Commedia (Buti)/Inferno/Canto XIX

Inferno
Canto diciannovesimo

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C A N T O   XIX.

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1O Simon mago, o miseri seguaci,
      Che le cose di Dio, che di bontate
      Deono essere spose, e voi rapaci
4Per oro e per argento adulterate;1
      Or convien che per voi suoni la tromba:
      Però che nella terza bolgia state.
7Già eravamo alla seguente tomba
      Montati, dello scoglio in quella parte,
      Che a punto sopra il mezzo fosso piomba.2
10O somma Sapienzia, quanta è l’arte,
      Che mostri in Cielo, in Terra e nel mal Mondo;
      E quanto giusto tua Virtù comparte!3
13Io vidi per le coste e per lo fondo
      Piena la pietra livida di fori,
      D’un largo tutti, e ciascuno era tondo.
16Non mi parean meno ampi, nè maggiori,
      Che quei, che son nel mio bel San Giovanni
      Fatti per luogo de’ battezzatori;4
19L’un delli quali, ancor non è molti anni,5
      Rupp’io per un che dentro vi annegava:
      E questo sia suggel, ch’ogni uomo sganni.

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22Fuor della bocca a ciascun soperchiava
      D’un peccatore i piedi, e delle gambe
      In fino al grosso, e l’altro dentro stava.
25Le piante erano a tutti accese intrambe;
      Per che sì forte guizzavan le giunte,
      Che spezzate averian ritorte e strambe.6
28Qual suol lo fiammeggiar delle cose unte
      Muoversi pur su per restrema buccia;
      Tal era lì da’ calcagni alle punte.
31 Chi è colui, Maestro, che si cruccia,
      Guizzando più che li altri suoi consorti,
      Diss’io, e cui più rossa fiamma succia?
34Et elli a me: Se tu vuoi, ch’io ti porti
      Là giù per quella ripa che più giace,
      Da lui saprai di sè e de’ suoi torti.
37Et io: Tanto m’è bel quanto a te piace:
      Tu se’ Signor, e sai ch’io non mi parto
      Dal tuo volere, e sai quel che si tace.
40 Allor venimo su l’argine quarto:
      Volgemmo e discendemmo a mano stanca
      Là giù nel fondo foracchiato et arto.
43Lo buon Maestro ancor della sua anca
      Non mi dispuose, sì mi giunse al rotto7
      Di quel che si piangeva con la zanca.8
46O qual che se’, che il di su tien di sotto,
      Anima trista, come pal commessa,
      Cominciai io a dir, se puoi, fa motto.

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49Io stava, come il frate, che confessa
      Lo perfido assassin che, poi ch’è fitto,
      Richiama lui, perchè la morte cessa.
52Et el gridò: Se’ tu già costì ritto,
      Se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
      Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
55Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio,
      Per lo qual non temesti torre a inganno
      La bella Donna, e poi da farne strazio?9
58Tal mi fec’io quai son color che stanno,
      Per non intender ciò ch’è lor risposto,
      Quasi scornati, e risponder non sanno.10
61Allor Virgilio disse: Dilli tosto,
      Non son colui, non son colui che credi;
      Et io rispuosi come a me fu imposto.
64Per che lo spirto tutto storse i piedi,11
      Poi sospirando, e con voce di pianto,12
      Mi disse: Dunque che a me richiedi?
67Se di saper chi io sia ti cal cotanto,
      Che tu abbi però la ripa corsa,
      Sappi, ch’io fu’ vestito del gran manto:
70E veramente fui figliuol dell’orsa,
      Cupido sì, per avanzar li orsatti,
      Che su l’avere, e qui mi misi in borsa.13
73Di sotto al capo mio son li altri tratti,
      Che precedetter me simoneggiando,
      Per le fessure della pietra piatti.14

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76Là giù cascherò io altresì, quando
      Verrà colui ch’io credea che tu fossi,
      Allor ch’io feci il subito dimando.
79Ma più è il tempo già, che i piè mi cossi,
      E ch’io son stato così sottosopra,
      Ch’el non starà piantato co’ piè rossi:
82Chè dopo lui verrà di più laida opra,15
      Di ver ponente, un Pastor sanza legge,
      Tal che convien che lui e me ricopra.16
85Nuovo Giason sarà, di cui si legge
      Ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
      Suo re, così fia a lui chi Francia regge.
88Io non so s’io mi fu’ qui troppo folle,
      Ch’io pur rispuosi a lui a questo metro:
      Deh or mi dì quanto tesoro volle
91Nostro Signore in pria da Santo Pietro,17
      Che ponesse le chiavi in sua balia?18
      Certo non chiese, se non: Viemmi dietro.
94Nè Pier, nè li altri tolsono a Mattia
      Oro o argento, quando fu sortito
      Al loco, che perdè l’anima ria.
97Però ti sta, che tu se’ ben punito;
      E guarda ben la mal tolta moneta,
      Ch’esser ti fece contra Carlo ardito:
100E se non fosse che ancor lo mi vieta
      La reverenzia delle somme chiavi,
      Che tu tenesti nella vita lieta,
103Io userei parole ancor più gravi:
      Chè la vostra avarizia il mondo attrista,
      Calcando i buoni e sollevando i pravi.

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106Di voi Pastor s’accorse il Vangelista,
      Quando colei, che siede sopra l’acque
      Puttaneggiar coi regi a lui fu vista:
109Quella, che con le sette teste nacque,
      E dalle dieci corna ebbe argomento,
      Fin che virtute al suo marito piacque.
112Fatto v’avete Idio d’oro e d’argento:
      E che altro è da voi all’idolatre,19
      Se non ch’elli uno, e voi n’orate cento?
115Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,20
      Non la tua conversion; ma quella dote
      Che da te prese il primo ricco patre!20
118E mentre io gli cantava cotai note,
      O ira o coscienzia che il mordesse,
      Forte spingava con ambo le piote.
121Io credo ben che al mio Duca piacesse,
      Con sì contente labbie sempre attese21
      Lo suon delle parole vere espresse.
124Però con ambo le braccia mi prese;
      E poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
      Rimontò per la via onde discese:
127Nè si stancò d’avermi a sè distretto,
      Sì men portò sopra il colmo dell’arco,
      Che dal quarto al quinto argine è tragetto.22
130Quivi soavemente spuose il carco,
      Soave per lo scoglio sconcio et erto,
      Che sarebbe alle capre duro varco:
133Indi un altro vallon mi fu scoperto.

  1. v. 4. C. M. avoltorate;
  2. v. 9. sovra ’l mezzo il fosso piomba,
  3. v. 12. C. M. giusta tua Virtù
  4. v. 18. C. M. dei batteggiatori;
  5. v. 19. C. M. L’uno de’ quali,
  6. v. 27. averien le torte strambe.
  7. v. 44. dispuose. Disporre per deporre oggi non saria da usare; quantunque non raro presso gli antichi. Lapo Gianni « Dispuose giù l’aspetto signorile », e il maestro di Dante avea detto « Amor bassa e dispone, Perchè in fina amanza Non cape maggioranza ». Così è da intendere di spuose per pose, depose, al v. 130.- E.
  8. v. 45. C. M. con la cianca.
  9. v. 57. C. M. poi di farne
  10. v. 60. C. M. stornati,
  11. v. 64. C. M. tutti storse
  12. v. 65. C. M. Poi sospirando, con voce
  13. v. 72. C. M. e qui me missi in borsa.
  14. v. 75. C. M. Per la fessura
  15. v. 82. C. M. Chè dipo’ lui
  16. v. 84. C. M. che me e lui ricopra,
  17. v. 91. C. M. Nostro Signore prima
  18. v. 92. Che li desse le chiavi
  19. v. 113. Idolatre; dal singolare idolatra, come in antico si costumava una simile declinazione in parecchi nomi di maschio. E.
  20. 20,0 20,1 v. 115. 117. Matre, patre; voci naturali e primitive, nelle quali in processo di tempo, a cagione di maggior dolcezza il t fu cambiato in d. Matteo Spinello disse « venente lo patre », e non dettava in rima. E.
  21. v. 122. Con sì contenta labbia
  22. v. 129. C. M. è traietto.
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C O M M E N T O


