Novelle (Cademosto)/Novella II

Novella II

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Novella I Novella III

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NOVELLA II.

Antonio da Piperno, indegnamente prete et barro, si fece fare una lettera in raccomandazione da Angelo romano, quale abitava in Napoli , a Luca sellaro suo fratello in Roma; la qual non parendogli scritta con quello inchiostro che egli desiderava, ne contraffece un altra a suo modo, dando ad intendere al pecorone sellaro ch’egli era il cardinale Adriano che già andò in Turchia, in modo che lo fece star forte in molti fiorini, insieme con altre persone.


Mai non mi venne desiderio, non che pur pensiero di scrivere istorie, nè men faole o novelle, salvo che ora. Nè so da che spirito mosso mi sia; conoscendo che delle istorie, il più delle fiate, siano rimproverati et biasmati li diligentissimi et accorti scrittori, dicendo, che come a loro è piaciuto et piace, hanno scritto et [p. 14 modifica] scrivano. Et questo è dato per guidardone delle loro fatiche continue, che veramente è opinione da non pensarla, non che dirla; perchè, negando l’istorie, è come dire: tu non fosti figliuolo di tuo padre. Nè meno mi son voluto trastullare intorno alle novelle , per non avezzarmi a dire le bugie, perocchè di mio natural costume sempre mi son usato dire il vero. Pur, ponendo da canto ogni mia deliberazione, ho conchiuso di descrivere una istoria, la quale ha faccia di novella et faola, che non è guari di tempo ch’avvenne in Roma, et io con parte del popolo l’abbiamo veduta et udita.

Fu adunque uno da Piperno, nominato Antonio, indegnamente sacerdote, che per naturale instinto, dalla giovanezza sua fino alla vecchiezza, con diverse maniere et modi ingannava questo et quello. Il quale un di partitosi da Piperno, et venuto a Napoli, ivi s’avviso mettere insieme una tra le sue gherminelle delle più astute che unqua si udisse, disponendosi di venir a Roma. Ma prima che di Napoli si [p. 15 modifica] assentasse, cercò d’avere da Angelo romano (il quale ivi per molti tempi passati abitava) una lettera in sua raccomandazione a Luca sellaro suo fratello, che si stava a Roma, che occorrendo a poterlo giovare, lo facesse; della quale Angelo gli ne fu cortese. Perchè, avuta la lettera, si messe la via tra’ piedi, et giunto che si fu presso di Roma, apersela, et trovata non di quello inchiostro et amore che avrebbe voluto, et conoscendo che con essa non era per trarne un frullo dalle mani di Luca, tolse per partito comporne una a suo modo, et controffare la mano di Angelo, come quello che eziandio in questo era valente. La qual lettera fu di tal tenore: Luca fratello, il verrà costi questo mio padrone monsignore, lo quale va, come isconosciuto, per certi respetti, a sue importantissime bisogna in Francia, et è un gran prelato, et tiene di molti benefici, prepositure et badie nel Cremonese et in Avignone, et credo ch’egli sia Vescovo, ma or non mi si recorda di qual vescovato. Pero avrei molto a caro, [p. 16 modifica] che per tuo bene gli facessi onore et carezze, et pregarlo quanto che puoi, che si dignasse di alloggiare in casa tua con esso teco la persona sua et duo servidori che ha con lui; et alcuni ne verranno di quivi, da Cremona et da Piacenza: et egli è per star lì in Roma qualche giorni. Le cavalcature falle porre ove ti parerà; et quando non ti trovassi in acconcio di danari per far quello che si converrebbe a un sì fatto uomo, per li sinistri casi ch’accascati sono alli tempi occorsi, nondimeno io ti conforterei, ancora che bisogno ti fosse d’impegnare et vendere quanto che tu hai al mondo, che lo facessi, per mostrarti verso lui cortese et di buono animo. Non ch’egli abbi di te