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La mattina in cui le viscere, agitate a un tratto e insolitamente, rivelarono il mistero della maternità, Carmelina si scosse indignata contro di sè, quasi la sua volontà fosse stata complice, quasi da quel momento si vedesse già caduta in pieno possesso di lui, e si sentisse tiranneggiata nel più intimo del proprio organismo.

E non gli disse nulla; prima, sperando d’essersi ingannata; poi, sperando che la natura avrebbe avuto pietà di lei. Era offesa, violata da quel mistero di vita che le germogliava nel seno:

— Non basta quel ch’io soffro? Dovrà soffrire anche questa creatura, che verrebbe a intristirsi con me nella desolazione della mia vita?

E di essa già risentiva tutto il gran peso, come nei primi giorni. E quella sensazione di repugnanza, di persona che volesse farle male, le si rinnovava forte alla presenza del marito; il quale intanto l’adorava più che mai e la sopraffaceva con sottomissioni da fanciullo, con delicatezze da donna:

— Oh! Oh!... Perchè non me l’hai detto sùbito?

Quell’unica volta i suoi occhi grigi e smorti si erano animati d’un lampo di gioia, aveano sorriso imbambolati dalle lagrime, mentr’ella ricadeva sfinita nella tristezza indolente, da cui non la destarono neppure i vagiti della gracile creaturina che, nascendo, ne aveva messa in grave pericolo la vita.

Così l’allattò, così la vide crescere, quasi non fosse stata pure sangue suo. Non si sentiva madre, come non s’era potuta sentir moglie, come non si sentiva più giovane, nè donna, nè nulla; e ne soffriva tanto più, quando rammentava che, prima del suo matrimo-