Anime oneste/X
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | IX | XI | ► |
CAPO D'ANNO
Nel cerchio di legno del braciere, entro cui un gran mucchio di brage andava coprendosi di cenere bianchissima, il gatto sonnecchiava, facendo le fusa. Sentiva anch’esso tutto il benessere di quella notte di festa. Perchè quella notte, oltre essere il capo d’anno del 1891, era una festa specialissima per casa Velèna.
Si dava l’entrata all’avvocato Goriano Rosa, cioè lo si ammetteva come fidanzato di Caterina. Era invitato a cena, nell’intimità della famiglia, eppure nella mensa c’erano soltanto nove coperti. Sebastiano non avrebbe preso parte alla cena.
In tre giorni il dramma intimo s’era svolto in gran parte, sconvolgendo l’ordine delle cose.
Il ventotto dicembre Giovanni Rosa aveva chiesto formalmente per suo figlio la mano di Caterina.
— Io sono lietissimo di tanto onore, — rispose Paolo Velèna palpitando per il piacere e per la sorpresa, — ma bisogna che prima di darvi una risposta decisiva interroghi la mia famiglia e sopratutto la ragazza.
— Sì, sì, questo è naturale, naturalissimo! — rispose Giovanni Rosa facendo un goffo inchino.
Restarono decisi che sarebbe tornato l’indomani, per la risposta. Giovanni Rosa, del resto, se ne andò sicurissimo del fatto suo. Era egli contento di questo matrimonio? Gli piaceva la sua futura nuora, ch’egli sapeva essere una giovinetta precoce, bizzarra, più bimba che donna, troppo bella e poco ricca per un tipo come Gonario? Il volto prepotente di Giovanni Rosa non diceva nulla. Ma le sue labbra avevano detto il giorno prima a Gonario:
— Va bene, io ti chiederò questa ragazza, ma sta attento, io non vi voglio in casa. Ti passerò un tanto al mese, tutto quel che vuoi, ma metterete su casa a parte.
— Si penserà poi a questo! — mormorò fra sè Gonario, annuendo al patto.
Paolo Velèna parlò subito con la moglie. Maria doveva saperne qualche cosa perchè non si meravigliò punto; ma nella sua grande letizia di madre che vede l’avvenire della sua prediletta splendidamente assicurato, passò anche un’ombra di tristezza. Pensò a Lucia, per cui non si affacciava ancora un partito. Maria Fara amava Caterina più degli altri figli, tuttavia sarebbe stata più contenta se Gonario avesse domandato Lucia.
Lucia aveva ora ventiquattro anni suonati, restava sempre inalterabilmente bella, ma cominciava a disperarsi. Provava dei segreti malumori nel vedere i giorni più belli della sua gioventù scorrere senza amore, e si chiedeva:
— Non sono stata troppo ambiziosa?
Caterina qualche volta la pungeva e l’amareggiava dicendole, con la sua spensieratezza che la rendeva tanto spesso indelicata nelle sue espressioni:
— Ma quando ti mariti tu? Ora sono stufa di vederti in casa. Finirò col diventar signora, io, e tu sarai sempre signorina. Sei vecchia ora. Cioè, no, non sei vecchia. Sei una donna, ecco, non sei più una fanciulla....
— Ti dò fastidio? Meglio signorina che sta bene che non signora.... spiantata, comprendi? Dà attenzione per te! — rispondeva Lucia sorridendo a fior di labbro. In fondo le parole leggere di Caterina, dette così, senza scopo, l’umiliavano profondamente. E guardandosi nello specchio Lucia cercava, con segreta angoscia, nelle linee del suo volto, l’aria di donna.
Alle volte credeva di trovarla e ne sentiva uno struggimento, quasi vedesse i suoi capelli incanutire e le rughe disegnarsi sulla fronte. Eppure restava sempre la stessa; ambiziosa e altera, in attesa del suo ideale. In realtà non possedeva certo l’aria infantile, così affascinante di Caterina, ma era sempre bella, e i suoi occhi, anzi, diventavano ognor più luminosi. Caterina fu chiamata, dopo sua madre, nell’ufficio di Paolo Velèna.
— Pensi tu a maritarti? — diss’egli guardandola con tenerezza.
— E perchè no? — rispose ella ridendo.
— Ebbene c’è una domanda.
— Gonario Rosa? — gridò Caterina con la sua solita sincerità, diventando pallida per l’emozione.
