Discorso delle lodi di Luigi Cornaro
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delle lodi
di
luigi cornano
discorso
letto nella r. accademia di belle arti
in venezia
Per la distribuzione de' premi
nel dì 10 agosto 1817.
In questo solennissimo giorno, in mezzo a questo festoso apparato, dopo i dignitosi Discorsi che avete uditi, sciolgo io pure una pavida voce al cospetto vostro, eccelso signor conte Governatore, Magistrati supremi di questa città, chiarissimi Professori, Scolari ornatissimi, Uditori tutti umanissimi, e la sciolgo con grata sommissione all'orrevole incarico impostomi, adempiendo alle discipline di questa reale Accademia, le quali prescrivono che le lodi annualmente si rinnovellino di coloro i quali tra' nostri nazionali ingegni si distinsero siccome più benemeriti nelle tre divine arti del disegno.
Oggidì più mai risplendente quest'angusto tempio delle Muse, non dovrebbe immischiarsi a compiere il nubile ufficio chi le attraenti lor grazie mal conosce ed intende; ma, quanto a me, per ritrarmi men inglorioso ch’io possa dai difficil cimento, penso di vol
germi ad altra meta; e già confido di vedervi arridermi cortesi, se, lasciati da parte e matitatoio e regolo e scalpello, io mirerò più volentieri a chi gli artisti protegge, e fermerò la vostra attenzione sopra un segnalatissimo Mecenate. Potrò così, dispregiando ogni soverchia salvatichezza, alcun poco intertenervi intorno a’ vantaggi che da benefiche tutele di questa fatta possono le Accademie ottenere, e metterò in giusta veduta un magnanimo uomo del secolo sestodecimo al patrizio veneziano consesso appartenente.
A tutte le colte nazioni è noto Luigi Cornaro1 per la famosa sobrietà e temperanza nel suo lunghissimo vivere, e per le auree regole che dettò intorno alla Vita sobria; ma non è forse universalmente noto quanto addentro egli vedesse nelle arti, quanto amasse gli artisti, quanto operasse per loro vantaggio. Io discorrerò ora questi suoi meriti, e lo farò colla celerità del viaggiator frettoloso che leggermente osserva e disamina. Che se rivolgerò al Cornaro lo sguardo in preferenza a
tanti altri insigni che per lo bene delle arti crebbero in questi lidi, sarammi, io spero, menata buona un’elezione che pur bastevole sia per alcuna cosa toccare, la quale a’ concittadini torni in onore, a’ prestanti nostri professori riesca gradita, utile sia a questa gioventù valorosa, e possa in fine da ogni animo umano e gentile essere con sofferenza ascoltala. Degli anni più verdi, dal nostro personaggio trascorsi in Padova, poco è a dire, e meglio sarebbe il non dire. Ouantunque fosse stato instituito per gli ottimi studi, come richiedasi a signore di beli ingegno, tuttavia egli confessa di averli presto messi in non cale, logorando il tempo nella Spensieratezza e nelle crapule, dal che avea contralto sconcezza di sanità, e tanto male abitudini che, venuto a’ 37 anni, null'altro a sperar gli restava che di poter finire per morte i travagli di una vita logora e sconsolata2. Non ci arrestiamo, cari giovani, su questo suo periodo di vita, che già vedrem risarcito, o almeno apprendiamo dal suo stesso esempio quanto
importi il battere la retta via della virtù e dello studio: la via contraria de’ dissipamenti e dell'ozio segna in apparenza pace e bonaccia; in sostanza poi non è che guerra e tempesta.
Divenuto il Cornaro maturo negli anni e maturo nel senno, e spiegatasi in lui un ingenita benevolenza verso quelle arti sorelle che formano l'ornamento più caro del nostro suolo, gli riuscirono esse il più verace, il più utile, il più delizioso intertenimento. Pigliamo da lui stesso a prestanza le parole e la voce.
"O onorati gentiluomini (egli scriveva), o grandi d’intelletto, di costume e di lettere, ed eccellenti in alcun’altra virtù, venite meco ad onorare le arti e gli artisti, e vedetene satisfazione e conforto!.... Io sono nella più bella parte di questa nobile e dotta città di Padova, e mille beni io ne ritraggo. Fabbrico con ragione di architettura, e godo i miei diversi giardini, e sempre trovo cosa che mi diletta.... L'aprile e il maggio, e così il settembre e l’ottobre altri sollazzi ritrovo o nel godere un mio colle fra questi Euganei, e nel più bel sito di quelli, che ha fontane e giardini e soprattutto comode e belle stanze, o nella mia villa di piano, la
"quale è bellissima, con istrade, con piazza e con chiesa onorala assai.... villa che, già deserta per mal aere e per acque paludose, ora ò per le mie cure tutta ricca di gente e di campi fertilissimi; talché io posso dire con verità che ho dato in questo luogo a Dio altare e tempio ed anime per adorarlo... Quivi piglio piacere con gli uomini di bell'intelletto, con architetti, pittori, scultori, musici e agricoltori: che di questi uomini per certo questa nostra etade è copiosa assai3."
