Plico del fotografo/Libro I/Parte II/Sezione I

Sezione I

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Parte II Parte II - Sezione II

[p. 84 modifica]SEZIONE I.

Dille lenii in generale.

Definizioni preliminari. — Una lente è un pezzo di vetro, o di un corpo diafano qualunque terminato da due superficie sferiche, oppure da una superficie piana, e da una superficie sferica. Una tale forma viene data alle lenti comuni confricandole con polveri minerali a contatto di piatti metallici incavati. Le lenti che si trovano in commercio sono ordinariamente di vetro, ma se ne fanno di quarzo e di altre sostanze trasparenti.

Le lenti si distinguono in collettive o convergenti, ed in dispersive o divergenti; le prime hanno il loro maggiore spessore nel mezzo, le altre lo hanno agli orli. Havvi tre specie di lenti [p. 85 modifica]convergenti e tre di lenti divergenti. Le lenti convergenti sono: a lente bi-convessa, b lente piano-convessa, e lente convessoconcava-convergente, delta anche menisco-convergente, la cui superfìcie convessa ha uii raggio minore della concava. Le lenti divergenti sono: d lente concavo-concava, e lente piano-concava, f concavo-convessa-divergente, o menisco divergente, la cui superfìcie convessa ha un raggio maggiore della concava.

Fig. ts.

r 1

Dicesi asse principale di una lente una linea immaginaria che congiunge i due centri di curvatura delle due superfìcie.

Il centro ottico di una lente è un punto C sull’asse della lente {fig. 16 ). I raggi luminosi, che passano pel centro ottico di una lente, non sofTrono alcuna deviazione dalla lente. Ogni retta, che passi sul centro ottico di una lente senza passare pel centro di curvatura, dicesi asse secondario. t

Il centro ottico è proprio solo alle lenti non acromatiche, ossia alle lenti semplici, di composizione omogenea. Infatti, quando un raggio di luce, cade sopra una lente semplice, in modo che passi pel centro ottico, la direzione del raggio emergente sarà parallela alla direzione di incidenza, qualunque sia il grado deU’obliquità del raggio incidente, e ciò succede perchè una tangente alla superficie superiore della lente, ed una tangente alla superfìcie posteriore, che incontrino entrambe i due punti di incidenza e di emergenza del raggio luminoso, sono tra loro parallele, per cui la lente per quel particolar raggio di luce può venir considerata come una lastra di vetro a superficie parallele, da cui la luce non riceve alcuna deviazione, ma solo uno spostamento dopo la rifrazione. Nelle lenti aeronautiche e nelle altre combinazioni di lenti l’effetlo è diverso, perchè il raggio obliquo, che passa pel centro ottico di una prima lente, non conserva la primitiva direzione passando nella [p. 86 modifica]seconda lente; perciò le combinazioni di lenti non hanno un centro ottico propriamente detto.

Chiamasi foco principale di una lente il punto F [fig. 17), in cui si riuniscono, dopo la rifrazione, i raggi paralleli al suo asse principale. La lunghezza dalla lente al punto F è la lunghezza o distanza focale principale della lente. Essa si ottiene facilmente ponendo una lente davanti al sole, ed avvicinandola, od allontanandola poscia da un quadro, sinchè l’immagine del sole, che vi si fa sopra, sia la più piccola e la più nitida possibile.

Il foco di una lente si ‘comporla come il foco degli specchi sferici, di cui abbiamo parlato (a pag. 60); cioè esso non è un punto fisso, costante, ma è un punto variabile colla distanza dall’origine della luce cui la lente si presenta. Se un punto luminoso si avvicina alla lente, il foco, ossia l’immagine di questo punto si allontana dalla lente, ed inversamente, per cui se si mette il punto luminoso alla distanza presso cui dapprima si formava la sua immagine, il foco va ora a formarsi alla distanza presso cui si trovava dapprima il punto luminoso. Questo effetto si distingue chiamando fochi coniugati i due punti opposti occupati da) punto luminoso, e dalla sua immagine. 1 fochi coniugali sono così fatti, che non si può spostare l’uno senza spostare anche l’altro, e si chiamano coniugati per esprimere una tale’ mutua relazione tra essi. Ciò si comprenderà meglio da quel che segue.

Fochi, o immagini delle lenii convergenti. — Tutti i raggi che partendo da un punto A, e che, vcneniki a cadere sopra una lente LL, l’attraversano, sono deviati in modo, che tutti

Fig. 16.

vengono a passare per lo stesso punto a, che, come sappiamo, chiamasi il foco, o l’immagine di A. Questo punto a è posto sulla retta che congiunge il punto A col centro della lente C. [p. 87 modifica]Sia D la distanza dell’oggetto dalla lente, ossia AC.

d la distanza del suo foco o della sua immagine, ossia aC, F la distanza focale principale della lente, dimostrano gli ottici, che si ha sempre:

4 1 l

D d ~ F ‘ ’

Ciò posto, se si suppone il punto A lontanissimo dalla lente, a distanza inGnita, come possono supporsi il sole e le stelle,

t t t

avrassi — = o, onde — = ■=■ ossia d = F cos) che F non è u d r

altro che la distanza focale corrispondente ad un oggetto infinitamente lontano.

Fig. 17.