— Diavolo! esclamò fra sè il padre, guardandola acutamente. E diventando bimbo come sua figlia, volle farle uno scherzo. Disse:
— No, non è lui, è un altro.... ricco....
— Cosa me ne importa! — gridò lei superbamente, benchè sorpresa e addolorata. — Se non è lui dite di no.
E fu per piangere. Ma Paolo, colpito, ne ebbe pietà e disse subito:
— Sì, sì, sta quieta, è lui! Vedo che le cose sono ben avanti. Facevate all’amore?
— Sì, ma io gli ho detto subito di chiedere a voi la mia mano....
Paolo tornò a sorridere. Le parole di Caterina, della sua piccola Caterina lo sbalordivano. E la guardò ancora. Non ostante la sua persona slanciata, forte, elegante, alta, gli sembrò sempre la sua bambina, allegra e chiassosa, e non poteva adattarsi all’idea di saperla innamorata, e così bene da far l’amore in segreto contro tutte le regole di una buona ed onesta educazione, e tanto meno all’idea di saperla maritata.
— Hai fatto bene. Vi scrivevate?
Caterina gli fece leggere le poche lettere di Gonario. Paolo Velèna borbottò, disapprovò, e disse severo:
— Ecco, questo non va bene. E se fosse stato un.... altro?
— Ma era lui! — esclamò Caterina con logica stringente.
— Cosa vuol dire questo? — domandò Paolo meravigliato nel leggere l’affare di Sebastiano, che proibiva a Gonario di fare la sua domanda.
Caterina disse che Sebastiano nutriva per Rosa una forte antipatia; forse lo credeva un cattivo soggetto, ad ogni modo era avverso a quel matrimonio.
— Ma come avviene che Gonario ha cambiato parere?
— Gli ho scritto io di non temere... — disse Caterina chinando gli occhi.
Avrebbe voluto dire che Anna l’aveva potentemente aiutata, scrivendo a Gonario per persuaderlo di non badare a Sebastiano e garantendogli la piena riuscita dei suoi desideri, ma non potè svelare questo retroscena. Anch’essa era legata ad Anna da un giuramento solenne.
Anna le aveva detto:
— Ma non voglio che nessuno dubiti di essermi frammischiata io in quest’affare. Sebastiano tempesterà di sicuro, ma finirà col rassegnarsi e abbandonare le sue idee stupide. Ma bisogna che non sappia... che io... capisci... Potrebbe farmi qualche scena e ciò, data la mia posizione, mi dispiacerebbe....
Caterina le aveva giurato il segreto e non seppe mai che senza l’intervento di Anna, Gonario non l’avrebbe chiesta in isposa prima di altri quattro anni; durante i quali egli poteva benissimo dimenticarla!
— E Caterina ne morrà! — aveva pensato Anna con profonda tristezza, sapendo come Caterina era sentimentale e come Gonario Rosa sapeva rendersi fatale e indimenticabile.
⁂
Paolo Velèna diventò pensieroso.
— Ti prego, — disse a Caterina, — di non dir nulla a nessuno fino a stassera. Ho bisogno d’interrogare i tuoi fratelli.
— Non vi lascerete convincere da Sebastiano.
— Se le cose stanno proprio come tu dici non mi convincerà certamente.
E la congedò. Ella se ne andò via quasi triste. Aveva voglia di cantare, ma qualche cosa glielo impediva.
Tutto il giorno vagò da una camera all’altra, nervosa, inquieta, aprendo le finestre ed esponendosi al vento ed al freddo e poi accoccolandosi silenziosa in un angolo del camino.
Aveva dei brutti presentimenti; temeva il ritorno di Sebastiano.
Dopo cena, alla quale per un caso non solito assisteva anche Cesario che rientrava quasi sempre tardi e cenava quando gli pareva e piaceva, — Paolo Velèna disse:
— Dunque, Giovanni Rosa ha chiesto per suo figlio Gonario la mano di Caterina. Ho promesso di parlarne in famiglia. Che si delibera?
Anna chinò gli occhi; due faccie, quella di Caterina e quella di Sebastiano diventarono rosse. Ma il rossore di Sebastiano diede tosto luogo a un pallore mortale; la sorpresa e la rabbia gli strozzarono sulle prime la parola.
— Per me, — disse Cesario sorridendo e nettando gli occhialini con indifferenza, — io ne sono contentone. È un partito magnifico. Lo sapevo da molto....