E ben sapete, o Signori, quanto quella sua etade copiosa fosse di begl’ingegni! Etade felice! Gli uomini privati gareggiavano allora co’ grandi e co’ principi a rallegrar il cielo di bella luce, e per quest’accordo di eletti spiriti l'italico genio si scosse, le lettere risplendettero, le arti geniali si riconfortarono, ed un’accorta dilicatura si diffuse e s’insinuò in ogni studio pili liberale. Non dipartiamo da questa incomparabile nostra Vigenia, e vedremo che se i sovrani suoi cittadini un Da
niel Barbaro, un cardinal Bembo, un doge Gritti, un cardinal Grimani, un Giorgio Trissino vicentino, il Cornaro nostro, non fossero stati, non avrebbero forse sorpreso il mondo un Tiziano, un Paolo, un Sammicheli, un Palladio. E quante mai non son elleno le industrie di un proteggitore intelligente? Egli, oltre a mostrarsi liberale di sue sostanze, conversa coll’amico erudito e ne trae inventive e fantasie, egli s’introduce nel banco del dovizioso trafficante cui trasfonde quel succo di cui è nutrito egli stesso, egli entra, se fia d'uopo, nel chiostro, ed infervora il fraticello divoto ad erger templi ed altari, nè occasione alcuna trascura a fin che le arti s’innalzin sempre gloriose. Nella Grecia, madre di ogni eleganza e di ogni eleganza, trascorsi i secoli dei Pericli e degli Alessandri, terra e sterpi divennero i Portici ed il Pireo: ed il Laocoonte e l’Apollo fra terra e fra sterpi andarono per secoli a seppellirsi.
Fra le tante prove che ci lasciò Luigi Cornaro dell'affezione sua agli artisti io mi limiterò a dirvi di una soltanto. Fioriva a’ suoi tempi il veronese Giammaria Falconetto4, nella pittura valoroso, nell'architettura famigerato, e molto esperto nella plastica arte. Era costui bel parlatore, franco e piacevole, e dopo aver qua e colà peregrinato, venne a ricoverarsi tra le pareli ospitali del nostro Cornaro, che gli offerì le più larghe ricognizioni. Si legarono presto gli animi in amistà vicendevole, e quindi dotti ed ameni colloqui, e quindi la famigliarità la più intima, la più cara. Una copiosa raccolta di disegni che il Falconetto avea seco recati da Roma invaghì il Cornaro talmente delle magnificenze di quella città regina, che volle in compagnia dell'amico passare ad esaminarle, l’arti ricco di desiderj; ricchissimo di dottrine tornò alla diletta sua Padova, facendo ivi costruire una magnifica loggia ornata di pitture, di statue e di quadri tolti da’ disegni di Raffaello5, e murando nel suo cortile un nobilissimo casino sacro alla Musica, sempre colla soprintendenza e colla direzione del suo Falconetto. Di lui si valse poi per altre grandiose fabbriche poste nella villa di Codovico su quel di Padova6, ed in Luigiano presso Torreglia su i colli Euganei. Né cessò se non che per morte la bella alleanza tra ’l mecenate e l’artista, lasciando a questi il conforto d’esser assicurato che sempre resterebbero in possesso di ogni carezza la più ospitale e la propria moglie e tre figliuoli maschi e sei femmine, la fortuna de’ quali tutti rimase in fatti alla mercede del credito e dell'autorità del protettore ed amico. La candida anima di Luigi tanta predilezione portava al suo Falconetto, e ad un altro festoso ingegno, il padovano Ruzzante, che il Vasari ci lasciò scritto, essere stata sua volontà, che Falconetto e Ruzzante fossero in morte seppelliti entro un solo avello, e che dovesse egli stesso entrare per terzo in quel sepolcro medesimo
"acciocché (dice lo storico) i corpi di coloro non fossero né meno dopo morto disgiunti, gli animi de’ quali l’amicizia eia virtù avevano legati insieme vivendo7..."
