I pensieri - Pensieri sulla scienza

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PENSIERI SULLA SCIENZA.


I. — la teoria e la pratica.

Bisognati descrivere la teorica e poi la pratica.

I. — dell’error di quelli, che usano la pratica sanza scienza.

Quelli, che s’innamoran di pratica sanza scienza, son come ’l nocchiere, ch’entra in navilio sanza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada.

Sempre la pratica dev’esser edificata sopra la bona teorica; della quale la Prospettiva è guida e porta, e, sanza questa, nulla si fa bene ne’ casi di pittura.

III. — paragone del pratico.

Il pittore, che ritrae per pratica e giudizio d’occhio, sanza ragione, è come lo spec[p. 66 modifica]chio, che in se imita tutte le a se contrapposte cose, sanza cognizione d’esse.

IV. — precedenza della teorica alla pratica.

La scienza è il capitano, e la pratica sono i soldati.

V. — sul medesimo soggetto.

Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza.

VI. — consiglio al pittore.

E tu, pittore, che desideri la grandissima pratica, liai da intendere, che, se tu non la fai sopra bon fondamento delle cose naturali, tu farai opere assai con poco onore e men guadagno; e se la farai buona, l’opere tue saranno molte e bone, con grand’onor tuo e molta utilità.

VII. — sul medesimo soggetto.

Dice qui l’avversario, che non vuole tanta scienza, che gli basta la pratica del ritrarre le cose naturali. Al quale si risponde, che di nessuna cosa è, che più c’inganni, che fidarsi del nostro giudicio, sanz’altra ragione, come prova sempre la sperienza, ne[p. 67 modifica]mica degli Alchimisti, Negromanti e altri semplici ingegni.

VIII. — sul fatto anatomico dello sviluppo grande del cranio nel fanciullo.

La natura ci compone prima la grandezza della casa dello intelletto,1 che quella delli spiriti vitali.2

IX. — diversità della teorica dalla pratica.

Dove la scienza de’ pesi è ingannata dalla pratica.

La scienza de’ pesi ingannata dalla sua pratica, e, in molte parte, essa3 non s’accorda con essa scienza, nè è possibile accordarla; e questo nasce dalli poli delle bilancie, mediante li quali di tali pesi si fa scienza, li quali poli, appresso li antichi filosofi, furo li poli posti di natura di linia matematica, e in alcun loco in punti matematici, li quali punti e linie sono incorporei: e la pratica li pone corporei, perchè così comanda necessità, volendo sostenere il peso d’esse bi[p. 68 modifica] lande, insieme colli pesi4 sopra di lor si giudicano.

Ho trovato essi antichi essersi ingannati in esso giudizio de’ pesi, e questo inganno è nato perchè in gran parte della loro scienza hanno usati poli corporei, e in gran parte poli matematici, cioè mentali, overo incoi porei.5

X. — sterilità delle scienze senza applicazione pratica.

Tutte le scienze, che finiscono in parole, hanno sì presto morte, come vita, eccetto la sua parte manuale, cioè lo scrivere, eh è parte meccanica.

XI. — sul medesimo soggetto.

Fuggi quello studio, del quale la resultante opera muore insieme coll’operante d’essa.

XII. — ricordi di leonardo.

Quando tu metti insieme la Scienza de moti dell’acqua, ricordati di mettere, di sotto a ciascuna proposizione, li sua giovamenti, a ciò che tale scienza non sia inutile. [p. 69 modifica]

XIII. — la distribuzione dei suoi trattati.

Da profondare un canale: fa questo nel libro De ’ giovamenti, e, nel provarli, allega le proposizioni provate; e questo è il vero ordine, perchè, se tu volessi mostrare il giovamento a ogni proposizione, ti bisognerebbe ancora fare novi strumenti per provar tale utilità, e cosi confonderesti l’ordine de’ quaranta libri, e cosi l’ordine dello figurazioni; cioè avresti a mischiare pratica con teorica, che sarebbe cosa confusa e interrotta.

XIV. — valore intrinseco del sapere.

L’acquisto di qualunque cognizione è sempre utile allo intelletto, perchè potrà scacciare da sè le cose inutili, e riservare le buone. Perchè nessuna cosa si può amare nè odiare, se prima non si ha cognizicn di quella.

XV. — naturale istinto dell’uomo al sapere.

Naturalmente li omini boni desiderano sapere. [p. 70 modifica]

XVI. — piacere, che nasce dalla contemplazione della natura.

Alli ambiziosi, che non si contentano del benefizio della vita, nè della bellezza del mondo, è dato per penitenza che lor medesimi strazino essa vita, e che non possegghino la utilità e bellezza del inondo.

XVII. — leonardo contro gli sprezzatori delle sue opere.95

So che molti diranno questa essere opra inutile, e questi fieno quelli, de’ quali Deometro6 disse, non faceva conto più del vento, il quale nella lor bocca causava le parole, che del vento, ch’usciva dalla parte di sotto; uomini ’quali hanno solamente desiderio di corporai ricchezze, diletto, e interamente privati di quello della sapienza, cibo e veramente sicura ricchezza dell’anima: perchè quant* è più degna l’anima che ’l corpo, tanto più degne fien le ricchezze dell’anima, che dei corpo. E spesso, quando vedo alcun di questi pigliare essa opera in mano, dubito non sì, [p. 71 modifica]come la scimmia, se ’l mettine al naso, e che mi domandi s’è cosa mangiativa.

XVIII. — contro gli sprezzatori della scienza.

Demetrio solea dire, non essere differenza dalle parole e voce dell’imperiti ignoranti, che sia da soni o strepiti causati dal ventre, ripieno di superfluo vento. E questo non sanza ragion dicea, imperocchè lui non reputava esser differenza da qual parte costoro inandassino fuora la voce, o da la parte inferiore o da la bocca, che 1* una e l’altra eran di pari vaiimento e sustanzia.

XIX. — riflessione sulla struttura del corpo umano.

Non mi pare, che li omini grossi e di tristi costumi e di poco discorso meritino sì bello strumento, nè tanta varietà di macchinamenti, quanto li omini speculativi e di gran discorsi, ma solo un sacco dove si riceva il cibo e donde esso esca; che, invero, altro che un transito di cibo non son da essere giudicati, perchè niente mi pare che essi partecipino di spece umana, altro che la voce e la figura; e tutto il resto è assai manco, che bestia. [p. 72 modifica]

XX. — contro gli uomini, che mirano solo alla vita materiale.

Ecci alcuni, che non altramenti che transito di cibo e aumentatoli di sterco e riempitori di destri7 chiamarsi debbono; perchè per loro non altro nel mondo, o pure alcuna virtù in opera si mette, perchè di loro altro che pieni destri non resta.

