Il Buddha, Confucio e Lao-Tse/Parte Seconda/Capitolo VI
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Capitolo VI.
Breve storia della Letteratura e della Filosofia cinese fino all’undecimo secolo d. C.
Quando trattammo del Buddhismo, ragionando delle molte trasformazioni che ebbe, delle molte sètte in cui si partì, e della gran diversità tra la dottrina primitiva e l’odierna, avemmo occasione di conoscere quanto fosse lungo, laborioso e multiforme lo svolgimento di quel sistema religioso: e questo si troverà non soltanto da chi percorre la storia di esso, ma da chiunque prenda a studiare quella di qualunque religione, che abbia per fondameto una letteratura sacra. Il Confucianesimo, tra le altre singolarità, non porge nemmeno fatti consimili. La sua storia non registra tutte quelle vicende, così comuni nella storia di altre credenze: la dottrina dei discepoli di Khung-fu-tse, e quella degli odierni seguaci della scuola chiamata de’ Letterati, non differiscono sostanzialmente fra loro. La qual cosa mi sembra che si possa anch’essa mettere tra le prove, e molte ve n’ha, le quali tendono a dimostrare essere questa dottrina sistema filosofico, piuttosto che religioso.
Al tempo che regnò la dinastia dei Sung (960-1279), un ridestarsi dell’attività intellettuale, sopita da qualche secolo, diede origine a una nuova scuola di filosofi confuciani, i campioni della quale ebbero nome Sung-jü o «Letterati de’ Sung». Alcuni veggono nelle dottrine insegnate da costoro un mutamento notabile, comparandole a quelle di colui che onoran Maestro; e un intendere a tutto spiegare per via di sole forze, fisiche e meccaniche, che non s’addirebbe all’indole degl’insegnamenti de’ primi savii. Il Buddhismo e il Taoismo avrebbero, al dir d’alcuni, spinto verso tal degeneramento: e specialmente il primo, per la sua propensione a escluder Dio dall’opera creatrice dell’Universo. Daniele Bartoli parla di questi siffatti filosofi con le seguenti parole: «Convien dunque sapere, che nell’Imperio della famiglia Sum, che regnò l’ultima avanti il cader che poi fece la Cina in signoria de’ Tartari, vinta a forza d’armi, sono ora intorno di quattrocentocinquanta anni, si formò una nuova Accademia o sètta di letterati traenti diritto all’Ateismo. Perciò ostinatamente negarono tutti gli Spiriti e buoni e rei, e la vita immortale dell’anima: e quanto alle antichissime loro scritture, le quali avevano testi troppo evidenti in dichiarazione d’esservi Iddio, e Angioli, e Demonii, perciocchè i loro avversarj allegandoli gli strozzavano, trovarono essi maniera di svilupparsene, interpretandoli a mistero di pura filosofia naturale. Per tanto Sciantì e Tienciù altro non essere che la pura aria celeste, per cui qua giù discendono le influenze, sotto nome di buoni Angioli le benefiche, e di rei Demoni le maligne. Altri essere la materia che noi chiamiamo prima, da sè indifferente a trasformarsi in tutto. Altri, un principio universale agente, e motore delle cause particolari, colle quali egli, che in sè ha virtualmente la natura d’ogni essere e d’ogni forma, concorre ad ogni nuovo producimento. E così altri, ognuno di capriccio, diversamente; se non che tutti in un medesimo accordo di sterminare via dal mondo ogni sustanza immateriale, e ridurre gli spiriti a corpo. E affinchè con essi la gloria, in cui sola studiavano, non morisse, aspirando al fastoso titolo d’inventori e maestri d’una non più pensata filosofia, ne composero e divulgarono libri in fioritissimo stile, i quali perciò avidamante letti ne continuarono la Setta e fecer loro discepoli e seguaci una non piccola parte dell’ordine de’ Letterati».
