Quando il dormente si sveglierà/XIV. In vedetta
Questo testo è completo. |
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1907)
◄ | XIII. La fine dell’antico ordine | XV. Personaggi importanti | ► |
Capitolo XIII.
In vedetta.
In tal modo, dopo così strani indugi, e a traverso un seguito di dubbi e di lotte, l’uomo del diciannovesimo secolo si trovava ad un tratto a capo di quel mondo complesso.
Quando, dopo la stia liberazione e la caduta del Consiglio, egli si destò da un sonno profondo, non riconobbe più ciò che lo circondava: con grande sforzo scuoprì finalmente un filo conduttore nel suo spirito e tutto ciò che gli era accaduto gli tornò allora in mente, dapprima con l’inverosimiglianza di un racconto narrato da altri, come qualche cosa letta in un libro; e prima ancora che la sua memoria fosse ben chiara, la gioia, lo splendore della propria supremazia, lo maravigliarono.
Egli era padrone della metà del mondo: padrone della Terra. Il nuovo secolo era nel senso più completo il suo secolo: ed ormai non si chiedeva più se ciò che aveva veduto fosse stato un sogno: la sua sola preoccupazione era ora quella di convincersi della realtà di tali meraviglie. Un domestico ossequioso l’aiutava a vestirsi sotto la direzione di un assistente superiore. pieno di dignità; un omettino dal volto innegabilmente giapponese, ma che si esprimeva con una chiarezza perfetta, informandolo su ciò che era avvenuto in quell’intervallo. La rivoluzione era ormai una cosa compiuta; già da un capo all’altro della Città, tutti avevan ripreso il lavoro e si eran rimessi a’ propri affari.
In generale il fatto della caduta del Consiglio che non era stato mai popolare l’avevano accolto dappertutto con molto piacere e le mille città dell’America occidentale, ancora gelose dopo due secoli, di New York, di Londra e dell’Est, si erano insieme sollevate due giorni prima, all’annunzio del risveglio di Graham. A Parigi la lotta durava ancora: il resto del mondo era nell’incertezza.
Mentre faceva colazione sentì vibrare ’da un angolo della stanza una soneria elettrica; l’assistente principale lo avvertì che Ostrog si informava di lui con premura e Graham smise ’di mangiare per rispondergli.
Poco dopo giunse Lincoln a cui Graham espresse il vivo desiderio di mettersi meglio al corrente della nuova vita che si apriva dinanzi a lui e Lincoln lo informò allora che, fra tre ore, un’assemblea rappresentativa di personaggi ufficiali, colle proprie mogli, si sarebbe recata nei grandi appartamenti del Capo dei Motori a vento. Il disegno formato’ da Graham, di percorrere cioè le strade della città, era pur tuttavia prematuro; a causa dell’agitazione enorme del popolo. Del resto gli era affatto facile dì veder la Città a volo d’uccello dal posto di guardia che occupava il custode dei motori.
Dopo aver fatto i più lusinghieri elogi all’assistente incaricato di condur Graham al posto di guardia, Lincoln si scusò di non poter accompagnarli in forza del lavoro amministrativo urgente che esigeva la sua presenza in quel momento.
Più in alto ancora delle gigantesche ruote a vento, quel posto di guardia era situato circa un migliaio di piedi sopra i tetti: piccola panchina in forma di disco, sopra un tronco di filigrana sostenuto da puntelli. Graham fu lassù trasportato in una specie di sedia a forma di paniere, sospesa da funi di leggero metallo.
Nel centro del fragile tronco, era fissata una galleria leggera da cui discendevano, girando attorno alla branca esterna, un certo numero di tubi che, veduti dall’alto, parevano dei fili. Erano gli specula in comunicazione cogli specchi, in uno dei quali Ostrog aveva mostrato a Graham la rivoluzione trionfante. L’assistente giapponese montò davanti e ambedue trascorsero là più di un’ora, uno interrogando, l’altro rispondendo.
La giornata splendeva nella promessa e nel fascino anticipato della primavera. Il vento alitava più caldo; il cielo era di un azzurro carico, e la vasta estensione della città splendeva, sfolgorante, al sole mattutino. L’atmosfera, scevra di qualunque nebbia, era dolce come l’aria di una vallata di montagne. All’infuori dell’ovale irregolare delle rovine intorno al Palazzo del Consiglio, e della nera bandiera che sventolava sull’edifizio, la potente città offriva da quell’altezza poche tracce della rapida rivoluzione che. aveva in una sola notte e in un sol giorno cambiato i destini del mondo. La folla continuava a radunarsi su quelle rovine, e in lontananza, l’enorme arena a cielo aperto da cui partiva in tempo di pace il servizio degli aeropiani per le diverse grandi città dell’Europa e dell’America era pure nera della folla dei vincitori.