O Simon mago ec. In questo decimonono canto l’autor nostro intende a trattare della terza bolgia ove si punisce il peccato della simonia; e dividesi principalmente in due parti, perchè prima descrive questa terza bolgia, mostrando chi vi truova; nella seconda pone una invezione 1 ch’elli pone contra quello spirito ch’elli à trovato, quivi: Io non so s’io mi fu ec. E la prima si divide in sei parti, perchè prima pone una esclamazione aggiugnendo il suo processo; nella seconda pone un’altra della Sapienzia di Dio, quivi: O somma Sapienzia; nella terza pone lo ragionamento ch’ebbe con Virgilio, quivi: Chi è colui, Maestro, ec.: nella quarta pone come parlò con un’anima de’ simoniaci, quivi: O qual che se’ ec.; nella quinta, com’elli si maravigliò della risposta, quivi: Tal mi fec’io ec.; nella sesta pone come la detta anima li risponde, quivi: Se di saper ec. Divisa la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale; e dice adunque così, incominciando da una esclamazione contra li simoniaci:
          O Simon mago, o miseri seguaci, che le cose di Dio le quali deono essere spose di bontade, adulterate dandole e togliendole per oro e per argento, or convien che per voi suoni la tromba della mia poesia: però che state nella terza bolgia della quale, secondo l’ordine, debbo ora trattare. E fatta questa esclamazione, segue lo suo processo dicendo: Già eravam montati alla seguente tomba dello scoglio, a quella parte che appunto viene sopra mezzo il fosso; e qui aggiugne una esclamazione dicendo: O somma Sapienzia, quanta è l’arte che mostri in cielo in terra e nel mal mondo; cioè nell’inferno; e quanto giustamente tua virtù comparte! Et aggiugne ch’elli vide per le coste e per lo fondo di quella terza bolgia, ch’era di pietra livida, fori tondi tutti larghi ad uno modo. E fa comparazione che non li pareano meno ampi; nè maggiori che quelli che sono fatti nel suo bel San Giovanni di Fiorenza, fatti per luogo de’ battezzatori, de’ quali dice che ruppe uno, non sono molti anni passati, per uno fanciullo che v’annegava dentro; e dice che questo, che ne dice qui, sia segno che sganni ognuno che ne dubitasse. E dice che fuor d’ogni buco uscivan l’anche e li piedi, infino al grosso, d’uno peccatore, e l’altro stava dentro; et aggiugne che amendu’ le piante ch’erano di fuori infino al polpaccio erano accese di fuoco, onde guizzavano sì forte ch’averebbono rotto ritorte 2 e strambe. E fa comparazione che [p. 494 modifica]come suole il fiammeggiar delle cose unte muoversi su per l’estrema buccia; così quivi era dal calcagno alle piante 3 del piè; cioè per tutta la pianta. Et aggiugne che per questo ch’elli vide più guizzare uno che li altri, elli domandò Virgilio chi era, dicendo: Chi è colui che più si cruccia che li altri suoi compagni, guizzando li piedi e le gambe, e più rossa fiamma li succhia li piedi? E per questo aggiugne che Virgilio li dicesse: Se tu vuoi ch’io ti porti là giù per quella ripa che qui 4 giace, tu saprai da lui di sè e delle sue colpe; onde dice che li rispose: Tanto piace a me quanto a te: tu se’ signore, e sai ch’io non mi parto dal tuo volere e sai quel che si tace; cioè sai ancora li pensieri dentro. Et aggiugne che allora 5 giugnessono in su l’argine quarto, e volsonsi verso mano sinistra e discesono dello scoglio nel fondo forato e stretto, e dice che Virgilio non lo lasciò, infino che il pose al buco di quello che si piangea 6. Et allora li parlò, dicendo: O anima trista, commessa come palo, qualunque tu se’ che tieni il su di sotto, fa motto se tu puoi; e dice l’autore ch’elli stava come il frate che confessa il perfido assassino che, poi che è fitto, richiama lui perchè la morte indugi in quel mezzo. Et allora quell’anima rispose: Se’ tu già costì ritto, Bonifacio? Lo scritto mi mente di più anni. Se’ tu sì tosto sazio di quello avere, per lo quale non temesti di torre la bella donna con inganno e poi farne strazio? E fa comparazione che tal divenne elli allora, quale coloro che stanno scornati e non sanno rispondere, quando non intendono quello che è loro risposto. Et allora Virgilio li disse: Dilli tosto, non sono colui che credi; e risposto come Virgilio l’impuose, quell’anima storse i piedi, e poi sospirando con voce di pianto, li disse: Dunque che domandi? E se tu ài tanto desiderio di sapere chi io fui, che perciò tu abbi corsa la ripa, sappi ch’io fui vestito del gran manto; cioè fui papa e fu’ veramente figliuolo dell’orsa sì cupido per avanzare li orsatti, che su nel mondo mi misi l’avere in borsa, e qui ò messo me in questa buca; e di sotto al capo mio sono appiattati li altri, tratti di questo buco, che passarono dinanzi a me simoneggiando, per questa fessura della pietra; e là giù cascherò io altresì, quando verrà colui, cui io credea che tu fossi quando feci il subito dimando. Et aggiugne ch’elli predice 7 che verrà dopo colui ch’elli aspetta dicendo: Ma più è il tempo già ch’io m’ò cotti li piedi, e ch’io sono stato piantato così sottosopra, che non starà piantato co’ piedi affocati colui ch’io credea che tu fossi: imperò che dopo lui verrà uno pastore di più laida opera, sanza legge, di verso ponente lo quale [p. 495 modifica]conviene che ricopra me e lui; e sarà uno nuovo Giason del quale si legge nella Bibbia, nel libro de’ Maccabei; e come a quel, cioè a Giason, fu molle lo suo re Antioco, così sarà a colui, che verrà dopo Bonifazio, colui che regge Francia; cioè lo re di Francia. E qui finisce la sentenzia litterale: ora è da vedere il testo con le moralitadi, o vero allegorie.

C. XIX — v. 1-9. In questi tre ternari l’autor nostro incomincia lo suo canto da una esclamazione, e manifesta il luogo dov’erono 8 venuti, dicendo: O Simon mago; cioè incantatore di demoni. Questo Simone come detto è, o vero scritto, nelli atti degli Apostoli, fu uno incantatore di dimoni e fu detto mago da magia, ch’è l’arte delle incantazioni, e vedendo che s. Piero e li altri Apostoli andavano predicando l’Evangelio di Cristo, poi ch’ebbono ricevuta la grazia dello Spirito Santo, sanando l’infermi e facendo molti altri miracoli, dando la grazia dello Spirito Santo a coloro che degnamente la volevano ritenere, volle comperare da san Piero la grazia dello Spirito Santo, con la quale e per la quale san Piero confessava e predicava ch’elli facea quelli miracoli, proferendoli molto oro segretamente, imaginando d’ingannare san Piero e li altri per avarizia; et aspettando di guadagnarne assai elli, al quale san Piero rispose che la pecunia sua fosse con lui in perdizione. E finalmente 9 come si contiene nelle leggende de’ santi, venendo a contenzione con san Piero, a mostrare chi era megliore, in fra l’altre esperienzie questo Simone si fece portare in aere alli demoni, dicendo che se n’andava in Cielo come Cristo. E san Piero gittandosi in ginocchione fece orazione a Dio che mostrasse la sua verità: allora come piacque a Dio, li demoni lasciarono Simone in aere, onde cadde e morì, e li demoni ne portarono la sua misera anima all’inferno. E perchè costui fu lo primo che volle comperare la grazia dello Spirito Santo per oro e per ariento, con intenzione di venderla, però da lui è detto tal peccato simonia; et è simonia vendimento o comperamento delle cose sacre e spirituali con danari o con cose equivalenti a danari; e chiunque tali cose, come sono le cose sacre; cioè li sacramenti della chiesa, l’autorità d’essere prete, e simili cose, o benefici, e chiese comperasse o vendesse con oro, o con danari o con cosa equivalente a danari, è detto simoniaco: però che queste cose si comperano solamente con le virtù e religione, le quali sono pregio ordinato alle cose sacre; e contiensi questo peccato sotto la fraude: imperò che colui che compera, inganna colui che vende con danari; e similmente colui che vende, inganna colui che compera, facendoli a [p. 496 modifica]credere ch’elli possa comperare con danari, trovando sue 10 gavillazioni. Et aggiugne: o miseri seguaci; del detto Simone, cioè simoniaci, Che le cose di Dio; cioè le cose sante e spirituali, che di bontate Deono essere spose; cioè deono essere aggiunte alli uomini buoni e virtuosi, come s’aggiugne lo sposo alla sposa, e voi rapaci; cioè simoniaci avari e cupidi, Per oro e per argento adulterate; cioè illicitamente aggiungete alli uomini viziosi, come s’aggiugne la sposa allo adultero, Or convien che per voi; cioè simoniaci, suoni la tromba; cioè la mia Comedia suoni per voi: Però che nella terza bolgia state; cioè perchè siete sotto la terza spezie della fraude, della quale secondo l’ordine della mia Comedia, debbo trattare ora. Già eravamo alla seguente tomba; cioè sommità et altezza, Montati, dello scoglio; che gira sopra la terza bolgia Virgilio et io Dante, in quella parte, Che a punto sopra il mezzo fosso piomba; cioè come mostra lo piombino, quando si cala; o vogliamo intendere, cioè grava come grava il piombo sopra il mezzo della bolgia. E così finisce la sua prima esclamazione; onde è da notare che esclamazione è colore retorico che si chiama in lingua greca apostrofa, e fassi per multe cagioni, come appare in Tullio, e nella poetria novella; ma qui si fa in materia seriosa 11, riprendendo la simonia e li simoniaci.