L’accusa data a’ letterati di questo tempo, d’aver portato un mutamento tanto radicale nelle dottrine di Confucio, non mi par molto fondata. Gli Dii sono gelosi, sospettosi, permalosi, e non soffrono che venga loro, non che diminuita la potenza, tolto affatto il comando delle cose del mondo. Se il Thien e lo Shang-ti fossero stati veri e proprii Dii: se il concetto di Dio fosse stato chiaramente e indubitatamente espresso ne’ King, alcuni filosofi non sarebbero valsi a escluderlo dalla dottrina, non d’una accademia o d’una scuola, ma di tutta quella parte del popolo cinese, che pratica il Confucianesimo. I più de’ credenti si sarebber levati in difesa del vecchio Shang-ti, contro chi tentava di distruggerlo; dove non gli si fosse sostituito altro Dio più giovane e più adatto a’ tempi. Invece le idee della nuova scuola prevalsero; e le voci in favore di questo preteso Jehova cinese, anche in Cina, furon poche e deboli; e l’odierno Confucianesimo (delle tre religioni dell’Impero di Mezzo quella professata dalla classe più culta e civile) è appunto quello rinvigorito, non guasto, da’ filosofi che fiorirono sotto il regno de’ nominati monarchi. Se dunque s’avesse a credere ciò che molti pretendono, che i detti filosofi abbian corrotte le credenze de’ primi Cinesi, togliendo il vecchio Dio delle lor vecchie scritture; converrebbe pur credere che d’un tal Dio se ne facesse poco conto, poichè fu cosa tanto agevole cacciarlo in bando, senza che la coscienza pubblica ne fosse spaventata e sconvolta. Ora, trattandosi d’un personaggio di simil genere, tra il farne poco conto e il non farne alcuno, il divario non è grande; e perciò non si può andare errati affermando, che almeno in quanto si riferisce all’idea di un Ente supremo, il Confucianesimo antico e quello del tempo de’ Sung non devono differire di molto fra loro.1
E in vero, le scuole de’ letterati non erano entrate fino allora nel campo, in cui s’avanzarono coraggiosamente i dotti dell’ultima scuola. Confucio e Mencio stessi, preoccupati sempre da questioni di morale, di politica, di benessere sociale, non furono punto vaghi di speculazioni filosofiche. L’antica fede del popolo, qualunque essa fosse, la lasciarono intatta, senza discuterla; ma rispettandola, e inculcandone il rispetto. Quali idee eglino avessero sull’essenza di quella fede, non si rileva chiaramente dagli scritti che ci hanno tramandati. Il libro del l’Yi-king, che è il testo su cui fondarono le teorie cosmogoniche e ontologiche i filosofi dei Sung, fu ammesso fra i libri sacri per essere opera d’uomini tanto benemeriti quali Wên-wang e Ceu-kung; ma s’ignora che congetture tirassero da quelle carte misteriose i primi discepoli. Resta dunque a sapere, se piuttosto che avere alterata l’antica dottrina, i letterati dei Sung avesser procurato d’interpretare, secondo l’intendimento del sistema confuciano, quel che Confucio e Mencio e gli altri che vennero poi non vollero o non osarono interpretare ed esporre; e se i difensori dell’idea di Dio, nelle scritture canoniche, fossero essi meglio che gli altri sotto l’influenza degl’insegnamenti mistici, allora tanto diffusi, di alcune sètte buddhiche e taoistiche, da render loro inabili a bene intendere le dottrine dell’antico Filosofo di Lu. Comunque sia c’è ora mestieri studiare alquanto l’opera di questi letterati, che dettero al Confucianesimo la forma che ha oggidì, e nella quale è generalmente professato. Ma avanti di far questo, sarà bene vedere un po’ quel che accadde ne’ quindici secoli, che separano costoro da Confucio e Mencio.
Tutto questo tempo, riguardo alla storia dell’incremento intellettuale della nazione cinese, si può dividere in quattro epoche o periodi, che abbraccian ciascuno tre o quattrocent’anni. Il primo è un periodo di contrasti e di lotta. L’antica dottrina ripristinata da Confucio si trovò a fronte certe nuove dottrine eterodosse, che tentarono di soverchiarla, i campioni delle quali erano Me-ti, Yang-cu, Lieh-tse.2 Mencio si levò a combattere questi filosofi, le cui idee, opposte a quelle del suo Gran maestro, minacciavano di ricondur gli uomini alla barbarie. Anche gl’insegnamenti di Lao-tse, ai quali Wên-tse, Han-fei-tse e specialmente Cuang-tse3 dettero molto credito e gran diffusione, non furono piccolo ostacolo al progredire del Confacianesimo. Ma la lotta più seria l’ebbe a sostenere con l’avversità de’ tempi, che il disordine politico dell’Impero non rendeva propizi a quella riforma morale del popolo, alla quale aspirava il Filosofo cinese: lotta che terminò, come vedemmo, con la distruzione dei King e degli altri libri del medesimo genere.