XXI. — i due campi della conoscenza.

La cognizion del tempo preterito e del sito della terra è ornamento e cibo delle menti umane.

XXII. — il supremo bene è il sapere.8

Cornelio Celso: «Il sommo bene è la sapienza, il sommo male è ’l dolore del corpo: imperò che, essendo noi composti di due cose, cioè d’anima e di corpo, delle quali la prima è migliore, la peggiore è il corpo. La sapienza è della miglior parte, il sommo male è della peggior parte e pessima. Ottima cosa è nell’animo la sapienza, cosi è pessima cosa nel corpo il dolore. Adunque, sì come il sommo male è ’l corporal dolore, così la sapienza [p. 73 modifica] e dell’anima il sommo bene, cioè dell1 noni saggio, e niuna altra cosa è da a questa comparare.»

XXIII. — valore del sapere nella vita.

Acquista cosa nella tua gioventù, che ristori il danno della tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoprati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento.

XXIV. — glorificazione della scienza.

....Manca la fama del ricco ’nsieme co1 la sua vita, resta la fama del tesoro e non del tesaurizzante: e molto maggior gloria è quella della virtù de1 mortali, che quella clelli loro tesori.

Quanti imperatori e quanti principi sono passati, che non ne resta alcuna memoria! e solo cercarono li stati e ricchezze, per lassare fama di loro.

Quanti furon quelli, che vissono in povertà di denari, per arricchire di virtù! e tanto è più riuscito tal desiderio al virtuoso, ch’al ricco, quanto la virtù eccede la ricchezza.

Non vedi tu, ch’il tesoro per sè non lauda il suo cumulatore, dopo la sua vita, come fa [p. 74 modifica] la scienza? la quale sempre è testimonia e tromba del suo creatore, perchè ella è figliola di chi la genera, e non figliastra, come la pecunia.

XXV. — come per tutti viaggi si po’ imparare.

Questa benigna natura ne provvede in modo, che per tutto il mondo tu trovi dove imitare.

XXVI. — l’inerzia guasta la sottilità dell’ingegno.

Siccome il ferro s’arrugginisce sanza esercizio, e l’acqua si putrefà, e nel freddo s’agghiaccia; così l’ingegno, sanza esercizio, si guasta.

XXVII. — lo studio senza voglia non da alcun frutto.

Siccome mangiare sanza voglia si converte in fastidioso notrimento, così lo studio sanza desiderio guasta la memoria, col non ritenere cosa, ch’ella pigli.

XXVIII. — sul medesimo soggetto.

Siccome il mangiare sanza voglia fia dannoso alla salute, così lo studio sanza desi[p. 75 modifica]delio guasta la memoria, e non ritien cosa, ch’ella pigli.

XXIX. — per giudicare l’opera propria bisogna riguardarla dopo lungo in-tervallo.

Sì come il corpo, con gran tardità fatta nella lunghezza del suo moto contrario, torna con più via, dà poi maggior colpo, — e quello, che è di continui e brievi moti, son di piccola valetudine; così lo studio su una medesima materia, fatto con lunghi intervalli di tempo, il giudizio s’è fatto più perfetto, e meglio giudica il suo errore. E ’l simile fa l’occhio del pittore col discostarsi dalla sua pittura.

XXX. — antiquitas sæculi iuventus mundi.

La verità sola fu figliola del tempo.

XXXI. — glorificazione della verità.

Ed è di tanto vilipendio la bugia, ebe s’ella dicessi ben gran cose di Dio, ella to’9 di grazia a sua deità; ed è di tanta eccellenza [p. 76 modifica] la verità, che s’ella laudassi cose minime, elle si fanno nobili. Sanza dubbio, tal proporzione è dalla verità alla bugia, qual’è da la luce alle tenebre; ed è essa verità in se di tanta eccellenzia, che ancora ch’ella s’astenda sopra umili e basse materie, sanza comparazione eli’ eccede le incertezze e bugie estese sopra li magni e altissimi discorsi; perchè la mente nostra, ancora ch’eli’ abbia la bugia pe ’l quinto elemento, non rosta pero che la verità delle cose non sia di sommo notrimento delli intelletti fini, ma non de’ vagabondi ingegni. Ma tu che vivi di sogni, ti piace piu le ragion sofìstiche e barerie de’ palari10 nelle cose grandi e incerte, che delle certe naturali e non di tanta altura!

XXXII. — conseguenza delle opposizioni alla verità.

L’impedimenti della verità si convertono in penitenza.

XXXIII. — definizione della scienza.

Scienza è detto quel discorso mentale, il quale ha origine da’ suoi ultimi principii, [p. 77 modifica] (oltre) de’ quali in natura nuli’ altra cosa si può trovare, che sia parte d’essa scienza: come nella quantità continua, cioè la scienza di Geometria, la quale, cominciando dalla superfizie’ de’ corpi, si trova avere origine nella linea, termine di essa superfizie; e in questo non restiamo soddisfatti, perche noi conosciamo la linea aver termine nel punto, e il punto esser quello, del quale null’ altra cosa può essere minore.

Dunque il punto è il primo principio di Geometria, e niuna altra cosa può essere nè in natura, nè in mente umana, che possa dar principio al punto. Perchè se tu dirai, nel contatto fatto sopra una superfizie da un’ultima acuità della punta de lo stile, quello essere creazione del punto; questo non è vero, ma diremo, questo tale contatto essere una superfizie, che circonda il suo mezzo, e in esso mezzo è la residenza del punto. E tal punto non è della materia di essa superfizie, nè lui, nè tutti li punti dell’universo,11 sono in potenza, ancorchè sieno uniti — dato che si potessero unire — comporrebbono parte alcuna d’una superfizie. E dato, che tu ti immaginassi, un tutto essere [p. 78 modifica] composto da mille punti, qui dividendo alcuna parte da essa quantità de mille, si può dire molto bene, che tal parte sia equale al suo tutto; e questo si prova col zero, ovver nulla, cioè la decima figura de la Aritmetica, per la quale si figura un 0 per esso nullo, il quale, posto dopo la unità, il farà dire dieci, e, se porrai due dopo tale unità, dira’ cento, e cosi infinitamente crescerà sempre dieci volte il numero, dove esso s’aggiunga; e lui in se non vale altro, che nulla, e tutti li nulli dell’universo sono eguali a un sol nulla, in quanto alla loro sustanzia e valetudine.

