi mille, la felicità, di cui egli godrà in vita, si estenderà anche alla sua famiglia fino alla settima generazione; e se ne fa dieci mila, in pieno giorno potrà volare al Cielo.
Arreco qui sotto i ventitré precetti che deve praticare l’uomo che vuol dirsi virtuoso. Ad alcuni di questi, come a quelli che verranno in appresso, ho aggiunta in nota alcuna considerazione o schiarimento, che era nel commentario, e che m’è parso venir bene in taglio.
1. Se la via è buona, procedere spedito; arrestarsi, appena che si apre dinanzi la via del vizio.
2. Non calcare il sentiero della perversità.
3. Non credere di poter nascondere i peccati nel segreto della propria casa e del proprio cuore.
4. Sforzarsi di crescere in virtù e in merito.
5. Esser compassionevoli verso gli animali.14
6. Esser fedele al principe, pio co’ genitori, amorevole co’ fratèlli, rispettoso inverso i superiori.
7. Procurare d’esser agli altri esempio di onestà e rettitudine.
8. Esser pietoso verso gli orfani, compassionevole con le vedove.
9. Esser rispettoso co’ vecchi, e tenero co’ fanciulli.
10. Non far male a nessuno: neppure agl’insetti, nè alle erbe, nè agli alberi.15
11. Compatire la sventura altrui.
12. Rallegrarsi del bene degli altri.
13. Soccorrere i bisognosi.
14. Accorrere in aiuto di chiunque sia in pericolo.
15. Rallegrarsi o affliggersi del bene o del male degli altri, come se fosse nostro proprio.
16. Non svelare i difetti e le imperfezioni altrui.
17. Essendo da più d’alcuno, non prevalersene a suo danno.
18. Procurare di arrestare il male, e dar sempre impulso al bene.
19. Esser generoso con gli altri, parco con sè stesso.
20. Non indignarsi per le offese.
21. Temere i beneficii e i favori del potente.
22. Beneficare senza chieder ricompensa.
23. Dopo aver dato a qualcuno alcuna cosa non mostrarsene pentito.
La seconda parte del Kan-yin-phien è formata di circa centosessanta precetti proibitivi, che accennano ai peccati che l’uomo può in diverse occasioni commettere. Sono tutte quelle cattive azioni, di cui gl’Iddii celesti, le stelle dell’Orsa maggiore, il Genio del focolare domestico, e i tre spiriti che abitano nel corpo umano, con ogni sollecitudine tengon conto, per punire il peccatore che le commette. La punizione sta nel levare, come sopra notammo, dalla durata della vita umana tanti periodi di cento giorni (Suan) pei falli leggeri, o periodi di dodici anni (Ki) pe’ gravi. Ed è da avvertire, che l’uomo è riguardato colpevole di peccato, non solo quando arriva a commetterlo, ma appena ne ha concepito o il desiderio o l’intenzione. Ma se l’uomo ha commesso peccato, e che in cuor suo ne provi sincero pentimento, e desiderio ardente di farne ammenda, può essere dagli Iddii perdonato; sì che la pena che eragli stata decretata nel gran libro dal tribunale celeste, può venir cancellata, e convertita anche in bene, se egli continua nella via della virtù.
Ora ecco le centosessanta colpe, che dannano gli uomini a maggiore e minor pena, come s’è detto. Invece di riferirle nell’ordine, in cui son disposte nel testo, le ho radunate secondo la loro indole e natura, ordinandole in sette classi, come si potrà vedere.
I. — Colpe che riguardano
i doveri del proprio stato, o i parenti e i congiunti.