Il secondo periodo comincia con la dinastia degli Han (206 av. C.). Gli animi del popolo e di molti sovrani volgevano favorevoli alle dottrine del Tao, le quali ebbero in questo tempo il loro pieno svolgimento. Le speculazioni filosofiche fondate sugli scritti della scuola di Lao-tse, e le superstizioni popolari si unirono per formare un nuovo sistema, nel quale la magia e l’astrologia, con tutte le stravaganze che tali filosofi potevano inventare il volgo poteva credere, n’erano la parte principale. Ma non ostante questo, l’autorità di Confucio non ebbe a soffrire; essendochè non mancarono intelletti sani che si dettero allo studio dei testi canonici e dei classici, i quali appunto allora s’andavano di mano in mano ritrovando. E se le dottrine di Lao-tse, così mal comprese e mal coltivate produssero effetti tanto poco conformi alle intenzioni del fondatore della scuola Taoistica, quelle di Confucio si mantennero nella loro integrità; e a questo fine intesero sempre i letterati e i dotti, che si occuparono a commentare e a illustrare gli scritti, che contenevano gl’insegnamenti di quel savio. La letteratura classica s’accrebbe a dismisura, tanto che, in sul terminare di questo secondo periodo, Liu-Hsiang (80-9 av. C.) incaricato dal sovrano allora regnante di compilare un catalogo de’ libri che si conoscevano, notò il nome di seicentoventiquattro autori, che avevano scritto più di undicimila capitoli intorno a materie diverse.4
Il terzo periodo è quello, in cui fiorì il Buddhismo. Tutte le menti sono occupate dalla nuova credenza, che veniva d’Occidente; i dotti cercano e studiano le scritture del Tripitaka; la metafisica buddhica ferma l’attenzione dei filosofi cinesi; l’astronomia, la mitologia, la grammatica indiana sono pure coltivate con amore, per potere intender bene i libri della religione di Çâkya. La letteratura buddhica prende insomma un posto importante nella cultura e nella civiltà cinese.
Con la dinastia di Thang (618-906 d. C.) cessò alquanto il fervore per la dottrina straniera di Çâkyamuni; e sorse un’èra propizia per gli studii delle belle lettere, e specialmente della poesia. La Cina non contò mai tanti poeti quanti allora, alcuni dei quali veramente eccellenti. Gli spiriti, stanchi dell’astruserie della metafisica indiana, e delle fantasticherie de’ seguaci di Lao-tse, si riposavano in que’ campi sereni; e nessun filosofo, tranne Han Wên-kung,5 venne col suo cipiglio a turbare la giocondità di tanti cantori, che s’ispiravano, più che ad altro, alla bellezza della natura, e a’ piaceri del vino.
È però da notare che in questo tempo, in sul cominciare del secolo x d. C., l’arte della stampa ebbe in Cina un grandissimo incremento. Le storie cinesi ci serbano memoria d’un decreto di Wén-ti, fondatore della dinastia dei Sui (593 d. C.), col quale si ordina di raccogliere tutti i disegni e i testi inediti, e inciderli su tavolette di legno, per renderli pubblici: ciò che prova che il modo di stampare era già stato trovato molto prima; ma sotto i Thang soltanto se ne fece più comune l’uso: anzi durante il regno dell’ultimo di que’ sovrani (906 d. C.) s’incominciò anche ad adoprare la litografia, per dare in luce le opere letterarie.