XXXIV. — valore delle regole date da leonardo al pittore.

Queste regole sono da usare solamente per ripruova delle figure: imperocchè ogni omo, nella prima composizione, fa qualche errore, e chi non li conosce non li racconcia; onde tu, per conoscere li errori, riproverai l’opera tua, e, dove trovi detti errori, racconciali, e tieni a mente di mai piu ricaderci. Ma, se tu volessi adoperare le regole nel comporre, non verresti mai a capo, e faresti confusione nelle tue opere.

Queste regole fanno, che tu possiedi uno libero e bono giudizio; imperochè ’l bono [p. 79 modifica] giudizio nasce dal bene intendere, e il bene intendere diriva da ragione tratta da bone regole, e le bone regole sono figliole della bona sperienza, comune madre di tutte le scienze e arti.

Onde, avendo tu bene a mente i precetti delle mie regole, potrai, solamente coi racconcio giudizio, giudicare e conoscere ogni sproporzionata opera, così in prospettiva, come in figure o altre cose.

XXXV. — legge, che governa lo svolgimento storico della pittura e delle scienze.

Come la pittura va d’età in età declinando e perdendosi, quando i pittori non hanno per autore, che la fatta pittura.

Il pittore avra la sua pittura di poca eccellenza, se quello piglia per autore l’altrui pitture, ma s’egli imparerà dalie cose natili ali, fara bono frutto: come vedemo in ne pittori dopo i Romani, i quali sempre imitarono l’uno dall’altro, e di età in età s empi e mandaro detta arte in declinazione. Dopo questi venne Giotti, fiorentino, il quale, nato in monti soletari, abitati solo da capre e simil bestie, questo, sendo volto dalla natura a simile arte, cominciò a disegnare su [p. 80 modifica] per li sassi li atti delle capre, de le quali lui era guai-datore; e cosi comincio a fai e tutti li animali, che nel paese trovava: in tal modo, che questo, dopo molto studio, avanzò non che i maestri della sua età, ma tutti quelli dimoiti secoli passati. Dopo questo r arte ricade, perche tutti imitavano e fatte pitture, e cosi di secolo in secolo andò declinando; insino a tanto che Tomaso fiorentino, scognominato Masaccio, mostro con opra perfetta, come quegli, che pigliavano per autore altro, che la natura, maestra de’ maestri, ^affaticavano invano.

Così voglio dire di queste cose matematiche, che quegli, che solamente studiano li autori e non l’opre di natura, son per arte nipoti, non figlioli d’essa natura, maestra de’ boni autori. - Odi somma stoltizia di quelli, i quali biasimano coloro che ’mparano da la natura, lasciando stare li autori, discepoli d’essa natura!

XXXVI. — contro il principio di autorità nella scienza.

Molti mi crederanno ragionevolmente potere riprendere, allegando le mie prove esser contro all’autorità d’alquanti omini di gran reverenza, presso de’ loro inesperti judizi; [p. 81 modifica] non considerando le mie cose essere nate sotto la semplice e mera sperienza, la quale è maestra vera.

XXXVII. — il seguace della natura e il seguace della autorità degli scrittori.

Se bene, come loro, non sapessi allegare gli autori, molto maggiore e più degna cosa a legger è, allegando la sperienza, maestra ai loro maestri. Costoro vanno sgonfiati e pomposi, vestiti e ornati, non delle loro, ma delle altrui fatiche, e le mie a me medesimo non concedono; e se me inventore disprezzeranno, quanto maggiormente loro, non inventori, ma trombetti e recitatori delle altrui opere, potranno essere biasimati.

XXXVIII. — superiorità degli scopritori del vero sui commentatóri delle opere altrui.

E da essere giudicati, e non altrimenti stimati li omini inventori e ’nterpreti tra la natura e gli uomini, a comparazione de’ recitatori e trombetti delle altrui opere, quant’è dall’obbietto fori dello specchio alla similitudine d’esso obbietto apparente nello specchio, che l’uno per sè è qualche cosa. [p. 82 modifica] e l’altro è niente. Gente poco obbligate alla natura, perchè sono sol d’accidental12 vestiti, e sanza il quale potrei accompagnar a in li armenti delle bestie!

XXXIX. — contro gli umanisti.

So bene che per non essere io letterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare, coll’allegale io essere omo sanza lettere. Gennte stolta! Non sanno questi tali eli’ io potrei, si come Mario rispose contro a’ patrizi romani, si rispondere, dicendo: - quelli che dall’altrui fatiche sè medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliano concedere?

Diranno, che per non avere io lettere, non potere ben dire quello, di che voglio trattare. Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienzia, che d’altrui parole, la quale fu maestra di chi ben scrisse, e così per maestra la piglio, e quella in tutti i casi allegherò.

XL. — reverenza di leonardo per gli antichi inventori.

De’ cinque corpi regolari.13 Contro alcuni commentatori, che biasimano li antichi in [p. 83 modifica] mentori, donde nasceron le grammatiche e le scienze, e fansi cavalieri contro alli morti inventori, e, perchè essi non han trovato da farsi inventori, per la pigrizia e comodità de’ libri, attendono al continuo, con falsi argumenti, a riprendere li lor maestri.

XLI. — valore della autorità.

Chi disputa allegando l’autorità, non adopra lo ’ngegno, ma piti tosto la memoria.

XLII. — spontaneità della creazione artistica e scientifica.

Le buone lettere so’ nate da un bono naturale: e perchè si de’ piu laudare la cagion che l’effetto, piu lauderai un bon naturale sanza lettere, che un bon litterato sanza naturale.

XLIII. — studio dell’antichità.

L’imitazione delle cose antiche è piu laudabile, che le moderne.

XLIV. — necessità della esperienza e della matematica nelle scienze.

Nessuna umana investigazione si po’ dimandare vera scienza, s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni. [p. 84 modifica]

E se tu dirai, che le scienze, che principiano e finiscono nella mente abbino verità, questo non si concede, ma si nega, per molte ragioni, e prima, che in tali discorsi mentali non accade esperienza, sanza la quale nulla dà di se certezza.

XLV. — la esperienza.

La sapienza è figliola della sperienza.

XLVI. la sperienza non falla, ma sol fallano i nostri giudizi, promettendosi di lei cose, che non sono in sua potestà.

A torto si lamentan li omini della isperienza, la quale, con somme rampogne, quella accusano esser fallace. Ma lascino stare essa esperienza, e voltate tale lamentazione contro alla vostra ignoranza, la quale vi fa transcorrere, co’ vostri vani e instolti desideri, a impromettervi di quella cose, che non sono in sua potenza, dicendo quella esser fallace. A torto si lamentano li omini della innocente esperienza, quella spesso accusando di fallacie e di bugiarde dimostrazioni. [p. 85 modifica]

XLVII. — necessità della successione dell’effetto alla causa.

La sperienza non falla mai, ma sol fallano i vostri giudizi, promettendosi di quella effetto tale, che ne’ nostri esperimenti causati non sono. Perchè, dato un principio, è necessario che ciò, che seguita di quello, è vera conseguenza di tal principio, se già non fussi impedito: e se pur seguita alcuno impedimento, l’effetto, che doveva seguire del predetto principio, partecipa tanto più -o meno del detto impedimento, quanto esso impedimento è più o meno potente del già detto principio.