Nel mezzo di uno stesso palco deviato su delle assi e che attraversava quelle rovine, una folla di operai era occupata a ristabilire la comunicazione fra le funi e i fili del Palazzo e il resto della città, affinchè si potesse trasferire in quel luogo il quartiere generale di Ostrog.
Del resto nulla turbava quell’estensione luminosa: essa era di una serenità così vasta in paragone dei sotterranei pieni di disordine, che in breve Graham, i cui sguardi vagavano lontano, potè quasi dimenticare le migliaia di uomini giacenti fuori della sua vista nella luce artificiale del labirinto quasi sotterraneo inerti o morenti per le ferite riportate nella notte: dimenticare le ambulanze improvvisate col loro esercito di chirurghi, di infermieri, di facchini febbrilmente occupati: dimenticare invero le meraviglie, i prodigi, e la costernazione ancora che la luce elettrica illuminava. Laggiù — in fondo — nelle invisibili strade di quella moltitudine, egli sapeva, che la rivoluzione trionfava; che il color, nero primeggiava dappertutto: ornamenti neri, bandiere nere: neri festoni attraverso le strade. E qui, al di fuori, sotto la fresca luce del sole, sopra il vulcano della battaglia, come se niente fosse accaduto, rumoreggiava calma nel suo incessante lavoro, tutta quella foresta di ali a vento che era stata creata sotto il regno del Consiglio.
Così Graham apprese che laggiù, nella contrada, sopra ogni ciglio e ogni collina, là dove una volta si disegnavano, nascoste in mezzo al verde, le siepi, le ville, gli alberghi, le case e le fattorie — delle ruote a vento, simili a quelle che vedeva, sorreggendo anch’esse immense réclames, simboli distintivi e orribili del nuovo secolo, proiettavano le loro ombre vorticose e accumulavano continuamente l’energia che scorreva a fiotti, perpetua, attraverso tutte le arterie della città. E in basso, l’innumerevole gregge del «Trust» dell’alimentazione, errava, sorvegliato da’ pastori solitari.
Da nessuna parte, nessun luogo a lui noto, veniva a rompere il gruppo delle forme smisurate di laggiù. Egli sapeva che la Cattedrale di San Paolo aveva sopravvissuto insieme a molte, altre antiche costruzioni di Westminster, fuori di vista, nascoste, incastrate e ricoperte, fra l’incremento gigantesco di quel gran secolo.
Il Tamigi stesso non veniva più ad interrompere e ad abbellire col bagliore argenteo de’ suoi flutti l’immensa estensione della città: gli acquedotti alterati assorbivano fino la minima goccia delle sue acque, prima che potesse giungere alla Città. Il letto e l’estuario del fiume, considerevolmente spurgati e profondi, formavano adesso un canale alimentato dal mare, dove un esercito di sozzi barcaiuoli trasportavano, sotto i piedi stessi degli operai, le pesanti materie prime, necessarie all’industria.
Ad oriente, fra cielo e terra, si intravedeva vaga e confusa, la foresta degli alberi raccolti nel Pool dal colossale servizio marittimo, poichè tutto il grosso traffico, per il quale non è necessaria molta fretta, si faceva sugli enormi bastimenti a vela, e le mercanzie urgenti arrivavano con bastimenti più piccoli, più rapidi, attivati da potenti motori.
A mezzogiorno, sotto alle colline, vasti acquedotti conducevano l’acqua del mare nelle fogne; mentre delle pallide linee partivano in tre differenti direzioni: erano le strade, screziate di mobili punti grigi. Il dignitario preposto al suo servizio, gli spigò che tali strade erano formate da due superfici che pendevano dolcemente, di una larghezza di cento metri, e che ognuna di esse era riservata al trasporto in una stessa direzione. Il suolo di queste nuove vie, consisteva in una sostanza artificiale denominata eadhamite, somigliante, a quanto potè congetturare, a del vetro opaco e duro. Lungo tali strade era un movimento strano e furioso di stretti veicoli dalle ruote di gomma grandi ruote uniche; veicoli a due e a quattro ruote filavano con una velocità da uno a dieci chilometri al minuto. Le strade ferrate erano scomparse: rimaneva qua e là qualche buco, qualche fosso che mostrava vecchie rotaie arrugginite che formavano talvolta l’ossatura delle strade eadhamitate. Alla prima occasione egli decise di andar a visitar quelle strade, ma ciò non avrebbe avuto luogo che dopo’ la corsa sul bastimento volante su cui stava per salpare.
Altre novità che colpirono la sua attenzione, furono le grandi flotte di palloni e di réclames cervi volanti che si perdevano in prospettive irregolari a settentrione e a’ mezzogiorno lungo il percorso degli aeronati. Da nessuna parte si vedevano gli aeropiani poichè il loro servizio era cessato: solo, macchia impercettibile che si librava ad un’altezza prodigiosa, nel lontano cielo azzurro, un aeropilo descriveva larghi cerchi sopra le colline.
