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Carmelina lo guardò, ebete; e sbarazzatasi convulsamente del mantello e del cappellino, si rovesciò su la poltrona. Gli orecchi le rintronavano d’un sinistro rumore di case crollanti.

— Dove sei stata? Dove sei stata?...

Alla stretta di quelle mani più fredde e più forti dell’acciaio e che le stritolavano i polsi, ella cacciò un grido:

— Ammazzatemi!... Avete ragione!... Ammazzatemi!

E fissava con avida angoscia qualcosa che gli aveva visto luccicare fra lo sparato del panciotto. Le tardava di morire. Perchè doveva più vivere?

Ma colui stringeva la fronte disperatamente; ma colui le si rotolava ai piedi, mugolando il nome di lei. E quand’ella credette alfine che le si slanciava addosso per ucciderla, si sentì brancicare, amorosamente, su i capelli, su la faccia, per tutta la persona; e si sentì furiosamente baciare e ribaciare, fra singhiozzi e lacrime irrompenti, quasi egli avesse voluto riprendere quel che gli era stato rubato: la sua vita, il suo sole, la sua donna adorata!

— Come hai potuto, infame?... Come hai potuto?...

— Non lo so.... Non lo so....

Alle incalzanti domande ripeteva sempre:

— Non lo so....

Ma pensava a quello sguardo diaccio diaccio, di persona malefica, incontrato per le scale della sua casa, a Catanzaro.

A un tratto, Lupi si rizzò in piedi e chiamò:

— Lisa! Lisa!