XLVIII. — la certezza delle matematiche.

Chi biasima la somma certezza della matematica si pasce di confusione, e mai porrà silenzio alle contraddizioni delle sofìstiche scienze, colle quali s’impara uno eterno gridore.

XLIX. — generale applicabilità della matematica.

La proporzione non solamente nelli numeri e misure fia ritrovata, ma etiam nelli [p. 86 modifica] suoni, pesi, tempi e siti, e ’n qualunque potenza si sia.

L. — delle scienze.

Nessuna certezza è dove non si può applicare una delle scienze matematiche, over che non sono unite con esse matematiche.

LI. — leonardo al lettore.

Non mi legga chi non e matematico, nelli mia principi.

LII. — della meccanica.

La Meccanica è il paradiso delle scienze matematiche, perchè con quella si viene al frutto matematico.

LIII. — la meccanica e la esperienza.

A ciascuno strumento si richiede esser fatto colla sperienza.

LIV. — accordo fra l’esperienza e la ragione.

La sperienza, interprete in fra l’artifiziosa natura e la umana spezie, ne ’nsegna, ciò che essa natura in fra mortali adopra, da necessità constretta, non altrimenti oprar si possa, che la ragione, suo timone, oprare le ’nsegni. [p. 87 modifica]

LV. — la deduzione.

Non è da biasimare lo mostrare, in fra l’ordine del processo della scienza, alcuna regola generale, nata dall’antidetta conclusione.

LVI. — bisogna passare dal noto all’ignoto.

Per dare vera scienza del moto delli uccelli in fra l’aria, e necessario dare prima la scienza de’ venti, la qual proverem mediante li moti dell’acqua in se medesima, e questa tale scienza sensibile farà di se scala per venire alla cognizione de’ volatili in fra l’aria e ’l vento.

LVII. — la legge di natura domina i fatti.

Nessuno effetto è in natura sanza ragione; intendi la ragione, e non ti bisogna sperienza.

LVIII. — l’esperienza è il fondamento della scienza.

Ricordati, quando commenti l’acque, d’allegar prima la sperienza e poi la ragione. [p. 88 modifica]

LIX. — sul medesimo soggetto.

Io ti ricordo, che tu facci le tue proposizioni, e che tu alleghi le soprascritte cose per esempli e non per proposizioni, che sarebbe troppo semplice; e dirai cosi: sperienza.

LX. — dalla investigazione degli effetti si scoprono le cause.

Ma prima farò alcuna esperienza avanti, ch’io più oltre proceda, perchè mia intenzione è allegare prima l’esperienza, e poi colla ragione dimostrare, perchè tale esperienza è costretta in tal modo ad operare.

E questa è la vera regola, come li speculatori delli effetti naturali hanno a procedere, e ancora che la natura cominci dalla ragione e termini nella sperienza, a noi bisogna seguitare in contrario, cioè cominciando — come di sopra dissi — dalla sperienza, e con quella investigare la ragione.

LXI. — bisogna ripetere le esperienze e variare le circostanze.

Innanzi di fare di questo caso una regola generale, sperimentalo due o tre volte, guardando se le sperienze producono gli stessi effetti. [p. 89 modifica]

LXII. — esempio della precedente regola.

Se molti corpi, d’egual peso e figura, saranno V un dopo V altro, con egual tempo, lasciati cadere, li eccessi de’ loro intervalli saranno infra loro eguali.nota La sperienza della predetta conclusione di moto si debbe fare in questa forma, cioè: tolgansi due ballotte d’egual peso e figura, e si faccino lasciare cadere di grande altezza in modo che, nel lor principio di moto, si tocchino l’una l’altra, e lo sperimentatore stia a terra a vedere se ’l loro cadere l’ha ancora mantenute in contatto o no. E questa esperienza si faccia più volte, acciò che qualche accidente non impedissi o falsassi tale prova, che la sperienza fussi falsa, e ch’ella ingannassi o no il suo speculatore.

LXIII. — bisogna limitare la ragione alla esperienza, non estendere la ragione al di là della esperienza.

Quanto più si diminuisce il mobile, il suo motore lo caccia più, proporzionevolmente secondo la sua diminuzione in infinito, sempre acquistando velocità di moto.nota

E’ seguiterebbe che un atomo sarebbe 14 15 [p. 90 modifica] quasi veloce come la immaginazione o l’occhio, che subito discorre alla altezza dello stelle, per conseguente il suo viaggio sarebbe infinito, perchè la cosa, che infinitamente si può diminuire, infinitamente si farebbe veloce, e infinito cammin si moverebbe (perchè ogni quantità continua è divisibile in infinito). La qual opinione è dannata dalla ragione e per conseguente dalla sperienza.

Sicchè voi, speculatori, non vi fidate delli autori, che hanno sol coll’immaginazione voluto farsi interpreti fra la natura e l’omo, ma sol di quelli, che non coi cenni della natura, ma co’ gli effetti delle sue esperienze hanno esercitati i loro ingegni. E riconoscere come l’esperienze ingannano chi non conosce loro natura; perchè quelle, che spesse volte paiono una medesima, spesse volte son di grande varietà, come qui si dimostra.

LXIV. — a coloro che affermano l’acqua trovarsi alla sommità dei monti, perchè il mare è più alto, che la terra.

Se l’acqua, che surge per l’alte cime de’ monti, viene dal mare, del quale il suo peso la sospignie, per essere più alto d’essi monti; perchè ha cosi licenza tal particula [p. 91 modifica] l’acqua a levarsi in tanta altezza, e penetrare la terra con tanta diffìcultà e tempo; e non è stato conceduto al resto dell’elemento dell’acqua fare il simile, il quale confina coll’aria, la qual non è per resisterli, die ’l tutto non si elevassi alla medesima altezza della predetta parte? E tu che tale invenzione trovasti ritorna a riimparare naturale, che tu mancherai di tali simili opinioni, del quale tu ha’ fatto grande ammunizione16 insieme col capitale del frutto, che tu possiedi.17

LXV. — la prospettiva e la matematica.18

Intra li studi delle naturali cause e ragioni, la luce diletta pili i contemplanti; intra le cose grandi delle matematiche, la certezza della dimostrazione innalza più preclaramente l’ingegno dell’investiganti.