Imprecare contro a sè e contro agli altri. (144)16
Disobbedire e mancar di rispetto al padre, alla madre e al fratello maggiore. (90, 104, 139)
Divulgare i segreti del principe e quelli de’ genitori. (5)
Divulgare i difetti del padre e della madre. (11)
Non star d’accordo tra marito e moglie. (134, 135)
Dare il mal’esempio in casa alla moglie e a’ figliuoli. (138)
Mostrarsi sempre collerico, disputando co’ propri congiunti. (131)
Non curare i parenti prossimi, e prediligere invece i lontani. (112)
Mancar di rispetto a’ maestri, o covare mal’animo verso di loro. (6, 89)
Calunniare i condiscepoli. (9)
Essere insubordinato verso coloro, di cui stiamo al servizio. (7)
Ribellarsi agli ordini de’ superiori. (141)
Adulare i superiori per entrare nelle loro grazie. (17)
Nuocere a’ propri sottoposti, per acquistarsi merito appresso coloro che son da più di noi. (16)
Andare a cercar le minuzie per aver occasione di molestare i nostri inferiori. (97)
Aiutare gli altri a fare il male. (56)
Commettere infanticidio. (118)17
II. — Colpe che riguardano in generale
la condotta degl’individui, o prave qualità individuali.
Essere incapaci a conoscere quel che è lecito a farsi, e quel che non è. (15)
Conoscere il bene e non farlo. (34, 111)
Conoscere le proprie colpe e non correggersi. (33)
Stimar la malvagità prova di sottigliezza d’ingegno. (2)
Concepire ingiusti sospetti; e operare contrariamente alle regole della probità. (1)
Darsi inconsideratamente a’ piaceri della vita. (96, 119)
Amare smisuratamente il vino. (130)
Uomo, non aver lealtà nè fede; donna, mancar di dolcezza e rassegnazione. (132, 133)
Abbandonarsi alla violenza del proprio carattere, e volersi imporre con la forza. (51)
Essere inumano e crudele. (3, 12, 70)
Esser doppio di cuore. (143)
Apparire buono e compassionevole, e dentro esser perverso. (120)
Esser geloso e invidioso. (137)
Esser vantatore. (136)
Essere sconoscente de’ beneficii ricevuti. (18)
Covare continuo rancore pe’ torti che alcuno ci ha fatti. (19)
Nascondere le proprie imperfezioni e i propri vizi. (66,48)
Calunniare gli uomini dabbene, e dir male degli uomini di merito. (4, 67, 108)
Lasciar credere d’aver fatto il bene quando non s’è fatto; o lasciar che la colpa di qualche nostro peccato ricada su altri. (35, 62)
Diffamare gli altri ed esaltare sè stessi. (109)
Accattar lodi non meritate. (65)
Essere ingiusto nell’amore e nell’odio. (145)
Parlare in un modo e pensare in un altro. (106)
Pronunziare ingiusti giudizii. (14)
Sfuggire per caso a un gastigo meritato, e dimenticar poi la vergogna d’averlo commesso. (62)
Intimorire la gente. (98)
Darsi inconsideratamente in braccio a’ cattivi compagni. (102)
Cercare di ottenere più di quello che il destino ha stabilito che dovessimo avere. (117)
Ostinarsi a soddisfare, a tutti i costi, a’ proprii capricci. (13)
Volere riuscire in imprese che non son da noi. (118)
Usare astuzia e frode per riuscire in un intento. (94)
Odiare e maledire coloro, che non hanno voluto assecondare qualche nostro disegno. (83)
Far cose di nessuna utilità. (142)
Inventar frottole, o usar frodi o artifizii. (10)
Prestare ascolto alle chiacchiere della moglie o della concubina. (103)
Tenere in non cale le cose vecchie, quando si hanno le nuove. (105)
Distruggere le messi in erba. (59)
III. — Peccati contro la roba e gli averi altrui.
Essere avidi della roba altrui, e cercar d’averla in qualunque modo. (92)
Desiderare di possedere quello che di buono o di bello hanno gli altri. (8, 129)
Appropriarsi qualcosa per forza, o chiedere quel che non c’è dovuto. (91)
Arricchirsi con mezzi illeciti, e poi menar vanto delle proprie ricchezze. (61, 125)
Arricchirsi con latrocinii e rapine. (93)
Rubare sul peso e sulle misure. (123)
Adulterare le merci di buona qualità. (124)
Prendere imprestito e non rendere. (117)
Desiderare la morte di coloro, a cui siamo debitori di danaro. (82)
Procacciar d’avere gli ufficii che hanno gli altri. (25)
Carpire quello che altri ama. (55)
Esporre altri in un pericolo per salvar sè stessi. (45)
Cercare il proprio utile a danno altrui. (46)
Frodare dando cattiva roba in cambio di buona. (47)
Appropriarsi la gloria, frutto dell’ingegno altrui. (49)
Tendere agguati per ingannare i semplici o gl’ignoranti. (8, 127)
Desiderare che i possessori di grandi ricchezze le perdano o le dissipino. (80)
Far mangiare agli altri alimenti infetti. (121)
IV. — Colpe che si posson commettere singolarmente
nel modo di condursi con gli altri.