bisogno, che tanti fiorini avessemo tu et io, quanti che seco ne porta, ma questo dei fare, perchè sarai felice. Tu sai che ’l si dice, che gliè buono gettar una serdella per prendere un luccio. Gli ho narrato che mi sei fratello, et parte della nostra condizione, et dettogli, che ti trovi aver un figliuolo di età d’intorno a quindeci anni; [p. 17 modifica] il quale lietamente mi rispose di volerlo esaltare et farlo uomo, et che in ogni nostro bisogno non è per mancarne, sempre farci cosa che ne fia a grado. Onde sono più che certo, facendo quello ch’io ti scrivo, che renunziarà qualchedun dei suo’ benefici al tuo Marc’Antonio. Sappi che con esso seco tengo stretta amistà et servitù, il quale in casa qui meco è per più di venti giorni albergato, et sempre mi son sforzato farmi alli suoi piaceri più largo che lungo. — Fabbricata adunque il falso rettorico la colorata epistola, fece capo in sul far della sera in piazza giudea, et ad uno di quelli giudei si vendette un suo vestitaccio di poco valore et il resto che indosso si portava, et compratasi una camiscia sottilissima, così senza altro se la misse, et ciò per dare maggior credenza a quello che s’avvisava di voler fare; perchè quando fosse venuto con quei cenci, et con una sì fatta camiscia grossa che si portava, non avrebbe avuta alcuna faccia di verità la giottonaria che s’avvisava di fare. Per il che, d’intorno poi a [p. 18 modifica] mezza ora di notte, trovò la stanza di Luca sellaro, et lui che si stava, a cui data la bugiarda lettera, la quale appena fornita Luca di leggere, lo prete monsignore , con sembiante tutto di mal contento , cominciò a dire d’essere suto assassinato et rubato, et essergli stato uccisi duo servidori, perchè volseno fare difesa, non già in quello di piazza giudea, ove venduti avea lo vestitaccio et la camisaccia, ma disse appresso alla Cisterna, castello del signor di Sermonetta. Per il che, informato Luca sellaro a bugie della condizione del medesimo, con la medesima lingua et lettera di pari et conforme mano, et or veggendolo presso che nudo, divenne tutto pietoso, et cosi cominciò a dire: Monsignore, siate lo molto ben arrivato. A cui subito rispose: non mi chiamate per Monsignore, per alcuno mio buon rispetto, ma per Adriano; che altro non era, che fingere et mostrare alla pecoraggine del sellaro, ch’egli fosse il cardinale Adriano, di cui si dice che andò già in Turchia. Per il che, maggiormente [p. 19 modifica] lo sellaro reingagliardito, et mosso a maggiore pietà vieppiù del nome di Adriano, che della finta lettera, et che di vederlo scalzo et ignudo, disse: M. Adriano, voi vi siete degnato venire in casa d’un vostro servidore, ove per fermo dovete tenere, che la persona mia et di questo mio figliuolo et di cotesta, che è mia moglie, sempre saremo presti a ogni vostro piacere et servigio; et questa casa (benchè povera sia) stimarsi d’esser la vostra. Et duolmi di non ritrovarmi in quello acconcio et buona fortuna, come che già fui dinanzi al sacco di questa città, perchè molto più agiatamente, come meritate, vi stareste. Pur se cogli effetti non potrò mostrarmivi per quanto il mio buon animo sarebbe, vi degnarete di accettare il cuore et buon volere sforzandomi sempre più farvi conoscere la servitù mia, di quello che mio fratello mi scrive et conforta. A cui Monsignore delle belle offerte gli rese grazia, da quello che gliera, standosi assiso sopra d’una panca, pur sempre con vista di tristo et mal contento, [p. 20 modifica] et così si stette una gran pezza. Per il che Luca sellaro gli puose una sua cappa indosso, confortandolo assai più che non doveva, facendo apprestare la cena et il letto, in quel meglior modo che potè, secondo suo pare, massimamente per la