Se invece si avvicina il punto A alla lente, la distanza D diminuisce, e quindi cresce il valore di mentre si vede dalla

equazione [1] che diminuisce e che cresce perciò il valore

di d, vale a dire, che diminuendo la distanza dell’oggetto dalla

lente, la disianza della sua immagine cresce. così, se per e$.

si fa D = i F, ossia se si pone l’oggetto ad una distanza dalla

lente, che sia il quadruplo della distanza focale principale della

•.. 1 11 11 1 lente, si avrà T =jr oppure - = ? — ossia

d = F. La distanza dell’Immagine sarà dunque i quattro terzi di quel che era quando l’oggetto era lontanissimo.

Fig. 18. [p. 88 modifica]Ponendo invece D = 2 F, avrassi ~ — y — yp — pp

ossia d =2 F. La distanza dell’immagine sarà ora doppia della distanza focale principale. In tal caso inoltre la distanza dell’oggetto dalla lente sarà eguale a quella della sua immagine, i due fochi coniugati saranno entrambi a eguale distanza dalla lente.

Fig. <9.

A

Continuando a scemare la distanza deU’oggelto dalla lente, cresce rapidamente la distanza dell’immagine, se si pone per

Se si prosegue a scemare la distanza deU’oggelto dalla lente,

se si pone per esempio f> — F, si trova - = o, ossia d d’una

grandezza infinita. In tal caso i raggi che emergono dalla lente vanno ad incontrarsi in un punto posto a distanza infinita, vale a dire sono paralleli.

Fig. 21. [p. 89 modifica]Finalmente, se si avvicina maggiormente l’oggetto alla lente, i raggi che escono dalla lente, non solo non vanno più a passare per un punto posto dall’altra parte della lente, ma convergono verso un punto posto dalla stessa parte dell’oggelto.

Fig. 22.

Infatti, sia o un punto luminoso, i raggi incidenti o l formando colla perpendicolare C », tirala dal centro di curvatura della lente, un angolo più grande che quello formato dai raggi che partono dal foco principale F, come si vede nella figura, ne nasce, che, dopo la emergenza, essi raggi, che partono dal punto o, si allontanano dall’asse più di quello che facciano i raggi partiti dal punto F, che sappiamo emergere dalla lente paralleli. I raggi che partono dal punto o non possono adunque dare luogo ad alcun foco reale, ma i loro prolungamenti concorrono nel punto 0 situato sull’asse, e dalla stessa parte del punto luminoso, ed è questo punto che chiamasi il foco virtuale del punto o ossia l’immagine virtuale dello stesso punto o, la quale immagine apparirà tanto più distante dalla lente, e tanto più ingrandita, quanto più vicino alla lente si pone il punto luminoso al di qua del foco principale. Se si fosse posto un oggetto assai piccolo, l’occhio dalla parte opposta C lo vedrebbe in 0, ingrandito e nella sua naturale posizione, come fanno vedere i raggi prolungati; è per un tal principio che agisce il microscopio.

Egli è facile l’esperimentare questo andamento della distanza dell’immagine rispetto a quella deU’oggello, questa relazione dei due fochi coniugali prendendo una lente, la cui distanza focale principale sia piccola; essa si pone davanti ad una candela accesa, in una camera ad imposte chiuse, e ponendo dietro alla lente un foglio di carta si muoverà il medesimo sinchè si abbia [p. 90 modifica]un’immagine nitida della fiamma della candela. La distanza del foglio dalla lente darà la distanza del foco corrispondente alla distanza della candela dalla lente.

Se ora si considera posta davanti alla lente la retta A B ( fig. 33), egli è chiaro che, se si tira l’asse secondario B b dal punto estremo B, ogni raggio B fì che emana da questo punto si rifrange in B ed in D’ ciascuna volta nello stesso senso, avvicinandosi all’asse secondario, che va ad incontrare in b. Gli altri raggi emessi dal punto B venendo a concorrere pure in b, questo punto è il foco coniugato del punto B. Se ora si tira l’asse secondario dal punto A, e se si tira un altro asse secondario dal punto M, si trova egualmente che i raggi emessi da questi punti vanno a formare i loro fochi in a ed in »», e come gli altri punti intermedi! della retta A B hanno evidentemente i loro fochi corrispondenti in ab, si avrà in ab un’immagine reale e rovesciata della retta A B

La linea a m b, immagine della retta /I M B, non è una linea retta. Infatti, se MC è minore di AC, si sa che deve essere invece m C maggiore di a C, e per conseguenza m non può essere sulla retta ba, ma si trova in m’. Però, se il rapporto della grandezza dell’oggetto A B colla distanza sua dalla lente è assai piccolo, il punto m sarà assai vicino al punto m, in cui la retta C m’ taglia la retta b a, ed essendo il divario m m’ trascurabile, l’immaginedi A B potrà considerarsi come rappresentata dalla retta a b.

Sia G l’ampiezza dell’oggetto,

g l’ampiezza della sua immagine,

D la distanza dell’oggetto dalla lente (rappresentata [p. 91 modifica]da C B, o da qualsiasi altra retla tirala da C alla retta A B, che si suppone tanto lontana da potente ritenere ogni punto come equidistante da C).

d la distanza della sua immagine (rappresentata anche da C b, per esempio):

Fig. 2’

essendo simili i due triangoli A C B, a C b (fig 24), avremo:

G.g.D.d, d’onde ^ ® [2],

Quando si mette davanti alla lente un oggetto complesso a ciascun suo punto corrisponderà dietro la lente un punto d’immagine, e la riunione di tutti questi punti sarà l’immagine dell’oggetto. Quest’immagine sarà non solamente capovolta, ma ben anche rovesciata, cioè a dire che sarà non solo in basso quel che era in allo, ma anche a sinistra quel che era a destra ed inversamente.