Una delle cose che Graham aveva già imparato e che trovava molto difficile a concepire, era che quasi tutte le piccole città e quasi tutti i villaggi erano scomparsi. Soltanto qua e là, secondo quello che potè vedere, un gigantesco edifizio simile a un albergo, si ergeva nel centro di alcuni chilometri quadrati di terreno coltivato conservando il nome della città di cui occupava il posto.
Pur nonostante il suo compagno l’aveva rapidamente convinto che un tal cambiamento era stato inevitabile. L’antico ordine aveva tempestato il paese di numerose fattorie e, per ogni quattro o cinque chilometri, si stendeva il dominio del proprietario; poi, non lungi di là, l’albergo, la botteguccia del ciabattino, la farmacia e la chiesa: tutto ciò formava il villaggio. Circa ogni dodici chilometri, si elevava la piccola città campagnuola in cui vivevano il giudice, i negozianti di grano, di lana, di mode; il sellaio, il veterinario, il medico, il sarto, il cappellaio, ecc. Ogni dieci o dodici chilometri semplicemente perchè era questa la distanza che poteva percorrer comodamente il fattore per andare al mercato, metà ad andare e metà a ritornare.
Ma fino da quando entrarono in giuoco le ferrovie, poi i treni leggieri, tutti i nuovi e rapidi veicoli automotori che erano stati sostituiti ai carri e ai cavalli, e, quando in seguito si cominciarono a costruire le grandi ruote di legno, di gomma, di eadhamite e di ogni sorta di sostanze elastiche durevoli, sparì la necessità di avere mercati così frequenti, nelle piccole città. E fu allora che le grandi città si estesero di più attirando insieme l’operaio per mezzo della forza di gravitazione del lavoro in apparenza continuo, e i proprietari colla promessa di una mano d’opera facile e infinita.
Siccome il livello del «confortabile» si elevava in ragione dell’aumento complessivo del meccanismo della vita, l’esistenza in campagna era diventata sempre più costosa o addirittura impossibile. La soppressione del curato e del signorotto, la sostituzione del medico pratico allo specialista della città, avevano spogliato il villaggio del suo ultimo segno di cultura intellettuale. Dopo che il telefono, il cinematografo, il fonografo ebbero preso il posto del giornale, del libro, del maestro di scuola e dell’alfabeto, vivere fuori del campo, delle corde elettriche, sarebbe stato vivere da selvaggio isolato. In campagna non esistevano nè risorse, nè mezzi per vestirsi o per nutrirsi (secondo il concetto raffinato dell’epoca) nè medici capaci in un caso urgente, nè società, nè alcuna occupazione utile di nessuna specie. Di più, le applicazioni della meccanica all’agricoltura facevano di un meccanico l’equivalente di trenta agricoltori.
In tal modo, al contrario dell’impiegato cittadino nel tempo in cui Londra era appena abitabile a causa delle sue nebbie insalubri, gli agricoltori affluivano la sera, passando dalle strade o fendendo l’aria verso le sue distrazioni e le sue delizie per ripartirne la mattina di poi. La Città aveva assorto l’umanità; l’uomo era entrato in una nuova fase del suo sviluppo. Dapprima aveva regnato il nomade, il cacciatore, quindi il coltivatore dell’epoca agricola per il quale le città e i porti non erano altro che dei quartieri generali e dei mercati.
Ed ora, conseguenza logica di un’epoca di nuove invenzioni, si era costituita finalmente l’enorme aggregazione d’uomini.
All’infuori di Londra, non si contavano in Inghilterra che quattro grandi città: Edimburgo, Portsmouth, Manchester e Shrewsbury: Graham durava fatica ad immaginarsi seriamente tutte quelle trasformazioni che non erano per i contemporanei che semplici fatti. E quando egli gettava uno sguardo verso «l’altra parte del territorio», verso le cose strane che esistevano sul continente, il suo spirito si smarriva assolutamente.
Davanti a lui svolgevasi una visione interminabile di città — città situate in mezzo a vaste pianure, città fiancheggiate da potenti fiumi, immense città lungo il littorale, città cinte da montagne coronate di neve. Sopra una gran parte della terra si parlava la lingua inglese; l’amalgama ispano-americano, e i dialetti anglo-negri, anglo-indiani e anglo-cinesi, costituivano il linguaggio quotidiano di due terzi degli abitanti del globo.
Sul continente, all’infuori di alcune antiche e strane sopravvivenze, regnavano soltanto tre lingue; il tedesco che andava fino ad Antiochia e Genova e veniva ad urtare coll’anglo-spagnuolo a Cadice; il russo gallicizzato che veniva ad urtarsi coll’anglo-indiano in Persia e nel Kurdistan e coll’anglo-cinese a Pechino: il francese sempre chiaro e brillante, lingua lucida che si parlava nel bacino mediterraneo unitamente all’anglo-indiano e al tedesco e si inoltrava, con un dialetto franco-negro, fino al Congo.