Ho fatto cenno di alcuni edifizi dal Cornaro ideati e costrutti, e saravvi grato, miei Signori, ch’io vi rammenti, che la stupenda Loggia rizzala in Padova v'è tuttavia esistente e ammirata8; che l'architetto celebratissimo Sebastiano Serlio ne diede i disegni, proponendola agli studiosi come modello degno d'imitazione9, e che il nostro dotto Temanza, il quale fere conoscerò che non sempre al Serlio tornavano bene gli studi10, corresse poi questi disegni o molto meglio seppe illustrarli. Egli, il Temanza, nella Vita del Falconetto ci parlò a lungo anche delle fabbriche erette nella villa di Codovico, dove rinvenne tuttavia avanzi di perfetta invenzione ed esecuzione; e in Codovico poté discoprire un ritratto del nostro onoratissimo Mecenate, che vorrei ornamento di quest’aula magnifica in questo giorno solenne in cui io m'ingegno di rialzar le sue geste11. Non fu accorto il Temanza nel parlarci del palagio di Luigiano12, che suppose costrutto presso al Sile non molto lungi dalla città di Trevigi, e poi atterrato dal tempo, ma alla cultura e alla dottrina dell'egregio cav. Gio. de Lazzara io debbo, e voi pure, la grata notizia che torreggia tuttavia questa mole, adorna di scale veramente reali, nell’indicatovi amenissimo sito tra le Euganee colline13. È divenuto proprietà dell’insigne vescovado di Padova, e punto non ismentisce il giudizio datone sin dal suo tempo dal nostro Francesco Marcolini, il quale in una sua dedicazione ebbe a scrivere:
“Se un gentiluomo vuol sapere come si fabbrichi nello città, venga in casa Cornaro in Padova... se vuol ornare un giardino, tolga il modello del suo.... se vuol edificare in villa, vada a vedere a Codovico e a Campagna e negli altri luoghi le architetture fatte dalla grandezza dell’animo suo... se vuol lare un palazzo da principe, pur fuor della terra, vada a Luvignano, dove comprenderà un albergo degno d'essere abitato da un pontefice o da un imperatore... Il Cornaro sa ciò che si può sapere in questo e nell'altro delle operazioni "umane14" Valgavi, o Uditori, che lo stampatore Marcolini non era uom comunale, ma strenuo artista egli stesso, e delle meccaniche discipline così intelligente da meritarsi d’essere lodato a cielo da un Daniel Barbaro15.
E qui la mia narrazione io voglio alcun poco interrotta per dare ascolto a voi stessi, Signori miei, a’ quali chiosar piacendole cose elle espongo, sembrami che così vorreste soggiugnere: Sia stato pure il tuo Cornaro lo specchio de’ Mecenati: e chi non sa che ad essi debbono le arti e favore e incremento? e aggi ugni, che lo dovettero un tempo assai più alla maestà della religione, oggidì illanguidita; lo dovettero a’ cenobiti e a tante pie istituzioni, oggidì perite; lo dovettero a tanti facoltosi, oggidì impoveriti. Torni adesso un Cornaro, e tornino con osso un Tiziano e un Paolo, tornino a frotte gli artisti; o che perciò? Povero padre di famiglia, tu spendi e profondi per quel tuo figliuolo, ch è ora alunno studioso di quest’accademia, ma che risica di rimaner poi malabbiato, senza pane e senza fortuna! Povero figliuolo, tu l'olio della lucerna consumi col sudor del tuo volto, ma tu le ne giacerai inoperoso, e dislealtà si è quella di cimentarti all'agone per non trovar poi paline da mietere quando sarai giunto alla meta!
A tanto bisbigliamento io non invocherò l’ombra del Mecenate veneziano a rispondere, conciossiachè se i tempi nostri non sono i suoi, a’ tempi nostri è debito di conformarci. Dirò bene, che tanti apparenti discapiti provenir sogliono da inopportuna temenza. Se la religione confortatrice scorsesi o illanguidita o venuta meno in alcuni, la tristizia di pochi non è delitto che serpeggi fra i più, e sanno i più, che società senza religione è feluca senza limone e senza vele; quindi noi la vediamo ferver gagliarda nel cuore del nostro Augusto, e di tanti ottimi suoi Magistrati, fervere negli onorati petti de’ migliori tra i cittadini, fervere sì nel seno delle nobili matrone, come in quello