A quegli ozii beati successero tempi di nuova attività intellettuale pei dotti della scuola classica. Il Confucianesimo, da Mencio fino all’xi secolo d. C. non aveva fatto un passo; e se noi abbiam contati quattro periodi nella storia generale della cultura e della civiltà cinese, la storia del Confucianesimo non ne ha veramente che due: il primo che va da Confucio fino alla dinastia de’ Sung, il secondo, che principia con essa. «Caduta la dinastia de’ Ceu», dice la Introduzione al Thai-ki-thu-shuo, il quale libro citeremo fra poco, «morto Mencio, la tradizione della dottrina fu interrotta. Passarono molti secoli, durante i quali sorsero e perirono le stirpi reali dei Thsin, degli Han, de’ Tsin, de’ Sui, e de’ Thang; quand’ecco finalmente sopraggiungere il regno de’ Sung; e in quel tempo appunto che i Cinque pianeti entrarono nella costellazione Khuei (967 d. C.), incominciava l’èra del rinascimento intellettuale. Allora la terra vide di nuovo uomini, che per virtù e sapere ricordavano gli antichi. E costoro senza aiuto di maestro, che la generazione de’ depositarii della scienza era spenta da un pezzo, ma con le proprie forze, e con la propria abilità, si fecero addentro nella essenza della Dottrina filosofica, comprendendo appieno le scritture che la racchiudevano. Valenti sopra gli altri furono i Chêng-shih;6 i quali estesero per tutto le loro ricerche, e per tutto portarono la luce. Studiando il corso degli astri, le leggi sociali, la moltitudine degli esseri e de’ fenomeni dell’universo, i segreti delle influenze benefiche e malefiche, intesero sempremai a una perfetta unità di dottrina; cosicchè in quel secolo felice pareva che le splendide tradizioni di Ceu-kung, di Confucio, e di Mencio fossero di nuovo tornate a illuminare il mondo».
Il Confucianesimo si può dir che non avesse in principio che la morale, la politica e la storia: nessuna teoria sulla formazione dell’universo, nessuna idea positiva intorno al fattore o a’ fattori di tutte le cose esistenti, nè intorno alle forze e alle leggi naturali; la metafisica confuciana comincia propriamente in questo ultimo periodo dello svolgimento intellettuale della schiatta sinica.
L’iniziatore di un’èra tanto gloriosa nella storia della letteratura dell’Impero di Mezzo fu Ceu-tse,7 il quale diede in luce un’opera che porta il titolo di Thai-ki-thu-shuo, dove si tenta di spiegare il sistema del mondo nell’ordine fisico e nel morale; e a quest’opera ne tenne dietro un’altra intitolata Thung-shu,8 che insieme con la prima forma la base del Confucianesimo nuovo, o di quella dottrina che fu chiamata Sung-jü, che è quanto dire de’ «Letterati del tempo de’ Sung». A Ceu-tse dunque è attribuito il merito d’aver risuscitato quelle grandi verità proclamate dagli antichi maestri, le quali gli uomini avevano quasi messe in non cale durante i tredici secoli, che erano passati dalla morte di Mencio. Gli scrittori di questo tempo, che danno a Ceu-tse un vanto sì bello, non dicono che i letterati vissuti ne’ tempi andati non avessero studiato per tutti quegli anni i sacri testi; ma credono che i migliori studiosi d’allora non facessero che tenersi ciecamente alla lettera, senza che il pensiero si facesse bene addentro ne’ concetti delle antiche scritture. Fatto sta, che quantunque gli autori che furono prima di Ceu-tse, compreso Confucio, professassero di non far altro che insegnare quel che era contenuto ne’ King, qualche novità, a loro insaputa, pur s’introdusse nella vecchia dottrina; ma di sì poco conto, che passò inosservata, e si perse e confuse tra quelle che nacquero durante il grande incremento, che ebbero le discipline speculative al tempo dei Sung.