Dappertutto attraverso la terra popolata di città, salvo nelle zone nere dei tropici, regnava ora la stessa organizzazione sociale cosmopolita, e dappertutto, dal polo all’equatore, si stendevano la proprietà e le responsabilità di Graham. Il mondo intero era civilizzato; il mondo intero abitava nelle città: il mondo intero era accaparrato. Da un capo all’altro dell’Impero britannico e dell’America, il diritto di proprietà di Graham era appena mascherato: congressi e parlamenti erano in pratica considerati come antiche vestigia, come curiosità. Perfino nei due imperi della Russia e della Germania, l’influenza della sua ricchezza aveva un peso enorme. Là, naturalmente, si presentavano e problemi e difficoltà e pericoli — anche possibilità — ma, collocato così in alto come era lui, la Russia e la Germania stessa, gli apparivano sufficientemente lontane. In quanto a ciò che fosse l’amministrazione della zona nera, a ciò che potesse significare giustamente la zona nera, non se ne preoccupò minimamente, secondo l’abitudine presa nella sua prima esistenza e che là vi fosse una minaccia sospesa sopra la spaziosa visione che aveva dinanzi e sè, il suo cervello del diciannovesimo secolo non poteva immaginarlo. Al contrario il suo spirito si staccava ad un tratto da quella scena per pensare ad un terrore svanito.
— Dov’è il pericolo giallo? — domandò Graham e Asano lo pregò di spiegarsi.
Lo spettro giallo era scomparso giacchè Cinesi ed Europei vivevano in pace: il ventesimo secolo era giunto, ma malgrado la certezza che in media il Cinese era ugualmente civilizzato, più morale e molto pù intelligente del servo europeo e aveva rinnovato sopra vasta scala la fraternità dello Scozzese e dell’Inglese, fraternità che si era operata nel diciassettesimo secolo. Come Asano diceva:
— È stato riflettuto, e riconosciuto che noi, dopo tutto, eravamo dei bianchi.
Graham tornò a contemplar lo spettacolo che aveva sotto gli occhi, e i suoi pensieri presero una nuova direzione.
Al sud-ovest, oscuro, smaglianti e incantatrici, voluttuose e temibili, brillavano quelle Città del Piacere di cui il cinematofonografo e il vecchio della strada, gli avevano rivelato l’esistenza. Luoghi strani che rievocavano la leggendaria Sibari, città dell’arte e della bellezza, arte e bellezza mercenaria; città sterili e meravigliose di animazione e di armonia in cui si recavano tutti gli arricchiti dalla lotta economica, feroce e ignominiosa, che infieriva nell’accecante labirinto di laggiù.
Egli sapeva come fosse feroce una tal lotta e poteva giudicarne da questo solo fatto che quel popolo considerava l’Inghilterra del diciannovesimo secolo come la contrada in cui la vita era stata idilliaca e facile. Egli guardò ancora la regione che aveva sotto gli occhi, tentando di concepire l’enormità del lavoro che si compiva in quella rete inestricabile.
Egli sapeva che Verso il settentrione abitavano gli stovigliai che non fabbricavano soltanto utensili di terra e di porcellana, ma anche degli impianti e prodotti del medesimo genere immaginati dalla chimica più sottile; là vivevano i fabbricanti di statuette di ornamenti per i muri, e di mobili delicati; là ancora vivevano gli autori i quali in un’emulazione febbrile, componevano i loro discorsi, le loro réclames fonogafiche, aggruppando i personaggi e sviluppando i soggetti de’ loro drammi cinematofonografici sempre nuovi e impressionanti. Di là pure partivano come la folgore i messaggi per il mondo intero, le imposture e le menzogne universalmente diffuse dagli spacciatori di notizie e finalmente là si caricavano le macchine telefoniche che erano state sostituite ai giornali di una volta.
Ad occidente, al di là delle rovine del Palazzo del Consiglio, si elevavano gli immensi uffici dell’amministrazione municipale e del Governo: ad oriente, verso il porto, erano i quartieri di commercio, gli enormi mercati pubblici, i teatri, i luoghi per le adunanze, le sale da giuoco, gli innumerevoli saloni da bigliardo; i circoli di baseball e di foot-ball, le arene delle bestie feroci e i templi numerosi di sètte cristiane o quasi cristiane, di maomettani, di buddisti, gnostici, adoratori di fantasmi, adoratori di incubi, di idolatri, adoratori di oggetti diversi ecc., ecc.: e a mezzogiorno ancora era situata un’immensa manifattura di tessuti, di conserve, di vini e di olii. Da un punto all’altro precipitava la folla lungo le rumorose strade meccaniche. Gigantesco alveare di cui i venti erano i servitori infaticabili e che aveva come corona e simbolo appropriati quei perpetui motori aerei....
