Come l'onda/VI
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IL SUO AMORE.
VI.
Pareva una coppia anormale.
Dopo dieci anni di matrimonio, vivevano come nei primi giorni della loro unione, in pace triste, che ora neppur la figliuolina riusciva a rallegrare un po’.
Il marito, diventato più giallo per bile, col volto scarno e gli occhi grigi, sbiaditi, di pesce morto, metteva paura fino agli assassini quando li fulminava in nome della legge dal suo banco di Procuratore del Re, agitando per aria le mani da scheletro, e la voce gli usciva a scatti, cavernosa, dal fondo dello stomaco, quasi qualcuno parlasse di là dentro invece di lui.
Giovane e bella, pallida sotto la tinta bruna, con gli sguardi smarriti e sognanti, con la indolenza che le rendeva faticoso anche il parlare, le rade volte che si mostrava in pubblico al braccio di lui, sua moglie pareva una convalescente scampata da lunga malattia, così sbalordita, così fiacca gli si trascinava accanto, guardando sempre davanti a sè, lontano, senza badare nè ai luoghi nè alle persone.
In quelle passeggiate di qualche ora, la figlia, alta e magra, tutta suo padre, e che mostrava nell’aspetto di bimba stentata e freddolosa più età che non avesse, camminava a fianco della mamma o del babbo, muovendo lentamente le gambette di ragno sotto il vestitino corto, con le braccia penzoloni e la bocca semi-aperta, come una grullina; e nei primi giorni del loro arrivo in Palermo, la gente si voltava per guardarli tutti e tre, curiosa di sapere chi potevano essere quelle strane figure.
Poi la loro storia si seppe, e la compassione fu tutta in favore della signora.
Quell’uomo l’aveva sposata senza dote, innamoratissimo, pur sapendo di non essere riamato; ed ora la gelosia lo rodeva vivo vivo, quantunque sua moglie fosse una santa. Non ricevevano visite, non ne facevano; vivevano, laggiù, a Porta Sant’Antonino, come chiusi in un carcere, in quel palazzotto silenzioso dalla facciata scura e massiccia, che pareva fabbricato apposta per loro.
Le vetrate dei terrazzini che davano su la via maestra, non s’aprivano mai. In certe ore della giornata, dietro i vetri, fra le tende bianche, si vedeva appena il profilo d’una testa di donna dai capelli neri, ma non si capiva se intenta a leggere o a lavorare; e, accanto, la bimba, seria e malinconica, appannava i vetri col fiato, segnandovi col ditino qualche cosa che sùbito scancellava, per ricominciare da capo. Più tardi, dietro quella finestra sempre chiusa, i vicini dirimpetto, che spiavano curiosi e maligni, vedevano comparire per un momento la faccia itterica del marito sotto il berretto di velluto nero; e allora mamma e figliuola sparivano, quasi colui avesse avuto paura di vedersi mangiare dalla luce quella moglie ancora giovane e bella, che i parenti gli aveano consegnata in mano, superbi della loro figliuola, vestita di bianco e coronata di fiori d’arancio, chiamata a salire così in alto.⁂
Allora ella aveva appena sedici anni.
Regio procuratore presso il tribunale di Catanzaro, Lupi abitava al primo piano della stessa casa dove la famiglia di lei nascondeva, al piano superiore, la decente miseria del suo stato di decadenza.
Due o tre volte s’erano incontrati per le scale, mentr’ella andava fuori con la vecchia zia; e quella figura gialla, magra, dagli occhi sbiaditi e i capelli grigi, che le gettava addosso lo sguardo diaccio diaccio e si fermava a vederla scendere, le aveva dato una sensazione di ripugnanza, quasi di persona che volesse farle male.
Per questo, arrivata all’ultimo gradino, s’era sempre voltata in su e s’era sempre urtata in quell’uomo affacciato alla ringhiera del pianerottolo, e che continuava a fissarla con la cattiva malia delle pupille smorte.
— Dev’essere un jettatore, — aveva detto alla zia, facendo di soppiatto un gesto di scongiuro.
Qualche mese dopo, s’era accorta che quegli stava a divorarsela con gli occhi dal terrazzino di fianco allorchè ella si metteva a lavorare, canticchiando, su la terrazza.
Una volta la zia le disse:
— È matto di te; ti vuole per moglie. Che fortuna, figliuola! Regio procuratore!
Carmelina non aveva saputo che rispondere, sorridendo con sorriso sciocco, incredula:
— Ma che? Posso essere sua figlia.... Non è possibile!
Eppure era stato. E aveva detto di sì, vinta dalle insistenze e dalle lacrime della mamma e della vecchia zia, intontita dalle interminabili loro chiacchiere, e, un po’ anche lusingata da quel cambiamento di fortuna, che la sbalzava nell’agiatezza di un posto onorato.
⁂
La prima cattiva impressione, però, di persona che volesse farle male, era rimasta, malgrado tutto quel che il marito le prodigava per legarsela, per rendersela affezionata ed amante, com’egli non disperava di poterla stringere un giorno o l’altro fra le braccia.
E quando se lo vedeva, cieco dalla passione, inginocchiato dinanzi, smanioso di baciarle i piedi ch’ella tirava indietro impaurita; e quando sentiva ricercarsi avidamente, con labbra scottanti, le carni rosee e fresche, quasi egli volesse inebriarsi del loro profumo e del loro contatto, Carmelina s’irrigidiva, diventava di marmo, e chiudeva gli occhi, e serrava i pugni e i denti; oppure s’abbandonava, come corpo morto. Poteva fare diversamente? Gli apparteneva, per sempre, per sempre!
