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E a un tratto appariva nella stanza dov’ella lavorava straccamente camicine per la bimba, dando un punto a ogni quarto d’ora, appariva sull’uscio com’un fantasma, per sorprendere, chi sa? qualche indizio in quegli occhi sognanti, su quelle labbra chiuse e contratte che non avevano quasi più sorriso, da che egli l’aveva sposata.
Carmelina non alzava gli occhi indovinando senza farglielo capire.
La bimba, seduta per terra sopra un tappetino, dove arruffava con grande attenzione i ritagli di trine e di mussolina raccolti fra le magre gambine aperte, levava il visetto sparuto per guardare suo padre, che l’accarezzava serio, taciturno.
— Il babbo! — balbettava, vedendolo andar via, rivolta alla mamma.
E la stanza ricadeva nel silenzio, bianca, inondata di luce.
Una volta egli parlò apertamente:
— Mi rode una gelosia pazza!... La colpa è tutta tua!
— Perchè?
— Perchè soltanto in apparenza m’appartieni, per effetto della legge e del sacramento, non per legami di cuore!...
— Che debbo fare?
— Quel che non hai fatto finora: amarmi!
— Non vi amo forse? Non vi rispetto? Di che potete lamentarvi? Come si ama? Non lo so.
— Lo vedi in me come s’ama!
— Non riesco mai a contentarvi!... Oh, Dio mio!
Vedendola piangere, s’era sentito rimescolare; e l’aveva presa tra le braccia, tremante, confuso, ripetendole:
— No, non voglio che tu pianga! Non piangere!