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E Carmelina aveva dovuto farsi forza per non irritarlo.
Quel giorno egli provava uno dei soliti accessi di tenerezza, che lo assalivano di tanto in tanto e lo lasciavano maggiormente triste e sconsolato; specie di febbre d’amore, che lo estenuava come febbre vera. Allora sembrava un altro. La sua voce diventava quasi dolce e il suo pallore si coloriva di leggiera tinta d’incarnato.
— T’amo troppo. Oh, come t’amo! Io non so esprimermi. Bisogna compatirmi. Mi mancano le parole....
E l’andava accarezzando, ammirandola da capo a piedi, rapito.
— Me n’accorgo, in certi momenti riesco increscioso; incresco fino a me stesso! T’amo troppo. Ti vorrei tutta mia, tutta, tutta! E vorrei poter leggere qui, dietro questa fronte, dietro questa fronte più splendida del cielo!
— Non vi nascondo nulla. Che potrei mai pensare da nasconderlo a voi?
Infatti, nel languore delle lunghe giornate di solitudine non pensava proprio a nulla, oppressa da grave stanchezza e da strana sonnolenza, quasi gli occhi diacci di suo marito, che le stavano sempre addosso, le buttassero, prima ch’egli uscisse di casa, una malia da tenerla legata.
Nelle belle giornate, osava qualche volta chiedere al marito di condurla un po’ fuori. Ed egli la conduceva lungo la spiaggia sabbiosa, nei porti più solitari, per strade di campagna fuori di mano.
Pareva che anche la bimba provasse le medesime sensazioni della mamma: abbagliamento, stupore della violenta intensità della luce e della freschezza dell’aria pregna di salsedine marina. Non correva, non si sentiva tentata dalle erbe e dai fiori, che spiegavano