prima notte. Et nella propria camera che egli dormiva, vi misse lo Monsignore, et in un’altra men buona, puose il suo letticciuolo. Onde poichè di cenare si fu fornito, et scorsa l’ora debita d’ire a dormire, monna Catella, moglie del sellaro , ordinoe un bagniuolo confortativo per li piedi di Monsignore, con vino greco, lissia, salvia, ramarino et altre simili erbucce odorifere; il qual lavatosi, si messe a riposare. Lo sellaro, più tondo che acuto, la mattina seguente di subito trovatosi un sarto, seco insieme ne andoe a un fondaco di drapperia, et comperoe otto canne di pagonazzo, parte pagando et parte obbrigandosi fra pochi giorni di soddisfare, di che ne fue fatta una sottana con un mantellaccio a Monsignor de’ Barri. Et appresso, perchè al sellaro non [p. 21 modifica] divisava, al parer suo, il letticciuolo ove dormiva, Monsignore, si tolse a nolo duo materassi di bambagia, et una bella lettiera con lo suo cortinaggio, et le lenzuola sottilissime, et d’altre delicatezze appo ne fu la camera di Monsignor guarnita et profumata, studiandolo et reverendolo , come se istato fosse un cardinal da dovero, et con quelli cibi delicati che a loro mense si costumano, oltra a ogni debito naturale di mangiare. Et così secretamente per duo dì senza altra gente fu Monsignor servito. Ma parendo al sellaro mancar del debito suo, acciocchè con più magnificenzia reverito et onorato fusse, trovatisi alcuni suoi parenti, tra quali, chi esercitava l’arte del calzaiuolo et chi del sarto et del calzolaio, disse loro: venete meco che vi prego, perch’oggi spero che sia giunta l’ora della mia et anco vostra buona fortuna, tal che più non farò nè selle ne briglie. Essi maravigliati, dimandavano , perchè et come? Egli per la soverchia allegrezza che stordito l’aveva, come fuora di se, ansando guatava, nè [p. 22 modifica] parola appena formar poteva ch’intesa fosse. Pur riavuto tal volta lo spirto, diceva: e’ mi è arrivato a casa un gran prelato, che alloggia con esso meco: basta ch’io spero d’essere felice; et hammi detto di voler dare a mio figliuolo benefici; et ancora mio fratello di questo mi scrive, il qual qui me l’ha inviato. Laonde, tutto adunatosi il parentado del sellaro, conchiudendo insieme, dissero di far onore al venerabile Prelato. Venuti adunque che furono, a numero di più di dodeci persone, insieme con la cognata del sellaro, nominata Antonia, la qual, udita sì fatta ventura del cognato, si meno seco un suo figliuolo, chiamato Gioanni, cui dato aveva dinanzi a uno Lattanzio napoletano, come che per suo figliuolo, a fin che virtuoso divenesse, il quale apparare faceva mandandolo a scola: onde, senza alcuna vergogna, la bamba femmina glielo levò, et fecene un dono a Monsignor, a cui poi grattava li piedi. Giunta adunque in casa del sellaro tutta questa genologia, s’incominciò a servire Monsignore con quelle [p. 23 modifica] medesime cerimonie, che a tutti gli altri Monsignori si usano di fare. Et le vivande che di continuo se gli recavano, erano li beccafichi nella stagione del settembre, dico, et pollastri, piccioni, vitelle da latte, pappardelle, sapori d’ogni maniera, et torte di diverse sorti, et altri manicaretti delicati, infino al cotognato dopo pasto, acciò che il corpo restasse più lubrico

et odo che lo steccadente se gli portava coperto, temendo forse che le mosche nol mangiassero; et li vini più ottimi et fini che per ciascuna taverna di Roma si trovassero, quivi si beveano; et ho inteso che il cuoco de’ frati di Santa Matelica fu quello che apparò a cuocinare alla Catella, mogliera del sellaro. L’onde si stava il gran Prelato, come il lupo tra le pecore, tutto lieto et festante et medesimamente il sellaro con la sua brigata. Il quale a poco a poco avendo già lograto, con la vana speranza di farsi ricco, di molti ducati insieme con Sebastiano suo cognato, parve a Monsignore, per molto meglio colorir l’inganno, [p. 24 modifica]