La Prospettiva adunque è da essere preposta a tutte le trattazioni e discipline umane, nel campo della quale la linia radiosa è complicata dai modi delle dimostrazioni, nella quale si truova la gloria non tanto della Matematica , quanto della Fisica, ornata co’ fiori dell’una e dell’altra. [p. 92 modifica]

Le sentenze delle quali, distese con gran circuizione,19 io le ristrignierò in conclusiva brevità, intessendo, secondo il modo della materia, naturali e matematiche dimostrazioni, alcuna volta concludendo gli effetti per le cagioni e alcuna volta le cagioni per li effetti; aggiugnendo ancora alle mie conclusioni alcuna, che non sono in quelle, non di meno di quelle si traggono, come si degnerà il Signore, luce di ogni cosa, illustrare me per trattare della luce.

LXVI. — la cognizione ha origine dal senso.

Ogni nostra cognizione principia da’ sentimenti.

LXVII. — conseguenza del predetto principio.

Come il senso serve all’anima e non l’anima al senso; e, dove manca il senso offìziale dell’anima, all’anima manca in questa vita la totalità dell’uffizio d’esso senso, come appare nel muto e nell’orbo nato. [p. 93 modifica]

LXVIII. — la testimonianza del senso è il criterio del vero.

E se tu dirai, che ’l vedere impedisce la fìssa e sottile cogitazione mentale, co’ la quale si penetra nelle divine scienze, e tale impedimento condusse un filosofo a privarsi del vedere; a questo rispondo, che tal occhio, come signore de’ sensi, fa suo debito a dare impedimento alli confusi e bugiardi, non scienze, ma discorsi, per li quali sempre, con gran gridare e menare le mani, si disputa; e il medesimo dovrebbe fare l’audito, il quale ne rimane piu offeso, perchè egli vorrebbe accordo, del quale tutti i sensi s’intricano.20 E se tal filosofo si trasse gli occhi per levare l’impedimento alli suoi discorsi, or pensa, che tal atto fu compagno del cervello e de’ discorsi, perchè ’l tutto fu pazzia. Or non potea egli serrarsi gli occhi, quando esso entrava in tale frenesia, e tanto tenerli serrati, che tal furore si consumasse? Ma pazzo fu l’omo, e pazzo il discorso, e stoltissimo il trarsi gli occhi! [p. 94 modifica]

LXIX. — le vere scienze sono quelle che si fondano sulla testimonianza dei sensi.

Dicono quella cognizione esser meccanica, la quale è partorita dall’esperienza, e quella esser scientifica, che nasce e finisce nella niente, e quella esser sernimeccanica, che nasce dalla scienza e finisce nella operazione manuale.

Ma a me pare che quelle scienze sieno vane e piene di errori, le quali non sono nate dall’esperienza, madre di ogni certezza, e che non terminano in nota esperienza, cioè che la loro origine o mezzo o fine non passa per nessuno de’ cinque sensi.

E se noi dubitiamo di ciascuna cosa, che passa per li sensi, quanto maggiormente dobbiamo noi dubitare delle cose ribelli a essi sensi, come dell’essenza di Dio e dell’anima e simili, per le quali sempre si disputa e contende? E veramente accade, che sempre, dove manca la ragione, supplisce le grida, la qual cosa non accade nelle cose certe. Per questo diremo, che dove si grida non è vera scienza, perchè la verità ha un sol termine, il quale, essendo pubblicato, il litigio resta in eterno distrutto, e s’esso li[p. 95 modifica]tigio risurge, è bugiarda e confusa scienza e non certezza rinata.

Ma le vere scienze son quelle, che la speranza ha fatto penetrare! per li sensi e posto silenzio alla lingua de’ litiganti, e che non pasce di sogno li suoi investigatori, ma sempre sopra li primi veri e noti principi procede successivamente e con vere seguenze insino al fine; come si dinota nelle prime matematiche, cioè numero e misura, dette Aritmetica e Geometria, che trattano con somma verità della quantità discontinua e continua.

Qui non si arguirà, che due tre facciano più o men che sei, nè che un triangolo abbia li suoi angoli minori di due angoli retti, ma con eterno silenzio resta distrutta ogni arguizione, e con pace sono finite dalli loro devoti, il che far non possono le bugiarde scienze mentali.

E se tu dirai tali scienze vere e note essere di spezie di meccaniche, imperocchè non si possono finire se non manualmente, io dirò il medesimo di tutte lo arti, che passano per le mani degli scultori, le quali sono di spezie di disegno, membro della pittura; e V Astrologia e le altre passano per le manuali operazioni, ma prima^sono mentali, coni’ è [p. 96 modifica] la Pittura, la quale è prima nella mente del suo speculatore, e non può pervenire alla sua perfezione sanza la manuale operazione.

Della qual Pittura, li sua scientifici e veri principi prima pónendo, che cosa è corpo ombroso, e che cosa è ombra primitiva e ombra derivativa, e che cosa è lume: cioè tenebre, luce, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete, le quali solo colla mente si comprendono sanza opere manuali.

E questa fia la Scienza della Pittura, che resta nella mente de’ suoi contemplanti, della quale nasce poi l’operazione, assai più degna della predetta contemplazione o scienza.

LXX. — inganno della mente abbandonata a se stessa.

Nissuna cosa è, che più c’inganni, che ’i nostro judizio.

LXXI. — sul medesimo soggetto.

Il massimo inganno delli omini è nelle loro opinioni.

LXXII. — contro la metafisica.

Fuggi i precetti di quelli speculatori, che le loro ragioni non son confermate dalla isperienza. [p. 97 modifica]

LXXIII. — superiorità degli animali sull’uomo.

L’uomo ha grande discorso, del quale la piu parte è vano e falso; li animali l’hanno piccolo, ma è utile e vero; e meglio è la piccola certezza, che la gran bugia.

LXXIV. — dal dizionario di leonardo.

Sillogismo: parlar dubbioso. Sofismo: parlare confuso, il falso per lo vero. Teorica: scienza sanza pratica.

LXXV. — superiorità della scienza della pittura sulla filosofia.

La Pittura s’estende nelle superficie, colori e figure di qualunque cosa creata dalla natura, e la Filosofia penetra dentro al li medesimi corpi, considerando in quelli le lor proprie virtù, ma non rimane satisfatta con quella verità, che fa il pittore, che abbraccia in se la prima verità di tali corpi, perchè l’occhio meno s’inganna.