Desiderare la sventura altrui. (43)
Adoprarsi che alcuno non colga i frutti del suo onesto lavoro, o la ricompensa dovuta al suo merito. (44)
Nascondere per invidia i pregi, che abbiamo riconosciuti in altri. (50)
Mettere in rilievo gli altrui difetti. (51)
Manifestare gli altrui segreti. (52)
Metter la discordia tra parenti. (54)
Esser cagione che si faccian liti e processi. (101)
Umiliare alcuno per poterlo più facilmente sottomettere e soggiogare. (58)
Obbligare gli altri a subire le conseguenze delle proprie male azioni, o delle proprie disgrazie. (64)
Deridere gli orfani e opprimere le vedove. (28)
Confondere gli altrui disegni, per impedir che un affare riesca bene. (77)
Mandare a monte un matrimonio. (60)
Sciupar gli arnesi da lavoro, per impedire agli altri di guadagnarsi il pane. (78)
Desiderare che a coloro, i quali sono arrivati al colmo della gloria e degli onori, si muti in peggio la sorte, e cadano in rovina. (79)
Attribuire alla mala condotta altrui l’altrui disgrazie. (84)
Prendersi beffe dell’altrui infermità. (85)
Frapporre ostacoli al conseguimento d’un fine, che si proponga alcuno, il quale per capacità e ingegno sia meritevole di conseguirlo. (86)
Procurar di rompere le dighe affine d’inondare le altrui proprietà; o appiccare il fuoco alle altrui case. (76)
V. — Colpe che posson commettere singolarmente le persone che hanno qualche pubblico ufficio.
Costringere persone ben nate a far mestieri vili. (126)
Caricare di troppo lavoro uomini o bestie. (74)
Punire o ricompensare fuor della giusta misura. (95)
Approfittare della propria forza e autorità, per opprimere o tormentare gli altri. (96)
Rovinar le famiglie per impossessarsi del loro patrimonio. (75)
Tener poco conto della vita de’ sottoposti. (20)
Cercar d’impedire che la povera gente s’industri per guadagnarsi il pane. (36)
Dare ricompense a chi non se le merita. (22)
Infligger gastighi agl’innocenti. (23)
Lasciarsi indurre co’ regali a violar le leggi. (29)
Per cagion privata tralasciar di fare alcuna cosa d’utile pubblico. (48)
Arrecar disordine e confusione nelle pubbliche amministrazioni. (21)
Dare il torto a chi ha ragione, e la ragione a chi ha il torto. (30)
Punire severamente i piccoli falli, alla stessa guisa che se fossero delitti. (31)
Inveire contro coloro, che sono condannati alla pena capitale. (32)
Procurare la morte d’alcuno, affine d’impossessarsi del suo. (24)
Trucidare i nemici che si arrendono e si sottomettono. (26)
Esiliare dallo Stato i savii e gli onesti. (27)
VI. — Colpe che si possono commettere verso gli animati e le piante.
VII. — Colpe che hanno del sacrilego,
o che riguardano alcuna superstizione.