La scuola iniziata da Ceu-tse proseguì gloriosamente, in ispecial modo per opera de’ due fratelli Chêng-Hao e Chêng-I, suoi contemporanei; i quali s’occuparono specialmente dei libri classici Ta-hsio e Cung-yung, a cui dettero un razionale ordinamento, e tolsero di mezzo al Li-ki, del quale avevano fino allora fatto parte.9
La pleiade di dotti che rese famoso il regno dei Sung, si estinse con Cu-hsi, di tutti il più chiaro: con lui si chiude la grande èra del risorgimento filosofico e letterario della Cina.10 Al pari di quasi tutti i celebri letterati cinesi, fu uomo che rese al suo paese grandi servizi anche come pubblico ufficiale; e cominciando dalla più umile carica, relegato in provincia lontana, e in mezzo a ribelli, procedette fino ad arrivare a poco a poco alla più ambita e alla più vicina al sovrano. Ebbe per tal guisa commercio con ogni classe sociale, e modo di conoscere e studiare la vita d’ogni genere di cittadini, dal volgo all’imperatore stesso. Letterato e filosofo, che conosceva gli uomini come in generale pochi letterati e pochi filosofi li conoscono, potè accingersi veramente con frutto a scrivere quella Storia del suo paese, che è oggi una delle più stimate, e che basterebbe essa sola a dargli fama di scrittore de’ più insigni. Egli fu d’una attività letteraria prodigiosa, non ostante le molte cure che richiedevano i diversi ufficii che egli ebbe; e pubblicò molti libri di vario genere, alcuni de’ quali di vasta mole e somma importanza:11 e oltre a quelli, i discepoli, dopo la sua morte, misero in luce nel 1270 un’opera, che raccoglieva i suoi insegnamenti, col titolo di Cu-tse-yü-lei «Detti memorabili di Cu-tse», in centoquaranta libri. Ma i lavori che resero il suo nome celebre e conosciuto anche in Occidente quasi quanto quello di Confucio, sono i commenti e le introduzioni ai sacri testi, dove mostra quanta lucidità e giustezza d’idee e che vasta dottrina egli avesse. La sua attenzione fu rivolta singolarmente ad annotare e illustrare i «Quattro libri classici» e l’Yi-king: le sole opere non contate fra le canoniche nè fra le classiche, che egli si ponesse a illustrare per iscritto, furono quelle due di Ceu-tse, che abbiam menzionate di sopra, e con le quali s’iniziò questa grand’èra filosofica.
Una nuova espressione cominciò anche a usarsi per indicare il sistema di filosofia, di cui stiam discorrendo: esso chiamossi Sing-li, che verrebbe a dire «Ragion della Natura» o «Filosofia naturale e razionale». Questo nome lo adoprò il primo un discepolo di Cu-tse; e quando l’Imperatore Chêng-tsu Wên-ti, terzo della dinastia dei Ming, pose ad effetto un suo pensiero, di riunire i principali trattati che illustravano le dottrine di Ceu-tse e di Cu-tse, diede all’opera, che da lui si fece compilare e che vide la luce l’anno 1415, il titolo di Sing-li Ta-thsiuan-shu «Raccolta compiuta di scritti sulla Filosofia naturale». Quest’opera, in settanta libri e ventiquattro volumi, contiene i saggi di più di cento filosofi di detta scuola; e fu composta e pubblicata per cura di Hu-kuang, dell’Accademia imperiale di Scienze e Lettere di Pekino, con l’aiuto d’altri quaranta eruditi. A capo di questa raccolta stanno il Thai-ki-thu-shuo e il Thung-shu di Ceu-tze, che abbiam più volte menzionati.12
Note
- ↑ D. Bartoli; La Cina, lib. i, cap. cxx.
- ↑ Me-ti o Me-tse scrisse un’opera intitolata Kien-ai «Dell’Amore universale», intorno alla quale vedi J. Legge, Chinese Classics, t. ii, prolegomeni, p. 103-126.
Yan-cu Tse-kiu è tenuto da alcuni come discepolo di Lao-tse, la qual cosa è da molti messa in dubbio. Le dottrine di questo filosofo furono paragonate a quelle di Epicuro. Vedi J. Legge, op. cit., p. 95-102, e p. 374 di questo nostro libro.
Lieh Yü-kheu, comunemente chiamato Lieh-tse, scrisse un libro, che i più mettono tra quegli della scuola taoistica, il quale comparve, con un commento di Cang-can, nel 742 d. C. col titolo Chung-heu-cên-king, e nel 1007 con quello di Chung-heu-ci-te-king. — I tre menzionati filosofi vissero tra il v e iv secolo avanti l’era nostra. A loro si può aggiungere Siun-khuang ovvero Siun-khing, chiamato comunemente Siun-tse, principale sostenitore dalla dottrina eterodossa, la quale voleva che la natura umana fosse originariamente cattiva, e che tutto quel che v’è di buono in essa, e che tale si manifesta durante la vita degl’individui, è conseguenza dell’educazione. Fiorì tra il 370 e il 240 av. C. Vedi Op. cit., p. 82-91. - ↑ Intorno a questi filosofi vedi più avanti.
- ↑ Il sunto, che si reca qui sotto, di quest’opera bibliografica di Liu-Hsiang, condotta a termine dopo la morte di lui dal figliuolo Liu-Hsin, fa conoscere lo stato e la ricchezza della letteratura confuciana nell’ultimo secolo avanti l’èra nostra.