C. XIX — v. 10-30. In questi sette ternari l’autor nostro esclama prima a Dio; et appresso descrive la bolgia e manifesta la pena sua, dicendo: O somma Sapienzia; cioè o Figliuolo di Dio Padre, ch’è sapienzia di Dio, quanta è l’arte; cioè quanta è la bontà tua, con la quale, dice Boezio nel quarto libro della Filosofica Consolazione, Dio governa ogni cosa, Che mostri in Cielo; tu Figliuolo di Dio, governandolo e disponendolo 12 come cagione seconda a procedere li suoi effetti, in Terra; ove li effetti delle cagioni seconde si producono, e nel mal Mondo; cioè nell’inferno ove sono puniti li mali, E quanto giusto tua Virtù comparte; cioè quanto giustamente la tua Virtù; cioè la tua Bontà, divide ogni cosa, dando ad ogni cosa suo merito e demerito, secondo che richiede la giustizia! E questa esclamazione fa l’autore, per amplificare e lodare la bontà di Dio che à ordinato nell’inferno sì fatta pena a sì fatto peccato, secondo la sua fizione, e nel mondo ancora a tali viziosi, secondo la sua allegoria, Io; cioè Dante, vidi per le coste e per lo fondo; cioè per le ripe e per lo letto della bolgia, Piena la pietra livida di fori; come disse di sopra l’autore, tutte le bolgie sono, secondo la sua fizione, d’uno sasso livido; e così continuando la sua fizione dice di questa, di fori; cioè di buchi, D’un largo tutti; cioè d’una larghezza, e ciascuno era [p. 497 modifica]tondo; di quelli buchi; et aggiugne una comparazione dicendo: Non mi parean; quei fori, meno ampi, nè maggiori, Che quei, che son nel mio bel San Giovanni; cioè nella chiesa di san Giovanni di Fiorenza, Fatti per luogo de battezzatori; ecco che dichiara a che sono fatti quelli tondi, che sono nel San Giovanni di Firenze 13; cioè per li preti che battezzano che stieno più presso all’acqua del battesimo; L’un delli quali; tondi, ancor non è molti anni; cioè passati, Rupp’io; cioè Dante, per un che dentro vi annegava; cioè per qualche fanciullo che vi s’era rinchiuso dentro sì, che vi spasimava, o veramente v’annegava perchè v’era acqua, E questo; cioè averlo scritto qui in questa Comedia, sia suggel; cioè segno, ch’ogni uomo sganni; che credesse che fosse stato altrimenti. Fuor della bocca a ciascun; di quelli tondi, soperchiava D’un peccatore i piedi; sì che si vedeano di fuori, e delle gambe In fino al grosso; sì che si vedeano li piedi e le gambe infino al polpaccio, e l’altro dentro stava; cioè tutta l’altra persona era dentro dal buco. Le piante erano a tutti accese intrambe; cioè ardeano a ciascuno, Per che sì forte guizzavan le giunte; cioè li nodi, Che spezzate averian ritorte e strambe; cioè le funi che fossono torte che sono più forti che le strambe: però che le strambe non sono torte, anzi sono intrecciate; et aggiugne una similitudine, dicendo: Qual suol lo fiammeggiar delle cose unte Muoversi pur su per l’estrema buccia: però che le cose unte ardono superficialmente tanto, quanto dura l’untume; Tal era lì da’ calcagni alle punte; cioè così ardeano 14 quelli peccatori i piedi da’ calcagni alle punte delle dita. E questo finge l’autore, per conveniente pena a’ dannati litteralmente, mostrando che poi ch’anno levata l’affezione loro dalle cose celestiali e rivoltala alle ricchezze che sono cose terrene, degna cosa è che stieno volti sotto sopra. E come sono stati freddi di carità in verso lo prossimo nella loro affezione, e tutti ardenti ad avarizia, quivi in vendetta di ciò ardino in continuo foco. E perchè l’affezioni loro all’avarizia sempre sono state palliate e coperte, quivi stieno publicate: imperò che dopo la morte si palesono più li peccati altrui, che inanzi. El 15 guizzare de’ piedi significa litteralmente la pena de l’incendio e lo rodimento della coscienza; et allegoricamente si può intendere di quelli del mondo che vivieno 16, o vivono in sì fatto peccato ch’elli stanno piantati sottosopra quanto all’animo, che non pensano se non delle cose terrene, e le loro affezioni ardono nel fuoco dell’avarizia, e sono fitti nella pietra livida; cioè nella durezza odiosa che ànno verso il prossimo, che non ànno carità veruna; ma più [p. 498 modifica]tosto odio. Li piedi loro fiammeggiano; cioè l’affezioni e li desidèri per avarizia, e dimostransi verso il prossimo, quando addomandono 17 o danno premio delle cose sacre, benchè l’appiattino con altre gavillazioni. E sono piantati ne’ buchi tondi; cioè nella fraude che à rotelle per le sue simulazioni inestricabili et incomprensibili, che non ànno nè principio, nè fine che si possino conoscere, come fu detto cap. xvii, quando trattammo della fiera; la quale fraude vende 18 lo simoniaco che vende le grazie, in quanto inganna colui che compra, che dice: Tu non avrai questa grazia, se tu non ne fai a me un’altra, che tu mi dia delle tue temporali; e fagli a credere con sue gavillazioni che si possa comperare. E similmente colui che compera, inganna colui che vende con questa fraude della pecunia: sa che comunemente ognuno è vago del danaio, e sentesi indegno d’avere la grazia: manda al prelato uno bello e magno dono, e così lo piglia et ingannalo con la pecunia o con l’equivalente. Et ancora si può dire che questi fori tondi significano una reciprocazione che si truova nelli simoniaci, li quali si dispongono a comperare, per poi potere vendere; et a vendere, per poi potere comperare. E così fanno circulazioni, partendosi onde prima sono iti, e poi ritornando: di queste cose si potrebbono dare molti esempli; ma basti ora quello che è scritto.