— Lo so, non t’è facile amarmi, — egli le diceva, un po’ impermalito per la resistenza della giovine ai suoi abbracci d’uomo maturo. — Ma io, anima mia, non ti chieggo un affetto volgare, da schiava....
— Perchè mi dite così?
— Vedi? — rispondeva. — Non ti riesce di darmi del tu! Non importa. Sei la mia vita, il mio sole! Quando avrai capito che nessuno al mondo potrebbe amarti quanto t’amo io....
Carmelina avrebbe voluto almeno ingannarlo, per non parere cattiva, per non straziare di più quell’uomo che l’adorava come la Madonna, ed era geloso fin dell’aria.
Non ci era riuscita mai, per quanti sforzi la sua bontà di animo avesse fatti.
Il giorno che Lupi, dopo un anno e mezzo, dovette lasciare Catanzaro, gli occhi di Carmelina si velarono di lacrime, come nello staccarsi dai parenti, guardando forse per l’ultima volta dallo sportello della carrozza le care montagne attorno, che era solita guardare dalla terrazza, allorchè canticchiava lassù, al sole, nella squallidezza della casa, che le aveva addormentato in seno ogni vano desiderio ed ogni giovanile illusione intorno all’avvenire.
Quella vita modesta ma dolce le era spesso tornata in mente, e nella nuova residenza di Taranto, dov’ella si sentiva come sperduta, l’aveva fin rimpianta.
Oramai però cominciava ad adattarsi, spossata da languori indefinibili, mezza assopita dal torbido silenzio, che la circondava in quell’abitazione dalle stanze piccole e basse, tra quei mobili vecchi, del tempo di Murat, che stonavano stranamente con le pareti imbiancate di fresco.
Tra i riflessi bianchi di quelle stanze, suo marito pareva più smorto quando tornava a casa dal Tribunale e le si sedeva di faccia o a lato, e la prendeva per le mani commosso come al primo giorno che le aveva rivolto la parola.
Ah, egli era sempre lo stesso!
E, dopo tre anni, continuava ancora a volerla seduta su le ginocchia come una bimba, e tornava a balbettarle parole mozze, da innamorato che si confonde e non sa parlare, intanto che le baciucchiava le palme delle mani, il braccio, il collo, dicendole:
— Vita mia!... Sole mio!...
Carmelina non si sentiva più irrigidire, non serrava i pugni e i denti, non s’abbandonava più come corpo morto. Era rassegnata, quasi indifferente, dominata da quel fascino maligno che doveva aver maturato rapidamente la sua giovinezza e assonnato nervi e sangue.
Soltanto non riusciva a dargli del tu, com’egli avrebbe voluto. Il tu le moriva su le labbra:
— Che posso farci?
E suo marito, che l’andava scrutando tutti i giorni e tutte le ore, con gli sguardi inquisitori di Procuratore del Re, in cui neppure la passione accendeva un lampo, s’inquietava ora per questa indolenza di lei, peggio che non avesse mai fatto per la vivace ripugnanza:
— Che hai dunque? A che pensi?
— Perchè mi dite così? — ripeteva Carmelina. — Perchè mi dite così?
E gli alzava in faccia le grandi pupille stupite.
Sentiva un accento di minaccia immeritata, e ne aveva paura.
No, no! Egli non la minacciava, tradito dalla brutta voce cavernosa, dalla faccia giallastra, emaciata per la gelosia che lo disfaceva.
Avrebbe voluto vederla anzi allegra, sorridente, felice; e se le fosse sfuggito finalmente uno di quei gridi che soltanto la giovinezza e l’amore son capaci di trovare, oh, gliel’avrebbe pagato con tutto il sangue delle proprie vene! Nè gli sarebbe parso pagato abbastanza.
— Che hai insomma?... Mai un desiderio! Mai un capriccio!...
— Voi mi prevenite sempre. Che mi manca?⁂
La mattina in cui le viscere, agitate a un tratto e insolitamente, rivelarono il mistero della maternità, Carmelina si scosse indignata contro di sè, quasi la sua volontà fosse stata complice, quasi da quel momento si vedesse già caduta in pieno possesso di lui, e si sentisse tiranneggiata nel più intimo del proprio organismo.
E non gli disse nulla; prima, sperando d’essersi ingannata; poi, sperando che la natura avrebbe avuto pietà di lei. Era offesa, violata da quel mistero di vita che le germogliava nel seno:
— Non basta quel ch’io soffro? Dovrà soffrire anche questa creatura, che verrebbe a intristirsi con me nella desolazione della mia vita?
E di essa già risentiva tutto il gran peso, come nei primi giorni. E quella sensazione di repugnanza, di persona che volesse farle male, le si rinnovava forte alla presenza del marito; il quale intanto l’adorava più che mai e la sopraffaceva con sottomissioni da fanciullo, con delicatezze da donna:
— Oh! Oh!... Perchè non me l’hai detto sùbito?
Quell’unica volta i suoi occhi grigi e smorti si erano animati d’un lampo di gioia, aveano sorriso imbambolati dalle lagrime, mentr’ella ricadeva sfinita nella tristezza indolente, da cui non la destarono neppure i vagiti della gracile creaturina che, nascendo, ne aveva messa in grave pericolo la vita.