delle villanelle tapine; e vi basti entrare ne' templi per mirarvi sempre le auguste funzioni di folto popolo coronate, o scorrere le nostre campagne per trovarvi rispetto e venerazione all’altare. Pur troppo è vero che quelle accette micidiali d’oltremonte che ci colsero inermi ebber falciata gran parte di nostre sostanze, ed ahi troppo spesso ora diserta trovasi quella quercia che altre volte elevavasi rigogliosa; ma forse più die nella tiepidezza del divin culto, o nelle spade nemiche, si potrebbe in altre cause indagare la fonte degli scarsi lavori de’ nostri artisti. Ripetesi tutto di, che siamo divenuti poveri; ma d’onde viene che il lusso per ogni esterna foggia è poi smoderato, che un drappo delle Indie, una porcellana di Sevres, una terra di Birmingam, loro e l’argento filati in Francia o in Lamagna, tante frivole, ma dispendiose miscee di estraneo lido non restano mai polverose ne’ nostri fondachi, nel tempo che oziose restano le mani degli artisti concittadini? Deh non mi conducete a esclamare, che abbiavi più presto povertà di vero amore delle patrie lautezze che povertà di sostanze16
I destini della Italia moderna possono difficilmente darci redidivo un Cornaro, ma non ci possono per questo mancare altri mezzi per vedere protette le arti, anche senza tanta di lui possanza. Non è più questa nostra Adria quale ce la dipinse il mio illustre Roberti: "simile all’antica Tiro, i cui naviganti erano i suoi Fenici, e il commercio che fea quivi sorgere le torri e gli atrj dalle lagune, rendeva a un tempo stesso in altra estrema sua parte popolose e onorate le rupi17." Tuttavia a mecenate operoso delle nostre arti può bastare un fervido magistrato, può bastare le molte volle un illuminato cittadino, può bastare un saggio ministro dell’altare, e mecenati operosi veggiamo essere non pochi parochi che in villerecci soggiorni ergono magnifici templi, e di pitture e di statue li arricchiscono. Fervore, intelligenza, attività, e i nostri edifici si mireranno riparali, rabbelliti, e più annobilite le città nostre, e le nostre case più ragionevolmente rilucenti di nazionali lautezze. Corravi all’animo, o Signori, che a buon conto la mercè dell’attività e del fervore di uno de’ nostri pastori18 si è in questi di tramutato in istupenda galleria il tempio de’ ss. Gio. e Paolo; che il rispettabile nostro cav. Morelli vi ha riordinata e molto arricchita di avanzi delle arti belle una biblioteca, sede la più splendida che possano avere Apollo e Minerva; che il Prefetto del Seminario Patriarcale, l’ab. Giannantonio Moschini, vi ha fatto d’un casolare sdruscito un liceo stupendo e ornatissimo; che il prestantissimo nostro cavaliere Presidente, il quale io non nomino per corteare, ma per riverire, vi seppe ottenere da’ nostri Cesari i modi di rendere quest’Accademia sovra ogni altra risplendente, ed è sempre intento ad onorate imprese che le arti alimentano e portano ne’ più lontani lidi il lor magistero19.
Dopo tutto ciò, voi spezialmente, Professori chiarissimi, compiacetevi, riconfortatevi. Compiacetevi di essere voi gli avventurosi sacerdoti che qua mantengono vivo il sacro fuoco delle divine opere dell’ingegno, e i conoscitori di ogni squisita parte ed arcana del loro artifizio. Riconfortatevi ai nomi di Hajes, forse oggidì il primo coloritore d’Italia, di Demin, che così bene sostiene il decoro della nostra pittura, di Roberti, emulo di Canaletto, di Rinaldi e di Fabbris, seguaci del nostro Fidia, di Lazzari, di Mezzani, di Pressani, di Bernati, di Rota, e di tant’altri, che furono già vostri alunni e che sono adesso il conforto e l’aiuto delle loro famiglie, portando cinte le tempie di onorate corone, loro intessute da’ vostri ammaestramenti. E voi, Giovani carissimi, che siete in questo dì apparecchiati a nuovi ed ambiti allori, non curate mai le voci disseminate da ignobil temenza, ma raddoppiale il vostro ferver nello studio, e riuscirete così e delizia delle famiglie e della patria decoro.