Bestemmiare gl’Iddii; o mormorare contro il Cielo e contro gli uomini. (99, 100)
Giurar per gl’Iddii, della propria onestà. (129)
Prendere a testimoni il Cielo e la Terra, di qualche nostra azione illecita. (113)
Maledir la pioggia o il vento. (100)
Attirarsi addosso l’attenzione degli Dei, a cagion della nostra cattiva condotta. (114)
Mostrar disprezzo per le anime degli antenati. (140)
Pentirsi delle elemosine fatte. (115)
Oltraggiare coloro che praticano il Tao e la Virtù. (38)
Confonder la gente con false dottrine. (122)
Nascondere l’effige di qualcuno per procurargli maleficii. (87)
Saltare per di sopra a un pozzo, o per di sopra a un focolare. (116)24
Saltar per di sopra agli alimenti ammucchiati in terra, o per di sopra a un uomo sdraiato. (147)
Cantare o ballare l’ultimo giorno del mese (Hui), o l’ultimo giorno dell’anno (La). (150)25
Gridare o litigare il primo giorno del mese, o in su le prime ore del giorno. (151)26
Piangere, o sputare dalla parte di settentrione. (152)27
Cantare o piangere dinanzi al focolare domestico. (153)
Bruciar incenso con fuoco preso dal camino. (154)
Cuocere alimenti ardendo legna sudice. (155)
Levarsi nudo, la notte. (156)28
Infliggere punizioni, mentre siamo in alcuno degli otto periodi detti Pa-tse. (157)29
Sputare, quando si vede una stella filante, credendo così di scongiurare le calamità. (158)
Additare l’arco baleno, specialmente quando è a oriente; la qual cosa porta di grandi disgrazie. (159)
Additare, senza il rispetto dovuto, il sole, la luna e le stelle. (160)
Fissar collo sguardo il sole o la luna. (161)
Andare a caccia la primavera, e bruciar le siepi per scovar gli animali. (162)
Bestemmiare o dir male parole essendo voltati a settentrione. (163)
Uccidere senza ragione le tartarughe o i serpenti. (164)30
Note
- ↑ S. Julien: Le livre de la voie et de la vertu, p. xliii. Su-Cêh dà queste notizie intorno a sè stesso e al suo commento, nella prefazione al medesimo.
L’edizione commentata da Su-cêh, dalla quale il Julien ha tolte le dette notizie, porta il titolo di Tao-tê-king-kiai «Cette édition, dice il dotto sinologo francese, a été publié en 1089 par Sou-tche ou Sou-tong-po appelé plus souvent Sou-tseu-yeou, qui a été l’un des écrivains les plus célèbres de la dynastie du Song». Si avverta che Sou-tong-po (Su-Tung-pho, secondo la nostra trascrizione) è il nome del fratello maggiore di Sou-tseu-yeou (Su-Tse-yu); e i due nomi non sono epiteti dati ad una stessa persona. I due fratelli erano entrambi valenti poeti e letterati; nativi di Mei-ceu in provincia di Sse-chuan. Il maggiore chiamavasi di nome She, di cognome Tse-cên (e con siffatto cognome lo cita anche il Julien), e di soprannome Tung-pho; il minore, che è l’autore del commento a Lao-tse, si chiamava di nome Cêh, di cognome Tse-yu, e di soprannome Ying-pin: Su è il casato. - ↑ Citato nel Wên-hsien-thung-khao, lib. 211, f, 11 v.
- ↑ Khan-ing-pien, le Livre des récompenses et des peines, en Chinois et en Français, accompagné du quatre cents légendes, anecdotes et histoires, qui font connaitre les doctrines, les croyances et les moeurs de la secte de Tao-sse. Paris, 1835.
- ↑ I tre magistrati sono Tse-wei-ti-kün, che concede la felicità; Tsin-ling-ti-kün, che perdona le colpe; Yang-keu-ti-kün, che libera dalle disgrazie. I cinque sovrani sono: 1º Tsing-ti-ling-wei-niang, 2º Ci-ti-ci-piao-niu, 3º Huang-ti-han-cu-niu, 4º Pe-ti-pe-cao-kü, 5º He-ti-hsie-kuang-ki.
- ↑ Vedi pag. 431, nota 1 (20).
- ↑ Il concetto dell’inferno e delle pene inflitte a’ peccatori nell’altra vita, i Taosi lo presero dal Buddhismo.
- ↑ Sono gli spiriti che i Cinesi chiamano San-tai, le «Tre eminenze», che nel Cielo sono rappresentati dalle tre coppie di stelle, segnate τ χ, δ μ, υ ξ, dell’Orsa maggiore; e lo spirito Pe-teu-shén-kün, che presiede a quella parte di cielo detta Tse-ki. Questi Geni sono quelli che specialmente regolano e dirigono la durata della vita umana. Pe-teu è una costellazione di sette stelle che rispondono alla α, β, γ, δ, ε, ζ, η della Grande Orsa.