Così l’allattò, così la vide crescere, quasi non fosse stata pure sangue suo. Non si sentiva madre, come non s’era potuta sentir moglie, come non si sentiva più giovane, nè donna, nè nulla; e ne soffriva tanto più, quando rammentava che, prima del suo matrimonio, la vista d’un bambino la faceva palpitare di commozione; inconsapevole commozione, come per uno spettacolo di bellezza e di innocenza.
— Sì, qualcosa dev’essersi rattrappito dentro di me; il cuore, certamente!
All’opposto, suo marito cominciava a provare una irritazione per questa resistenza passiva:
— Neanche la maternità la lega a me!
E si mise a sorvegliarla più inquieto, provocandola con qualche parola un po’ dura, adombrandosi di tutto, senza nasconderglielo come aveva fatto fino allora.
— Che motivo avete? — ella rispondeva tranquillamente.
— Sei ingrata. Donna senza cuore!
A questi rimproveri amari, restava muta e impassibile.
Da qualche tempo in qua, stando in casa, egli si chiudeva nella stanza da studio, fra libri legali e processi. E non la sentenza l’occupava, non i processi ammonticchiati sul tavolino dentro le polverose copertine rosse e azzurre, legati in fascio. Sprofondato nella poltrona coi gomiti appuntati su un libro aperto a caso, la testa fra le mani scarne, pensava a colei che non lo amava, a colei ch’egli amava sempre più, disperatamente, per quegli occhi neri e grandi, per quella fresca carnagione bruna, che il lieve pallore rendeva più bella, per quel corpo delicato e perfetto, e che non vibrava mai sotto la furia dei suoi baci, tra le strette di quei suoi abbracci da cui sarebbe stata animata fino una statua!
— Ah! Chi sa quali fantasmi le passano per la testa? Chi sa quali visioni agitano quel cuore, che il seno piccolo e bianco nasconde ai miei sguardi? Come sono infelice! Come sono infelice!...
E a un tratto appariva nella stanza dov’ella lavorava straccamente camicine per la bimba, dando un punto a ogni quarto d’ora, appariva sull’uscio com’un fantasma, per sorprendere, chi sa? qualche indizio in quegli occhi sognanti, su quelle labbra chiuse e contratte che non avevano quasi più sorriso, da che egli l’aveva sposata.
Carmelina non alzava gli occhi indovinando senza farglielo capire.
La bimba, seduta per terra sopra un tappetino, dove arruffava con grande attenzione i ritagli di trine e di mussolina raccolti fra le magre gambine aperte, levava il visetto sparuto per guardare suo padre, che l’accarezzava serio, taciturno.
— Il babbo! — balbettava, vedendolo andar via, rivolta alla mamma.
E la stanza ricadeva nel silenzio, bianca, inondata di luce.
Una volta egli parlò apertamente:
— Mi rode una gelosia pazza!... La colpa è tutta tua!
— Perchè?
— Perchè soltanto in apparenza m’appartieni, per effetto della legge e del sacramento, non per legami di cuore!...
— Che debbo fare?
— Quel che non hai fatto finora: amarmi!
— Non vi amo forse? Non vi rispetto? Di che potete lamentarvi? Come si ama? Non lo so.
— Lo vedi in me come s’ama!
— Non riesco mai a contentarvi!... Oh, Dio mio!
Vedendola piangere, s’era sentito rimescolare; e l’aveva presa tra le braccia, tremante, confuso, ripetendole:
— No, non voglio che tu pianga! Non piangere!
E Carmelina aveva dovuto farsi forza per non irritarlo.
Quel giorno egli provava uno dei soliti accessi di tenerezza, che lo assalivano di tanto in tanto e lo lasciavano maggiormente triste e sconsolato; specie di febbre d’amore, che lo estenuava come febbre vera. Allora sembrava un altro. La sua voce diventava quasi dolce e il suo pallore si coloriva di leggiera tinta d’incarnato.
— T’amo troppo. Oh, come t’amo! Io non so esprimermi. Bisogna compatirmi. Mi mancano le parole....
E l’andava accarezzando, ammirandola da capo a piedi, rapito.
— Me n’accorgo, in certi momenti riesco increscioso; incresco fino a me stesso! T’amo troppo. Ti vorrei tutta mia, tutta, tutta! E vorrei poter leggere qui, dietro questa fronte, dietro questa fronte più splendida del cielo!
— Non vi nascondo nulla. Che potrei mai pensare da nasconderlo a voi?
Infatti, nel languore delle lunghe giornate di solitudine non pensava proprio a nulla, oppressa da grave stanchezza e da strana sonnolenza, quasi gli occhi diacci di suo marito, che le stavano sempre addosso, le buttassero, prima ch’egli uscisse di casa, una malia da tenerla legata.
Nelle belle giornate, osava qualche volta chiedere al marito di condurla un po’ fuori. Ed egli la conduceva lungo la spiaggia sabbiosa, nei porti più solitari, per strade di campagna fuori di mano.
Pareva che anche la bimba provasse le medesime sensazioni della mamma: abbagliamento, stupore della violenta intensità della luce e della freschezza dell’aria pregna di salsedine marina. Non correva, non si sentiva tentata dalle erbe e dai fiori, che spiegavano la pompa del rigoglio e la festa dei colori pei campi; si teneva stretta alla mano della mamma, guardava con gli occhi sbalorditi, senza godimento, senza voglia, e presto diceva:
— Babbo, torniamo a casa?
