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c a n t o   xix. 493


C O M M E N T O


O Simon mago ec. In questo decimonono canto l’autor nostro intende a trattare della terza bolgia ove si punisce il peccato della simonia; e dividesi principalmente in due parti, perchè prima descrive questa terza bolgia, mostrando chi vi truova; nella seconda pone una invezione 1 ch’elli pone contra quello spirito ch’elli à trovato, quivi: Io non so s’io mi fu ec. E la prima si divide in sei parti, perchè prima pone una esclamazione aggiugnendo il suo processo; nella seconda pone un’altra della Sapienzia di Dio, quivi: O somma Sapienzia; nella terza pone lo ragionamento ch’ebbe con Virgilio, quivi: Chi è colui, Maestro, ec.: nella quarta pone come parlò con un’anima de’ simoniaci, quivi: O qual che se’ ec.; nella quinta, com’elli si maravigliò della risposta, quivi: Tal mi fec’io ec.; nella sesta pone come la detta anima li risponde, quivi: Se di saper ec. Divisa la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale; e dice adunque così, incominciando da una esclamazione contra li simoniaci:
          O Simon mago, o miseri seguaci, che le cose di Dio le quali deono essere spose di bontade, adulterate dandole e togliendole per oro e per argento, or convien che per voi suoni la tromba della mia poesia: però che state nella terza bolgia della quale, secondo l’ordine, debbo ora trattare. E fatta questa esclamazione, segue lo suo processo dicendo: Già eravam montati alla seguente tomba dello scoglio, a quella parte che appunto viene sopra mezzo il fosso; e qui aggiugne una esclamazione dicendo: O somma Sapienzia, quanta è l’arte che mostri in cielo in terra e nel mal mondo; cioè nell’inferno; e quanto giustamente tua virtù comparte! Et aggiugne ch’elli vide per le coste e per lo fondo di quella terza bolgia, ch’era di pietra livida, fori tondi tutti larghi ad uno modo. E fa comparazione che non li pareano meno ampi; nè maggiori che quelli che sono fatti nel suo bel San Giovanni di Fiorenza, fatti per luogo de’ battezzatori, de’ quali dice che ruppe uno, non sono molti anni passati, per uno fanciullo che v’annegava dentro; e dice che questo, che ne dice qui, sia segno che sganni ognuno che ne dubitasse. E dice che fuor d’ogni buco uscivan l’anche e li piedi, infino al grosso, d’uno peccatore, e l’altro stava dentro; et aggiugne che amendu’ le piante ch’erano di fuori infino al polpaccio erano accese di fuoco, onde guizzavano sì forte ch’averebbono rotto ritorte 2 e strambe. E fa comparazione che co-

  1. C. M. invenzione; - ed il nostro ci porge - invezione -, da inveire. E.
  2. C. M. rotto le torte strambe.