Opere intorno ai King e agli Shu, 3,213 cap. (phien) 103 autori » » alla Filosofia 2,705 » 137 » » » alla Poetica 1,318 » 106 » » » all’Arte militare 790 » 53 » » » alle Matematiche 2,528 » 190 » » » alla Medicina 865 » 36 » - ↑ Han-Yü Thui-cih soprannominato Cang-li, e più comunemente conosciuto col nome di Han Wên-kung, visse dal 768 all’824 e fu anch’egli poeta. Come filosofo, benchè ammiratore della dottrina di Confucio, volle esporre una sua teoria intorno all’umana natura: teoria che si allontanava dall’opinione ortodossa, e con la quale tentava di metter d’accordo le idee di Mencio e quelle di Siun-tse. Secondo Han Wén-kung, gli uomini si possono dividere in tre classi: quegli che hanno un’innata bontà da lor natura; quegli che nascono con natura perversa; e quegli che non l’hanno nè buona nè cattiva, ma si conformano all’educazione che essi ricevono. Questa teoria ebbe molti seguaci, e durò fino a che Cu-hsi co’ suoi scritti non rimesse in vigore la pura dottrina degli antichi savii.
- ↑ I due fratelli Chêng-Hao e Chêng-I di cui parleremo più avanti. V. p. 401, in nota.
- ↑ Ceu-Tun-i Meu-shu, soprannominato Lien-khi sien-shêng, morì il 6º degli anni hsi-ning (1073), ed ebbe l’appellativo onorifico di Yüan-kung. Più tardi, il 1º degli anni shun-yen (1241), regnando Li-Tsung Huang-ti, gli fu dato il titolo di «Signore (Po) di Jü-nan».
- ↑ Ma-Tuan-lin dice, che «il Thai-ki-thu, in generale, si estende a definire e dichiarare il Primo principio (Yi-li), che è il Thai-ki, le Due essenze (Erh-khi), cioè lo Yin e lo Yang, e i Cinque elementi (Wu-hsing)». Di più aggiunge che «se Ceu-tse oltre al Thai-ki-thu non avesse fatto anche il Thung-shu, quando si dovesse istruir gli uomini intorno alla filosofia, non si avrebbero avuti i mezzi di farlo chiaramente; onde scritto ch’egli ebbe il Thai-ki-thu, compose anche il Thung-shu, e così incominciò a farsi la luce su le sue teorie filosofiche». Wên-hsien-thung-khao, ccx, fol. 1 e 2. — Wang-sse-huai, nel xvii secolo, compose un opera intitolata Thai-ki-thu-shuo-lun, nella quale espone in quattordici libri la dottrina contenuta nell’opera di Ceu-tse.
- ↑ Chêng-Hao Po-shun soprannominato Ming-tao, del paese di Khung-hsien nella provincia di Ho-nan, morì l’ottavo degli anni yüan-fun (1085 d. C.), all’età di poco meno che undici lustri. Ebbe il titolo postumo di Wên-lu-king. — Chêng-I Cêng-shu soprannominato I-chuan, fratello minore del sopraddetto, morì il primo degli anni ta-kuan (1107 d. C.).