Come avrebbe voluto dirgli Carmelina, se non avesse avuto paura di destar sospetti.
⁂
Nella casa di Palermo la solitudine era più grande. Mettendo per la prima volta il piede in quelle stanze vaste, dalle volte che si sprofondavano nell’ombra, dagli usci dipinti a grandi fiorami sormontati da paesaggi anneriti dal tempo, dal pavimento di mattoni di Valenza che agghiacciava le piante dei piedi, dalle pareti sbiadite e ornate di specchi in immense cornici dorate che si accartocciavano baroccamente, Carmelina s’era sentita mancare il respiro.
— Tutta questa decrepitezza, tenuta ritta, non si sa come, l’ha cercata apposta, per farmi invecchiare più presto?
Vi s’era però facilmente abituata, e non v’invecchiava più che altrove.
Gli anni, la vita inerte le avevano anzi un po’ arrotondato il corpo; e la pelle bruna, sbiadita all’ombra, dava gran risalto agli occhi neri e ai capelli nerissimi. Guardandosi nei grandi specchi lievemente appannati, che la riflettevano intera, quasi dentro una nebbia sottile, se ne maravigliava:
— No, non sono invecchiata!
E un baleno di civetteria femminile le passava sul volto.
Il tempo e l’abitudine mutavano la sua tristezza in tale sentimento di riposo e di pace, ch’ella non avrebbe voluto mutare stato. La lassezza da convalescente, la indolenza che le rendeva faticoso fin il parlare, prendevano per lei le stesse attrattive voluttuose della soave pigrizia del corpo e dello spirito, che la teneva raccolta, e le mettevano ne le grandi pupille la strana aria di sognante che impressionava le persone.
Per questo il frastuono della vita cittadina, da cui era assediata coi gridi dei rivenditori ambulanti, coi rumori delle carrozze che scotevano i vetri delle finestre echeggiando cupamente per le volte, e col sordo affaccendamento di lavoro, che si ripercoteva indistinto là dentro, serviva soltanto a renderle maggiormente caro l’isolamento e la muta severità delle vecchie cose, dalle quali era circondata.
Fin suo marito non le dava più la solita sensazione di ripugnanza e di persona che volesse farle male. E stava ad ascoltarlo intenta, quand’egli le raccontava il processo discusso alle Assise nella giornata, quasi volesse appellarsi a lei contro i giurati, che si erano lasciati infinocchiare dalle sonore ciance avvocatesche.
In quelle sere la bimba non voleva andare a letto per ascoltare anch’essa le storie dei ladri e degli assassini; e guardava a bocca aperta il babbo che parlava, smorto smorto, nell’ombra della ventola, con le mani sui braccioli della poltrona illuminate dalla luce viva, e le lunghe gambe nascoste sotto il tappeto rosso del tavolino; la mamma che taceva o esclamava di tanto in tanto:
— Povera gente!
Così le stagnava la vita, senza che l’umor tetro del marito vi producesse più neppure un lieve increspamento a fior d’acqua; e così durò fino al giorno in cui la bimba cadde ammalata, e per le stanze mute s’intese frequente il rumore cadenzato dei tacchi del dottore, che, vista la gravità della cosa, veniva a visitarla tre o quattro volte al giorno.
Le tristi occupazioni d’infermiera le furono di sollievo.
Le medicine da somministrare d’ora in ora, esattamente; i piccoli servigi che la costringevano a muoversi da una stanza all’altra; il dover ragionare e venire a patti con la malata per indurla a star cheta sotto le coperte, o a prendere un cucchiaio di medicamento in ricambio dei bei regali di nastri, di oggetti d’oro, di ninnoli di porcellana, che voleva schierati sul guanciale o ficcati dentro il letto; la stessa ansiosa aspettativa del risultato della malattia, tutto concorse a produrle una specie di risveglio di sensi.
⁂
Da la finestra che il dottore voleva aperta finchè il sole era alto, irrompeva nel palazzotto addormentato un giocondo tumulto di vita; voci che chiamavano e rispondevano; scoppi di risa, canti allegri di operaie che lavoravano all’aria aperta nella via di fianco, godendosi il dolce tepore del sole di aprile. E quel canarino che trillava alla finestra della casa accanto!... E quel merlo che fischiava più in là... E gli squilli argentini di quell’incudine, più in là ancora, sotto i colpi di martello!... Che festa!
Non si saziava di guardare fuori, seduta al capezzale della bimba, tenendo strette fra le mani le manine febbricitanti; non si saziava di guardare, quasi quelle donne che sciorinavano la biancheria sui terrazzini della casa di faccia, lassù, distante; quasi quella monaca di casa che, più in qua, inaffiava i vasi di fiori e si soffiava il naso col fazzoletto turchino; quasi quei due, marito e moglie certamente, che s’abbracciavano in mezzo alla stanza credendo di non essere veduti, fossero uno spettacolo per lei.
Un’altra mattina, invece di biancheria, lassù, sciorinavano dei tappeti; quella giovane in veste grigia da camera con grandi ricami rossi che si vedeva distintamente, e pettinandosi sul terrazzino, si serviva dei vetri dell’imposta per specchiera, doveva essere molto bella. Andava e veniva, forse per cambiare il pettine, forse per prendere delle forcine... Parlava con qualcuno che non si scorgeva. Era allegra, rideva... Doveva esser felice!...