Inoltre, se l’oggetto è tale che ogni suo punto possa senza grande errore ritenersi come equidistante dalla lente, i varii punti della sua immagine potranno anche ritenersi come equidistanti dal centro della lente, e l’immagine dell’oggetto sarà simile aJI’oggelto medesimo: ed il rapporto fra la grandezza dell’immagine e quello dell’oggetto stesso sarà ancora quello indicato dall’equazione [2],

Formole relative alle lenti. — Nelle due equazioni fondamen tali che abbiamo di sopra — •

a lì r y

G indica la grandezza dell’oggetto, g » la grandezza dell’immagine,

j- sappiamo che [p. 92 modifica]D indica la disianza dell’oggetlo dalla lente, d » la disianza dell’immagine dalla lente,

F « la distanza focale principale.

Quando di queste cinque quantità tre sono conosciute, si può sempre calcolare le altre, di modo che, secondo i bisogni, si viene a conoscere la distanza, il foco, la grandezza dell’immagine e dell’oggetto. Per rendere più facili questi calcoli abbiamo ricavato dalle equazioni predette le formole seguenti, che comprendono tutti i casi possibili.

c =

9«  d “

9 F d — F~

gD—F)

F

9 =

II

SI®

GF

D — P ~

G(d — F) F

n =

Gd

dF

HG-g)


9 ~

d — F

9

d =

II

•il®

il

F{G-t-g

G

F =

Gd

Od


G-t-g

G-’ -g

~~ D-t-d

Facciamo alcune applicazioni di queste formole:

(1°) Sia 100 metri la distanza dell’oggetto dalla lente = D 0"‘, 40 la distanza dell’immagine = d 0"‘, 90 il diametro dell’immagine, ossia la sua grandezza = g,

si conoscerà la grandezza dell’oggetto colla formola.

 gD.. <00X0,50 90,. 

G = T; c,oè oTIo =òXo= 50meln

(9°) Sia 400 metri la disianza deH’oggetto,

0 m, 40 la distanza dell’immagine,

50 metri il diametro dell’oggetto, si conoscerà il diametro dell’immagine colla formola:

Gd.. 50X0,40 9

9 = T; Cl0è = To

o-, 90.

(3-<) Sia 50 metri il diametro dell’oggetto, 0~, 90 il diametro dell’immagine, 0“, 40 la distanza dell’immagine, [p. 93 modifica]si conoscerà la distanza dell’oggello colla forinola:

D =

50X0,40

0.20

= 400 metri.

(4°) Sia 50 metri il diametro dell’oggetto,

0’ ’,20 il diametro dell’immagine,

400 metri la distanza dell’oggetto, si conoscerà la distanza dell’immagine della lente colla formola:

 g £. 

G

4 00 x 0"’, 20 50

1

5

(5°) Sia finalmente 50 metri il diametro dell’oggetto, 0 1 ", 20 il diametro dell’immagine,

O’ ’, 40 la distanza dell’immagine dalla lente,

la formola F cipale della lente, cioè

Gd

G-t-g 50X0-, 40

insegnerà a trovare il foco prin20

50+0’ ’, 20 50,20

= 0 m, 40 circa.

Egli è colla stessa facilità che si risolvono numericamente gli altri casi enunciati dalle formole algebriche sopranotate.

influenza dei fochi coniugati sulle immagini. — Noi abbiamo detto che le immagini delle rette saranno rette, che le immagini degli oggetti saranno simili agli oggetti stessi, e che queste immagini avranno i loro punti quasi equidistanti dalla lente, ove la distanza dell’oggetto sia di tal riguardo, che lotti i suoi punti possano considerarsi come equidistanti dalla lente.

Se all’incontro noi esporremo la lente davanti ad un paese con oggetti lontanissimi, e con altri assai vicini, la immagine, ossia il foco coniugato, dei punti lontani sarà assai più vicina alla lente che non l’immagine dei punti vicini. Se si adatta quindi il vetro spulilo, o parafuoco, in modo da vedere distintamente l’immagine degli oggetti lontani, sarà confusa l’immagine degli oggetti vicini, e se si rende invece distinta l’immagine degli oggetti vicini, sarà confusa la immagine degli oggetti lontani. Nè vi sarà lente alcuna, colla quale si possano avere immagini nitide degli oggetti mollo vicini, e dei lontani nel tempo stesso, perchè in entrambi i casi i fochi coniugati sono a ineguale distanza. [p. 94 modifica]fotografo avrà dunque cura di disporsi in modo a non avere, nelle viste che vuol copiare, e nei ritratti che vuol prendere, oggetti troppo vicini. Si vede infatti dalla equazione

4 1 1

d~ F D

che allorquando D è considerevole rispetto ad F, d non è molto maggiore di F comunque cresca poi D.