Pensava alla popolazione fantastica che era come imbevuta da quella immensa spugna bucherellata di halls e di gallerie: pensava ai trentatrè milioni di esistenze, ciascuna delle quali recitava il proprio dramma breve e triviale sotto di lui; e allora il fascino che egli trovava nella luce del giorno, nell’immensità e nello splendore del panorama, e soprattutto, il sentimento che la sua propria importanza aveva fatto nascere in lui, diminuiva e finiva col dileguarsi. E contemplando da quell’altezza i punti più elevati della città, diventava impossibile per lui concepire ciò che fosse quella folla di trentatrè milioni insieme a tutte le responsabilità che stava per addossarsi, e l’immensità di quel Maëlstrom al disopra del quale s’innalzava il suo misero regno.
Tentò poi d’immaginarsi l’esistenza individuale dei suoi contemporanei; e si meravigliava nel vedere come fosse poco cambiato l’uomo del popolo malgrado la trasformazione visibile della sua condizione. La vita e la proprietà, erano invero al riparo dalla violenza da un capo all’altro del mondo: le malattie contagiose, le infezioni di ogni specie, erano praticamente scomparse: ciascuno aveva a sufficienza di che mangiare e di che vestirsi; era riscaldato per le strade della Città e riparato dalle intemperie; il cammino quasi meccanico della scienza e l’organizzazione materiale della società avevan compiuti veri progressi. Ma già egli si accorgeva che il popolo era sempre il popolo, senza difesa, in potere del demagogo e dell’organizzatore, individualmente codardo e guidato dall’appetito, collettivamente volubile e incomprensibile. Il ricordo della folla vestita di tela azzurro pallido, gli tornava ora in mente. Egli sapeva che laggiù, sotto di lui, milioni di quegli esseri, uomini e donne, non erano mai usciti dalla città, non avevano mai veduto niente al di là del piccolo cerchio della loro partecipazione inintelligente e penosa al cammino del mondo o a’ suoi piaceri turbolenti e falsi che non giungevano a soddisfarli. Pensò alle speranze de’ suoi contemporanei, e per un momento gli tornò in mente, come illusione distrutta, il sogno narrato da William Morris nelle sue maravigliose «Novelle di nessuna parte» e il paese perfetto descritto da Hudson nella sua «Età di cristallo» e pensò pure alle proprie speranze....
Negli ultimi giorni della sua vita anteriore, ora così lontana nel passato, la concezione di un’umanità libera e uguale, era divenuta per lui una ipotesi veramente realizzabile. Con una convinzione temeraria, egli aveva sperato, come l’aveva invero sperato tutta l’epoca a cui egli aveva appartenuto, che il sacrifizio del gran numero al piccolo numero, sarebbe cessato un giorno; che il momento era vicino in cui ogni fanciullo, nato da donna, avrebbe, una probabilità equa e certa di felicità. Dopò duecento anni la stessa speranza, sempre sfumata, faceva udire da un capo all’altro della. Città il suo grido appassionato; dopo duecento anni, egli lo constatava, la mendicità, il lavoro senza speranza, tutte le miserie di una volta, più grandi che mai, erano cresciute com’era cresciuta la Città prendendo gigantesche proporzioni.
A poco a poco egli riusciva a capire tutti gli avvenimenti più importanti accaduti durante il tuo sonno; ora sapeva qual decadenza morale era seguita alla rovina della religione soprannaturale nello spirito del volgo, la decadenza dell’onore pubblico, l’ascendente, della ricchezza: poichè gli uomini che avevan perduto la fede in Dio, avevano conservato sempre la loro fede nei propri possedimenti, e la ricchezza regnava in un mondo venale.
Il suo dignitario giapponese, Asano, che gli esponeva la storia politica dei due secoli passati, si servì di una immagine abbastanza giusta, paragonando lo stato sociale ad un seme roso da insetti parassiti. Dapprincipio ecco il seme originale che matura vigorosamente, poi viene un insetto che depone il proprio uovo, e tutto ad un tratto, in men che non si dica, il seme è diventato un involucro cavo che porta dentro di sè un baco attivo, il quale avrà in breve divorato la sua sostanza. In seguito arriva anche qualche parassita secondario, qualche mosca icneumone che depone un uovo in quel baco il quale alla sua volta non è più che un guscio vuoto; mentre la nuova cosa vivente si sviluppa, sotto la pelle del suo predecessore nascosto egli stesso sotto l’involucro del seme. Tale involucro conserva sempre là sua propria forma: tutti continuano a credere che esista sempre il seme e nulla può impedire che esso stesso non si creda un seme vigoroso e vitale.
— Il vostro regno al tempo della regina Vittoria, — conchiuse Asano, — era così.... un regno col cuore divorato....