- ↑ Julien, pag. 223-227.
- ↑ Sono: 1º Scuola de’ letterati, Jü-kia-liu; 2º Scuola taoistica, Tao-kia-liu; 3º Scuola degli oroscopi, Yin-Yang-kia-liu; 4º Scuola di giurisprudenza, Fa-kia-liu; 5º Scuola di diplomatica, Ming-kia-liu; 6º Scuola de’ seguaci di Meh-tse (vedi pag. 395), Meh-kia-liu; 7º Scuola di politica, Tsung-Huang-kia-liu; 8º Scuola mista, Tsa-kia-liu; 9º Scuola d’agricoltura, Nung-kia-liu.
- ↑ Julien, pag. 422-423.
- ↑ Julien, pag. 398-399.
- ↑ Vedi pag. 456.
- ↑ Julien, pag, 115-130.
- ↑ Il Commento dice: «Non si deve amare soltanto gli uomini, ma anche gli animali. Essi, per quanto piccolissimi possano essere, tutti hanno vita, la quale amano potentemente per istinto, e grandemente temono la morte. Non conviene perciò ucciderli senza cagione, come inconsideratamente fanno i più degli uomini».
- ↑ Il Commento dice: «Anche le piante, benchè prive di movimento, hanno in se stesse il principio vitale, che vien loro dal Cielo e dalla Terra. Offender le piante è come offender il Cielo e la Terra, che hanno dato la vita a tutte le creature».
- ↑ I numeri fra parentesi stanno a indicare l’ordine, in cui son distribuite queste colpe nel libro del Kan-yin-phien.
- ↑ «L’uomo veramente umano di cuore ha sentimenti comuni con quelli del Cielo e della Terra, e si guarda dall’uccidere il più piccolo e il più debole degli animali. Quanta più gran colpa sarà dunque quella d’uccidere un fanciullo dell’uno o dell’altro sesso! Vi sono delle donne che per nascondere i loro illeciti amori procurano di distruggerne il frutto che ne portano in seno; vi son de’ poveri che non avendo di che mantenere una numerosa figliuolanza, uccidono i bambini appena nati, quando non possono altrimenti farli nascere immaturi e morti. Sono questi i più gran delitti, di cui l’uomo possa rendersi colpevole». Commento.
- ↑ «Quando gli uccelli e i quadrupedi errando lontani da’ lor nidi dalle loro tane sono uccisi dalle frecce del cacciatore; possono paragonarsi agli uomini, che, lontani dalle lor case, sono uccisi da qualche masnadiero in sulla pubblica via. Perchè non pensare alle famiglie che aspettano ansiose il ritorno de’ loro cari? Gli antichi dicevano: Non uccidete gli uccelli che hanno già tre primavere d’età: i loro figliuolini sono nel nido che aspettano. E così è anche degli animali quadrupedi». — Commento al Kan-yin-phien.
- ↑ «I nidi sono come le case degli uomini; se voi le distruggete, dove volete che i poveri uccellini depositino le uova, e allevino i bambini? I buchi sono come le porte delle nostre case; se voi li tappate, non è come voler far morire una intera famiglia di bestioline innocenti?». — Commento.
- ↑ «Per offrir sagrificii, per nutrire i genitori malati o vecchi, per fare onore a un ospite, non si può fare a meno d’uccidere qualche animale domestico; inquantochè ciò viene prescritto dal rituale. Ma se voi li uccidete per soddisfare alla vostra ingordigia o ghiottoneria, commettete peccato. Il Li-ki dice: — L’imperatore non uccida un bue senza motivo, un cortigiano non uccida senza motivo un montone, un cittadino qualunque non uccida un cane o un porco. Ogni volta che si ammazza un animale domestico, si trasgrediscono le leggi canoniche. — Oggidì vi sono tanti, che, per un sol desinare, uccidono parecchi animali di diversa sorte. Vi è chi getta nella padella i gamberi e i pesciolini vivi vivi; chi leva dal ventre materno l’animalino non nato, per avere la carne più tenera. Tutto per soddisfare alla gola; senza pensare che si commetton peccati, che tosto o tardi il Cielo punisce severamente». — Commento.