Così se, per esempio, si fa D=S00F, avendosi

1 t 4, 4 500F—F

d ~F 500 F Sarà d f X500F

. d FX500F., 4 \

d 0nde T = 499F - 0SS,a d = F ( ’ -’• 499/

Se invece D=1000 F,d=F ( 4 +

Ora se F=\ metro, per esempio, essendo

4 4

d ~ 1 500

si vedrà che il divario della distanza dell’immagine degli oggetti posti a 500 metri, da quella degli oggetti posti a 4000 metri, sarà

9010 di TT9“«59 = ri - TMÒ’ ossia di 1 millimelro circa Mentre fra gli oggetti posti a 50, e quelli posti a 400 metri il divario nella distanza focale sarebbe di circa 4 centimetro, .. 4 4

C,0è 49 99’

Ove gli oggetti esposti davanti alla lente siano ad una distanza poco considerevole, rispetto alla distanza focale principale della lente, si faranno sentire due gravi inconvenienti, il primo sarà, che non tutte le parti di uno stesso oggetto riesciranno egualmente nitide, per la ragione sovraesposta; il secondo sarà, che il rapporto della grandezza deH’immagine con quella dell’oggello non sarà lo stesso in tutti i suoi punti.

Così, se si espone davanti alla lente la testa di una persona, il naso e le altre parli sporgenti della faccia saranno più vicine alla lente, e sarà perciò l’immagine loro relativamente più grossa, che non quella delle parti della faccia più remote. [p. 95 modifica]Nasce da tulio questo che, quando il rapporto della grandezza dell’immagine con quello dcH’oggelio deve essere un po’ grosso, è necessario il far uso di lenti che abbiano una gran distanza focale.

Supponiamo che si voglia fare un ritratto in scala naturale, se si avesse, per esempio, una lente di 2 metri di distanza focale, si porrebbe la persona a 4 metri dalla lente, e l’immagine si farebbe in eguale grandezza anche a 4 metri dalla lente.

Ivi non si potrebbe certamente trovare una posizione del vetro smerigliato tale che la nitidezza fosse la stessa per tutte le parli dell’immagine della faccia. Tuttavia un divario di alcuni centimetri nella posizione delle varie parti della faccia non porterebbe un gran divario nella grandezza relativa delle corrispondenti dell’immagine.

Se infatti si suppone D non più di 4 metri, ma per esempio

di 3,»»saràJ=i = 5 ^= i; ^= < -L.= 1,025 invece di 1.

Suppongasi invece la distanza focale principale della lente di soli 30 centimetri, e le parti medie della faccia alla distanza di 0’", 60 dalla lente, e di soli 0 m, 55 quelle delle parli anteriori del viso, si avrà Jr= - " = 1,200 invece di 4.

C 0,o5 — 0,30

Perchè le immagini degli oggetti che si fanno dietro una lente fossero affatto nitide, sarebbe necessario, che gli oggetti fossero tutti equidistanti dal centro della lente, ossia che fossero tutti sovra la superficie di una sfera di raggio dato. Le immagini di lutti codesti oggetti sarebbero parimenti dietro la lente sopra la superficie di una sfera, che avrebbe un certo raggio. Ora siccome gli oggetti, che il fotografo deve copiare, sono a varia distanza, e siccome la superficie, sopra cui riceve l’immagine degli oggetti, è piana, e non sferica, così ne nasce che non possono aversi, sopra una stessa fotografìa, immagini ugualmente perfette di oggetti posti a distanza molto diversa, e che la nitidezza della fotografia non è mai uniforme in tutte le sue parti, poichè quando essa è grande al centro, essa è piccola ai suoi estremi, ed inversamente. Questi due inconvenienti si possono [p. 96 modifica]Unto menomare con una conveniente scelta delle lenti, degli oggetti da copiarsi, e della distanza a cui si copiano, che quasi non si fanno sentire, ma egli è affatto inutile lo sperare di poterli togliere affatto.

Le immagini che producono le lenti sono dunque sempre più o meno trasfigurale, ossia non soddisfano esattamente alle condizioni imposte dalle regole della prospettiva.

Trasfigurazione prodotta dalle lenti. — Nella camera oscura la trasfigurazione delle immagini prodotta dalle lenti è dovuta a varie cause, ma principalmente ad una eccentrica incidenza dei raggi obliqui. Il suo effetto è di rendere curvilinee tutte le linee rette che non sono presso il centro dell’immagine, e di esagerare le dimensioni di certi oggetti relativamente ad altri nel disegno. Questa trasfigurazione viene graficamente spiegata dal sig. Sullon nel suo ottimo Dizionario fotografico (a). L’autore suppone posto avanti alla lente un diaframma, perchè è così che usansi le lenti acromatiche sole, ossia gli oggettivi fotografici semplici.

Suppongasi che P Q R sia un triangolo, posto avanti ad una larga lente da vedute l m avente un diaframma in fronte in lì.

Fig. 25.

Primieramente si tolga la lente, e si renda l’apertura presso II piccolissima. Allora le immagini ABC dei punti P QB saranno formate nel vetro spulilo, e sul prolungamento delle linee PH, QH, RB, ed il triangolo ABC nel vetro spulilo sarà una veduta, la cui prospettiva è corretta. Ora rimettasi la lente l m.

lo) A Dtclionary of Phoiography, by Thomas Sottoh. London 1853 [p. 97 modifica]Il piccolo pennello luminoso, obliquo ed eccentrico PU, incidente in m, è deviato dal suo corso dalla rifrazione per i margini della lente, e viene a riunirsi nel punto a; similmente i pennelli luminosi provenienti da QR hanno i loro fochi in b, c. L’immagine data dalla lente è perciò il triangolo abc

Fig. 26.