Torniamo adesso al nostro Luigi Cornaro, ed accompagniamolo anche per poco nella longeva sua vita, ne lo abbandoniamo sin al dì estremo. Ed oh fosseci stata meno avara la storia, che di così gentile spirito taciute avendo le più private e circostanziate azioni, noi non possiamo ora conoscere di proposito né alcune sue opere, né tanti documenti del suo peregrino ingegno, e contentar ci dobbiamo di pochi materiali che, a guisa della pianta di un maestoso edilizio, bastar possano a farci indovinare soltanto la grandezza dell'alzato e la pompa dogli ornamenti. Le poche lettere che di lui ci rimangono fanno a buon conto argomentare quanto atto egli fosse ad ogni più nobile disciplina, e siccome indirizzate a grandi uomini, il Bembo, lo Speroni, il Barbaro, il Fracastoro, bastano a mostrar di quanta eccellenza fossero i suoi legami amichevoli20
all’erudito diletto giovar potesse, e serva ad esempio la celebre tragedia l’Edipo di Gio. Andrea dell’Anguillara che volle sontuosamente rappresentata nel domestico tetto a ricreamento de’ Padovani21. Anche la Canace dello Speroni era convenuto che con isfoggio singolare dovesse in Padova rappresentarsi, ed al nostro Luigi era affidata la direzione dello spettacolo. Narra il Forcellini nella Vita dello Speroni, che il Cornaro ebbe a compagni Alessandro Piccolomini e Angelo Beolco, detto Ruzzante, e che, oltre all’aver egli provveduto con musiche, con abiti e con lusso di scene al decoro della rappresentazione, avea già fatto un solenne convito a quaranta elette gentildonne, a’ loro mariti, agli Accademici Infiammati, e al flore de’ valentuomini che erano allora in Padova, ma che la morte immatura sopravvenuta al Ruzzante, ruppe nel mezzo il disegno22. Sappiamo infine che
profondi studi egli avea fatti sulle opere di Vitruvio e di Leon-Batista Alberti23, e che da Andrea Palladio venne molto encomiato come inventore di nuovi modi di scale, introdotte nelle sue abitazioni24. Né ciò basta, mentre partitamente intorno alla pittura, all’architettura, alla musica, all’agricoltura dettò pure varj Trattati25, ma li soli scritti
che non furono divorati dal tempo sono i suoi Discorsi sulla prediletta sua Vita sobria, discorsi tradotti e pubblicati in molte lingue Straniere26 ed una dotta Opericciuola intorno a queste nostre Lagune, ch’egli solea chiamare le fortissime e sante mura della cara sua patria27.
Io che soglio pigliar volentieri a prestanza le parole de’ vecchi, siccome quelle che, spirando candore e semplicità, aggiungono fede al parlare, vi prego, miei Signori, a voler meco udire come un culto letterato toscano, Antonmaria Graziani, nella vita che scrisse del celebre Commendone, di cui fu segretario, le tante compensazioni ci tocchi che ritrar soleva il nostro Cornaro dalla tempera virtuosa dell'animo suo. Sono le parole nella lingua del Lazio, e valgono così nella nostra: "Questo onoratissimo uomo, cui tanto con venne il soprannome di Sobrio, veniva accarezzato, riverito e rispettato da chiunque o per cospicuo natale o per bella dote d'ingegno si distinguesse. E i grandi personaggi, e i men grandi e le minute persone, tutti erano solleciti a visitarlo per lo piacere d’intendere i suoi discorsi sempre moderati, piacevoli ed ingegnosi. La prudenza la saggezza, l'avvedutezza, il consiglio, la liberalità gli faceano schiera bellissima, splendidissima. Non era in Padova abitazione più volentieri della sua riverita, ed egli, sempre; magnifico e spendereccio, mai non cessava dall'usare verso di tutti, e degli conoscitori delle arti belle singolarmente, d’ogni ufficio di animo generoso e perfetto28
Parmi in questa tanto lusinghevol pittura di trovare contraddistinto quell’illustre patrizio veneziano degli ultimi tempi, Filippo Farsetti, della cui opera, prestata alle arti con regio splendore, è prova non dubbia tutto ciò che nell’arte plastica noi custodiamo tra queste pareti; del cui squisito gusto in apprestare festoso ricetto a Flora e a Pomona faceva fede la sontuosa sua villa di Sala; della cui cultura ed ospitai cortesia le lodi più ingenue possono leggersi negli scritti del Dalle-Laste, dei Gozzi, e di altri nostrali ed esterni autori29
Ma io vi condurrò finalmente, o Signori, aggiorni estremi di Luigi Cornaro, e dolce cosa saravvi il conoscere, che l’impiegare senza sosta a pro comune il tempo, apparecchia di cari conforti anche l'ultimo palpito del nostro cuore. E qui mi compiacerò di tornare a valermi delle parole del nominato Graziani affinché veggiate che anche la tran-
quilla e riposata fine del nostro magnanimo nomo, giunto al suo novantesimottavo anno30 fu tanto serena quanto può esserlo il bel tramonto di un dì senza nuvole. "L’ottimo vecchio (continuo nel fedele volgarizzamento) presentendo di essere presso al termine della vita, non risguardava il grande passaggio con ispavento, ma come se trattato si fosse di transitare d’una in un’altra casa. Sedea nel suo letticciuolo, che ristrettissimo usavalo e piccolo, e presente era Veronica di lui moglie31, carica d’anni quasi quanto