I possessori di terre, i baroni e la piccola nobiltà entrarono in iscena due secoli fa col re Giovanni: dopo molto tempo venne decapitato- il re Carlo, finchè non salì al trono! il re Giorgio che non aveva che l’apparenza di un re giacchè il potere reale era allora nelle mani del Parlamento. Ma il Parlamento, organo della piccola nobiltà proprietaria, padrona del mondo, non conservò a lungo- la sua potenza e nel diciannovesimo secolo la trasformazione era già compiuta.
Le franchigie erano state elargite fino a comprendere masse intere di uomini ignoranti, «miriadi urbane» che venivano in gran confusione a dare il loro voto insieme. Una quantità considerevole di elettori trascina, come conseguenza naturale, il regno successivo dei partiti organizzati. Il potere, anche sotto il regno della regina Vittoria, era divenuto preda dei partiti segretamente organizzati, complessi e corrotti: in breve esso ricadde nelle mani dei grandi uomini di Stato che fornivano i sussidi necessari all’organizzazione del partito. Giunse un tempo in cui questo potere e l’interesse reale dell’Impero, riposarono visibilmente fra le mani dei consigli di due partiti, che governavano per mezzo dei giornali e delle campagne elettorali, due piccoli gruppi di uomini ricchi e abili che da principio manovravano in modo opposto l’uno all’altro e poi finivano col trovarsi d’accordo. «Vi fu una reazione lenta e senza effetto come lo prova una quantità di libri ancora esistenti», affermò Asano, alcuni dei quali risalivano all’epoca in cui Graham si era addormentato; tutta un’intera letteratura reazionaria infatti. Pare che il partito reazionario si sia chiuso nel proprio gabinetto per sollevarsi con intrepida risoluzione, sulla carta. La necessità urgente di catturare i consigli dei partiti, di privarli del potere è un’idea comune che si riscontra in fondo a tutto il lavoro del pensiero del XIX secolo, tanto in America che in Inghilterra e sul continente. Nella maggior parte dei casi, l’America fu un poco più sollecita dell’Inghilterra, per quanto i due paesi seguissero la stessa strada.
Questa contro-rivoluzione non giunse mai: essa non potè mai organizzarsi è rimaner pura poichè non era restato più negli uomini abbastanza sentimentalismo primitivo dell’antica fede nella giustizia. Ogni organizzazione che acquistava il necessario potere per influire sulle elezioni, diventava ad un tempo abbastanza complessa per essere minata, o comprata interamente da individui ricchi ed abili. I partiti, socialista, popolare, reazionario, il partito dei pari, si cambiarono alla fine in tanti banchi di cambia-valute che vendevano i loro principii per pagare le elezioni. La gran preoccupazione del ricco era naturalmente quella di conservare intatto il proprio patrimonio, di tenere. la via sgombra per il giuoco del commercio, precisamente come aveva fatto l’antica feudalità per riservarsi il diritto di caccia e di guerra. Il mondo intero fu messo a frutto: divenne il campo di battaglia degli affari, e il rovescio finanziario, l’aggio dei valori e delle monete, le guerre di tariffe, tutti questi flagelli procurarono maggior miseria durante il XX secolo (perchè la miseria di allora, fu la tristezza di vivere non quella di morire), di quello che non avesse fatto la guerra, la peste, la fame, nelle ore più terribili della storia.
Ora Graham sapeva abbastanza chiaramente qual parte avesse recitato nella preparazione di quello stato di cose. A traverso le successive fasi dello sviluppo di quella civilizzazione meccanica, aiutando e dirigendo in breve il suo sviluppo, un nuovo potere era nato; il Consiglio, il Comitato degli amministratori del suo patrimonio. Tale monopolio formidabile, aveva avuto principio colla fusione puramente accidentale dei milioni di Isbister con quelli di Warming; era questa la conseguenza del capriccio di due testatori senza prole.
Ma l’ingegno collettivo dei primi amministratori l’aveva rapidamente condotto ad esercitare un’influenza considerevole fino a che, con ipoteche, con prestiti e con azioni, sotto- centinaia di travisamenti e di pseudonimi, esso monopolio non si fu ramificato a traverso l’edificio degli Stati americani e inglesi.
Ora il Consiglio, disponendo di un’influenza e di un predominio enorme, non aveva tardato a prendere un carattere politico; e, nella sua continua ascensione, esso aveva impiegato i propri beni a fare abbassare la bilancia delle decisioni politiche, e a servirsi degli stessi vantaggi politici per impadronirsi di ricchezze sempre maggiori. Finalmente l’organizzazione dei partiti dei due emisferi cadde nelle sue mani diventando in tal modo un Consiglio interno di controllo politico. L’ultima sua lotta era stata impegnata contro la tacita alleanza delle grandi famiglie ismaelite, mia tali famiglie non erano unite che da un debole sentimento; ad ogni momento, una qualunque eredità poteva gettare a un minorenne o a un imbecille, una parte considerevole del loro patrimonio; i matrimoni e i lasciti alienavano così improvvisamente somme colossali. Il Consiglio non aveva di queste soluzioni di continuità: esso si sviluppava in una maniera costante e sicura.