C. XIX — v. 31-45. In questi cinque ternari l’autor dimostra come fu portato giù ad uno di quelli buchi tondi per Virgilio, e prima pone come lo domanda, dicendo: Chi è colui, Maestro; cioè Virgilio, che si cruccia, Guizzando più che li altri suoi consorti; li piedi e le gambe più, che li altri similmente appenati, Diss’io; cioè Dante a Virgilio, e cui più rossa fiamma succia; cioè 19 li piedi suoi erano arsi di più rossa fiamma che li altri suoi consorti? E chiamali consorti, perch’erano in una dannazione medesima per uno medesimo peccato: e per lo guizzare si dimostra la pena, la quale l’autor significa per quello: e per lo rossore della fiamma significa l’arsura dell’avarizia, alla quale intendono li simoniaci. Et elli; cioè Virgilio, a me; cioè Dante, disse, s’intende: Se tu vuoi; Dante, ch’io; Virgilio, ti porti Là giù per quella ripa; della bolgia, che più giace; cioè che è più piana, Da lui; cioè da colui, del quale tu mi domandi, saprai di sè e de’ suoi torti; cioè chi è elli 20 e le sue colpe: colpa e peccato significa una medesima cosa, e peccato et 21 ingiustizia similmente, e così ingiustizia e torto; onde si dice a chi non à ragione: Tu ài il torto. E qui si verifica quel che fu detto di sopra che [p. 499 modifica]l’autor finge che Virgilio li dica pur quelle cose, che sono scritte appo li altri poeti et autori; l’altre, che non sono appo li autori, finge che conosca per sè: imperò che nelle cose, che si leggono, la ragione dà alla sensualità, e la sensualità per sè prende le cose che vede o ode, e che s’apprendono per li altri sentimenti. Aggiugne poi l’autore la bella risposta che fece a Virgilio, dicendo: Et io; cioè Dante rispuosi a Virgilio, s’intende: Tanto m’è bel; cioè piacevole, quanto a te piace; Virgilio: Tu; cioè Virgilio, se’ Signor, e sai ch’io; Dante, non mi parto Dal tuo volere, e sai quel che si tace; cioè li pensieri dentro: imperò che la ragione comprende li pensieri, come detto fu di sopra cap. xvi, quando disse: Ahi quanto cauti li uomini esser denno Presso a color, che non veggion pur l’opra; Ma per entro i pensier miran col senno! — Allor venimo; Virgilio et io Dante, su l’argine quarto; e così era ch’elli aveano passate tre bolge sì, che il primo argine che lungo la ripa cigne la prima bolgia fu l’uno; lo secondo tra la prima bolgia e la seconda; lo terzo tra la seconda e la terza; e lo quarto tra la terza e la quarta, e così erano in su lo quarto argine venuti, passato la terza bolgia: Volgemmo e discendemmo a mano stanca; cioè a mano manca, che è meno abile che la ritta, Là giù nel fondo foracchiato et arto; cioè stretto e pieno di fori tondi, come scrisse di sopra. Lo buon Maestro; cioè Virgilio, ancor della sua anca; in su la qual finge che il portasse, Non mi dispuose; cioè non mi pose giù a terra 22, anzi mi tenne in su l’anca infino che fummo al buco di colui che guizzava così, come è detto; e però dice: sì mi giunse al rotto; cioè al buco, Di quel che si piangeva con la zanca; cioè con l’anca, dimenandola per dolore, come di sopra fu detto. Dichiarato è assai come la ragione porta la sensualità, e come la ragione superiore porta la ragione inferiore.

C. XIX — v. 46-57. In questi quattro ternari l’autor nostro finge che, giunto a quel peccatore piantato, li cominciò a parlare, dicendo: Anima trista, come pal commessa; cioè fitta, come si ficca il palo, qual che se’; cioè qualunque tu se’, che il di su tien di sotto; cioè 23 lo capo, che dè stare di sopra 24, tien di sotto ove denno stare li piedi, Cominciai io; Dante, a dir, se puoi, fa motto; cioè rispondimi. Io stava; cioè Dante, e fa una similitudine, come il frate, che confessa Lo perfido assassin; cioè chinato con l’orecchie, atteso come fa 25 lo frate quando ode a confessione lo perfido assassino: assassino è [p. 500 modifica]colui che uccide altrui per danari, et è comunemente condannato in ogni luogo del mondo a tal pena; cioè trapiantato in terra. E veramente li simoniaci sono simili alli assassini: imperò che, come li simoniaci vendono la grazia; così li assassini vendono lo vincolo dell’amor naturale per danari, quando uccidono li uomini per danari, che, poi ch’è fitto; cioè piantato il capo, Richiama lui; cioè lo frate ancora, e dice che à ancora a dire, perchè la morte cessa; cioè indugia in quel chiamarlo, e mostrar ch’ancora abbia altro a dire. Et el; cioè quel piantato, a cui Dante avea parlato, gridò: Se’ tu già costì ritto; quasi maravigliandosi, e però lo replica ancora: Se’ tu già costì ritto, Bonifazio? Questo Bonifazio fu papa et entrò nel papato con inganno, come detto fu nel terzo canto sopra quella parte Che fece per viltà il gran rifiuto, e regnava nel papato in fra gli altri anni nell’anno mccc; nel quale l’autor finge aver composta e fatta questa opera; e però dice: Di parecchi anni mi mentì lo scritto; cioè quand’io vivea al mondo, lessi del tempo quando tu dovevi esser papa e quanto dovevi durare nel papato, et io compresi che dovevi indugiare a venir qui ancora parecchi anni, sì che lo scritto non mi disse vero. Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio; domanda a quel confitto e piantato, credendo che sia papa Bonifazio, s’elli è sì tosto sazio dell’avere della Chiesa, Per lo qual non temesti torre a inganno; cioè con inganno, per avere li tesori 26 della Chiesa, La bella Donna; cioè la Chiesa di Dio: ogni papa è come marito della Chiesa, e la Chiesa è a lui come sposa, e poi da farne strazio; non tenendola, come si convenia; tenendo femmine, e simoneggiando per lasciare a’ figliuoli, i quali dicea essere suoi nipoti? Questo confitto finge Dante che fosse papa Nicolao delli Orsini di Roma, che fu innanzi al detto papa Bonifazio parecchi papi, lo quale Nicolao per fare grande sè, e quelli di casa sua, fu avarissimo, e non intese se non a simoneggiare per aver pecunia, e però finge l’autore ch’elli credesse che Dante fosse papa Bonifazio 27: dovea essere di quelli, perchè tenea simile vita, usando il peccato della simonia al tempo di Dante.

C. XIX — v. 58-66. In questi tre ternari l’autor nostro finge com’elli non intese la risposta del piantato, e come fu ammonito da Virgilio come dovesse rispondere, dicendo: Tal mi fec’io; Dante alla risposta del piantato, quai son color che stanno; e messo in mezzo l’autore la cagione, cioè: Per non intender ciò ch’è lor risposto; questa era la cagione, perchè Dante finge che fosse scornato; e però [p. 501 modifica]aggiugne dopo la cagione, Quasi scornati; cioè vergognati: però che scorno si pone per la vergogna, e risponder non sanno; quei così fatti, e così fu’ io Dante alla risposta del piantato. Allor Virgilio disse; a me Dante, soccorrendomi: Dilli tosto, Non son colui, non son colui, che credi. Ecco ch’elli finge che la ragione sovvegna alla sensualità, accorgendosi di quello che non s’accorgea essa; e come la domanda fu duplicata a dimostrare l’ammirazione, così la risposta è duplicata a dimostrare la verità e rimuovere la sua credulità. Et io; cioè Dante, rispuosi come a me fu imposto; da Virgilio; e così mostra obediente alla ragione la sensualità. E questa fizione pone l’autore, per fare verisimile lo suo poema: imperò che papa Bonifacio vivea nel mccc nel papato, come è detto, quando l’autor finge ch’avesse questa fantasia, poi morì innanzi che Dante, e succedette papa Clemente del quale si dirà di sotto. Per che lo spirto; piantato, udita la risposta di Dante ch’elli non era cui 28 elli credea, tutto storse i piedi; e questo significa dolore ch’ebbe, poi che intese che Dante non era colui, che il dovesse scambiare, Poi sospirando e con voce di pianto; ecco li segni del dolore, Mi disse: Dunque che a me richiedi; cioè disse a me Dante: Poi che tu non se’ esso, che chiedi a me? Io non ò a far nulla teco.