lui. Con tuono di voce chiaro e sonoro mi narrava i motivi por i quali con animo gagliardo lasciato avrebbe la vita, e faceva i migliori augurj per la felicità del mio Commendone, al quale pur volle scrivere di proprio pugno una lettera di consiglio e di conforto. Dissemi, che pareagli di poter sopravvivere tuttavia due giorni, ma assalito poco dopo da deficienza di forze vitali, si fece sollecito di affrettarsi nuovamente i soccorsi della religione consolatrice; e stringendo nella sinistra mano una piccola immagine del Crocifisso, cogli occhi fermi nello stesso esclamò: Lieto e pian di speranza verrà con voi, mio buon Dio. Si acconciò poi con decenza, e chiusi gli occhi, come se avuto avesse a dormire, con un leggiero sospiro per sempre ci abbandonò32" Abbandono, o ascoltanti, lieto e invidiabile; ma di grande disdetta, che la perdita di nomini di tanto senno è irreparabile, né altro a noi rimane che di seguire, per quanto può farsi, la loro autorità e il loro esempio. Per non turbare frattanto la onorevolezza
di questo giorno, anzi per passare in un giorno di comune giocondità a liete contemplazioni, il vivace nostro pensiere non si arresti più oltre sulla squallida stanza di un Mecenate che non è più, ma passi ormai lieto e coraggioso a quella fiorente e luminosa apprestataci da un Augusto vivente. Rivolgiamo dunque con comune accordo la menrte ed il cuore all’ottimo Imperatore e Re nostro, il quale, disserrato il campo alle cure pacifiche ed agli onesti studi, favoreggia altamente tutte quelle instituzioni che tendono a raddolcire ed a nobilitare la mente umana. Egli con braccio possente sostiene questa Accademia, egli è l’operatore della odierna sua splendidezza, egli lo sarà della sua perfezione futura Se gli animi nostri gli sono grati o riconoscenti, non venga risparmiato mai più nobile ardimento, affinché possiamo sino mostrargli, se fia possibile, che un solo Apelle e un solo Lisippo non si contano tra i veneti artisti, che, protetti dall'aura sua, riescir possono degni di tramandare a’ posteri l’augusto suo simulacro.
Cari e bennati giovani, la solennità è a voi principalmente sacra, e a voi rivolgendomi darò termine al mio Discorso. Colla voce dell'affetto più tenero vi eccito ad essere indu
striosi nel procacciarvi del Principe la tutela, de’ Mecenati rappoggio; ne vi dimenticate mai più di Luigi Cornaro, e dell'artista Falconetto suo amico. Sì, vi troverete i proteggitori anche oggidì, se, fatto tesoro di ogni dimestica virtù, amplierete le sfere dell'intelletto con molta varietà di sapere, e se vi resterà sempre fitto in niente che non acquista fama e celebrità chi infingardisce, ma chi notte e giorno lavora per quanto V umana natura il comporta. Tito Livio e Plutarco ci descrissero Filopemene, illustre condottiere di eserciti, e ci narrarono le fatiche somme e gli sforzi che lo portarono alla rinomanza. Reynolds parò dinanzi quel generale ai suoi giovani alunni, e mostrò loro che non punto minori sono le fatiche e gli sforzi dell'artista che poggiar voglia alle vette della immortalità. Noi dunque confidiamo tutti nel vostro ingegno e nel vostro volere, e per voi, gioventù valorosa, salirà a sempre maggior lustro questa città, che per amenità di clima, per isvegliatezza d’ingegni, per santità d’instituti, per maestà e splendor di edifizi, e per purissimo latte apprestato alle tre divine arti sorelle, in tutto il mondo e stata sempre famosa.
- ↑ Abbiamo un'esatta geneologia del casato del nostro Luigi nelle note di Apostolo Zeno al Fontanini, tom. 2, c. 345.
- ↑ Ciò sappiamo da varj squarci de' suoi diversi Trattati della Vita Sobria, e dalle poche Lettere che di lui ci rimangono.
- ↑ Sono tolte queste parole qua e là dà suoi Discorsi surriferiti. Merita di essere principalmente letta la sua lettera a messere Sperone Speroni, scritta dalla villa di Codovico alli 2 di aprile, 1542
- ↑ Giorgio Vasari scrisse la vita di Giammaria Falconetto, ma con migliore critica tornò poi a dettata il nostro Tommaso Temanza, che la inserà nelle sue Vite degli Architetti Veneziani. Venezia, 1778, in 4, pag. 131 e seg. Le epoche della vita del Falconetto furono poi con più esattezza di ogni altro contraddistinte dal Brandolese nel suo libro: Pitture di Padova, pag. 253 e pag. 276.
- ↑ Vedi Notizia d'Opere di disegno nella prima metà del secolo xvi, ecc., scritta da un Anonimo, pubblicata e illustrata da Jacopo Morelli. Bassano, 1800, in 8, pag. 10, dove si fa nota degli ornamenti varj di oggetti di belle arti che esistevano nella Casa Cornaro.