Questo triangolo è più piccolo che ABC; ma, se le distanze Aa, Bb, Cc sono proporzionali ad OA, OB, OC, i due triangoli sono simili, e non vi può essere trasfigurazione. Ma succede, che i decrementi Aa, Bb, Cc non sono proporzionali alle linee OA, OB, OC, e crescono più rapidamente di queste, per cui vi è una trasfigurazione nell’immagine, come si scorge nella figura qui sopra.

Aberrazioni delle lenii. — Ogni lente, ed ogni combinazione di lenti di qualsiasi composizione e forma, non va mai esente da alcuni difetti conosciuti col nome di aberrazioni. Non essendo possibile togliere tutte le aberrazioni bisogna accontentarsi di togliere le più dannose, e compensare, e bilanciare tra loro le rimanenti. Le aberrazioni, di cui noi dobbiamo qui trattare, sono l’aberrazione sferica, e l’aberrazione cromatica.

Aberratione sferica. — Questa aberrazione, che non si deve confondere colla curvatura della immagine prodotta da una lente, è un difetto delle lenti, che deriva dalla loro figura sferica, in virtù della quale i soli raggi vicinissimi all’asse possono concorrere sensibilmente iu un punto comune. Ciò sue 7 Fotografia. [p. 98 modifica]cede quando l’apertura angolare della lente non oltrepassa IO a 13 gradi. Con una apertura angolare più grande i raggi che attraversano la lente presso i suoi margini sono rifralti in modo, che vanno a tagliare l’asse al di qua, ossia più vicino alla lente che il foco dei raggi centrali. Dal che risulta che il foco di tutti i raggi luminosi emanati da uno stesso punto di un oggetto, non è un punto unico, e da ciò nasce la confusione nelle immagini che si ottengono colle lenti. La qual confusione deriva dalle caustiche, o superficie brillanti, che si formano presso l’immagine, dovute, come qui abbiamo detto, dalia più o meno lontana intersezione dei raggi rifralti dalla lente.

È affare del costruttore delle lenti il rendere un tale difetto il minore possibile. Una lente così costrutta da produrre un’aberrazione sferica relativamente piccola distinguesi col nome di aplanatica.

Gli oggettivi dei fotografi, che diconsi a foco profondo, e che alcuni credono possano produrre immagini nitide di oggetti vicini, e di oggetti lontani nel tempo stesso, sono tali solo perchè in essi non venne corretta in grado sufficiente l’aberrazione sferica. Infatti il foco di una lente, supposta priva di aberrazione, quando essa è rivolta verso un punto lucido a grande distanza, p. e., una stella, i cui raggi cadono paralleli salta lente, non è che un punto lucido posto in un piano perpendicolare all’asse della lente; ma se il piano si avanza, o si fa retrocedere, il punto lucido si stende in un disco indistinto di luce; ciò, che è vero per un punto, è vero per una riunione di qualunque numero di punti luminosi, che fuori del foco si confondono gli uni cogli altri in altrettanti circoli, per cui l’immagine dapprima si confonde, e poi sparisce affatto, se maggiormente si allontana dal foco. La nitidezza dell’immagine non si può dunque ottenere che in un punto solo, cioè al foco della lente, e la confusione che si trova fuori del foco, supposta la lente assolutamente priva di aberrazione sferica, è proporzionale alla distanza dell’immagine dal foco, ed all’apertura della lente, per cui essendo F la lunghezza focale, d la distanza dal punto F, ed A l’apertura della lente, la confusione si troverà F A

colla proporzione -j = Da questo nasce, che con un dia [p. 99 modifica]framma molto piccolo si può avere una immagine abbastanza nitida anche a notevole distanza dal vero foco, per cui in essa si possono avere nitidi nel tempo stesso oggetti vicini ed oggetti lontani. In questo caso si ha realmente una profondità di foco, ed una lente di pochissimo valore può dare una immagine nitida quando viene usata con un piccolo diaframma.

Le lenti che abbiano una forte aberrazione sferica non danno un foco precisamente in una sola superfìcie, e si chiamano come dissimo, a foco profondo, ma queste lenti, quando vengono usate con larga apertura, non possono produrre una immagine perfettamente nitida in alcun punto, non avendo esse alcun punto ove si trovi il loro vero foco; si direbbe che esse sono lenti senza foco.

Aberrazione cromatica. — Questa aberrazione deriva dalla diversa rifrangibilità dei raggi colorati che compongono la luce. Perciò essa chiamasi anche spesso aberrazione di rifrangibililà; ma sarebbe forse più esalto chiamarla col nome di dispersione cromatica, perchè essa non è propriamente un’aberrazione «con» sistendo essa (come si esprime il signor Porro in una sua » memoria alla società fotografica di Parigi) in una decompo» sizione dell’onda incidente, in apparenza unica, in un numero » infinito di onde elementari componenti, che, in virtù delle loro » differenti velocità di vibrazione, benchè arrivale nel tempo » stesso sulla prima superfìcie del mezzo dirimente, provano, al » momento di penetrarvi, delle resistenze differenti, e producono » in noi la sensazione dei colori, il cui carattere dinamico non • è altra cosa clic la velocità di vibrazione ».