Il Consiglio originale non era soltanto composto di dodici uomini di un’eccezionale capacità: quei dodici individui si fondevano in una sola personalità di genio. I consiglieri miravano arditamente al denaro, all’influenza politica, e queste due ricerche si favorivano reciprocamente. Con una previdenza sorprendente essi consacrarono somme enormi all’aeronautica, aspettando l’ora propizia per rivelare le invenzioni acquisite: in tal modo ricorsero alle leggi che privilegiavano i brevetti e a mille espedienti semi-legali per ridurre all’impotenza l’investigatore che si fiutava di lavorare con essi. Una volta, essi non trascuravano mai di assicurarsi la collaborazione di ogni uomo capace senza lesinare sul prezzo. Il Consiglio seguiva in quel tempo una politica vigorosa, che non era venuta mai meno al suo scopo, e alimentava in una maniera formidabile, non incontrando altro ostacolo, che l’opposizione caotica ed egoistica dei ricchi casuali.
Nello spazio di cento anni, Graham era diventato padrone quasi esclusivo dell’Africa, dell’America del Sud, della Francia, dell’Inghilterra: egli imponeva la propria forza agli Stati Uniti che avevano allora intera preponderanza in tutta l’America. Il Consigliò acquistò e organizzò la Cina mise a frutto l’Asia; paralizzò, minò finanziariamente gli imperi del mondo antico, impegnando una lotta con essi e vincendoli.
Questa vorace usurpazione del globo, fu compiuta con tanta destrezza, centinaia di banche, di compagnie, di sindacati dissimulavano le operazioni di questo Consiglio-Proteo, — che aveva già fatto gran tratto di strada, prima che il volgo sospettasse quale tirannia egli subiva. Il Consiglio, non esitò, non tremò mai. Mezzi di comunicazione, terre, dominii, edifizi, governi, municipalità, compagnie territoriali dei Tropici, tutte le intraprese umane esso le accaparrò avidamente.
Mise in ordine e diresse i suoi uomini, la polizia delle sue ferrovie, delle sue strade, le guardie de’ suoi innumerevoli beni immobili, quelli delle gomene e dei canali, il suo esercito di agricoltori. Esso non manifestò apertamente alcuna ostilità contro le unioni e le associazioni de’ suoi stipendiati, ma li sovvertiva, li tradiva e li comprava; in tal modo finì coll’acquistare il mondo intero. Ed allora il suo colpo da maestro fu l’introduzione delle macchine volanti.
Quando il Consiglio, in urto cogli operai di uno de’ suoi enormi monopolii, si abbandonò ad azioni, la cui illegalità era troppo flagrante, — ciò senza aver nemmeno la buona grazia di assoldare anticipatamente coloro che potevano nuocergli, — l’antica legge, allarmata di vedersi sfuggire i vantaggi delle proprie compiacenze, cercò intorno a sè le armi di cui essa stessa disponeva. Ma l’esercito non esisteva più come non esisteva più nessun indizio di guerra: l’età della pace era giunta. I soli bastimenti da guerra possibili erano i grandi vapori appartenenti al Trust marittimo, una delle forze più formidabili del Consiglio. Tutte le forze della polizia obbedivano al Consiglio: la polizia delle strade ferrate, quella della navigazione, quella dell’agricoltura; custodi e sorveglianti di ogni genere il cui numero era dieci volte più grande di quello della forza pubblica al Servizio del Governo e delle antiche organizzazioni municipali. Allora furono lanciate le macchine volanti. Esistono ancora degli uomini che si ricordano l’ultimo gran dibattimento alla Camera dei Comuni: il partito legale, il partito opposto al Consiglio, era in minor numero, ma esso lottò disperatamente: e i deputati uscivano in massa sulla terrazza per vedere quelle vaste e straordinarie forme alate che descrivevano tranquillamente i loro cerchi nell’aria.
Il Consiglio aveva preso il sopravvento con tutta la potenza possibile ed era sparito l’ultimo sembiante di una democrazia che aveva permesso l’esistenza della proprietà irresponsabile, illimitata.