Sebastiano lo guardò ferocemente ed ebbe voglia di gettargli qualche oggetto sul viso. Poi guardò Anna; ma anch’essa sorrideva. Nessuno protestava dunque; tutti accoglievano la notizia sorridendo per la contentezza; persino gli occhietti di Nennele scintillavano e le sue gote rotonde sorridevano.
— Cosa ne capisce quel marmocchio? — pensò Sebastiano. Ed ebbe desiderio di picchiarlo, come del resto desiderava di battere tutti, e specialmente Caterina che lo guardava con insistenza. Non potendo altro battè sulla tavola un pugno sonoro.
— Ed io, — disse semplicemente, — io non voglio.
— Perchè? — domandò Paolo con calma, ripiegando con cura il suo tovagliuolo.
— Perchè è un mascalzone!... — gridò Sebastiano, e avrebbe voluto proseguire, ma suo padre, facendo cenno di tacere a Maria, che voleva pur essa parlare, interruppe:
— Ecco una cosa che ho sentito dire soltanto da te. Spiegati meglio.
La calma di suo padre, che senza dubbio era prevenuto d’ogni cosa, turbò Sebastiano. Egli non seppe dir nulla di concreto contro Gonario. Ci fu un momento in cui, accorgendosi che le sue accuse erano vuote ed insignificanti, si pentì, e fu per dire:
— Sono certamente uno sciocco.
Ma poi si irritò di più per la sua stessa debolezza. Sentiva che alla fine Gonario non aveva commesso un delitto o una vigliaccheria tale da meritargli tanto disprezzo. E dal momento che non si ribellava Anna, perchè egli doveva prendersela così forte?
Ma no, no, no! Il cuore non sentiva la voce della ragione. Sebastiano odiava Gonario, lo disprezzava; tutto il suo sangue si rivoltava all’idea che Gonario potesse diventar felice.... con sua sorella... con una parte di sè stesso, dopo aver tolto a lui ogni felicità....
La passione gli toglieva ogni sentimento di generosità, e quasi si pentiva di aver giurato il segreto ad Anna.
Così accadde una scena violenta, quasi uno scandalo.
Le serve, gongolanti di contentezza, ascoltavano dietro l’uscio, con gli strofinacci in mano.
Cesario, che spiegava a Nennele la formazione degli specchi ustori, esponendo i piccoli cristalli brillantissimi del suo pince-nez al raggio della candela, fini con l’abbandonare l’importante argomento per interessarsi della questione dibattentesi tra suo padre, sua madre e suo fratello.
— È inutile, — diceva Paolo, rosso in viso, finchè tu non mi darai una ragione, una prova che dica: Gonario Rosa è indegno di entrare nella nostra famiglia, io non ti ascolterò. Se gli nutri dell’antipatia o magari dell’odio è un altro par di maniche. Sono stupidaggini indegne di te. Alla fine non sei più un ragazzo, e devi capire che i mariti come Rosa non si incontrano ad ogni cantonata. Cosa diavolo ti ha fatto? Nessuno ne parla male; solo tu, chi sa perchè. Ma non è giusto, vivvadio, che tu sacrifichi l’avvenire di tua sorella per un’antipatia personale.
— Io non posso parlare! — gridò al fine Sebastiano. — Se voi sapeste ciò che so io, non parlereste così. No, non si deve badar sempre al denaro, maledetto denaro! non si bada sempre all’apparenza, non si bada al partito. Nell’ergastolo ci sono degli avvocati più ricchi di Gonario Rosa!
Su questo tono, con variazioni più o meno violente, con fracasso di bicchieri sbattuti qua e là, la scena durò quasi un’ora. Maria Fara aiutava il marito. Cesario, con quel suo viso che pareva beffardo o indifferente, qualificava di stupido il fratello. Antonino e Nennele, a poco a poco, se n’andarono via; le tre fanciulle non osavano parlare.
Anna aveva paura: vedeva Sebastiano tanto agitato e sconvolto che si domandava: — ho forse fatto male? — Temeva accadesse qualche grosso guaio, e già, pensava come avrebbe potuto scongiurarlo. Non soffriva più per sè; il nome di Gonario non la faceva più tremare; eppure in fondo all’anima, senza osare di confessarselo, gioiva pensando nebulosamente che Sebastiano poteva impedire quel matrimonio.
Caterina poi tremava, senza poter dire una delle mille parole che le salivano alle labbra. D’un tratto scoppiò a piangere.
— Io.... non voglio scandali, — disse singhiozzando. — Babbo, babbo mio, fate pure tutto ciò ch’egli vuole.