- ↑ «I vecchi alberi spesso son luogo di ritrovo o di riparo ai demonii e agli spiriti; se dunque a colui che li abbatte con l’ascia accade sovente disgrazia; tanto più severamente il Cielo punirà coloro che col veleno fanno morire quelle piante». — Commento.
- ↑ «Il Cielo ha dato il grano per nutrire il popolo; e noi dobbiamo tenerlo come cosa di grandissimo prezzo. Se noi lo lasciamo sparso sulle vie; se lo facciamo marcire ne’ granaii; se per caso lo calpestiamo, ci attireremo la collera celeste; e le inondazioni o la siccità ci ridurranno a morir di fame». — Commento.
- ↑ «Un pezzettino di stoffa di seta costa la vita a moltissimi filugelli; ecco perchè non si deve inconsideratamente sciuparla, a rischio di commettere un gran peccato contro al Cielo». — Commento.
- ↑ Il Commento ha: «L’acqua de’ pozzi è necessaria alla vita degli uomini; e inoltre i pozzi e i focolari sono sotto la protezione di certi speciali Dei. Traversando que’ luoghi con un salto, non solo si fa offesa ad essi Iddii, ma si dimentica anche il rispetto che si deve a cose che son di somma importanza pel viver quotidiano. Si dice pure che non è lecito guardar giù nel pozzo, o sputarvi dentro, né sedersi sopra la spalletta. È noto inoltre, che il «Dio del focolare», Tsao-shén, è uno de’ cinque, a’ quali si suole offrire i sagrificii domestici. Lao-tse ha detto: Coloro che seguono la mia dottrina basta che sagrifichino al Dio del focolare e agli antenati: ogni altro sacrificio è inutile».
- ↑ Nell’ultimo giorno del mese il Dio del focolare, Tsao-shên sale in Cielo a render conto della condotta degli uomini; l’ultimo giorno dell’anno, gli Iddii del Cielo e della Terra esaminano i registri delle opere umane, per dare o punizioni o premi, secondo i casi.
- ↑ Il Commento dice: «Tutti gli affari incominciano il primo del mese; e le faccende giornaliere allo spuntar del giorno; per la qual cosa il savio in que’ tempi brucia profumi e onora gli Iddii del Cielo e della Terra, e le anime de’ defunti; e non si dà nè alla gioia nè alla collera».
- ↑ Il Commento dice: «Il settentrione è il luogo, dove dimora lo spirito dell’Orsa maggiore (vedi a pag. 499); e il Polo settentrionale è il perno del Cielo, da cui dipendono tutti gli Iddii dell’universo. Piangere o lanciar acqua verso la parte di settentrione è fare insulto agli Dei; i quali per tal peccato ci accorceranno la vita. Si badi ancora dì non sputare o lanciar acqua dalla parte d’oriente, in primavera; o in estate, dalla parte di mezzogiorno; o d’occidente, in autunno».
- ↑ Il Commento dice: «Gli Dei passeggiano per tutto, anche durante la notte; laonde, per rispetto a loro, non conviene levarsi nudi, non ostante che sia buio».
- ↑ Sono: 1° Li-chun (il 4 febbraio); 2° Chun-fên (il 21 marzo); 3° Li-hsia (il 6 maggio); 4° Hsia-ci (il 21 giugno); 5° Li-thsiu (l’8 agosto); 6° Thsiu-fên (il 23 settembre); 7° Li-tung (l’8 novembre); 8° Tung-ci (il 22 dicembre). Si suppone che in questi tempi lo Yin e lo Yang siano in evoluzione, e che nella natura come nel corpo umano si operi un cambiamento; e però si crede anche che applicando punizioni, come colpi di bastone o altre torture, il condannato non potrebbe reggere al supplizio, e morirebbe.
- ↑ La tartaruga e il serpente rispondono alla costellazione settentrionale Huan-wu; e uccidere quegli animali sarebbe attirarsi di grandi sventure.