— Ah, Signore!... Che cosa avviene dentro di me? Si sentiva quasi destare da profondissimo sonno. Il sole, inondando la camera, le metteva vivi formicolii per tutta la persona; gli sbuffi d’odor di zàgara, che il vento trasportava da lontano, dai giardini di aranci della Conca d’oro, le turbavano la testa. E se ne stava tutta la giornata rifugiata là, come in un angolo di paradiso, senza più impensierirsi della malattia della bimba; paga di stringerne fra le mani le manine arse dalla febbre; bevendosi tutta quell’aria, assorbendosi tutta quella luce, inebriandosi di quei rumori e di quegli odori. E quando, sul tardi, all’abbassarsi del sole, bisognava chiudere l’imposta, e compariva nella cameretta la faccia gialla e scarna del marito ritornato dal Tribunale, ella provava una stretta al cuore, e ricadeva nella torpida inerzia che durava da anni.
Poi quei turbamenti, quelle vertigini le diedero insonnie tormentose, le stesse insonnie di suo marito. Fingeva però di dormire, rannicchiata nel proprio cantuccio di letto, quasi raffrenando il respiro, e la mattina, saltava giù che non era neppure l’alba, con la scusa della bimba, ma veramente per guardare di là, veder ripetere l’incantesimo del giorno avanti.
Poi quando la bimba cominciò a star meglio, ella contro le sue abitudini si sentì attratta a quella finestra e vi restò a lungo, coi gomiti appuntati sul davanzale, la faccia sorretta dalle mani, girando attorno i grandi occhi desti, scoprendo cose che non aveva veduto e avrebbe dovuto vedere: quel campanile, quella terrazza dove una cagna allattava dei cagnolini bianchi e neri, quel comignolo, quei rami verdi d’una pianta di limone che sorpassavano un tetto nuovo.
E stava là lunghe ore al sole, come una lucertola, voltandosi di tanto in tanto verso il lettino della convalescente e sorridendole con insolito sorriso delle labbra e degli occhi; stava là stordita, meravigliata di sentirsi tuttavia capace d’avere quelle sensazioni; talora sconvolta da turbamenti improvvisi ch’ella non sapeva spiegarsi, da brividi che le correvano su su per la schiena e la scotevano tutta; e così assorbita, e così sopraffatta, da non pensare a tirarsi indietro per evitare la insistente curiosità di quel signore mezzo nascosto fra le cortine, il quale tornava ogni giorno a guardarla, con l’indiscreto binocolo da teatro, dal terrazzino a sinistra.
Gli aveva rivolto appena un’occhiata il primo giorno soltanto; e quella figura alta e bruna, dai capelli un po’ radi, dai grandi mustacchi castagni che si curvavano in su, le si era stampata talmente nelle pupille, che continuava a vederla durante l’insonnia, con quel cannocchiale appuntato, con quei polsini bianchi e lucenti dai piccoli bottoni d’oro fuor delle maniche della giacca. E se ne stizziva:
— Chi è? Che cosa vuole?
Che volesse colui, ella lo capì a un tratto una mattina, da certe mosse di occhi....
— Mamma, che hai?
— Niente, figliolina, niente!...
Intanto si era ritirata dalla finestra con brusco movimento, smorta in viso. La bimba si stupiva che le labbra che la baciavano, fossero diacce e tremanti.
— Mamma, che hai?
— Niente, figliolina!
E affondava la faccia nei guanciali, accanto alla testina della bimba, dolorosamente.
Per parecchi giorni di seguito non s’affacciò alla finestra e tenne i vetri socchiusi, quasi avesse avuto paura delle lusinghe dell’aria tiepida di quelle giornate primaverili, delle seduzioni di quel sole smagliante che irrompeva nella camera insidioso, a traverso le imposte, indignata della propria debolezza contro quel fantasma, che la premeva da qualunque parte ella si volgesse... alto, bruno, dai capelli un po’ radi, dai grandi mustacchi rovesciati in su, dai polsini bianchi e lucidi con piccoli bottoni d’oro, dalle mani affilate che tenevano il cannocchiale fissato addosso a lei, insistentemente....
Ed ora che sapeva che cosa egli volesse, la sua alterigia d’onesta si inalberava, protestava, quantunque il suo amor proprio si sentisse un po’ solleticato; protestava anche con quella strana pietà pel marito, quantunque se lo vedesse dinanzi più giallo, più magro, più innamorato e più geloso ancora, quasi egli presentisse il tranello teso al cuore di sua moglie....
— Oh, no, no! — ella pensava. — Sarebbe un’infamia!...
Resisteva però alla smania per cui avrebbe voluto affacciarsi alla finestra a fine di persuadersi che s’era ingannata, e mettersi il cuore in pace.
— Ha paura dell’aria? — le disse il vecchio dottore. — Apra questa finestra, così!... L’aria è balsamo di vita.
E l’aperse egli medesimo.
Restò un po’ presso il capezzale, irrequieta, lottante, quasi la finestra fosse stata un abisso, che le dava la vertigine; poi s’affacciò, rigida, deliberata di non guardare, coi gomiti appuntati sul davanzale, la faccia tra le palme.... E appena s’accorse di quell’uomo, ch’era là ad attenderla, il cuore cominciò a sussurrarle parole indistinte, le orecchie le zufolarono, gli oggetti attorno le caracollarono sotto gli occhi intorbidati....
— Domani, oh, domani sarò più forte!...