E sporgendo il labbro superiore parve additare con esso, spasmodicamente, Sebastiano. Egli disse alzandosi:
— Sta bene ogni cosa. Fate voi ciò chi vi par giusto. Ma poichè avete chiesto il mio parere io ve l’ho dato e la mia coscienza grida di no. E grida di no anche il mio cuore che vuol bene a Caterina forse più di quello che potete credere. Se io mi oppongo è per il suo bene, non per altro. Ditemi stupido, ditemi ignorante, tutto quel che volete....
Caterina piangeva, ma le sue lagrime e le sue parole invece di commuovere Sebastiano l’irritarono di più.
Egli scappò via non potendo più resistere. I suoi nervi erano così intensamente tesi che gli sembrava dovesse sopravvenirgli un accidente.
Uscito lui la scena finì; una grande desolazione si leggeva sul volto delle donne; ma Paolo disse con fermezza:
— Si farà, si farà....
Anna si mise a sparecchiare melanconicamente, e Cesario, che non sembrava molto preoccupato dell’affare, cercò la sua chiave per uscire. Ma arrivato alla porta tornò indietro ed entrò in cucina.
— Guai a voi, — gridò minaccioso alle serve, — se trapela una sola parola di quanto avete inteso stassera...
— Vada, vada... — rispose una con profonda ipocrisia. — Non siamo di quella gente noi... Son cose di mondo....
E provavasi a dirgli parole di conforto, ma Cesario le voltò tranquillamente le spalle.
Ad ogni modo nessuno seppe i discorsi tenuti quella notte in casa Velèna.
L’indomani mattina Sebastiano entrò nell’ufficio, ove suo padre lavorava già. Paolo comprese che il figlio entrava per dirgli qualche cosa, ma che toccava a lui cominciare. Disse:
— Dunque, hai pensato?
— Ripeto tutto ciò che dissi ieri notte, — rispose Sebastiano con tranquillità apparente. — Del resto sapevate già che io mi sarei opposto. Caterina deve avervi detto qualche cosa
— Ho letto infatti le lettere di Gonario.
Sebastiano pensò rapidamente che suo padre poteva sapere la causa del suo odio verso il pretendente, e domandò:
— Allora sapete?...
— Non so nulla. Nè io nè alcuno, e forse neppure tu sai il perchè di....
— Lasciate andare! — interruppe Sebastiano, pensando: non sa nulla davvero! — Se non ci fosse stata una causa io non avrei operato così...
— Ma spiegati una volta, per bacco!
— Non posso! Ma forse avete ragione voi. Ieri sera mi sono lasciato troppo trasportare, e me ne pento. Ebbene, sentite; fra me e Gonario Rosa esiste una.... cosa. Io non so vincere l’antipatia che gli nutro; ci ho pensato tutta la notte, ma proprio credo che non potrò mai sopportare la sua presenza come... parente. Fate quel che volete, giacchè tutti sono contenti, — e fra sè disse amaramente: anche Anna! — però io me ne vado....
— Tu te ne vai?... — gridò Paolo balzando in piedi, quasi spaventato.
— Eh, non molto lontano! — esclamò Sebastiano. — Non andrò in America. Me ne vado, per ora, a San Giacomo.
San Giacomo era la lavorazione, cioè il sito ove attualmente Paolo Velèna faceva eseguire un taglio di boschi.
Il padre sorrise, ma non disse che il suo spavento si cangiava in contentezza. E disse quasi timidamente:
— Va bene. Dunque dirò di sì a Giovanni Rosa?
— Dite quel che volete. Non m’importa nulla.
⁂
— Siamo tutti lieti dell’onore che ci fate, — rispose Paolo al futuro suocero di Caterina. — Dite a Gonario che l’invitiamo a cena per l’ultima notte dell’anno, cioè per dopo domani. Verrete voi pure?
— Mi dispiace, vi ringrazio; per questa volta non posso accettare.... — rispose Giovanni Rosa.
Ma Paolo non si offese punto, e lo accompagnò fino alla porta sorridendo.
⁂
Sebastiano partì l’indomani, a cavallo, per San Giacomo.
Doveva restarci una o due settimane e la sua partenza pareva non avesse alcuna relazione coi fatti accaduti nei giorni prima. In casa se ne parlò con indifferenza. Anzi, tutti erano preoccupati solo per i preparativi della piccola festa intima.