C. XIX — v. 67-87. In questi sette ternari l’autor nostro finge come il piantato se li manifesta, e manifestali ancora li altri che verranno dopo lui simili a lui; e fa menzione generalmente de’ passati innanzi, dicendo: Se di saper chi io sia; dice il piantato a Dante, ti cal cotanto; cioè ài tanta cura, Che tu abbi però la ripa corsa; cioè che tu sia disceso dalla ripa in questo fondo, Sappi; tu Dante, ch’io; che sono così piantato, fu’ vestito del gran manto; cioè del manto di san Piero, del quale si vestono tutti li papi: E veramente fui figliuol dell’orsa; litteralmente vuole mostrare che fu delli Orsini li quali, perchè fossono così chiamati non l’ò trovato; et allegoricamente vuole significare che fu avarissimo, come l’orso che è ingordo animale e mai non si sazia. Cupido sì per avanzar li orsatti; ecco che manifesta, per ch’elli fu detto figliuolo dell’orsa allegoricamente; cioè cupido per avanzare alli orsatti; cioè di 29 quelli di casa sua: imperò che come l’orsa è ancora più ingorda per arrecare alli orsatti suoi; così questi per avanzare alli Orsini, della casa de’ quali elli era, ; cioè per sì fatto modo, Che su l’avere; cioè nel mondo m’imborsai, e qui mi misi in borsa; cioè in questo foro tondo ove sto per degna giustizia, come in una borsa. Di sotto al capo mio; cioè dentro a questo buco sotto il mio capo, son li altri tratti; cioè tirati per questo buco, Che precedetter me simoneggiando; cioè che [p. 502 modifica]furono innanzi a me nel papato, simoniaci com’io. Per le fessure della pietra piatti; cioè appiattati sì, che non li puoi vedere sotto questo sasso bucato e cavo, perchè vuole dimostrare che nel mondo furono duri et ostinati come il sasso, e freddi d’ogni carità; e però finge risponda loro quivi sì fatta abitazione. Là giù cascherò io altresì; cioè quivi, ove sono li altri, quando Verrà colui; cioè papa Bonifazio, ch’io credea che tu fossi; cioè tu Dante, Allor ch’ io feci il subito dimando; cioè quando disse di sopra in questo cap: Se’ tu già costì ritto, Bonifazio? E questo finge allegoricamente che sempre ne sta uno fitto nel buco e piantato con le gambe e co’ piedi fuori, infino che viene l’altro, a denotare che sempre è in infamia uno, di cui si parla e della sua simonìa infino che viene poi l’altro, e quando è venuto non si dice più del passato; e però li finge desiderosi del cadere, perchè l’infamia loro mentre che dura, aggiugne loro tormento quando se ne piglia malo 30 esemplo. Ma più è il tempo già, che i piè mi cossi; cioè ch’io sono stato a questo modo co’ piedi pieni d’arsura e di fuoco, a significar l’arsione dell’affezione avuta nel mondo, E ch’io son stato così sottosopra; questo dimostra che l’affezione è stata di sopra alla ragione nel mondo, e sta tanto quanto si parla d’essa, Ch’el non starà piantato co’ piè rossi; cioè Bonifazio non vi starà tanto piantato co’ piedi ardendo, quanto sono stato io; et assegna la cagione perchè profetizzando che tra papa Nicolao e Bonifacio, furono in mezzo alcuni che non furono simoniaci; ma tra Bonifacio e l’altro che seguiterà 31 non fia alcuno in mezzo: imperò che elli sarà ancora simoniaco sì, che poco starà Bonifazio piantato nel buco, e però dice profetando: Che dopo lui; cioè dopo Bonifazio, sanza mezzo, verrà di più laida opra, Di ver ponente, un Pastor sanza legge; che non fia papa Bonifazio, Tal che convien che lui e me ricopra; litteralmente quanto al buco; allegoricamente quanto all’infamia, ch’elli avrà tanta infamia per le sue piggiori opere, che non si dirà più di Nicolao, nè di Bonifazio. E se il testo dicesse che me in lui ricopra, si dee intendere ricoprirà me in lui; cioè ricoprendo lui che à ricoperto me, ricoprirà ancor me. Questo sarà papa Clemente 32 quinto, che venne di Guascogna che è nel ponente e fu vescovo di Bordella 33, lo quale domandò il papato al re di Francia, e per mezzo del re, promettendo al re grandissime cose et alli cardinali, secondo che si dice, l’ottenne, sì ch’elli entrò per simonia nel papato e poi ancora amministrando adoperò nel [p. 503 modifica]papato la simonia bruttamente e sconciamente; e però aggiugne: Nuovo Giason sarà; questo papa Clemento, di cui; cioè del quale Giason, si legge Ne’ Maccabei; cioè nella Bibbia nel secondo libro de’ Maccabei capitolo quarto; lo quale, essendo in officio per lo re Antioco in Giudea: impetrò grazia da esso re d’essere sacerdote de’ suoi idii et elli gliel concedette. Et allora Giason fece molte feste alli idii falsi, e così vuol dire che farà Chimento che fia simile all’idolatria: imperò che l’avaro è idolatra che adora la pecunia; e come a quel; cioè Giason, fu molle; cioè flessibile, Suo re; cioè lo re Antioco, a concederli lo sacerdozio, così fia a lui; cioè papa Chimento, chi Francia regge; cioè lo re di Francia. E qui finisce la lezione prima.
     Io non so ec. Questa è la seconda lezione, nella quale l’autor nostro pone una bella invettiva contra papa Nicolao, et in persona sua contra tutti li altri simoniaci e il processo della sua fizione; e dividesi in tre parti: imperò che prima pone la detta invettiva contra papa Nicolao tanto; nella seconda pone un’altra generale invettiva contra tutti li sommi pontefici e prelati simoniaci, quivi: Di voi pastor ec.; nella terza, come Virgilio lo prese procedendo al suo cammino, quivi: Però con ambo ec. Divisa la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale.
     Dice adunque così: Io Dante dopo la risposta di papa Nicolao non so, se io mi fu’ troppo folle, ch’io pur risposi a lui e dissili: Deh or mi dì quanto tesoro volle nostro signor Gesù Cristo da san Piero, prima che li desse le chiavi in sua balìa? Certo non chiese, se non: Viemmi 34 dietro; nè ancora san Piero, nè li altri apostoli non tolsono a Mattia nè oro, nè argento quando misono le sorti, per le quali fu posto nel luogo di Giuda. Però ti sta che tu se’ ben punito, e guarda ben la mal tolta moneta che ti fece essere contra il re Carlo ardito: e se non fosse ch’ancora mi ritiene la reverenzia delle somme chiavi che tu tenesti nel mondo, io usurei ancora parole più gravi: imperò che la vostra avarizia attrista il mondo, calcando i buoni e sollevando i pravi e li rei. E poi parlando contra tutti li pastori simoniaci, dice: Di voi simoniaci s’accorse il vangelista san Giovanni, quando disse ch’elli vide una femina vestita di porpora, bianca e vermiglia, adornata d’oro e di pietre preziose, sedente sopra l’acque fornicare con li regi e con li principi. E dice che fu quella che nacque con sette teste, et ebbe argomento dalle dieci corna, infino a tanto che in 35 virtute piacque al suo marito. E continuando la sua riprensione, dice: Voi pastori, v’avete fatto d’oro e d’ariento Idio: e che differenzia è tra voi e [p. 504 modifica]l’idolatre, se non ch’ellino n’adorano uno delli idii, e voi n’adorate cento? Et esclama contra Costantino imperatore: Ahi Gostantino, di quanto male fu matre, non la tua conversione; ma quella dote che ricevette da te il primo ricco patre! Et aggiugne che mentre ch’elli cantava cotali note, o per ira o per coscienzia che lo rimordea, guizzava papa Nicolaio forte con ambo le piante de’ piedi; et aggiugne che quel ch’elli disse credè bene che piacesse a Virgilio: con sì contente labra; cioè bocca, sempre attese lo suono delle parole vere e spresse. E però aggiugne ch’elli lo prese con amendue 36 le braccia, et arrecosselo tutto in sul petto e rimontò con esso per la ripa ond’era sceso: e non si stancò di portarlo così stretto a sè, infino in sul colmo dell’arco della quarta bolgia; lo quale arco era passamento dal quarto argine al quinto: et in su quel colmo soavemente lo posò per lo scoglio sconcio et erto, che sarebbe duro valico alle capre: et indi dice che li fu scoperto un altro vallone; cioè la quarta bolgia; e qui finisce la sentenzia litterale. Ora è da vedere lo testo con la sentenzia allegorica, o vero morale, con le storie sue.