Una lente composta di una sola qualità di vetro non è capace di produrre una immagine abbastanza pura, quando viene presentala agli oggetti rischiarali dalla luce. I contorni degli oggetti, nell’immagine, appariscono terminati da aureole variamente colorale coi colori dell’iride, perchè, come sappiamo, la luce nelfaltraversare la lente si decompone in modo analogo a ciò che succede in un prisma.

Per far ben comprendere in che consista un tal difetto delle lenti, sia la lente m n esposta ai raggi del sole, i raggi rifralti saranno più o meno deviati secondo la loro diversa rifrangibilità. Il raggio rosso, che è il raggio meno rifrangibile, cadrà nel [p. 100 modifica]punlo r ove ha il suo foco, il raggio violetto, che è il più rifrangibile, riceverà una deviazione più forte, avrà il foco più vicino alla lente nel punto V, e gli altri raggi avranno un foco intermedio, ciascuno a ciascuno, lungo l’asse della lente, e secondo l’ordine della loro rifrangibilità.

Fi g. 27.

La distanza tra i due fochi estremi, rosso e violetto, è l’aberrazione cromatica che la lente fa soffrire al fascio di raggi. Questa distanza è presso a poco la distanza dal foco chimico al foco visuale, il foco visuale essendo quel punto in cui l’immagine degli oggetti è la più nitida a vedere, ed il foco chimico essendo quello dove si ottiene la più nitida impressione degli oggetti Btessi.

f costruttori ottici, per correggere quest’aberrazione, per unire in un solo il foco chimico ed il foco visuale, combinano insieme, secondo una certa forinola, due lenti composte separatamente di vetri dotati di forza dispersiva differente, di eroico glass e di flint glass, in modo da avere una lente sola composta di due lenti, che chiamasi lente acromatica.

La correzione del foco chimico che così si ottiene, quantunque sia sufficiente, non è che approssimativa, perchè nell’oltenere l’acromatismo della lente non si ha riguardo che ai raggi aranci e violetti, non polendosi con due soli vetri diversi riunire più di due raggi diversi. Per ottenere una lente affatto priva di aberrazione cromatica bisognerebbe costrurre delle lenti composte di sette vetri diversi, o almeno di tre vetri diversi, ma ciò offrirebbe maggiori difficoltà pratiche, per la difficoltà di combinare più di due vetri. Del resto, anche supponendo che si arrivasse ad ottenere un acromatismo perfetto, siccome nell’ottenere questo si tiene sol conto dei raggi paralleli, non sarebbe tuttavia evitala ogni aberrazione cromatica, quando si fa [p. 101 modifica]servire la leale agli usi pratici per la fotografìa, perchè gli oggetti che si riproducono, sono generalmente a poca distanza, e cosi inviano raggi obliqui sulla lente.

Apertura delle lenti, diaframma e foco equivalente. — Queste voci sono spesso usale, e noi procureremo qui di darne una nozione abbastanza chiara e dettagliala, e quel che diremo ci servirà più lardi parlando degli oggettivi fotografici.

Apertura delle lenti. — Devesi fare una distinzione tra l’apertura di una lente, che non è che il suo diametro esposto, e ciò che si chiama apertura angolare di una lente. Si intende per quesl’ultima l’angolo del fascio di raggi convergenti trasmesso dalla lente, od in altri termini il rapporto del diametro dell’apertura usata colla lunghezza focale della lente. L’apertura angolare deve però venir distinta dall’angolo, che comprende la grandezza dell’immagine prodotta dai raggi rifratti dalla lente. Così CaC rappresenta l’apertura angolare della lente L, mentre 2 (aCb) è l’angolo che inchiude il campo della veduta, supponendo che ab sia la semigraodezza della immagine prodotta dalla lente.

Fig. 28.

Ne nasce che si possono avere lenti di varia grandezza e della stessa apertura angolare, chè dall’apertura angolare dipende l’intensità luminosa deH’immagine, la quale intensità è come il quadrato dell’apertura angolare. Ciò è molto importante a conoscersi. Sia, per es., una lente, o un sistema di lenti del diametro di 3 pollici (grandezza comunemente usata da’ fotografi, e che corrisponde a circa 8 centimetri), il cui foco sia di 9 pollici. Questa lente, paragonata con un’altra lente dello stesso diametro, e la cui lunghezza focale sia di 18 pollici, si troverà che essa produce un’immagine con una intensità di luce quadrupla di quella della seconda, poichè (’)-’(&’■ [p. 102 modifica]L’apertura angolare viene modificala anche quando si avvicina, o si allontana la lente dagli oggetti, perchè in tal modo si altera la lunghezza focale. La massima apertura angolare si ha quando la lente si presenta con lutto il suo diametro ai raggi paralleli, e la minima quando si avvicina il più che si può la lente agli oggetti.

