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parte seconda | 495 |
Alcuni passi del libro di Lao-tse, che io ho lasciati fuori, darebbero occasione ad alcune questioni; le quali, anche se riescisse a noi di risolvere, il che siam lontani dal credere, richiederebbero molto più tempo e più spazio, di quello che oramai è a nostra disposizione. Rimettendo ciò ad altra occasione, nel capitolo seguente porremo termine a questa rapida esposizione del sistema taose, con la disamina d’un altro testo, che nella letteratura sacra de’ seguaci del Tao tiene il secondo posto.
Capitolo XI.
Della Morale taose. — Il Kan-yin-phien.
I commenti al libro di Lao-tse sono moltissimi. Stanislao Julien ne cita sessantaquattro; de’ quali ventitrè dovuti ad autori taosi, e fra questi tre imperatori: Wu-ti (102-550 d. C.) e Kien-Wén-ti (550-551 d. C.) de’ Liang, e Hsüan-Tsung de’ Thang (713-756 d. C.); sette scritti da autori buddhisti; e trentaquattro, da letterati della scuola confuciana. I commenti de’ letterati ortodossi non tendono ad altro che a svisare la dottrina taose, e ad abbattere il sistema filosofico di Lao-tse; i commentatori delle altre scuole, oltre ad illustrare e a chiarire il testo del Tao-tê-king, intendono anche alcuna volta a metter d’accordo gl’insegnamenti che sono esposti in quella scrittura, con quegli delle scritture classiche e canoniche, e singolarmente poi con le scritture buddhiche. Il più celebre e il più antico tra quest’ultimi è forse Su-Céh cognominato Tse-yu, che fioriva nel dodicesimo secolo della nostra èra. Costui all’età dì quarant’anni fu esiliato dal suo paese e mandato a Yun-ceu, dove allora
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