C. XIX — v. 88-105. In questi sei ternari l’autor nostro pone la invettiva contra papa Nicolao. Et è invettiva riprensione che l’uomo fa crucciosamente, e perciò si chiama invettiva; cioè commozione contr’altrui: imperò che colui, che riprende, è commosso da ira per zelo contra colui che è ripreso; et è una spezie d’esclamazione, o vero apostrofa 37. Dice adunque così: Io; Dante, non so s’io mi fu’ qui; cioè in questo parlare, troppo folle; cioè stolto. Questa dubitazione muove l’autore per non lodare lo suo fatto medesimo; ma per lasciarlo lodare al lettore: imperò che parrebbe Dante da riprendere, riprendendo o schernendo suo maggiore, o chi non vole la riprensione; ma elli riprende in persona di costui tutti li altri simili che fossono per innanzi, dando modi alli lettori di riprenderli. Ch’io pur rispuosi a lui a questo metro; cioè a questo modo posto in verso: Deh or mi dì; tu, papa Nicolao, quanto tesoro volle Nostro Signore; Gesù Cristo, in pria da Santo Pietro; primo papa, Che ponesse le chiavi in sua balia; cioè prima che lo facesse papa, e che li desse l’autorità papale? Et esso Dante soggiugne la risposta: Certo non chiese; Cristo da lui nè oro, nè argento, se non: Viemmi dietro; così dice l’evangelio che, vedendo Cristo pescare san Piero e santo Andrea, li chiamò e disse: Venite dopo me; et ellino, lasciate le reti e la navicella, lo seguitarono; e perchè potrebbe aver detto e dire, [p. 505 modifica]Cristo era Idio e non avea bisogno di tesoro, aggiugne: Nè Pier nè li altri; cioè Apostoli, tolsono a Mattia Oro o argento, quando fu sortito; cioè per sorte fu posto, Al loco, che perdè l’anima ria; cioè Giuda. Onde qui è da sapere che, secondo che si contiene nelli Atti delli Apostoli, essendo san Piero ragunato con li altri Apostoli, disse loro che si convenia eleggere uno di quelli, che avessono vedute l’opere di Gesù Cristo insieme con loro, a ciò che si compiesse lo numero de’ dodici, poi che Giuda n’era uscito: sì che essendo sermone di mettervi o Iosep, ch’era detto Bernaba 38, o Mattia, puosono le sorti sopra questi due, commettenti a Dio che venisse 39 la sorte a quello, che fosse lo migliore. Et allora uscie la sorte per Mattia sì, che santo Mattia fu posto nello apostolato in luogo di Giuda: ponere sorte è cavare a polize o altro modo simile; e conchiudendo aggiugne: Però ti sta; tu, papa Nicolao come tu stai, che tu se’ ben punito; secondo li tuoi peccati, E guarda ben la mal tolta moneta; cioè acquistata con simonia, Ch’esser ti fece contra Carlo ardito; e questo dice schernendolo: imperò che ora non l’avea, nè era in sua balìa. E qui è da sapere che questo papa Nicolao per molta pecunia ch’avea, ebbe ardimento di domandare al re Carlo della casa di Francia una sua figliuola per un suo nipote; per la quale domanda il re Carlo prese sdegno col detto papa: et in processo di tempo per quello sdegno il detto papa seppe sì ordinare, che il detto re Carlo perdè la Cicilia 40 e parte di Puglia 41. E se non fosse che ancor lo mi vieta La reverenzia delle somme chiavi; cioè dell’autorità papale, che è di dare e torre lo cielo a chi elli vuole: imperò che si dice: Papa potest omnia, clave non errante, et ancora si dice: Sentenza pastoris, iusta vel iniusta, timenda est; e di sotto nella presente cantica cap. xxvii si dira ancora: Lo ciel poss’io serrare e disserrare, Come tu sai; però son due le chiavi, Che il mio antecessor non ebbe care -, Che tu tenesti; cioè le quali chiavi tu, papa Nicolao, tenesti, nella vita lieta; cioè nel mondo, che è vita lieta, per rispetto dell’inferno, Io; cioè Dante, userei parole ancor più gravi; in verso di te; ma la reverenzia mi raffrena. E però si dè notare che sia il papa qual vuole, pur li si dee fare reverenzia, considerando ch’egli è [p. 506 modifica]vicario di Cristo; et aggiugne la cagione, perchè userebbe parole più gravi: Chè la vostra avarizia; cioè imperò che l’avarizia di voi, pastori, il mondo attrista; cioè fa tristo il mondo, Calcando i buoni e sollevando i pravi; ecco la cagione, perchè li pastori simoniaci della santa Chiesa fanno tristo il mondo, perch’ellino calcano i buoni non accettandoli a’ benifici, perchè non ànno che dare; et inalzino li rei per danari, accettandoli a’ benefici: e così danno materia a’ cherici d’essere tristi, e non curare se non d’avere danari, sperando per quelli d’ottenere ogni grazia. E qui finisce la invettiva contra papa Nicolao Orsini; ma distendesi poi contra li altri.