Intanto, quantunque assolutamente risoluta di non dargli un’occhiata, nel tirarsi indietro lo aveva guardato, di sfuggita, suo malgrado....
E quella sera suo marito la sentì tremare sotto i baci e tra gli abbracci, quasi ella cercasse d’evitarli.
— Ti senti male?
— Sì, un po’....
— Che ti senti?
— Nulla, non saprei.... Forse la stagione.
In alcuni momenti, quand’era sola, tutt’a un tratto il cuore le diventava grosso grosso, gli occhi le si riempivano di lagrime, i singhiozzi le annodavano la gola....
Quella volta sentendosi soffocare, era corsa alla finestra, per prendere un po’ d’aria, senza pensare a colui. E vedendo ch’egli la guardava sorridendo tristemente a fior di labbra, quasi per rimproverarle qualcosa, quella volta s’era sentita afferrare a tradimento, violentemente; gli aveva risposto con un sorriso.... e si era tirata sùbito indietro nascondendo la faccia tra le mani.
— Oh, Dio, mi par di morire!
Si sentiva venir meno. E avrebbe voluto morire davvero nel punto in cui aveva ceduto, dandosi incondizionatamente, da non riprendersi più.⁂
Fu uno scatto, quasi avesse avuto tuttavia sedici anni, e si fosse sentita tale forza nei polsi da lottare col mondo intero!
Sentiva bisogno di muoversi, di gesticolare, di ridere, di cantare, ella che fino a poche settimane prima avea passato le giornate sonnecchiando su una delle poltrone addormentate anch’esse negli angoli oscuri di quelle stanze fredde e silenziose. E s’aggirava da una stanza all’altra, leggera, saltellante, levando le mani giunte e gli occhi alle divinità mitologiche dipinte nel centro della volta, per ringraziare non sapeva chi di quella grazia vivificante che le era stata concessa! Debole, ingenua, rimasta quasi bambina sotto l’opprimente gelosia del marito, ella si svegliava esperta di tutte le astuzie, di tutte le malizie, di tutte le ipocrisie della donna abituata a ingannare:
— Ah, finalmente la mia povera vita ha uno scopo, finalmente so!...
Non sapeva nulla, illusa che tutto si sarebbe limitato là, e che l’immagine di quell’uomo ch’ella teneva chiusa nell’intimo del cuore, come in un tabernacolo, per prostrarlesi dinanzi col pensiero in adorazione spirituale, non le avrebbe chiesto nient’altro....
— Che potrò dargli di più?
E, alcuni giorni dopo, allorchè quel che colui sperava le balenò per la mente, la sua dignità di moglie si rivoltò inviperita:
— Spezzerò piuttosto, calpesterò il mio cuore! No! no!
E continuò a vedere quell’uomo fra un nimbo abbagliante; e, accostandoglisi, con la delirante adorazione di donna che amava per la prima volta, le pareva d’elevarsi materialmente, e non sentiva più il terreno sotto i piedi.
Perciò fu atterrita e sentì crollarsi il mondo addosso la mattina in cui ricevette una lettera di lui — imprudente!... — che le chiedeva di poterla vedere da vicino, di parlarle; lettera breve, quasi imperiosa col suo carezzante tono di preghiera.
— Imprudente!...
Per fortuna, in quel momento neppure la persona di servizio era in casa. E alla vecchia mendicante, che attendeva la carità e la risposta, restituì la lettera con sotto poche parole tracciate in fretta in fretta: Impossibile! Se mi amate, non mi scrivete più!
Le disse anche a quella donna, mettendole in mano un pugno di monete:
— Non venite più, buona donna. Se mio marito vi vedesse!...
E lo ripetè a lui dalla finestra, coi gesti, supplicandolo trambasciata, più e più volte di seguito, mentre lui insisteva con gesti, inviandole baci.
— E insiste!... E non sa persuadersi!...
— Vuoi dunque che venga io? — le aveva fatto intendere con gesti più disperati.
— Ah! N’è capace. Bisogna impedirglielo, a ogni costo! — esclamò lei ritraendosi.
La forza del terrore le offuscò il cervello, quasi non fosse peggio ancora quel ch’ella stava per fare. Non riusciva a infilarsi le maniche della lunga giacca nera, nè a infilarsi i guanti.
— Torno sùbito — disse alla serva che la guardava meravigliata. — Non dire alla bimba che vado fuori.
Aveva negli occhi il bacio di ringraziamento scoccatole da colui al cenno che gli rispose: — Aspettatemi, vengo io. — E scendendo le scale, ripeteva mentalmente:
No, no!... Mai!... Mai!
Ma appena colui la ricevette su l’uscio, prendendola per una mano, sorridente, da persona abituata a simili avventure; e appena si vide in quell’elegante appartamentino da le imposte socchiuse in penombra tentatrice.... gli cadde tra le braccia, senza dir motto, quasi vi fosse andata apposta e per nient’altro.
⁂
Da qualche mese il marito la osservava, chiuso nel suo silenzio d’isterico, turbato da quel raggiare d’una seconda giovinezza in sua moglie, e che le appariva dal colorito del viso ridiventato più fresco, da quel fosforeggiare di lampi mal rattenuti negli occhi....
— Doveva credere a un inatteso mutamento? Il tempo, l’abitudine potevano produrre anche quel miracolo. Perchè no?
