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c a n t o   xix. 489

22Fuor della bocca a ciascun soperchiava
      D’un peccatore i piedi, e delle gambe
      In fino al grosso, e l’altro dentro stava.
25Le piante erano a tutti accese intrambe;
      Per che sì forte guizzavan le giunte,
      Che spezzate averian ritorte e strambe.1
28Qual suol lo fiammeggiar delle cose unte
      Muoversi pur su per restrema buccia;
      Tal era lì da’ calcagni alle punte.
31 Chi è colui, Maestro, che si cruccia,
      Guizzando più che li altri suoi consorti,
      Diss’io, e cui più rossa fiamma succia?
34Et elli a me: Se tu vuoi, ch’io ti porti
      Là giù per quella ripa che più giace,
      Da lui saprai di sè e de’ suoi torti.
37Et io: Tanto m’è bel quanto a te piace:
      Tu se’ Signor, e sai ch’io non mi parto
      Dal tuo volere, e sai quel che si tace.
40 Allor venimo su l’argine quarto:
      Volgemmo e discendemmo a mano stanca
      Là giù nel fondo foracchiato et arto.
43Lo buon Maestro ancor della sua anca
      Non mi dispuose, sì mi giunse al rotto2
      Di quel che si piangeva con la zanca.3
46O qual che se’, che il di su tien di sotto,
      Anima trista, come pal commessa,
      Cominciai io a dir, se puoi, fa motto.

  1. v. 27. averien le torte strambe.
  2. v. 44. dispuose. Disporre per deporre oggi non saria da usare; quantunque non raro presso gli antichi. Lapo Gianni « Dispuose giù l’aspetto signorile », e il maestro di Dante avea detto « Amor bassa e dispone, Perchè in fina amanza Non cape maggioranza ». Così è da intendere di spuose per pose, depose, al v. 130.- E.
  3. v. 45. C. M. con la cianca.