C. XIX — v. 106-120. In questi cinque ternari, seguendo l’autore la invettiva sua contra tutti li altri simoniaci pastori, aggiugne una autorità di san Giovanni Evangelista, la quale è nell’Apocalissa, alla quale l’autore fa alcuna addizione, per arrecarla a suo proposito, e questo si può fare: però che l’è profezia molto oscura; e chi la intende ad un modo e chi a un altro. Dice san Giovanni nel detto libro, nella Bibbia cap. xvii: Et venit unus de septem Angelis, qui habebant septem phialas 42, et locutus est mecum, dicens: Veni, ostendam tibi damnationem 43 meretricis magnæ, quæ sedet super aquas multas, cum qua fornicati sunt reges terræ, et inebriati sunt qui inhabitant terram de vino prostitutionis eius. Et abstulit me in spiritu in desertum. Et vidi mulierem sedentem super bestiam coccineam, plenam nominibus blasphemiæ, habentem capita septem, et cornua decem. Et mulier erat circumdata purpura, et coccino, et inaurata auro, et lapide pretioso, et margaritis, habens poculum aureum in manu sua, plenum abominatione, et immunditia fornicationis eius: Et in fronte eius nomen scriptum: Mysterium: Babylon magna, mater fornicationum, et abominationum terræ. Et vidi mulierem ebriam de sanguine sanctorum, et de sanguine martyrum Iesu. Et miratus sum, cum vidissem illam admiratione magna. Et dixit mihi Angelus: Quare miraris? Ego dicam tibi sacramentum mulieris, et bestiæ, quæ portat eam, quæ habet capita septem, et cornua decem. Questa è la visione che pone san Giovanni nella quale, secondo che procede 44 poi, elli piglia la femina e la bestia per una cosa; cioè per la chiesa carnale; e però l’autor nostro non pone, se fu femina o bestia, nel testo, dicendo: Di voi Pastor; cioò prelati della santa Chiesa, s’accorse il Vangelista; san Giovanni nell’Apocalissi, Quando colei; cioè la femina e la bestia che significa la chiesa carnale, che siede sopra l’acque; cioè li popoli, le genti e le lingue; e così è vero che la Chiesa siede sopra molti popoli e molte genti e molte lingue, che sono sotto di lei, Puttaneggiar coi regi a lui; cioè a san Giovanni, fu vista; cioè fu veduta, [p. 507 modifica]siccome si contiene nella detta revelazione. Questo puttaneggiar coi regi non è altro che per simonia o per grazia, a petizione dei regi o dei principi del mondo mettere in prelazione 45 et in benefici quelli che sono viziosi che nol meritano, et allor produce bastardi figliuoli. Quella; cioè femmina o vero bestia, intendendo la chiesa carnale la quale al principio fu tutta spirituale; e ben che sieno in essa di quelli che sieno spirituali, per la maggior parte si truovano più vivere secondo la carne li prelati della santa Chiesa, che secondo lo spirito, che con le sette teste nacque; in questo non si discorda da san Giovanni, benchè san Giovanni procedendo più oltre, dica: Bestia, quam vidisti, fuit, et non est, et ascensura est de abysso, et in interitum ibit: et mirabuntur inhabitantes terram (quorum non sunt scripta nomina in Libro vitæ a constitutione 46 mundi) videntes bestiam, quæ erat, et non est. Et hic est sensus, qui habet sapientiam. Septem capita: septem montes sunt, super quos mulier sedet, et reges septem sunt. Quinque ceciderunt, unus est, et alius nondum venit: et cum venerit, oportet illum breve tempus manere. Et bestia, quæ erat, et non est: et ipsa octava est: et de septem est, et in interitum vadit. Et decem cornua, quæ vidisti, decem reges sunt: qui regnum nondum acceperunt, sed potestatem tamquam reges una hora accipient post bestiam. Hi unum consilium habent, et virtutem, et potestatem suam bestiæ tradent. Hi cum Agno pugnabunt, et Agnus vincet illos: quoniam Dominus dominorum est, et Rex regum. Questo è lo testo dell’Apocalissi di san Giovanni, e la intenzione che il nostro autore propone pare essere altra da quella del testo; e però io ò esposto et esporrò, secondo ch’io credo che l’autore intendesse. E però si può intendere che nascesse con sette teste; cioè con sette sacramenti che sono; battesimo, crisma, eucaristia, penitenzia, ordinazione, matrimonio, et estrema unzione; o vero coi sette doni dello Spirito Santo; cioè dono di pietà lo quale è contra l’invidia; dono di timore contra la superbia; dono di scienzia contra l’ira 47; dono di fortezza contra l’accidia 48; dono di consiglio contra l’avarizia; dono d’intelletto contra la lussuria; dono di sapienzia contra la gola, E dalle dieci corna; le dieci corna sono li dieci comandamenti della legge del Vecchio Testamento; cioè ama et adora uno Idio, non ti spergiurare 49 e non pigliare lo nome di Dio invano, guarda e santifica le feste, onora il padre e la madre, non sia 50 omicida, non sia furo, non sia adultero, non sia falso testimone, non desiderare l’altrui. ebbe argomento; cioè figurazione: imperò che argomento è cosa [p. 508 modifica]che fa fede della cosa dubbiosa; et argomento è ingegno et industria siccome si dice: Tu non ài argomento veruno; et argomento è figurazione, e così si piglia qui: imperò la santa fede 51 di Cristo fu figurata per le figure che sono nell’antica legge che fu data da Moisè, la quale s’intende per li dieci comandamenti de’ quali si tratta in essa; et osservansi nella legge evangelica e nella Chiesa di Dio più perfettamente, quando li pastori sono virtuosi, e però soggiugne: Fin che virtute al suo marito piacque; cioè che virtù fu in piacere alli pastori della Chiesa, li quali sono sposi della Chiesa: imperò che mentre che li pastori furono virtuosi, sempre elessono virtuosi uomini alle prelazioni et alli benefici, et allora la Chiesa di Dio ebbe argomento; cioè figurazione, della legge di Moisè, la quale è fondata in su li detti dieci comandamenti. Imperò che la legge di Moisè e il vecchio testamento figurò lo nuovo; e la sinagoga de’ Giudei figurò li pastori nostri della Chiesa, mentre che furono virtuosi: imperò che nella sinagoga si dimostra che i pastori deono essere virtuosi; e questo dice l’autore da sè, che questo non dice san Giovanni nell’Apocalissi. Et aggiunse l’autore questo, per mostrare quello che figuravano le dieci corna, secondo lo suo intendimento, nella immagine di femina o vero bestia, la quale mostrò che figurò la nostra Chiesa, mentre che è spirituale e non carnale; ma poichè li pastori sono stati viziosi e sono vivuti carnalmente, la nostra Chiesa non à avuta figurazione dalla legge di Moisè. Fatto v’avete Idio d’oro e d’argento; continua l’autore la sua invettiva contra li pastori avari, dicendo: Voi v’avete fatto Idio d’oro e d’ariento, come fece lo popolo d’Israel, quando nel diserto fece lo vitello dell’oro, et adorollo mentre che Moisè stette 40 di’ sul monte Sinai a ricevere la legge che Dio li dava, che il popolo dovesse osservare. Questo dice, in quanto li pastori amano più l’oro e l’ariento, che non amano Idio. Idio si deve amare sopra ogni cosa, et ellino amano li danari sopra ogni cosa. E che altro è da voi; cioè che altra differenzia è da voi, pastori avari, all’idolatre; cioè a coloro che adorano l’idoli, Se non ch’elli uno; cioè uno idio adorano l’idolatri: imperò che ciascuno adora lo suo idio, e voi; cioè avari pastori e simoniaci, n’orate cento; cioè ne adorate cento delli idii; cioè infiniti, ponendo lo numero finito per lo infinito: imperocchè adorano li danari. Aggiunge una esclamazione 52, dicendo: Ahi, Costantin; cioè Costantino imperatore, di quanto mal fu matre; cioè quanto di male fu partoritrice 53, Non la tua conversion: imperò che quella [p. 509 modifica]fu buona; ma quella dote; s’intende, fu madre di tanto male, Che da te; cioè Costantino, prese il primo ricco patre; cioè papa Silvestro! Et è qui da sapere la storia. Scrivesi che, essendo Costantino imperadore, la Chiesa di Dio era nella decima et ultima persecuzione, la quale durò dieci anni. Et ebbe la Chiesa di Dio dal principio della sua instituzione, come conta Paolo Orosio nel suo ottavo libro che fece a santo Agostino, infino al tempo di san Salvestro dieci grandi persecuzioni. E cominciò la prima da Nerone, che fu quinto imperadore, da Augusto; e l’altre vennono poi successivamente, sì che la decima e l’ultima incominciò al tempo di Diocliziano e Massimiano Emilio che fu 33 (al. 23) da Augusto, e 28 (al. 18) da Nerone; e questa fu piggiore di tutte per ch’ella durò grande tempo; cioè dieci anni e più crudelmente, che si disfaceano le Chiese de’ cristiani, et erano perseguitati 54 per le grotte delli monti. E forse che per questo Idio mandò addosso a Costantino la lebbra; et essendo consigliato per li medici che si facesse un bagno di sangue di fanciulli piccoli, e dato ordine a ciò, sentendo che i fanciulli faceano pianto grandissimo ch’erano presi, e le madri loro gridassono per che vedeano che si doveano uccidere per fare lo detto bagno; allora Costantino domandò che pianto era quello; e saputa la cagione, disse che non voleva esser cagione che tanti uomini morissono per lui, e che innanzi voleva stare sempre lebroso; e fece dare loro danari e mandarli via; sicchè questo piacque tanto a Dio, che di notte poi nel sonno li apparvono san Piero e san Paolo, e dissongli 55 che egli mandasse per Salvestro papa di cristiani 56, che lo guarrebbe 57 della sua infermità. Et allora lo detto Costantino svegliato mandò a cercare per san Silvestro e trovato fu menato a lui; e quando fu a lui, l’imperadore li disse che volea ch’esso lo guarisse della sua infermità, che due gli erano appariti la notte et aveanli detto ch’esso lo guarrebbe. Et allora san Salvestro, lo domandò s’elli li conoscesse; et elli disse li segni loro. E santo Salvestro fece recare una tavola ove erano dipinti, e domandollo s’erano stati quelli; et elli rispose che sì. Allora san Salvestro lo cominciò ad informare della fede e disse che s’elli si volea battizzare, elli sarebbe sanato; et allora Costantino, conoscendo uno Idio vivo e vero e tre persone, si battezzò e fu sanato. Et ancora si mostra a Roma la pila in che si battezzò, et ancora vi sono li segni delle scappie 58 che vi si appicarono, secondo che si dice. Allora lo imperadore Costantino sanato, edificò la chiesa di san Piero in Roma, e con la persona sua aiutò portare le pietre [p. 510 modifica]all’edifizio, e dotò e fece ricca la chiesa di Roma. E perchè il papa rimanesse al tutto signore di Roma, si partì di Roma et andossene in Grecia; e menoe seco molti Romani promettendo loro di metterli tosto in sul terreno di Roma; e per osservare loro la promessa, fece portare del terreno di Roma in su li navili, e quando fu in Grecia fece una città la quale denominò dal suo nome Costantinopoli, e fecevi spargere di sopra lo terreno di Roma; e per questo disse poi a’ Romani ch’erano iti con lui, ch’avea loro osservata la promessa; e però fu poi chiamata la Grecia romana. E perchè innanzi che la Chiesa fosse dotata da Costantino, tutti li prelati erano spirituali, santi, e buoni; e poi che fu dotata, fu di quelli che furono carnali e mondani, però dice che la dote che ricevette da lui il primo ricco patre, fu matre di molto male; ma non la sua conversione. Et aggiugne: E mentre io; cioè Dante, gli cantava; a quel piantato, cioè a papa Nicolao, cotai note; cioè cotai parole: le voci sono note delle passioni che sono nell’anima, come dice il Filosofo, O ira; perchè Dante li diceva così fatte parole, o coscienzia; della sua simonia, che il mordesse; qualunque si fosse di queste due cagioni, Forte spingava; cioè guizzava, con ambo le piote; cioè con amendu’ le piante, che tenea fuori del buco.