LXXVI. — non si conosce l’essenza delle cose, ma i loro effetti.

Che cosa sia elemento. Xè la diffinizione di nessuna quiddità dalli -elementi non è in [p. 98 modifica] podestà dell’omo, ma gran parte de’ loro effetti son noti.nota

LXXVII. — come la massa dell’acqua, che circonda la terra, ha forma sferica.

Questa è difficile risposta; ma per questo non resterei di dirne il mio parere. L’acqua, vestita dell’aria, naturalmente desidera stare unita nella sua spera, perchè in tal sito essa si priva di gravità. La qual gravità è dupla, cioè che’l suo tutto ha gravità attesa al centro delli elementi, la seconda gravità attende al centro d’essa spericità d’acqua; il che se cosi non fussi, essa farebbe di se solamente una mezza spera, la qual è quella che sta dal centro in su. 103 Ma di questo non veggo nello umano ingegno modo di darne scienza, eli’ a dire, come si dice della calamita che tira il ferrò, cioè, che tal virtù è occulta proprietà, delle quali n’è infinite in natura.

LXXVIII. — la divisibilità all’infinito è un’astrazione mentale.

Ciò ch’è divisibile in atto è ancora divisibile in potenzia, ma non tutte le quantità, che son divisibili in potenzia fieno divisibili in atto. 21 [p. 99 modifica]

LXXIX. — l’infinito non si può abbracciare colla ragione.

Qual’e quella cosa, che non si dà e s’ella si dessi non sarebbe? Egli è lo infinito, il quale, se si potesse dare, sarebbe limitato e finito, perchè ciò, che si po’ dare ha termine colla cosa, che la circuisce ne’ sua stremi, e ciò che non si po’ dare è quella cosa, che non ha termini.

LXXX. — sul medesimo soggetto.

De anima. Il moto della terra contro alla terra, ricalcando quella, poco si move la parte percossa.

L’acqua percossa dall’acqua fa circuii dintorno al loco percosso; Per lunga distanza la voce in fra l’aria;

Piu lunga in fra ’l foco;

Piu la mente in fra l’universo, ma perchè l’è finita non s’astende in fra lo ’nfinito.

LXXXI. — la finalità delle cose trascende la mente umana.

O speculatore delle cose, non ti laudare di conoscere le cose, che ordinariamente, per sè medesima la natura, per sua ordini, naturalmente conduce; ma rallegrati di co[p. 100 modifica] noscere il fine di quelle cose, die son disegnate dalla niente tua!

LXXXII. — gli antichi si sono proposti dei problemi insolubili.

Or guarda, o lettore, quello die noi potremo credere ai nostri antichi, i quali hanno voluto definire che cosa sia anima e vita, cose improvabili, quando quelle, che con isperienzia ognora si possono chiai amente conoscere e provare, sono per tanti secoli ignorate e falsamente credute! L’occhio, che così chiaramente fa sperienzia del suo offizio, è insino ai mia tempi, per infiniti autori, stato difìnito in un modo; trovo per isperienzia essere ’n un altro.

LXXXIII. — limiti alla definizione dell’anima.

Ancora che lo ingegno umano faccia invenzioni varie, rispondendo con vari strumenti a un medesimo fine, mai esso troverà invenzione più bella, nè più facile, nè più breve della natura, perchè nelle sue invenzioni nulla manca e nulla è superfluo; e non va con contrappesi, quando essa fa le membra atte al moto nelli corpi delli animali, ma vi mette dentro l’anima d’esso corpo componitore. [p. 101 modifica]

Questo discorso non va qui, ma si richiede nella composizion delli corpi animati. E il resto della definizione dell’anima lascio nelle menti de’ frati, padri de’ popoli, li quali per inspirazione sanno tutti li segreti.

Lascio star le lettere incoronate,22 perchè son somma verità.

LXXXIV. — contro gli ingegni impazienti.23

Gli abbreviatoli delle opere fanno ingiuria alla cognizione e allo amore, conciò sia che l’amore di qualunque cosa è figliolo d’essa cognizione.

L’amore e tanto più fervente, quanto la cognizione è più certa, la qual certezza nasce dalla cognizione integrale di tutte quelle parti, le quali, essendo insieme unite, compongono il tutto di quelle cose, che debbono essere amate.

Che vale a quel che per abbreviare le parti di quelle cose, che lui fa professione di darne integrai notizia, che lui lascia indietro la maggior parte delle cose, di che il tutto è composto?

Gli è vero che la impazienza, madre della [p. 102 modifica] stoltizia, è quella che lauda la brevità, come se questi tali non avessino tanto di vita, che li servisse a potere avere una intera notizia d’un sol particolare, come è un corpo umano! e poi vogliono abbracciare la mente di Dio, nella quale s’include l’universo, caratando24 e minuzzando quella in infinite parti, come l’avessino a notomizzare.

O stoltizia umana! non t’avvedi tu che tu sei stato con teco tutta la tua età, e non hai ancora notizia di quella cosa, che tu più possiedi, cioè della tua pazzia? e vuoi poi, colla moltitudine dei sofistichi, ingannare te e altri, sprezzando le matematiche scienze, nelle qual si contiene la verità, notizia delle cose che in lor si contengono; e vuoi poi scorrere ne’miracoli e scrivere ch’hai notizia di quelle cose, di che la mente umana non è capace, e non si possono dimostrare per nessuno esemplo naturale; e ti pare avere fatto mira culi, quando tu hai guastato una opera d’alcuno ingegno speculativo; e non t’avvedi, che tu cadi nel medesimo errore che fa quello, che denuda la pianta dell’ornamento de’ sua rami, pieni di fronde, miste con li odoriferi fiori e frutti. [p. 103 modifica]

Come fece Giustino, abbreviatone delle Storie scritte da Trogo Pompeo, — il quale scrisse ornatamente tutti li eccellenti fatti delli sua antichi, li quali eran pieni di mirabilissimi ornamenti; — e’ compose una cosa ignuda, ma sol degna d’ingegni impazienti, li quali pare lor perder tanto di tempo, quanto quello è, che è adoperato utilmente, cioè neìli studi delle opere di natura e delle cose umane.

Ma stieno questi tali in compagnia delle bestie; nelli lor cortigiani, sieno cani e altri animali pien di rapina e accompagnansi con loro correndo sempre dietro! e seguitino P innocenti animali, che, con la fame, alti tempi delle gran nevi, ti vengono alle case, dimandandoti limosina, come a lor tutore!

LXXXV. — della vita del pittore nel suo studio.

Acciò che la prosperità del corpo non guasti quella dello ingegno, il pittore overo disegnatore debbe essere solitario, e massime quando è intento alle ispeculazioni e considerazioni, che, continuamente apparendo dinanzi agli occhi, dànno materia alla memoria, d’esser bene riservate.