Invece, ora ritrovava in lei la stessa resistenza che nei primi giorni del loro matrimonio, quando la giovinezza e la novità del legame potevano in qualche modo scusarla; invece scopriva in lei rapidi movimenti d’impazienza, d’alterigia, quasi di ribellione.
E lo ferirono, peggio d’una pugnalata, le parole che la bimba disse una sera alla mamma:
— Mamma, perchè non canti come questa mattina?
Egli non fece un gesto, nè battè palpebra; ma vide l’occhiataccia lanciata dalla mamma a la bambina.
— Ah! Dunque cantava?... Dunque cantava?
Tutta la nottata non ruminò altro. E il giorno dopo, mentre i testimoni facevano le loro deposizioni, mentre gli Avvocati declamavano dinanzi ai Giurati dando colpi di pugno sui tavolini, egli tendeva l’orecchio, col capo rovesciato sulla spalliera della sedia a braccioli, gli occhi chiusi, terribilmente pallido nella toga nera; tendeva l’orecchio per afferrare da lontano una nota di quell’insolito cantare di sua moglie nell’assenza di lui:
— Perchè cantava, ella che non aveva cantato mai?...
E, in casa, gli occhi grigi gli si scurivano, perduti dietro questa ricerca, quasi avesse voluto trovarne la traccia su pei vecchi mobili, e nell’aria di quelle stanze, che doveano certamente saperne qualcosa.
Carmelina non gli badava, ingannata dall’apparenza, con la cieca temerità di chi non sa valutare il pericolo e con la fierezza di chi è deliberato, in ogni caso, a sfidarlo. Non voleva riflettere, non voleva ragionare. Il terrore dei primi giorni, quando le pareva che avrebbe visto sprofondarsi il pavimento sotto i piedi se la serva, inavvertitamente, avesse accennato al padrone che la signora era stata fuori; lo sbalordimento di quant’era accaduto quella mattina, senza che la sua volontà vi avesse concorso — anzi!... anzi!... — tutto era stato trascinato via dalla piena irrompente della passione, che diveniva più minacciosa di giorno in giorno.
Appena un mese dopo, ella rimproverava il suo amante:
— Come? Ora hai paura tu? E mi chiami imprudente?...
— Penso a le conseguenze; uno scandalo, forse un processo!...
Ella alzava le spalle, irritata che colui riflettesse troppo, mentre ella avrebbe affrontata anche la morte per venire a trovarlo un momento, per dargli un solo bacio. Invece sentiva domandarsi:
— E.... lui, lui non sospetta ancora nulla?
— No.
Un giorno, rimettendosi in furia il cappellino, ella gli disse:
— Che vita!... Vedersi soltanto, per pochi minuti!... Se venissi a stare con te, nascosta in quella stanza in fondo dove nessuno potrebbe vedermi?
— E tua figlia?... — aveva risposto l’amante, fissandola per osservare l’effetto delle sue parole.
— Mia figlia?... È figlia di lui!... Ne avrò un’altra.... tua, sai?
E gli buttò le braccia al collo, senz’accorgersi che l’amante era diventato freddo freddo, e aveva aggrottate le sopracciglia, impensierito.
Però il sospetto di qualcosa di tristo, di indegno cominciò a turbarla, dopo che i pretesti per evitare le sue visite divennero più frequenti. Ai rimproveri, egli rispondeva sorridendo con tranquillità d’uomo sazio e annoiato, negando fiaccamente, in maniera da far capire che negava per pura cortesia di persona bene educata....
Un giorno, sul tardi, pochi momenti prima che suo marito rientrasse in casa, ricomparve la vecchia mendicante, con un’altra lettera e per la carità. Anche quella volta la fortuna l’aveva aiutata. Sentendo picchiare all’uscio era andata ad aprire lei.
Quella lettera non potuta leggere, cacciata in fondo a la tasca del vestito col cuore abbuiato da terribili presentimenti, era stata una lunga tortura durante il pranzo, per tutta la serata, mentr’ella ricamava e suo marito leggeva un giornale, e la bimba, mezza stesa bocconi sul tavolino, coi capelli scuri che le cascavano dietro gli orecchi, ritagliava un vecchio figurino di mode sotto il lume, accompagnando al movimento delle forbici uguale movimento di labbra.
Aveva indugiato fino alla mattina del giorno dopo — fino a che suo marito non andò fuori di casa — masticando il tossico dell’incertezza, tastando di tanto in tanto la busta in fondo alla tasca, quasi avesse potuto, palpando, indovinarne il contenuto. Poi aveva letto febbrilmente, abbracciando con l’occhio due, tre righe in una volta.... e s’era sentita lanciare nel vuoto da immensurabile altezza, giù, giù, giù, in quell’abisso che la lettera le spalancava sotto, abisso senza luce, che se la inghiottiva vivente!
⁂
Colui aveva detto alla vecchia serva:
— Se venisse quella signora.... starò fuori di casa fino a notte. Se volesse aspettare, metti alla finestra il solito segnale, finchè non sarà andata via.
E la vecchia aveva messo il segnale.
La povera signora aspettava da più di due ore, ostinandosi, quantunque la vecchia s’affacciasse di tratto in tratto sull’uscio per ripeterle:
— Non tornerà prima di notte; mi ha detto così.
— Sì, sì; aspetterò. Chi sa? Potrebbe tornare anche prima.
E ricadeva abbandonata, nell’angolo di canapè dove s’era buttata arrivando.
