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In vedetta | 179 |
vedere, un gigantesco edifizio simile a un albergo, si ergeva nel centro di alcuni chilometri quadrati di terreno coltivato conservando il nome della città di cui occupava il posto.
Pur nonostante il suo compagno l’aveva rapidamente convinto che un tal cambiamento era stato inevitabile. L’antico ordine aveva tempestato il paese di numerose fattorie e, per ogni quattro o cinque chilometri, si stendeva il dominio del proprietario; poi, non lungi di là, l’albergo, la botteguccia del ciabattino, la farmacia e la chiesa: tutto ciò formava il villaggio. Circa ogni dodici chilometri, si elevava la piccola città campagnuola in cui vivevano il giudice, i negozianti di grano, di lana, di mode; il sellaio, il veterinario, il medico, il sarto, il cappellaio, ecc. Ogni dieci o dodici chilometri semplicemente perchè era questa la distanza che poteva percorrer comodamente il fattore per andare al mercato, metà ad andare e metà a ritornare.
Ma fino da quando entrarono in giuoco le ferrovie, poi i treni leggieri, tutti i nuovi e rapidi veicoli automotori che erano stati sostituiti ai carri e ai cavalli, e, quando in seguito si cominciarono a costruire le grandi ruote di legno, di gomma, di eadhamite e di ogni sorta di sostanze elastiche durevoli, sparì la necessità di avere mercati così frequenti, nelle piccole città. E fu allora che le grandi città si estesero di più attirando insieme l’operaio per mezzo della forza di gravitazione del lavoro in apparenza continuo, e i proprietari colla promessa di una mano d’opera facile e infinita.
Siccome il livello del «confortabile» si elevava in ragione dell’aumento complessivo del meccanismo