Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
133 |
s’intese frequente il rumore cadenzato dei tacchi del dottore, che, vista la gravità della cosa, veniva a visitarla tre o quattro volte al giorno.
Le tristi occupazioni d’infermiera le furono di sollievo.
Le medicine da somministrare d’ora in ora, esattamente; i piccoli servigi che la costringevano a muoversi da una stanza all’altra; il dover ragionare e venire a patti con la malata per indurla a star cheta sotto le coperte, o a prendere un cucchiaio di medicamento in ricambio dei bei regali di nastri, di oggetti d’oro, di ninnoli di porcellana, che voleva schierati sul guanciale o ficcati dentro il letto; la stessa ansiosa aspettativa del risultato della malattia, tutto concorse a produrle una specie di risveglio di sensi.
⁂
Da la finestra che il dottore voleva aperta finchè il sole era alto, irrompeva nel palazzotto addormentato un giocondo tumulto di vita; voci che chiamavano e rispondevano; scoppi di risa, canti allegri di operaie che lavoravano all’aria aperta nella via di fianco, godendosi il dolce tepore del sole di aprile. E quel canarino che trillava alla finestra della casa accanto!... E quel merlo che fischiava più in là... E gli squilli argentini di quell’incudine, più in là ancora, sotto i colpi di martello!... Che festa!
Non si saziava di guardare fuori, seduta al capezzale della bimba, tenendo strette fra le mani le manine febbricitanti; non si saziava di guardare, quasi quelle donne che sciorinavano la biancheria sui terrazzini della casa di faccia, lassù, distante; quasi quella monaca di casa che, più in qua, inaffiava i vasi di fiori e si soffiava il naso col fazzoletto turchino; quasi