Diaframma delle lenii. — (I diaframma di una lente non è altro che un disco opaco con una più o meno grande apertura nel centro, che si pone avanti, dietro ed anche nell’interno degli oggettivi, secondo le circostanze. L’effetto del diaframma, quando questo viene posto a contatto della lente, è quello di diminuire l’apertura, ossia di diminuire il diametro della lente. In questo modo si ottiene una immagine più nitida, imperciocchè la confusione dell’immagine proveniente dall’aberrazione sferica, cresce come il cubo dell’apertura usata. Ma i fotografi raramente mettono il diaframma a contatto della lente, perchè in questo modo l’immagine riesce mollo curva. Essi pongono il diaframma ad una certa distanza dalla lente, e questa distanza deve essere tale che i raggi più obliqui possano ancor venire a passare a traverso della lente. Se il diaframma si pone troppo vicino, una parte della lente viene resa inutile, e l’immagine vien resa più curva, benchè meno Irasfigurata. Se invece il diaframma si mette troppo lontano, i raggi obliqui vengono eliminati in tal maniera, che per avere un’immagine di tutto l’oggetto sarebbe necessario allontanare più del bisogno la camera oscura dall’oggetto. L’immagine sarebbe più piana, che non mettendo il diaframma in una posizione intermedia, ma essa sarebbe anche con maggior trasfigurazione.

Sia la retta AB, avanti cui si pone la lente mn col diaframma SS, i raggi che partono dalla retta non possono tutti arrivare alla lente, ma solamente quelli che partono dalla porzione A’ B\ perchè per tutta la retta il diaframma è troppo distante; all’opposto il diaframma è troppo vicino alla lente affinchè i raggi, che vengono dalla porzione A" B", possano stendersi sopra tutta la superficie della lente, pei quali una parte notevole di questa è resa affatto inattiva. [p. 103 modifica]Fig. 29.

Si vede che ciò che vi ha di più importante presso un diaframma, è la sua posizione più o meno distante dalla lente, e la sua grandezza od apertura. Una tale distanza ed una tale apertura richieggono di essere modificate nelle varie circostanze in cui trovasi il fotografo, quando vuol prendere vedute o ritratti.

La maggior nitidezza e pianezza che si ottiene nel campo della veduta, facendo uso di un diaframma, dipende principalmente da ciò che esso arresta una massa di raggi laterali, che cadendo nella lente produrrebbero una quantità di aberrazioni e di iuterferenze luminose; cosi, per es., quei raggi provenienti dai punti A A’ A’ ’, ecc., che si sarebbero portati direttamente sugli orli della lente mn, e che avrebbero resa più illuminata, ma anche molto più confusa l’immagine, vengono appositamente arrestati dal diaframma.

Negli oggettivi di cui si serve il fotografo, non bisogna però rendere troppo piccola l’apertura del diaframma. Se questa apertura si fa eccessivamente piccola, non solo si viene a diminuire in grado troppo forte la quantità della luce necessaria a produrre l’impressione fotografica, ma si corre pericolo di cagionare un’inflessione, diffrazione, di raggi luminosi, per cui sarebbe resa confusa l’immagine, principalmente nel copiare oggetti molto fortemente illuminali, ed una tale confusione dell’immagioe sarebbe tanto più facile a farsi sentire, quanto più l’oggettivo, a cui si applica il diaframma, venne costrutto per essere impiegato con larga apertura, come sono gli oggettivi da ritratti. [p. 104 modifica]Presso gli oggettivi a ritratti il diaframma si pone nel mezzo dell’oggettivo, cioè tra le due lenti acromatiche. In questi oggettivi il fotografo ha spesso bisogno di cambiare diaframma contro uno o più grande, o più piccolo, secondo l’intensità della luce, la disposizione degli oggetti, la natura dei loro colori, ecc. Negli oggettivi che sin qui si coslrussero, non si poteva ottenere un tal cambiamento senza prima levare la lente anteriore, cosa mollo tediosa e cattiva per l’islrumenlo che viene esposto a guasti. Da poco tempo si pratica inserire il diaframma nell’oggettivo senza toccare le lenti, e per ciò ottenere basta tagliare il tubo deU’oggetlivo in modo, che vi si possa introdurre verticalmente un sottile disco metallico con una apertura nel centro. Pare che questa disposizione sìa stata ideata dal sig. Lake Price (o).

Il diaframma ad apertura variabile, che venne ideato dal signor tiovi, professore di fisica, sarebbe da adottarsi per la facilità, che con esso si ha, di cambiare il diametro della sua apertura, se non fosse costrutto di caoulschouc vulcanizzato, sostanza alterabile, e i cui margini non sono abbastanza ben contornati, come quelli che sono di metallo, ciò che può produrre un’inflessione di luce quando si opera con apertura molta piccola.

Da alcuni si propone di far prendere al diaframma un’apertura quadra, invece di quella rotonda o circolare, che è comunemente adoperata. Allora il diaframma avrebbe il vantaggio di ritenere fuori della camera oscura una più grande quantità della luce, che è inutile aU’immagine, ed è in tal maniera che vengono costrutti i diaframmi degli oggettivi da alcuni dei migliori costruttori, tra cui possiamo citare il signor Jamin di Parigi.

Infine, la lunghezza dei raggi rifratti da una lente variando presso ogni alterazione della sua apertura (essi, come abbiamo veduto, sono più lunghi quando questa è piccola, e viceversa), ne deriva che il fotografo non deve mai mettere al foco nella camera oscura prima di cambiare il diaframma, se vuole poter ottenere una immagine nitida. Il diaframma produce un ritardo

(a) A Manual of Photographic manipulation, by Laki Pbice. London, 1868. [p. 105 modifica]nell’impressione allinica per causa della sottrazione di luce, che esso opera. Bisogna tuttavia dire che l’impressione non si diminuisce nello stesso rapporto con cni la luce viene sottratta; ed un tale risultato sembra attribuibile alla minore interferenza dei raggi luminosi, che ha luogo con un diaframma conveniente, cioè non tanto piccolo da dare egli stesso origine al fenomeno della diffrazione della luce.