Si dovevano comprare i dolci, le trote e il porchetto per la cena, e dovevasi pulire la casa. Cesario si degnò telegrafare a un amico di un villaggio vicino perchè mandasse un cestino di trote; dopo molte fatiche la serva riuscì a scovare un pastore di buona volontà che promise di fornire un bel porchetto appena slattato. Così le più grandi difficoltà furono vinte. Ed Anna fece la crema. Mentre essa, con le maniche rimboccate, sbatteva il rosso delle uova, immersa in profondi pensieri, Sebastiano trottava attraverso le lande di un altipiano desolato.
San Giacomo era distante dieci ore di strada da Orolà; ma era proprio verso San Giacomo che Sebastiano andava?
Sì, per il presente andava lassù, ma per l’avvenire dov’egli andava? Egli se lo chiedeva, e nel rispondersi il suo cuore piangeva lagrime d’intensa amaritudine.
Il vento passava turbinoso per le lande; da ogni parte degli orizzonti, dalle montagne di un turchino-nerastro, salivano le nuvole sul fondo già grigio del cielo. Il vento spingeva volate di nevischio che inumidivano il cappotto di Sebastiano, e introducendosi sotto il cappuccio gli pungevano il viso come spilli minutissimi.
Mai, in vita sua, Sebastiano s’era sentito così triste e disperato.
— Faceva bene, faceva male? Dove andava, perchè, come? Operava da uomo od operava da bambino? Era una sciocchezza, era un eroismo, il suo?
— Forse!
Perchè una causa in apparenza puerile, una cosa che sembrava da nulla, che gli avrebbe meritato il ridicolo di tutti, se fosse stata scoperta, lo spronava, l’incalzava irresistibilmente, e influiva tanto nella sua vita, nel suo destino?
Il suo operare avrebbe addolorato la sua mamma, il suo babbo... e altri ancora? Avrebbe menomato il loro affetto, la loro stima per lui?
— Chi sa!
Avrebbe col tempo, vinta la sua ostinazione? Sarebbe tornato indietro?....
— Mai! — gridò a voce alta, spronando a sangue il cavallo, mentre in una nuvola dissolventesi vedeva un profilo somigliantissimo a quello di Anna, che sfumava nel grigio.
⁂
Così il coperto di Sebastiano mancava dalla mensa apparecchiata per la cena di capo d’anno.
Nennele e Antonino entrarono silenziosamente nella stanza da pranzo; il primo, benchè fosse un ghiottone, non pareva commosso all’idea della cena di lusso: anzi era triste e pensieroso. Trascinò una sedia vicino al braciere e si sedette prendendosi in grembo il gatto che miagolò.
— Sta zitto, Pulcherio, — mormorò con tristezza Nennele, lisciandogli la schiena. E guardò Antonino, per fargli una domanda, ma non ne ebbe il coraggio.
Antonino staccava l’ultimo foglietto del calendario e leggeva l’ultima commemorazione dell’anno, forse con pensieri profondi e filosofici.
— Antonino.... — mormorò Nennele.
In quella l’uscio si apri ed entrò Lucia con un piatto che depose sulla tavola. Dall’uscio spalancato penetrò un odore di arrosto, e Nennele vide l’ombra di sua madre nel bagliore del camino acceso, e Anna che stava seduta in un cantuccio.
— Lucia, — disse allora a voce bassa, — è vero che Sebastiano non tornerà più?...
Lucia sussultò; chiuse rapidamente l’uscio, e avvicinandosi al braciere s’inchinò come per riscaldarsi le mani.
— Sciocchino, — disse con un sorriso che poteva esser triste, — chi te lo ha detto?
— No, me lo son pensato io... perchè manca da tanti giorni.... Sebastiano....
— Ehi.... quanti giorni! Due! È andato alla lavorazione, non lo sai?
Gli prese una manina e accarezzandogliela disse:
— Non dir queste cose davanti alla mamma, sai, specialmente stassera...
— No, non lo dirò, — rispose Nennele rassicurato.
Ma il suo dubbio fremeva nell’anima di tutti, che sotto l’apparente gaiezza celavano un’ombra di dolore. Però non era che un dubbio, molto vago. Nessuno osava esprimerlo, e gli uni cercavano di nasconderlo agli altri, mostrandosi scambievolmente allegri per il fausto avvenimento.
Paolo diceva che per suo desiderio Sebastiano era andato alla lavorazione; appena il tempo si rimetteva sarebbe partito lui. E molte speranze stavano in queste parole.
Verso le otto arrivò Gonario. Cesario, per etichetta, era andato a prenderlo.
Gonario si sbarazzò del soprabito e lo diede a Lucia; dopo salutò con semplicità Caterina, accorsa alla sua voce.
