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In vedetta | 193 |
di universale felicità, contaminato dalla malattia dell’onore, ristretto dalla superstizione della proprietà assoluta, paralizzato dalle questioni religiose delle sètte che si disputavano l’educazione del popolo, e distruggevano ogni regola di condotta, screditando e disprezzando ogni sensazione morale, — questo sogno, raffazzonato e torturato!da nu0ve necessità e da nuove invenzioni, svisato da attentati e da delitti ignominiosi, si era realizzato e trasformato, prima in una plutocrazia avida e aggressiva; quindi in una plutocrazia trionfante. In breve il Consiglio non si dette nemmen più la cura di far legalizzare i propri decreti dalle autorità costituzionali.
Durante questo tempo, Graham, essere senza movimento, scarno e giallo, nè morto nè vivo, riposava nella sua cornice di vetro, possessore incontestato del mondo; e al suo risveglio egli si trovava padrone assoluto di una tale eredità, libero di contemplare, sotto il cielo senza nubi, la grandezza del suo impero. Per qual fine s’era destato? Quella città, quell’alveare in cui soffrivano tante persone senza speranza, era essa la confutazione morale delle sue antiche speranze? Oppure quel fuoco sacro di libertà, quel fuoco che aveva fiammeggiato e si era poi estinto negli anni della sua vita passata, covava forse ancora sotto la cenere? Egli pensava allo slancio, all’affascinante impulso di quel canto della rivoluzione. Quell’inno non era forse che la soperchieria di un demagogo, e non sarebbe esso stato dimenticato dopo avere raggiunto il proprio scopo?...
La speranza da cui era incessantemente agitato, non era forse che il ricordo delle cose abbandonate, l’orma di una fede morta? Oppure tale speranza aveva