E se tu sarai solo tu sarai tutto tuo, e so sarai accompagnato da un solo compagno [p. 104 modifica] sarai mezzo tuo, e tanto meno, quanto sarà maggiore la indescrizione della tua pratica; e se sarai con più caderai in più simile inconveniente. E se tu volessi dire: — io faro a mio modo, io mi tirerò in parte, per potere meglio speculare le forme delle cose naturali —; dico questo potersi mal fare, perchè non potresti fare, ch’assa’25 spesso non prestassi orecchi alle loro ciancie, e, non si potendo servire a due signori, tu faresti male l’uffizio della compagnia e peggio 4 effetto della speculazione dell’arte; e se tu dirai: — io mi tirerò tanto in parte, che le loro parole non perveniranno e non mi daranno impaccio—

io in questa parte ti dico, che tu sarai tenuto matto; ma vedi che, così facendo, tu saresti pur solo?

LXXXVI. — consigli al pittore.

Lo ingegno del pittore voi essere a similitudine dello specchio, il quale sempre si trasmuta nel colore di quella cosa, che ha per obbietto, e di tante similitudini s’empie quante sono le cose, che li sono contrapposte.

Adunque conoscendo tu, pittore, non po[p. 105 modifica]ter essere bono se non se’ universale maestro di contraffare, colla tua arte, tutte le qualità delle forme, che produce la natura, le quali non saprai fare se non le vedi, e ritenerle nella mente; onde, andando tu per campagne, fa che ’l tuo giudizio si volti a vari obbietti, e di mano in mano riguardare or questa cosa ora quell’altra, facendo un fascio di varie cose elette e scelte in fra le men bone.

E non fare come alcun pittore; i quali, stanchi conlalor fantasia, dismettono l’opera e fanno esercizio coll’andare a solazzo, riserbandosi una stanchezza nella mente, la quale non che vegghino o ponghin mente varie cose, ma spesse volte, scontrando li amici o parenti, essendo da quelli salutati, non che li vedino o sentino, non altrementi sono conosciuti, come s’elli scontrassino altrettant’ aria.

LXXXVII. — altro consiglio.

Il pittore deve essere solitario e considerare ciò ch’esso vede, e parlare con seco, eleggendo le parti più eccellenti delle spezie di qualunque cosa lui vede, facendo a similitudine dello specchio, il quale si trasmuta in tanti colori, quanti sono quelli [p. 106 modifica] delle cose, che se li pongono dinanzi. E facendo cosi, lui parrà essere seconda Natura.

LXXXVIII. — consiglio.

La mente del pittore si deve al continuo trasmutare in tanti discorsi, quante sono le figure delli obbietti notabili, che dinanzi gli appariscano; e a quelle fermar il passo, e notarli, e fare sopra esse regole, considerando il loco e le circostanze, e lumi e ombre.

LXXXIX. ~ VITA DEL PITTORE FILOSOFO NE’ PAESI.

Al pittore è necessario la matematica appartenente a essa pittura e la privazione de’ compagni, che son alieni dalli loro studi, e cervello mutabile secondo la varietà delli obbietti, che dinanzi se li oppongono, e remoto da altre cure.

E s’è nella contemplazione e definizione d! un caso, come accade quando i’ obbietto muove il senso, allora di tali casi si deve giudicare quale è di più faticosa definizione, e quello seguitare insino alla sua ultima chiarezza, e poi seguitare la definizione delP altro.

E sopra tutto essere di mente eguale a la sunerfizie dello specchio, la quale si tra[p. 107 modifica] smuta in tanti vari colori, quanti sono li colori delli sua obbietti; e le sue compagnie abbino similitudine con lui in tali studi, e, non le trovando, usi con se medesimo nelle sue contemplazioni, che infine non troverà più utile compagnia.

XC. — necessità della analisi.

Noi conosciamo chiaramente, che la vista è delle veloci operazioni che sia, e in un punto vede infinite forme, nientedimeno non comprende se non è una cosa per volta. Poniamo caso: tu, lettore, guarderai in una occhiata tutta questa carta scritta, e subito giudicherai, questa essere piena di varie lettere, ma non cognoscerai in questo tempo, che lettere sieno, nè che voglian dire; onde ti bisogna fare a parola a parola, verso per verso, a voler avere notizia d’esse lettere: ancora, se vorrai montare a l’altezza d’un edifizio ti converrà salire a grado a grado, altrementi fìa impossibile pervenire alla sua altezza.

E cosi dico a te, il quale la Natura volge a quest’arto, se vogli avere vera notizia delle forme delle cose, comincierai alle particule di quelle, e non andare alla seconda, [p. 108 modifica] se prima non hai bene nella memoria e nella pratica la prima; e se altro farai, getterai via il tempo e veramente allungherai assai lo studio. E ricordoti ch’impari primo la diligenza, che la prestezza.

XCI. — carattere delle opere di leonardo.

Cominciato in Firenze in casa Piero di Braccio Martelli addi 22 di marzo 1508; e questo tìa un raccolto sanza ordine, tratto di molte carte, le quali io ho qui copiate, sperando poi metterle per ordine alli lochi loro, secondo le materie di che esse tratteranno; e credo che, avanti ch’io sia al fine di questo, io ci avrò a riplicare una medesima cosa piu volte; sì che, lettore, non mi biasimare, perchè le cose son molte e la memoria non le può riservare e dire: — questa non voglio scrivere, perchè dinanzi la scrissi —; e se io non volessi cadere in tale, errore, sarebbe necessario che, per ogni caso ch’io volessi copiare, sicchè per non replicarlo, io avessi sempre a rileggere tutto il passato, e massime stando co’ lunghi intervalli di tempo allo scrivere da una volta all’altra. [p. 109 modifica]

XCII. — suo desiderio insaziabile di conoscere.

Non fa sì gran mugghio il tempestoso mare, quando il settentrionale aquilone lo ripercote, colle schiumose onde, fra Scilla e Cariddi; nè Stromboli o Mongibello, quando le sulfuree fiamme, per forza rompendo e aprende i 1 gran monte, fulminano per l’aria pietre, terra, insieme coll’uscita e vomitata fiamma; nè quando le infocate caverne di Mongibello, rivomitando il male tenuto elemento,26 spigniendolo alla sua regione, con furia cacciano innanzi qualunque ostacolo s’interpone alla sua impetuosa furia.... E tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran commistione delle varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura, raggiratomi alquanto in fra gli ombrosi scogli, pervenni all’entrata d’una gran caverna, dinanzi alla quale, — restando alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa, — piegato le mie rene^in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, colla destra mi feci tenebra alle abbassate e chiuse ciglia. E spesso

piegandomi in qua e in là per vedere dentro vi discernessi alcuna cosa, questo vietatomi per la grande oscurità, che là entro era, — e stato alquanto, — subito si destarono in me due cose: paura e desiderio; paura per la minacciosa oscura spelonca, desiderio per vedere se là entro fussi alcuna miracolosa cosa.

