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Allora ella aveva appena sedici anni.
Regio procuratore presso il tribunale di Catanzaro, Lupi abitava al primo piano della stessa casa dove la famiglia di lei nascondeva, al piano superiore, la decente miseria del suo stato di decadenza.
Due o tre volte s’erano incontrati per le scale, mentr’ella andava fuori con la vecchia zia; e quella figura gialla, magra, dagli occhi sbiaditi e i capelli grigi, che le gettava addosso lo sguardo diaccio diaccio e si fermava a vederla scendere, le aveva dato una sensazione di ripugnanza, quasi di persona che volesse farle male.
Per questo, arrivata all’ultimo gradino, s’era sempre voltata in su e s’era sempre urtata in quell’uomo affacciato alla ringhiera del pianerottolo, e che continuava a fissarla con la cattiva malia delle pupille smorte.
— Dev’essere un jettatore, — aveva detto alla zia, facendo di soppiatto un gesto di scongiuro.
Qualche mese dopo, s’era accorta che quegli stava a divorarsela con gli occhi dal terrazzino di fianco allorchè ella si metteva a lavorare, canticchiando, su la terrazza.
Una volta la zia le disse:
— È matto di te; ti vuole per moglie. Che fortuna, figliuola! Regio procuratore!
Carmelina non aveva saputo che rispondere, sorridendo con sorriso sciocco, incredula:
— Ma che? Posso essere sua figlia.... Non è possibile!
Eppure era stato. E aveva detto di sì, vinta dalle insistenze e dalle lacrime della mamma e della vec-