Centocinquant’anni dopo che Graham si era addormentato, il Consiglio aveva potuto, con tutta sicurezza, gettar via la maschera e regnare apertamente appropriandosi la suprema autorità. Le elezioni non erano più che una semplice formalità, una sciocchezza, settennale, un antico uso, senza significato alcuno — un Parlamento sociale — ugualmente nullo e superfluo quanto d Sinodo della Chiesa Nazionale, al tempo della regina Vittoria. Si adunava di tanto in tanto, mentre un legittimo re d’Inghilterra, detronizzato, ubriaco e imbecille, faceva stupida mostra di sè in una sala musicale di second’ordine. Così, il sogno magnifico del XIX secolo, il nobile progetto di libertà individuale e di universale felicità, contaminato dalla malattia dell’onore, ristretto dalla superstizione della proprietà assoluta, paralizzato dalle questioni religiose delle sètte che si disputavano l’educazione del popolo, e distruggevano ogni regola di condotta, screditando e disprezzando ogni sensazione morale, — questo sogno, raffazzonato e torturato!da nu0ve necessità e da nuove invenzioni, svisato da attentati e da delitti ignominiosi, si era realizzato e trasformato, prima in una plutocrazia avida e aggressiva; quindi in una plutocrazia trionfante. In breve il Consiglio non si dette nemmen più la cura di far legalizzare i propri decreti dalle autorità costituzionali.
Durante questo tempo, Graham, essere senza movimento, scarno e giallo, nè morto nè vivo, riposava nella sua cornice di vetro, possessore incontestato del mondo; e al suo risveglio egli si trovava padrone assoluto di una tale eredità, libero di contemplare, sotto il cielo senza nubi, la grandezza del suo impero. Per qual fine s’era destato? Quella città, quell’alveare in cui soffrivano tante persone senza speranza, era essa la confutazione morale delle sue antiche speranze? Oppure quel fuoco sacro di libertà, quel fuoco che aveva fiammeggiato e si era poi estinto negli anni della sua vita passata, covava forse ancora sotto la cenere? Egli pensava allo slancio, all’affascinante impulso di quel canto della rivoluzione. Quell’inno non era forse che la soperchieria di un demagogo, e non sarebbe esso stato dimenticato dopo avere raggiunto il proprio scopo?...
La speranza da cui era incessantemente agitato, non era forse che il ricordo delle cose abbandonate, l’orma di una fede morta? Oppure tale speranza aveva un senso più vasto, uno stato di cose che si sarebbe immischiato ai destini dell’uomo? Perchè si era svegliato? Che cosa doveva fare in questo mondo?
L’umanità si stendeva sotto di lui, come una carta geografica: egli pensava ai milioni e milioni di esseri umani che si succedevano incessantemente e per sempre gli uni agli altri dalle tenebre della non esistenza alle tenebre della morte.
A qual fine? Un fine ci doveva essere, ma un tal fine oltrepassava i limiti del pensiero di Graham e per la prima volta egli vedeva chiaramente la sua infinita meschinità: vedeva, vero e terribile, il tragico contrasto fra la forza umana e le aspirazioni del cuore. In quel breve istante, egli considerò se stesso per quel piccolo, infimo accidente che era e nel medesimo tempo sentì la grandezza del suo desiderio.
Improvvisamente la propria nullità e le proprie aspirazioni gli apparvero intollerabili.... e qualche cosa d’irresistibile lo spinse a piegare.... Pregò allora balbettando cose vaghe, incoerenti, contradittorie: l’anima sua, attraverso il tempo e lo spazio e attraverso ad ogni confusione multipla e dubbiosa dell’esistenza, era tesa verso qualche cosa — non sapeva quale, affatto — Verso qualche cosa che potesse capire tutta la sua angoscia e sentirne pietà.
· | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · |
Laggiù — lontano — su una terrazza, un uomo e una donna godevano la freschezza dell’aria mattutina. L’uomo aveva portato un canocchiale per spiare il Palazzo del Consiglio e pregava la donna a volersene servire. In breve la loro curiosità fu sodisfatta; dal posto in cui si trovavano, non avevano potuto vedere nessun spargimento di sangue. Dopo un’ispezione al cielo coperto di nuvole, la donna rivolse lo strumento verso il posto di guardia, e là ella scorse due piccoli personaggi neri; così piccini che si stentava a credere che fossero uomini: uno di questi osservava e l’altro gesticolava colle mani tese verso; lo spazio silenzioso del cielo.
La donna passò il canocchiale all’uomo che dopo aver guardato anche lui esclamò:
— Io credo che quegli sia il Maestro! Sì: ne sono sicuro! È il Maestro!
Quindi abbassando lo strumento continuò:
— Egli agita le mani verso qualche cosa come se pregasse. Io mi domando ciò ch’egli è, in realtà. Adora egli il Sole? Al tempo suo, non vi era nessun Parso nel paese, non e Vero?
E di nuovo puntò lo strumento.
— Ora smette: era un atteggiamento che aveva preso per caso, forse.
Posò il canocchiale e riflettè:
— Non avrà altra occupazione all’infuori di quella del piacere, nient’altro che questa. Ostrog s’incaricherà di condur bene quest’affare.... ciò sarà necessario, per tenere in ordine tutti questi imbecilli del Lavoro, col loro canto!... E dire che tutto ciò è accaduto mentre egli dormiva. È una cosa meravigliosa!