Entrò Paolo Velèna.
— Buona notte, — disse Gonario stringendogli la mano. Uno sguardo rapido passò fra i due; e fu tutto.
Gonario non chiese di Sebastiano, non si meravigliò di non vederlo; sapeva ch’era lontano.
— Siediti qui, — disse Maria additandogli il miglior posto. Gonario sapeva l’ordine con cui i Velèna si sedevano a tavola, quindi, per non spostare nessuno sedette al posto di Sebastiano — al cui fianco stava sempre Caterina — e disse disinvolto:
— Non facciamo complimenti; siedo qui.
Una nuvola passò negli occhi di Maria, ma soltanto Anna se ne accorse, benchè intenta a far sedere Nennele ed a legargli il tovagliolo intorno al collo.
Caterina, per niente turbata, sedette fra Gonario e Antonino. Indossava una camicetta azzurra; aveva i capelli tutti rialzati, attortigliati un po’ al disopra della nuca; era bellissima.
Ma Gonario non la guardava, e anch’ella, pur sentendolo più bello e attilato del solito, con un lieve profumo di fieno esalante dalla cravatta di raso bianco e dalla camicia più splendida del raso della cravatta, non osava guardarlo.
Gonario non badava ad Anna, sedutagli di fronte, nè Anna badava a lui; ma una persona avrebbe potuto accorgersi d’un lieve imbarazzo che li intimidiva l’uno di fronte all’altra. Però quella persona era lontana.
Per tutti gli altri commensali, quella era una cena famigliarmente festevole, turbata solo dall’assenza di quell’originale di Sebastiano.
Solo quest’ombra pareva sfiorasse ogni tanto la mensa, come l’ombra dell’alta lucerna; ma svaniva tosto.
Gonario rideva, parlava con Cesario e Lucia e diceva degli scherzi a Nennele.
Dopo l’antipasto, di salami e tonno sott’olio, s’era mangiata rapidamente la minestra, e Antonino aveva detto:
— Così si mangia a Fonni; si mangiano le vivande mentre scottano.
— Ma io mi sono scottato, — gridò Nennele aprendo la bocca.
La madre gli accennò con gli occhi di star zitto, ma egli continuò a dire sciocchezze. Gonario rideva sempre.
Dopo la minestra fu servito il lesso con olive secche e minuscoli pomidoro verdi sotto aceto; poi maccheroni gialli, arrosto con rafani, e poi del riso ancora giallo con uccelletti sulla cui crosta rosolata si stendeva lo strato giallo del riso.
Possibile, — borbottò Cesario rivolto alla madre, — possibile che non si possa mangiare nulla senza zafferano?...
Maria parve mortificata, ma Gonario disse che lo zafferano stava bene su certe vivande.
E Lucia disse con semplicità:
— È una droga. Noi non usiamo altre droghe, tranne un po’ di pepe su certe verdure.
— I continentali, — esclamò Antonino, che dava sempre esempi pratici, — mangiano il pepe a cucchiaj. Perciò sono così rossi, mentre noi sardi, che non usiamo droghe, restiamo pallidi....
— Che stupidaggini stanno dicendo! — pensava Caterina, mortificata per le sciocchezze che i fratelli dicevano. Gonario la serviva galantemente, pregandola di mangiare, ma ella arrossiva, benchè avesse già moltissime volte pranzato e cenato in presenza di lui, e toccava appena le vivande.
— Mangia, Caterina, le diceva Paolo ridendo, — non aver vergogna.
— Ma niente affatto, papà. Mangio tanto!
— Non è vero, — esclamò Gonario. — Finirò con l’offendermi. — E rise.
Ma Cesario lanciò uno dei suoi scettici scherzi.
— Ora ti offendi perchè non mangia; più tardi ti offenderai perchè ti divorerà tutto!
Gonario rise ancora, col suo riso pieno e squillante, ma Caterina lo guardò timidamente, scandolezzata.
Possibile che tanta prosa dovesse frammischiarsi all’amore? No, non era conveniente che s’invitassero a pranzo o a cena dei fidanzati!
Poi vennero le trote; ma erano magre, insipide; e suscitarono un mormorio di disapprovazione.
Le serve, sorridenti, col viso lucido e le camicie bianchissime, servivano con gran precisione. Ogni volta che toglievano i piatti di Caterina le rivolgevano delle paroline sotto voce, ed ella sorrideva senza capirle.
