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Poi quando la bimba cominciò a star meglio, ella contro le sue abitudini si sentì attratta a quella finestra e vi restò a lungo, coi gomiti appuntati sul davanzale, la faccia sorretta dalle mani, girando attorno i grandi occhi desti, scoprendo cose che non aveva veduto e avrebbe dovuto vedere: quel campanile, quella terrazza dove una cagna allattava dei cagnolini bianchi e neri, quel comignolo, quei rami verdi d’una pianta di limone che sorpassavano un tetto nuovo.
E stava là lunghe ore al sole, come una lucertola, voltandosi di tanto in tanto verso il lettino della convalescente e sorridendole con insolito sorriso delle labbra e degli occhi; stava là stordita, meravigliata di sentirsi tuttavia capace d’avere quelle sensazioni; talora sconvolta da turbamenti improvvisi ch’ella non sapeva spiegarsi, da brividi che le correvano su su per la schiena e la scotevano tutta; e così assorbita, e così sopraffatta, da non pensare a tirarsi indietro per evitare la insistente curiosità di quel signore mezzo nascosto fra le cortine, il quale tornava ogni giorno a guardarla, con l’indiscreto binocolo da teatro, dal terrazzino a sinistra.
Gli aveva rivolto appena un’occhiata il primo giorno soltanto; e quella figura alta e bruna, dai capelli un po’ radi, dai grandi mustacchi castagni che si curvavano in su, le si era stampata talmente nelle pupille, che continuava a vederla durante l’insonnia, con quel cannocchiale appuntato, con quei polsini bianchi e lucenti dai piccoli bottoni d’oro fuor delle maniche della giacca. E se ne stizziva:
— Chi è? Che cosa vuole?
Che volesse colui, ella lo capì a un tratto una mattina, da certe mosse di occhi....
— Mamma, che hai?
— Niente, figliolina, niente!...