C. XIX — v. 121-133. In questi quattro ternari e un verso si contiene lo passimento 59 di questa terza bolgia nella quarta. Dice adunque così l’autor nostro: Io; cioè Dante, credo ben che al mio Duca; cioè Virgilio, piacesse; quel ch’io avea detto contra papa Nicolao e li altri; e qui solve il dubbio che di sopra mosse, quando disse: Io non so s’io mi fu’ qui troppo folle: imperò che finge ora che piacesse a Virgilio; cioè alla ragione, la invettiva sua; et aggiugne il segno perchè lo crede, Con sì contente labbie; cioè con labbie ridenti, che mostrano contentamento della cosa udita o veduta, sempre attese; cioè a udire, Lo suon delle parole vere espresse; cioè manifestamente proferte; et aggiugne lo suo passamento, dicendo: Però con ambo le braccia mi prese; cioè m’abbracciò, E poi che tutto su mi s’ebbe al petto; cioè arrecato sul petto, Rimontò per la via; della ripa, onde discese; prima, per portar Dante a vedere li simoniaci, e massimamente papa Nicolao: Nè si stancò; Virgilio, d’avermi a sè distretto; abbracciandomi, Sì men portò; cioè sì ne portò me, sopra il colmo dell’arco; cioè sopra il mezzo dell’arco quarto, sott’al quale è la quarta bolgia, Che dal quarto al quinto argine è tragetto; cioè passamento dal quarto argine al quinto. Quivi; cioè in sul colmo dell’arco quarto, soavemente; cioè pianamente, spuose il carco; cioè lo incarico che era Dante, che avea abbracciato, Soave; cioè dolce. Dolce cosa è la [p. 511 modifica]sensualità alla ragione, quando li è sottoposta et obediente, e la cagione perchè finge che il portasse Virgilio si è, perchè la montata era malagevole del quarto arco, che è sopra il quarto vallone; e però dice: per lo scoglio sconcio et erto; cioè disagiato et alto tanto, Che sarebbe alle capre duro varco; la capra è animale che volentieri va pascendo sopra la penna de’ monti, e molto agevolmente monta. E questo intese l’autore allegoricamente, fingendo che malagevole cosa fosse alla sensualità, o vero ragione pratica et inferiore, di salire a vedere come li maliosi et indovini e supersticiosi 60 sieno fraudulenti, de’ quali si tratta nella quarta bolgia. E però finge che Virgilio, che significa la ragione superiore, lo porti, cioè porti la ragione pratica et inferiore, ovvero sensualità, a ciò considerare che sarebbe cosa dura alli uomini d’alto ingegno, li quali elli intende per le capre: Indi; cioè dal colmo dell’arco quarto, un altro vallon; cioè la quarta bolgia, ove si puniscono l’indovini 61 maliosi e suprestiziosi 62, come apparirà nel seguente canto, mi fu scoperto; a me Dante, che prima nol vedea.

Note

  1. C. M. invenzione; - ed il nostro ci porge - invezione -, da inveire. E.
  2. C. M. rotto le torte strambe.
  3. C. M. alle punte del piè;
  4. C. M. che più giace,
  5. C. M. allora scesono nel quarto argine, e volsensi
  6. C. M. piangea con la cianca, Et
  7. C. M. predice d’ un altro che verrà dipo’ colui
  8. Erono, cadenza da non più usarsi; ma in antico adoperata per uniformità alla terza plurale del presente indicativo. E.
  9. C. M. E similmente
  10. C. M. sue cavillazioni.
  11. C. M. in materia furiosa, riprendendo
  12. C. M. disponendolo a producere, come cagione seconda, li suoi effetti,
  13. C. M. nel San Giovanni a Pisa et a Firenze;
  14. C. M. a quelli
  15. El per il fu comunissimo a parecchi de’ nostri antichi scrittori. E.
  16. C. M. che viveno in sì
  17. C. M. quando dimandano o
  18. C. M. fraude usa lo simoniaco
  19. C. M. cioè che li piedi
  20. C. M. chi elli è, e delle suoie colpe:
  21. C. M. peccato è ingiustizia similemente
  22. C. M. non mi isposò giù, anco mi tenne
  23. C. M. cioè la parte di sopra tieni di sotto; cioè lo capo
  24. Tien per tieni, seguendo l’Allighieri à detto il nostro Commentatore, e prima di loro avea scritto Lapo degli Uberti «Così mi giugni e prendi; Poi tormentando più mi tien distretto» Dunque perchè i grammatici riprovano troncamenti siffatti? E.
  25. C. M. come sta lo
  26. C. M. per avere l’avere della Chiesa,
  27. C. M. Bonifazio, per dimostrare che papa Bonifazio dovea essere di quelli: sì fatta vita tenea e sì usava quel peccato
  28. C. M. era quel che credea,
  29. C. M. cioè a quelli
  30. C. M. pillia molto esemplo. Ma più; qui profetizza, secondo che finge l’autore, dicendo: Ma più
  31. C. M. seguirà
  32. C. M. Chimento — . Sotto Clemente V la corte pontificia andò oltramonti, e vi stette settantun anni. E.
  33. C. M. vescovo burdegalense. Questi domandò lo papato
  34. C. M. Venitemi
  35. C. M. che virtute
  36. C. M. con amburo
  37. Apostrofa. Gli antichi, per una certa uniformità di cadenza, finivano in a parecchi nomi, d’alcuni de’ quali oggi l’uso è riprovato: Taida, Apocalissa ec. E.
  38. C. M. Barnaba
  39. C. M. che s’eleggesse la
  40. C. M. la Sicilia e la Puglia.
  41. A meglio rischiarare questo passo, ci viene opportuna la - Istoria fiorentina - di Ricordano Malespini «Questo papa .... fece richiedere il re Carlo di volere dare una sua nipote a uno suo nipote; ma il re non lo volle assentire, dicendo: Perch’elli avea il calzamento rosso, il suo legnaggio non è degno di mischiarsi col nostro, e sua signoria non era retaggio. Per la qual cosa contra lui indegnò, e a tutte cose in segreto gli fu contrario .... e per moneta che si disse ch’ebbe dal Paglialoco, consentì e diede favore alla ribellazione dell’isola di Cicilia a re Carlo». Cap. 204. E.
  42. C. M. filias
  43. C. M. dominationem
  44. C. M. che produce poi,
  45. Col C. Magliab. si è aggiunto - dei regi - a - et in benefici. E.
  46. C. M. ad constitutionem mundi
  47. C. M. contra l’accidia;
  48. C. M. contra l’ira;
  49. C. M. non ti sprevaricare e non pilliare
  50. C. M. non sii
  51. C. M. la santa Chiesa di Cristo
  52. Da - infiniti - a - dicendo - si è emendato col Cod. Magl. E.
  53. C. M. cioè parturitte, Non
  54. C. M. perseguitati sì, che stavano appiattati per le grotte dei monti.
  55. C. M. li apparve .... e dissegli che
  56. C. M. dei Cristiani,
  57. guarrebbe; guarirebbe. In simili piegature di verbo il raddoppiamento dell’r mostra chiaramente la sincope. E.
  58. C. M. della scabie
  59. C. M. passamento
  60. Supersticiosi, e più sotto - suprestiziosi - dove nel primo caso è il solito scambio della z in c; e nel secondo la metatesi pure non rada in alcune parole, come interpetre ec. E
  61. C. M. l’indivini
  62. C. M. superstiziosi,


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