— Starà tanto bene Pulcherio, stanotte! — esclamò Nennele, e tirò il grembiale alla serva raccomandandole di dare al gatto tutte le spine delle trote.
— Anna, — disse Maria a voce bassa, — fallo un po’ stare in ordine....
E le accennò Nennele. Possibile? Era tanto maleducato quel ragazzo. Maria ne restava molto mortificata.
Dopo le trote furon serviti dei magnifici pollastri, poi venne in tavola il clou della cena, il porchetto che fumava, in un apoteosi di aromi, tutto d’un rosso dorato sullo sfondo di un grandissimo piatto di porcellana.
Paolo lo scalcò con rara abilità, e intorno alla gran vittima, la conversazione diventò più generale e animata.
Parlavano tutti; anche Caterina cinguettava allegramente, dimenticando volentieri l’amaro dubbio che il posto di Sebastiano restasse per sempre occupato da Gonario Rosa.
— Ritornerà! — pensava, guardando di sbieco il profilo nitido e aristocratico di Gonario.
— E diverranno tanto amici. Sono così buoni entrambi!
Anna soltanto parlava poco; pareva un personaggio secondario, e non faceva alcun effetto sulla scena. Soffriva, gioiva ella? Poco importava ciò, purchè mostrasse il volto sorridente, illuminato dal riflesso dell’altrui felicità.
Caterina aveva completamente dimenticato che senza la cugina quella notte Sebastiano sarebbe stato ancora al suo posto e Gonario... a casa sua.
Si rivolgeva a lei solo per chiederle che l’aiutasse a ricordare qualche cosa che dimenticava. Anna l’aiutava e giammai, moriva sul suo dolce viso il sorriso di una beatitudine un po’ melanconica.
⁂
Dopo il porchetto fu servita una torta di pasta e d’anguille e poi vennero degli squisiti formaggi e del burro.
Ma nessuno aveva più voglia di mangiare, e persino Nennele guardò con indifferenza le frutta secche d’ogni genere, che vennero servite in piccoli finissimi canestri d’asfodelo guarniti di nastrini.
— Grazie, non voglio più nulla, — disse Gonario respingendo dolcemente il vassoio dei dolci.
Ma Caterina rivelò che la crema era stata fatta da Anna.
Allora Gonario, che cercava l’occasione di mostrarsi gentile con la fanciulla sorbì un po’ di crema e disse:
— Ti faccio i miei complimenti. Già, questo si sa, tu hai le mani di fata!
Anna sorrise, ma si morsicò le labbra. La gentilezza del fidanzato di Caterina era per lei una scudisciata sul volto, perchè rievocava tanti amari ricordi che la umiliavano e l’addoloravano.
— Vuoi del caffè? — domandò Caterina.
— No, grazie, non voglio più nulla, — ripetè Gonario.
Poi, finita la cena, tutti si divertirono a far dei giochi che si usano l’ultima notte dell’anno. Su cento pezzetti di carta vennero scritti i nomi di cinquanta signorine e di altrettanti giovanotti. Anzi, per rendere ameno il sorteggio, si aggiunse qualche vecchia zitella alla lista delle signorine, e fra i giovani furon messi dei vecchioni, dei preti, dei gobbi. Poi un bigliettino da ogni parte fu lasciato in bianco. Le signorine vennero gittate entro il cappello di Cesario, e i giovanotti in un piccolo cestino. Fra questi ultimi si era voluto mettere per forza anche Nennele, mentre Antonino aveva rifiutato, arrossendo. Ma Caterina ce lo mise in segreto.
Il sorteggio riuscì curiosissimo.
Alla lettura dei nomi di ogni coppia che avrebbe dovuto unirsi in matrimonio, echeggiavano alte risate. Quelli delle signorine le estraeva Nennele e quelli dei giovanotti Anna.
Tutti badavano perchè non accadessero degli imbrogli. A misura che Nennele estraeva il biglietto, lo porgeva ad Antonino che lo svolgeva e lo leggeva.
Venivano fuori dei bizzarri matrimoni divertentissimi: ma anche dei matrimoni assai convenienti.
— Cesario Velèna, — lesse Anna, e Antonino esclamò:
— Maria Cajenna!
— Diavolo! — mormorò Cesario, che fumava, evidentemente annoiato di dover passare tutta la serata in famiglia.
La signorina Cajenna era nientemeno che la figlia del sotto-prefetto, la signorina più chic della città.
Tutti restarono contenti di questo matrimonio. Dopo altre cinque o sei coppie, Anna domandò:
— Chi è venuta fuori ora?