Foco equivalente. — Quando si parla del foco di una combinazione di lenti, per esempio quando si parla del foco di un oggettivo doppio da ritratti, o di un oggettivo crioscopico per vedute, o di altra combinazione di lenti si intende ordinariamente parlare del suo foco equivalente. Questo foco è eguale alla lunghezza focale di una sola lente acromatica, la quale, quando è presentata agli stessi oggetti, produce nna immagine della stessa grandezza di quella che produce la combinazione di lenti. Il foco equivalente si pnò sempre determinare, con sufficiente esattezza, dividendo la lunghezza focale della lente acromatica semplice colla frazione che rappresenta le rispettive dimensioni lineari delle due immagini, di uno stesso oggetto distante, e sufficientemente grande, formate dalla combinazione e dalla lente semplice. Così, se fosse 10 il foco della lente semplice, e fossero nel rapporto di 5 a 4 le dimensioni lineari delle immagini formale da essa e dalla combinazione di lenti, il cer 5

cato foco equivalente di quest’ultima sarebbe 1 0: — =8.

Qui dovrebbe aver termine la prima sezione della seconda parte deU’ollica del fotografo, perchè quel che abbiamo detto circa alle lenti basta per far comprendere ciò che saremo per dire circa agli oggettivi fotografici, ma io non posso astenermi dal qui riferire le seguenti riflessioni sulle proprietà delle lenti che trovo in un dotto opuscolo (a) del signor Porro.

(a) Sur le perfectionnement pralique des appareil’ optiques pour r astronomie, et pour la photographie. Par J. Porro, ancien offtcier supèrieur da Gènie. Paris <860. [p. 106 modifica]Considerazioni pratiche sulle proprietà delle lenti.

« 4° Con una lente semplice mollo sottile, e con diaframma » sufficientemente piccolo, sovrapposto alla lente, la superficie • focale è sensibilmente una porzione di sfera, il cui raggio di » curvatura è circa la metà della lunghezza focale della lente.

» Se le curvature del vetro sono allora quelle che riducono al » minimum l’aberrazione, la trasfigurazione sarà al maximum, e » viceversa.

» 2° Se si allontana progressivamente il diaframma dal vetro » al di là dell’apparato, il raggio di curvatura della superficie » focale andrà diminuendo, e questa diventerà quasi affatto piana » quando il diaframma sarà arrivato alla distanza del foco an» tenore. L’aberrazione diventa allora per lo stesso vetro un » manrnum, e la trasfigurazione un minimum.

» 3° In generale le curvature delle due superficie del vetro, » che convengono per rendere minima l’aberrazione in un caso » dato, corrispondono ad una trasfigurazione massima, e vice» versa. Per un vetro dato non vi è dunque che un solo luogo » del diaframma, che concilia in una media accettabile le due » condizioni.

» 4" Uavvi una posizione intermedia, per cui l’aberrazione e » la trasfigurazione si mantengono entro limili accettabili, pur» chè non si esiga un campo troppo esteso.

» 5“ Havvi uno spessore del vetro, ed una posizione del dia» framma, che combinate producono una trasfigurazione mate» mancamente nulla, una aberrazione molto piccola ed un campo » grande; ma la superficie focale è allora sferica, essa ba il » suo centro nell’interno dello spessore del vetro, che è te reni » nato da due curvature convesse.

» 6° Il vetro menisco (a due curvature contrarie) non è con» veniente che per il caso particolare per cui venne calcolato, » l’aberrazione e la trasfigurazione che ne risultano aumentano n troppo rapidamente colla obliquità; questa forma, quando non » si vuol far uso che di un sol vetro, non è di un buon uso in » pratica.

» 7’ Con due vetri semplici convenevolmente combinati si può [p. 107 modifica]» arrivare a diminuire considerevolmente la trasfigurazione e la » aberrazione, e ad ottenere una pianezza soddisfacente per la » superficie focale sino a circa 30 gradi di campo per la foto» grafia, e sino a 3 gradi per l’astronomia; ma al di là di questo » limite questi difetti aumentano rapidissimamente.

a 8° Quando la luce incidente arriva in onde pochissimo curve, » cioè a dire quando gli oggetti sono considerevolmente lontani, » il sistema ottico può consistere in un sol vetro: ma bisogna ne» cessariamente avere due vetri quando la distanza è ridotta a » cinque o sei volte la lunghezza focale del sistema. Per le copie a di grandezza naturale il sistema deve essere simmetrico relalia vamenle al diaframma.

a 9° Un sistema ottico a due vetri, essendo costrutto per un » caso dato di distanza degli oggetti, non sarà proprio per un’ala tra distanza.

» Si può però far variare entro certi limili la sua altitudine, » rendendo variabile la posizione del diaframma, come anche la a distanza dei due vetri.

» 1 0. Non si può nulla stabilire di positivo sopra le proporli zioni del sistema, sulle curvature e sugli spessori dei vetri » convenienti per la fotografia, inaino a tanto che l’esperienza non » avrà fornito le costanti delle forinole, e determinato i limili » delle tolleranze accettabili.

a Egli è di questa esperienza che dovrebbero occuparsi seriali mente i fotografi, onde fornire agli ottici questi elementi in» dispensabili ».