Si sentiva precipitare tuttavia giù, giù, giù, in fondo all’abisso senza luce; e non aveva altra sensazione. Quella vertigine della testa, del cuore, di tutta la persona, le impediva di pensare, d’accorgersi degli oggetti circostanti, di formarsi un’idea netta del tempo che passava, e dell’enorme pazzia ch’ella commetteva restando là. A intervalli, la nebbia fosca della sua mente veniva solcata da un chiarore; un quadretto dalla cornice dorata, un oggetto di porcellana con una punta di luce viva, un’impugnatura di fioretto appariva su la parete in un canto del salottino, e le spariva sotto gli occhi appena ella tentava fissarli.
Soltanto allorchè sentì domandarsi: — Vuole che accenda il lume? — soltanto allora si riscosse, atterrita:
— Ditegli che ho aspettato finora e che.... non tornerò più!...
Soffocava.
E andò via, ritta su la persona, come fantasma, mentre la vecchia le faceva lume. Così montò le scale di casa; e così, come fantasma, senza esitare, passò davanti al marito che le aperse e non ebbe la forza di dirle nulla, e richiuse lentamente l’uscio, dietro il quale era stato ad attenderla da parecchie ore, bevendo le lacrime che gli irrigavano il viso sconvolto, in agguato per scannarla, com’era suo diritto, come si meritava questa sgualdrina, ora ch’egli sapeva tutto!...
— Oggi la signora ritarda....
Rientrando, gli era parso d’aver capito male. Il suo istinto geloso si era sùbito svegliato:
— Oggi?...
— Credevo che il signorino sapesse.... — disse la serva, spaventata dal tono di quella domanda.
— So, so: le altre volte però è tornata sempre più presto....
— Sempre.
— Tutti i giorni?...
— Nossignore; una, due volte la settimana.
— E.... da quando?...
— Ma, se il signorino lo sa....
— Rispondi! Da quando?
— Da quattro mesi, forse.... Non ricordo bene.... Oh, vergine santa!
— Da quattro mesi!... Da quattro mesi! Una, due volte la settimana!...
Ogni esclamazione, era lampo di vivissima luce, che gli rischiarava il cervello; era scoppio di fiamme avvolgentisi al corpo, che intanto sudava diaccio....
— Da quattro mesi!... Due, tre volte la settimana!...
E i minuti passavano, e i quarti d’ora passavano, via via sul quadrante dell’orologio a pendolo dov’egli teneva fissi gli occhi; e le ore squillavano pel salotto lentamente nell’attesa mortale, quasi annunziassero un’immensa catastrofe!
— Meglio per lei, se il mondo finisse prima di rimettere il piede in casa, in questa casa insozzata dalla sua infame persona!... Ecco perchè rifioriva!... Ecco perchè cantava!... E la gelosia non mi ha servito a niente!... Neppure ad arrestarla sul punto di.... A niente!
E i minuti passavano, eterni come quarti d’ora! E passavano, via via, gli interminabili quarti d’ora, che sembravano secoli!
La serva aveva sentito suonare con violenza....
— Prendi il tuo fagotto ed esci da questa casa, sùbito, sùbito, ruffiana!
— Vergine santa! Che dite mai, signorino!
— Esci, esci, ruffiana!⁂
Carmelina lo guardò, ebete; e sbarazzatasi convulsamente del mantello e del cappellino, si rovesciò su la poltrona. Gli orecchi le rintronavano d’un sinistro rumore di case crollanti.
— Dove sei stata? Dove sei stata?...
Alla stretta di quelle mani più fredde e più forti dell’acciaio e che le stritolavano i polsi, ella cacciò un grido:
— Ammazzatemi!... Avete ragione!... Ammazzatemi!
E fissava con avida angoscia qualcosa che gli aveva visto luccicare fra lo sparato del panciotto. Le tardava di morire. Perchè doveva più vivere?
Ma colui stringeva la fronte disperatamente; ma colui le si rotolava ai piedi, mugolando il nome di lei. E quand’ella credette alfine che le si slanciava addosso per ucciderla, si sentì brancicare, amorosamente, su i capelli, su la faccia, per tutta la persona; e si sentì furiosamente baciare e ribaciare, fra singhiozzi e lacrime irrompenti, quasi egli avesse voluto riprendere quel che gli era stato rubato: la sua vita, il suo sole, la sua donna adorata!
— Come hai potuto, infame?... Come hai potuto?...
— Non lo so.... Non lo so....
Alle incalzanti domande ripeteva sempre:
— Non lo so....
Ma pensava a quello sguardo diaccio diaccio, di persona malefica, incontrato per le scale della sua casa, a Catanzaro.
A un tratto, Lupi si rizzò in piedi e chiamò:
— Lisa! Lisa!
La bimba accorse, si lanciò verso la mamma che la strinse tutta tra le sue braccia.
L’altro gliela strappò dal petto con un ruggito e disse:
— Guarda!
In quel punto l’istinto della vita scattò nel cuore dell’adultera, quasi con voce che gridava dalle viscere sussultanti, e vedendo il marito che trascinava la bambina dicendo con voce cavernosa, da folle: — Guarda! Dovrai ricordartene; guarda! — gli si lanciò incontro, tendendo le braccia supplicanti:
— Per quest’innocente che ho nel seno!
Lisa vide luccicare una lama, e poi sua madre rispondere, stravolgendo gli occhi fino al bianco....
— Mamma! Mamma! — gridò, senza comprendere niente in quel momento.