avvedendosi che il sellaro era quasi giunto al verde et rovinato, per più dargli cuore allo spendere, con arte s’infinse d’essere ammalato, agiatamente standosi circa dieci giorni di continuo corcato nel letto poltroneggiando: il quale mostrava di non poter mangiare, facendosi pregare che mangiasse; ma senza preghi bevea come se infermo fusse, et mangiava come sano. Et in questa sua malattia maliziosa et gaglioffesca mai non vi volse aver medico veruno, conoscendo egli che si stava assai meglio di quello che erano li suoi meriti appresso a Dio; et ancora s’avvisava che con gli aforismi d’Ippocrate, venendovi il medico, la urina e il polso non avrebbero mostrato la qualità del vero. L’onde dimandato un notajo, fece vista di far testamento, et fingere di renunziare et lassare altrui quello che suo non era. Il qual prima a Marc’Antonio, figliuolo di Lucasellaro, provvide, renunziando a bugie, del vescovato di Monpelier in Francia; et a Gioanni, figliuolo della cognata del sellaro, della prepositura di San [p. 25 modifica] Simpliciano in Cremonese; et al suo Luca sellaro lasciò mille ducati, et al cognato Bastiano cinquecento; poscia ad alcuni altri ch’a sua presenzia si stavano, a chi tanto et a chi quanto, col mal anno che Iddio lor desse. Et la somma di cotesti danari s’avesse a togliere sovra li frutti ed intrate delli benefici et altre sue possessioni comperate in quel di Cremona et di Piacenza, perchè ancor non era suto soddisfatto del MDXXVIII. Et quando il suo falso testamento ordinava, con la voce debole et tremante, et con un berrettone in testa tirato fin sugli occhi si stava, che a vederlo et udirlo, pareva ch’ei si tenesse l’anima coi denti. Io non voglio, diceva, mancare di quello ch’hanno fatto li miei antecessori, li quali sempre furono uomini grandi et magnanimi. Adunque tu, notaio, scrive ch’io lascio a mastro Luca sellaro cinquecento altri ducati presso alli mille. Onde appena che Monsignore ebbe fornito di fare il suo falso testamento, fu tanta allegrezza del sellaro et di lor tutti quanti, che la camiscia non lor toccava l’anche. [p. 26 modifica] Poi quando parve a Monsignore di non stare più infermo, di botto si fece gagliardo , mostrando ch’egli era di fortissima natura. Et perch’il tempo s’avvicinava , anzi di poche ore era vicino, che egli voleva partir di Roma, et con esso seco menar costoro in Francia, acciocchè cotesti sciocconi stessero tutta via più forti nella lor credenza et melensaggine, per il che ordinoe che si togliesse a pigione una bella casa, capace et commoda per d’intorno a quaranta persone, affinchè nella ritornata sua a Roma, di subito si potesse alloggiare, et ch’altro non fosse di bisogno che paramentarla. Et così fu fatto, et data l’arra di quattro ducati d’una casa presso santo Agostino, vicina a quella che fu della buona memoria di M. Melchior Barlasina. Ora la Catella moglie del sellaro, avvisandosi che Marc’Antonio suo figliuolo vescovo fusse, per cui già era apparecchiato il cappello et comperato, tolse quattro anella che già a marito portoe, et donolle a Monsignore, in cambio di quello ch’aveva fatto et che di continuo faceva [p. 27 modifica] al suo figliuolo. Et ancora l’Antonia cognata del sellaro, per ricompensa et amore della prepositura data al suo figliuol Gioanni , altresi gli donoe quattro camiscie di bella cortina, et alcune paia di faccioletti lavorati a meraviglia al suo Monsignore. Et tutto che cotesti doni fussero bassi al l’altezza d’un sì fatto uomo, nondimeno accettavagli volontieri, per non mostrarsi