- ↑ In questa villa di Codovico, o Codevigo, il Ruzzante, ospite carissimo di messer Luigi, compose la maggior parte delle sue bellissime e bizzarre Commedie. Zeno, Note al Fontanini, T. ii, pag. 345.
- ↑ Vasari, Vita di Gio. Maria Falconetto, T. ii, P. iii.
- ↑ Di quest'edifizio veggasi il Moschino nella sua Guida di Padova. Ven. 1817, in 8, p. 176.
- ↑ Si trovano nella sua Architettura, Libro vii, edizione di Venezia de' Franceschi, 1594 in f. p. 18.
- ↑ Vita di Giamm. Falconetto, loc. cit.
- ↑ Sotto al ritratto stava la seguente iscrizione: aloysius cornelius cognominatus a vita sceria an. æt. suæ lxxxix. vixit an. xcvii. Le parole vixit an. xcvii furono aggiunte dopo, e con poca esattezza, come vedrassi in appresso.
- ↑ Ospite di un prezioso amico e compatriota, il dotto professore abate Giuseppe Barbieri, che possiede una ridente casa di campagna su' colli di Torreglia, e in compagnia del rammento cavaliere de Lazzara, ho visitato io pure nel giorno 4 agosto, 1817, il palagio di Luigiano. Il maestoso edilizio è stato riattato con poca carità architettonica per ordine di monsignor vescovo Giustiniani, il quale solea ivi spendere i giorni autunnali, ma, da alcun tempo attende ajuti e presidj che lo tornino all'elegnaza sua primitiva.
- ↑ Nell'archivio dell'Economia del reverendissimo vescovado di Padova non restano memorie relative alla prima costruzione del palagio di Luigiano, ma nel vol. lxxxi dell'archivio stesso, a carte 272, trovasi un documento valevole a farci conoscere il nome dell'architetto di alcune giunte nell'anno 1562 fatte nel circondario del palagio medesimo.
- ↑ Questa lettera, indirizzata al Cornaro stesso colla data dell'anno 1544, sta in fronte al Libro iv dell'Architettura del Serlio, ediz. Venezia, per il Sessa, 1599, ed è stata poi riportata dal Temanza e dal Morelli nelle opere sopraccitate.
- ↑ Nell'opera intitolata: I marmi del Doni, Venezia, Francesco Marcolini,1552, 1555, in 4, p. iv, c. 15, trovasi il ritratto del Marcolini maestrevolmente intagliato in legno. Fu artista egli stesso e assai benemerito della tipografia per isplendide sue edizioni, e per nitidi caratteri cancellereschi di sua particolare invenzione. Gli elogi di lui ci ha fatti Daniele Barbaro leggonsi nelle sue Illustrazioni a Vitruvio, ediz. 1556, nel fine del c. xi, lib. v, e nei Comenti al c. ix, lib. ix, e al c. xii, lib. x. Anche Giuseppe Salviati, che prestava opera all'abbellimento dell'edizioni del Marcolini, lo chiamò mirabile et ingegnoso nella dedicatoria al Barbaro della rarissima sua operetta : Regole di fare la Voluta Jonica, ecc. Pietro Aretino ha stanze in lode del Marcolini ne' suoi Strambotti alla villanesca. Venezia 1544, in 8, e il Brusantino, nel c. xxix della sua Angelica innamorata, cantò che suo disegno fu quello del gran ponte
..... onde Murano
Guarda Vinegia, credo dei divini
Che fece con ingegno sovrumano
L'ingegnoso Francesco Marcolini.Nella edizione per mia cura fattasi nell'anno 1815 delle Novelle del Doni, in 8, ho inserito altre notizie intorno a questo valoroso e troppo dimenticato tipografo.
- ↑ E alle cause esterne non sarebbe egli da aggiungnersi anche l'abuso forse oggidì eccessivo dei lavori italiani in taglio in rame? Giacciono inoperosi gl'ingegni creatori perché l'universale è sollecito di far acquisto delle belle, ma sempre fredde opere di un diligente meccanismo, le quali per sentenza del consigliere Bianconi sono copie prive di quell'anima che sugli originali soffiarono i divini loro artifici
- ↑ Discorso recitato in Bologna per la distribuzione de' premi nell'Accad. delle belle arti, ecc. Sta nel vol. i delle Opere, ediz. di Bassano.
- ↑ Il degnissimo parrocco D. Emaanuele Lodi, ora vescovo di Udine. Anche il bel tempio della Maddalena, architettura del valoroso Tommaso Temanza, ed uno de' migliori monumenti di moderna architettura in Venezia, sta per riaprirsi di nuovo, la mercè delle speciali cure dell'egregio cavaliere Marco Molin, podestà degnissimo di Venezia.
