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corpo morto. Era rassegnata, quasi indifferente, dominata da quel fascino maligno che doveva aver maturato rapidamente la sua giovinezza e assonnato nervi e sangue.
Soltanto non riusciva a dargli del tu, com’egli avrebbe voluto. Il tu le moriva su le labbra:
— Che posso farci?
E suo marito, che l’andava scrutando tutti i giorni e tutte le ore, con gli sguardi inquisitori di Procuratore del Re, in cui neppure la passione accendeva un lampo, s’inquietava ora per questa indolenza di lei, peggio che non avesse mai fatto per la vivace ripugnanza:
— Che hai dunque? A che pensi?
— Perchè mi dite così? — ripeteva Carmelina. — Perchè mi dite così?
E gli alzava in faccia le grandi pupille stupite.
Sentiva un accento di minaccia immeritata, e ne aveva paura.
No, no! Egli non la minacciava, tradito dalla brutta voce cavernosa, dalla faccia giallastra, emaciata per la gelosia che lo disfaceva.
Avrebbe voluto vederla anzi allegra, sorridente, felice; e se le fosse sfuggito finalmente uno di quei gridi che soltanto la giovinezza e l’amore son capaci di trovare, oh, gliel’avrebbe pagato con tutto il sangue delle proprie vene! Nè gli sarebbe parso pagato abbastanza.
— Che hai insomma?... Mai un desiderio! Mai un capriccio!...
— Voi mi prevenite sempre. Che mi manca?