altiero nè superbo, promettendo loro molta speranza di futuro bene. Ora peggio con questo n’avvenne, che ’l stolto sellaro, più pazzo che savio, il giorno vegnente che Monsignor de’ Barri dinanzi aveva fatto il suo testamento, si vendè una vigna ch’aveva di costa su a san Bastiano, per ducento ducati, che al minor prezzo era stimata presso che trecento, et appresso gli stromenti et mobili di bottega, parte a chi donoe, et parte a chi vendè, acciocchè non avessero a mancare le delicate vivande, nè a chi Monsignor servisse. Onde avvenne che la provvidenza d’Iddio, che mai alcun male non lassa impunito, la scelleraggine di questo rubaldo fu scoperta [p. 28 modifica] in cotal modo: ch’avendo, come abbiamo detto, la Antonia, cognata del sellaro, dato Gioanni suo figliuolo per servidore, et ritoltolo da Lattanzio, a cui agramente incresceva di perderlo, avendolo tenuto per molti mesi, et ne’ tempi della carestia nudritolo, et addrizzatolo assai bene a servirsene, et apparatoli di leggere et scrivere; onde più volte Lattanzio, dimandato alla Antonia quello che di Gioanni fosse, la qual rispondeva, come meravigliata, che veduto non l’aveva, di ciò seco fingendosi dolente. Pur esso non cessava d’andar spiando per ritrovarlo, dubbioso che li soldati forse non gli l’avessero sviato, però che Roma allora ne stava piena, et atteso che il garzone era disposto et agevole per poter passar per mezza lancia spezzata. Ora, abbattutosi un giorno in ponte Lattanzio, et Gioanni, che andava a comperar delle frutta per il suo Monsignore, Lattanzio gli disse: vien qua, ghiottone, dove vai? et perchè ti sei fuggito da me? et dove stai? Rispose che sua madre l’aveva acconcio con un uomo dabbene che [p. 29 modifica] alloggiava in casa di Luca sellaro, presso al palagio di Siena. Il qual volutolo con buone parole far ritornar seco, non volse, ma si dette a fuggir da lui quanto più potè. Per il che egli più infuriato ritornoe un’altra volta alla Antonia, et disse: buona femmina, non v’accontentaste, et non fummo noi di pari volontà di darmi, come che per mio figliuolo, Gioanni vostro figlio? Et chi è cotesto che alberga in casa di Luca vostro cognato, a cui dato l’avete, togliendolo a me? Deliberate ritornarlomi, ch’io mi dispono di riaverlo. Donna Lisetta, non sapendo altro che si dire, rispondeva, di ciò nulla sapere, et fingendosi sdegnata, voltavagli le spalle, come quella che conceputo nell’animo aveva, che Gioanni avesse ad esser l’occhio dritto di Monsignore; et che Lattanzio un altro per se ne procurasse, avvisandosi ella che tosto si farebbe una bella guarnaccia o una pelliccia con le intrate della prepositura renunziata a parole da Monsignor al suo Gioanni. Per la quale cosa Lattanzio, tutto adirato et [p. 30 modifica] dalla desperazione aiutato, andoe al Governadore la sera ultima che il Barro la vegnente mattina doveva partir di Roma col sellaro et li nominati; et narrogli, non sapendo però la condizione del Barro, ma a ventura d’egli si dolse et disse che in casa di esso sellaro vi si trovava un uomo di mala vita et fama et che gliera un mariuolo. Per il che, venuta in sul far del giorno la sbirraria, et ivi trovati in acconcio per partire il Barro con quattro cavalli sellati, l’uno de’ quali et il più bello per la persona sua et gli altri tre per li predetti, li quali tutti quattro menati furono nelle carcere di Tor di Nona. Onde primamente il sellaro dal Giudice interrogato fu, chi cotest’uomo era, cui albergato aveva, et con quale intendeva di andar seco a viaggio. Rispose che Angelo suo fratello scritto gli aveva da Napoli molte ampiamente in commendazione del predetto, il qual forse, quando conosciuto l’avesse, non l’avrebbe incarcerato nè fattogli tanto vituperio. Lo