Note

  1. il cranio, la testa.
  2. il petto.
  3. Sott.: pratica.
  4. La profonda osservazione, contenuta in questo passo, è stata suggerita a Leonardo dalle contraddizioni e incertezze, in cui s’era avvolta la meccanica presso gli antichi. La leva archimedea non essendo una verga solida, ma una linea geometrica, poteva fornire agli investigatori soltanto dei risultati matematici e astratti; piu tardi gli antichi, incautamente, fusero e confusero i dati della aritmetica coi dati della esperienza, rendendo cosi piu acuto quel contrasto fra T ideale e il reale, che la scienza greco-romana non riuscì, a comporre. Il Vinci, intuendo nettamente una scienza interprete e legislatrice della natura, afferma qui il proposito di voler correggere, con La profonda osservazione, contenuta in questo passo, è stata suggerita a Leonardo dalle contraddizioni e incertezze, in cui s’era avvolta la meccanica presso gli antichi. La leva archimedea non essendo una verga solida, ma una linea geometrica, poteva fornire agli investigatori soltanto dei risultati matematici e astratti; piu tardi gli antichi, incautamente, fusero e confusero i dati della aritmetica coi dati della esperienza, rendendo cosi piu acuto quel contrasto fra T ideale e il reale, che la scienza greco-romana non riuscì, a comporre. Il Vinci, intuendo nettamente una scienza interprete e legislatrice della natura, afferma qui il proposito di voler correggere, con
  5. Sott.: che.
  6. Demetrio.
  7. latrine.
  8. Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65 (99-100).
  9. toglie.
  10. frodi de’ giocatori di palla, sotterfugi.
  11. Sott.: che.
  12. della parte caduca dell’uomo, la figura esteriore.
  13. Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65-66 (100-101).
  14. Leonardo, nelle sue ricerche lente e faticose sulla caduta dei gravi, non & ina determinazione di nuella ieg|e degli snazì proporzionali ai quadrati dei tempi, che rese immortale Galileo Galilei. Il prn Cipio qui espresso è che il peso cadente e soggetto ad una forza di accelerazione c stante la quale fa si che l’aumento della distanza fra i gravi d.isc®"d®"51? ef"taoien® nroporzionale ai tempi della caduta. Intorno alle investigazioni di Leonardo sulla mce dei gravi si veda il Venturi, Essai sm les ouvraqes phisico-mathématiques de Leonai de Vinci. Paris, 1797, pag. lb; e le 1acute pa_ gine del Caverni, Stona del metodo **’ jy mentale in Italia. Firenze, 1895. voi. IV, pag. 69-80.
  15. Tale concetto intorno ai moti equabili, tratto dalla meccanica aristotelica (Qucestiones mechanicce. Opera. Veneziall560. Vnl XI cap. II), è affermato vero dal Vinci nei limiti naturali: «Se una potenza moverà un corpo in alquanto tempo un alquanto spazio, la medesima potenza moveia la metà di quel corpo nel medesimo tempo due volte quello spazio, ovvero la medesima virtù moverà la metà di quel corpo pei tutto quello spazio nella metà di quel tempo» Manoscritto F, folio 26 v». - Ciò che Leonardo combatte nel frammento LXII è l’arbitraria estensione della legge al di là di ogni esperienza e di ogni possibilità di natura, è la tendenza ingenita in certe menti irrequiete di dar forma metafisica alle leggi fisiche, di applicare la vuota astrattezza del termine in infinito alla natura manifestantesi nello spazio e nel tempo finito.
  16. raccolta, somma.
  17. II frammento è stato compiutamente frainteso dal Ravaisson, per la sostituzione della parola frate alla parola fructo, che si trova realmente nel manoscritto. (Les ma nuscrits de Léonard de Vinci . Manuscrits F et I de la bibliotJièque de VInstitut. Paris, 1889. F, folio 72 v°.)
  18. Leonardo ha tradotto questo passo parola a parola dalla Prospettiva di Giovanni Pecckham (* 1292). Si veda in fatti: Prospectiva communis domini Johanni Archiepischopi Cantuariensis fratris ordinum mino rum. Milano, s. d., folio a, 2.
  19. analiticamente.
  20. s’incaricano, s’imbarazzano.
  21. Secondo le dottrine aristoteliche, era concesso alla mente umana di conoscere la natura dei quattro elementi terra, acqua, aria e fuoco, risultanti dalla varia mescolanza del grave col leggero, dell’umido col secco, principi ultimi componenti la molteplice varietà delle cose. Si veda Aristotile, De costo. Lib. IV, cap. 4. — Leonardo ne ^a qui la possibilità di conoscere la natura de ’li elementi, che compongono la realtà esterni; come altrove (Codice Atlantico, folio 79 r°, pag. 187) aveva negato, a somiglianza lei suo contemporaneo Niccolò Cusano, la possibilità di giungere alla conoscenza di elementi primitivi in generale. Cfr. Lasswitz, Geschichte der Atomistik vom Mittelalter bis Newton. Hamburg und Leipzig, 1890. I, pag. 278.
  22. i libri ecclesiastici e i dogmi.
  23. Leonardo ricorda nel Codice Atlantico, folio 207 r°, con la parola Justino: Il libro di Justino, posto diligentemente in materna lingua da Girolamo Sguarzafico. ^ enezia, 1477; libro che gli ispirava questo memorabile frammento. Si veda G d’Adda, Leonardo da Vinci e la sua libreria. Milano, 1872; e The literary works of Leonardo da Vinci. Londra, 1888. I, pag. 419 e seg. Pag. 108. Piero di Braccio Martelli, ricordato altrove dal Vinci (codice del British Museum: folio 202 v°. Cfr. Richter, The literary works, voi. II, n. 1420), non solo fu cittadino di grande integrità, ma matematico insigne, singolare ragione perchè fosse caro a Leonardo. Sul principio del secolo XVI, benchè infermo di corpo, se dobbiamo credere al Poccianti, egli compose: Libri quat tuor in Mathematicas disciplinas, Epistola? plures et elegantes, Epigrammata non panca et acutissima; opere, che, smarrite durante il sacco di Roma (1527), ci hanno forse tolto un nuovo esempio di quella efficacia, che Leonardo da Vinci ebbe su alcuni matematici del tempo suo.
  24. pesandola a carati.
  25. assai.
  26. il foco.