Col biglietto in mano Antonino sorrise e rispose:
— No, di’ prima chi è l’uomo.
— No, leggi prima tu.
Ma Antonino si ostinò, Anna disse:
— È un grand’uomo. È Nennele Velèna!
Antonino scoppiò a ridere. Il suo fogliettino era bianco: Nennele non trovava moglie!
Si fece un mondo di scherzi, e Nennele si offese.
Anna riuscì sposa a un usciere, Lucia a un giudice, Antonino venne fuori con... Caterina!
— Oh, perbacco, questa è grossa! — Nennele si vendicò, ridendo pazzamente; ma Antonino strappò stizzito il biglietto dalle mani di Anna, e lo bruciò alla fiamma del lume.
Gonario rimise Caterina entro il cappello e il sorteggio fu ripreso. Perchè il numero fosse giusto venne rimesso un biglietto bianco fra i giovinotti. Anna indovinò la voglia matta che Caterina aveva di riuscir con Gonario, e cercò di contentarla.
— E tu non vieni mai fuori? — domandò rivolta a Gonario la fidanzata.
— Aspetto forse te... — rispos'egli galantemente.
— Scommetto che verrò fuori in... bianco! Aspetta...
— Caterina Velèna! — esclamò Antonino.
— Gonario Rosa! — rispose Anna.
La voce le tremò leggermente, ma chi se ne accorse? Tutti applaudivano e ridevano. Nennele pestava i piedi per la contentezza, ma poi si rattristò pensando che se tutto doveva avverarsi, come nel caso di Caterina, egli non avrebbe mai preso moglie!
Nessuno dubitò della frode di Anna, e il sorteggio meraviglioso fu ultimato allegramente, mentre i fidanzati si scambiavano rapidi sguardi d’amore.
Il nome di Sebastiano non fu mai pronunziato.
Dopo qualche altro gioco Gonario, accortosi che Maria Fara aveva sonno e che Cesario rivelava la sua noia con lunghi sbadigli, si accomiatò.
Caterina voleva trattenerlo; Maria Fara le volse una severissima occhiata.
Dopo esser stata timida e quasi goffa — ora Caterina si prendeva troppa libertà col fidanzato, — troppa per la prima sera, — e Maria Fara non voleva che si rompesse ancora quel po’ di etichetta, necessaria per l’occasione.
— Buona notte, addio Caterina, addio, Nennele, — disse Gonario facendo addio con la mano, rivolto ai cognatino che se ne stava ancora a tavola, tra gli avanzi dei giochi e tra i bicchieri ancor colmi a metà di vino.
Nennele gli mandò un bacio sulla punta delle dita e Caterina esclamò:
— Arrivederci all’anno venturo!
Egli sorrise ed uscì con Cesario.
— Andate a dormire, — disse Lucia a Caterina e alla cugina dopo che tutti gli altri si furono ritirati, — resterò io sinchè sarà tutto riordinato.
— Sei contenta, Annì? — domandò Caterina salendo le scale, col lume in mano, e tirando la treccia della cugina.
— Io? Contentissima!
La sua voce alta echeggiò sotto la volta della scala, tanto che a Caterina sembrò di essere in una grotta.
Mentre Anna si scioglieva i capelli, Caterina, che aveva gli occhi fiammeggianti, si avvicinò ai vetri.
La notte era nera, fredda e profonda.
— Io non ho sonno, non ho sonno, — disse. — Vuoi che apra la finestra?
— No, è freddo, è tardi.
Infatti scoccò mezzanotte. Caterina diede un salto. Gridò, come colpita da un’idea improvvisa:
— Senti! È l’anno che finisce, è l’anno che comincia!
— Lo so! — rispose Anna.
Vinta dalla solennità misteriosa, di cui pur non penetrava tutta la tristezza e tutta la profondità, Caterina guardò muta traverso i vetri, in lontananza. Vedeva nei cristalli riflessa la sua bella persona, poi tutta la camera appena illuminata; ma nello sfondo scorgeva il cielo oscuro, caliginoso, senza stelle, in una linea paurosamente oscura. Nella sua trionfante letizia Caterina provò un senso pesante di tristezza.
— Dove sarà Sebastiano? comandò quasi parlando fra sè.
Anna non rispose, ma Caterina, nello specchio chiaro oscuro dei vetri, vide che la cugina, seduta ai piedi del letto, nascondeva il viso sulla coltre azzurra, coi magnifici capelli sciolti, sparsi sulle spalle sottili scosse lievemente da un brivido.