giudice, fattosi portar la lettera contraffatta, et di quella [p. 31 modifica] il tenore compreso, et trovandola troppo affettata, non gli diè credito, ma fatto venire il Barro, et legatolo alla fune, cominciò a dimandare chi egli fosse, et intorno a ciò bene ad esaminarlo. Il cattivello, per paura di non esser martoriato, et più siando vecchio, di subito prima confessoe della lettera a suo modo et di sua mano scritta et ordinata, et tutto quello che per ingannare questa grossera gente tramava, et d’altre cose che s’avvisava di voler fare, con fingere di condurre con esso seco costoro alla prepositura di Cremonese, con ciance a Gioanni renunziata; et da indi di Monpelier, et poi in Francia al vescovato medesimamente resignato a Marc’Antonio, dando loro a credere che in questi paesi si darebbero bel tempo di continuo, fino al suo ritorno di Roma, facendosi servire da più uomo da bene per viaggio che non era, andando, vivendo con sollazzo per le taverne, infino a tanto che il rimanente delli danari della vigna fussero goduti et logorati. Et che così cavalcando di cittade in [p. 32 modifica] cittade, et di castello in castello, avrebbe tessuto d’altre tele et gherminelle. Udita adunque il Giudice et conosciuta la ghiottonaria, liberò tutta tre gli innocenti compagni di Monsignor de’ Barri. Ma prima che si partissero da lui, si fece distesamente raccontare tutti i modi et le manere che tenette questa corona de’ rubaldi, quando arrivò in casa loro. Et prima gli fu detto che venne in camiscia, senza altro intorno et scalzo, dando la lettera finta a Luca; et il modo et gravità che esso teneva a farsi servire, et le varie et delicate vivande che alla mensa sua si mangiavano; et che con poche parole, senza alcun strepito quivi si stava; et che insino lo steccadente se gli arrecava coperto; et mai non usciva troppo di casa, se non che la mattina in sul far del dì, quando fingeva di andare a messa; et ancora quando non volse che si chiamasse per Monsignore, ma per Adriano, per mostrar che egli fusse il cardinale Adriano, che si partì di Roma. Ma questo fu a far crepare delle risa il Giudice et tutti li birri, quando [p. 33 modifica] udirno le manere e’l modo che tenne a far il testamento; et la sottana et il mantelaccio di pagonazzo fattogli dal pecorone del sellaro subito la vegnente mattina che a Roma si giunse; et che la moglie d’esso sellaro donoe a Monsignore quattro anella, tenendo ferma credenza che Marc’Antonio suo figliuolo fatto vescovo fusse, a cui il cappello stava in casa comperato; et appo la cognata madre di Gioanni, credendo ch’egli avesse ad esser preposito, appresentoe al predetto Monsignor le quattro camiscie et moccechini lavorati a meraviglia. Le quai cose si riebbero per ventura et non per senno, per essere Monsignore in luogo che por suso non gli potea le mani, perchè erano nella valigia in acconcio per farle mutare aera; ma le anella si smarrirono, come l’anime che tengono poco luogo; nè per ben che la moglie del sellaro venesse ivi dinanzi al Giudice a dimandarle et gridare, niente di meno il valent’uomo si stava saldo come una torre, negando di non averle avute, et la meschina, non possendo provarlo, ebbe pazienzia, [p. 34 modifica] col giuramento di lui che mille di falsi per minor cosa tolto n’avrebbe. Udita adunque il Giudice tutta la bella faola, si conchiuse un sabato mattina che a Monsignore vi fussero troncate le orecchie, scopato et mitriato; et maestro Luca sellaro tornasse a fare le sue selle et briglie; et che Bastian suo cognato, calzante, altresì facesse il suo mestiero; et che Lattanzio riavesse Gioanni senza la prepositura , et per non essere Marc’Antonio in età perfetta, avere non dovesse il vescovato per allora.