- ↑ Oltre alla Storia della Scultura, opera di grandissima importanza, tengasi come primaria figlia del suo amore alle arti venete l'impresa delle Fabbriche di Venezia misurate e delineate e descritte; impresa che, menrcè l'assistenza de' due dotti uomini il nobil uomo Antonio Diedo, attuale segretario di questa R. Accademia, ed il sig. Gio. An- tonio Selva, professore di architettura, si rese pubblica con tanta utilità della veneta gioventù studiosa, e con tanta soddisfazione dei più intelligenti ammiratori degl'illustri edifizi di questo suolo.
- ↑ Nella ristampa de' Discorsi di Luigi Cornaro, Venezia, 1816, in 8, trovansi alcune di queste Lettere, ed in maggior numero si leggono nel vol. vii della raccolta intitolata: Miscellanea di varie operette, ecc. Venezia, Tommaso Bettinelli, 1743, in 12, pag. 349 e seg. Al Fracastoro scrisse il Cornaro, ma la lettera sua è perduta. Restaci la risposta datagli da quell'insigne Veronese, ch'era però di opposta sen- timento sui modi di regolare le acque della veneta laguna. Questa Lettera non fu da me per la prima volta pubblicata, nella forma delle opere stesse in Venezia, nella tipologia d'Alvisopoli, 1815, in 4.
- ↑ V. Zeno, Note al Fontanini, Tomo i, pag. 476.
- ↑ Forcellini, Vita di Sperone Speroni. ( T. v, Speroni, Opere, car. xxvii.)
- ↑ "Nelle opere di Vitruvio e di Leon-Battista Alberti fece profondo studio per apprendere la teoria del bene ed ornatamente fabbricate." Così il cav. Morelli (Notizia , ecc. l. c. p. 107), il quale indi riporta il seguente elogio al Cornaro nostro, fatto da Pierio Valeriano, dedicandogli il libro quarantesimonono de' Geroglifici: Hoc de lapide et fabricis nonnullis tibi debeti existimavi, quando hodie nemo privatorum hominum te uno melius intellexit, intellectamque in usum et artem evexit. Quod si digna magnanimitatis tuae sors fato aliquo tibi obtigisset, aetas nostra nulli veterum in rei tam praeclare amplificatione cedere indicaretur.
- ↑ "Questi due modi di scale ritrovò la felice memoria del magnifico signor Luigi Cornaro, gentiluomo di eccellente giudicio, come si conosce dalla bellissima loggia e dalle ornatissime stanze fabbricate da lui per la sua habitatione in Padova." I quattro libri dell'Architett. Ven. de Franceschi, 1560, in fol., lib. i, c. 28, pag. 61.
- ↑ Accenna alcune opere di queste Operette il card.
- ↑ Vedi l'Elenco delle edizioni e delle versioni preposto al Trattato della Vita sobria, ecc. Venezia, 1616, in 8.
- ↑ Il titolo di questa operetta è il seguente: Trattato delle Acque. Padova, per Grazioso Percacino, 1560, in 4°. Ne possedeva il dottissimo cav. ab. Morelli un esemplare con qualche giunta di mano propria dell'ornatissimo vecchio; aggiuntovi altro Trattatello inedito sullo stesso argomento, da lui scritto nell'anno novantesimosesto di sua età. Notiz. di un Anonimo, ecc. loc. cit. , pag. 108.
- ↑ De Vita Jo. Franc. Commendoni, Cardinalis. Parisiis, 1669. Lib. ii, c. iv. . Ortensio Lando, né suoi Sette Libri di cataloghi. Venez. 1552, in 8°., pag. 255, ricordando il Cornaro, aggiunge al suo nome, Gran fabbricatore, e gran cacciatore, e grand'uomo pio.
- ↑ Un illustre letterato forestiere ci espose le sontuose imprese del nostro patrizio abate Filippo Farsetti. Veggasi l'articolo Farsetti (Famiglia), scritto dal francese Ginguené nella Biographie Universelle.
- ↑ Restano tolte le dispute che da Tommaso Temanza e da altri si sono fatte intorno all'anno della morte di Luigi Cornaro, meritando fede le parole del Graziani che vi fu presente, ed essendo essa morte seguita dopo la promozione fatta al cardinato del Commendone, il che seguì per elezione di Pio P. iv, nel Concistoro del dì 12 marzo, 1565 alla sua morte.
- ↑ "Erasi Luigi accasato con Veronica de' signori di Spilimbergo; ma il suo ramo si estinse in Chiara, unica sua figliuola ed erede, che fu da lui data in moglie a Giovanni di Fantino Cornaro, detto della Piscopia" (Zeno, Note al Fontanini, l. c., p. 345).
- ↑ De Vita Jo. Franc. Commendonii car. Lib. iv pag. 16 e 17.