«Le tradizioni della dottrina di Confucio «dice l’Enciclopedia sinico-giapponese, che abbiamo avuto occasione di citar più volte» dopo la morte di Mencio andarono vie più in rovina; e quantunque i libri che le conservavano ci fossero sempre, coloro che li conoscevano e li studiavano erano pochi. I fratelli Chêng furono tra questi; e vollero anzi farsi ravvivatori di quella fiamma, che da Mencio in qua era cotanto illanguidita. Presero a illustrare e spiegare l’Yi-king disposero ordinatamente i testi del Ta-hsio e del Cung-yung, che Siao-Tai aveva incorporati nei quarantanove libri del Li-ki; cosicchè eglino fecero veramente tornare in onore la dottrina de’ Letterati. Negli anni shun-hsi (1174-1190), mentre regnava l’imperatore Hsiao-Tsung, il dotto Cu-hsi riunì al Lun-yü e a Mêng-tse, co’ lor commenti, il Ta-hsio e il Cung-yung, e diede loro quell’ordinamento che oggi hanno. In questo modo si composero i così detti Quattro libri classici; i testi dei quali, in quella forma data loro da Cu-hsi, furono incisi nella grande Università, il quarto degli anni kia-ting (1212 d. C.), regnando Ning-Tsung». - ↑ Cu-hsi Yüan-hui o Cu-hsi Cung-hui, oggi comunemente chiamato Cu-tse, ebbe, mentre visse, molti pseudonimi; imperocchè i letterati cinesi amano farsi conoscere piuttosto che col loro nome e cognome, con certi appellativi, che essi prendono o che vengono dati loro, i quali spesso ricordano il luogo preferito di residenza, le qualità morali, il genere di studii, o altro che dir si voglia. Cu-hsi fu dunque detto ancora Thse-yang Sien-shêng, Yun-kuh Lao-jnê, Hui-wêng, Hui-ngan, Tun-wêng, Thsang-ceu-Tun-wêng. Nacque il quarto degli anni kien-yen (1130), regnando Kao-tsung de’ Sung nella città di Wu-yüan-Hsien dell’Hui-ngan-kiun in provincia di Kiang-nan: e morì all’età di anni 71, il sesto degli anni khing-yüan (1201), regnando Ning-tsung. Fu investito del titolo di «Signore del reame di Hui», e fu onorato coll’epiteto di Wên-kung «Signore delle Lettere».
- ↑ Ecco la lista delle opere di Cu-tse con la data del tempo, in cui furono compiute e pubblicate:
1. Kia-li, Il Galeteo delle Famiglie, 1170.
2. Thung-kiek-kang-mu, Storia generale dell’Impero Cinese, 1173.
3. Ming-chên-yin-hsing-lu, Atti e detti di celebri uomini di Stato, 1173.
4. Si-ming-kiai-i, Dichiarazioni intorno al Si-ming, 1174, vedi p. 404, n. 1 (3).
5. Thai-ki-thu-Cuan, Commento al Thai-ki-thu, 1174, v. p. 400.
6. Thung-shu-kiai, Dichiarazioni al Thung-shu, 1174, v. p. 400.
7. Kin-sse-lu, Notizie e pensieri intimi, 1176.
8. Chêng-shih-I-shu, Scritti postumi de’ Chêng, 1177, v. p. 401, n. 1.
9. Liu-shih-Hsiang-yo, Leggi paesane de’ Liu, 1177.
10. Lun-Mêng-Tsih-cu, Commenti a Mêng-tse e al Lun-yü, 1178.
11. Sse-shu-Huo-wên, Commento a’ Quattro libri classici, 1178.
12. Ceu-yi-Pên-i, Dissertazione intorno al Ceu-yi, 1178.
13. Shi-cuan, Commento al Shi-king.
14. Yi-king-Ki-mung, Guida a’ giovani nello studio dell’Yi-King, 1187.
15. Hsiao-king-Khan-wu, Edizione corretta del Hsiao-king, 1187.
16. Siao-hsio, Il piccolo studio, opera popolarissima per l’istruzione della gioventù, 1188.
L’Imperatore Khang-hsi nel 1713 fece raccogliere, in 66 libri, i principali scritti filosofici di Cu-tse, i quali comparvero col titolo Yu-tsuan-Cu-tse-Thsiuan-shu. - ↑ Le prime nove scritture che formano questa importante raccolta, sono:
1. Thai-ki-thu-shuo, di Ceu-tze vedi p. 400, n. 2
2. Thung-shu, dello stesso.
3. Si-ming, di Cang-tsai Tse-heu, comunemente chiamato Cang-tse, che fiorì tra il 1020 e il 1070.
4. Cêng-mung, dello stesso.
5. Huang-ki-king-she-shu, di Shao-yung Yao-fu soprannominato Khang-tsie, comunemente Shao-tse, che fiorì tra il 1011 e il 1077.
6. Yi-king-ki-mung, di Cu-tse vedi p. 403, n. 1 (1 e 14).
7. Kia-li, dello stesso
8. Liu-liu-sin-shu, di Thsai-Yüan-ting Li-thung soprannominato Si-shan (1135-1198).
9. Hung-kieh-huang-ki-nui-phien, di Thsai-Chêng Cung-mo soprannominato Kiu-fêng, fratello del sopraddetto.
Il signor Von der Gabelentz ha pubblicato il testo del Thai-ki-thu-shuo e il commento di Cu-tse, accompagnato dalle traduzioni manciurica e tedesca, Dresda, 1876.