dendosi che il sellaro era quasi giunto al verde et rovinato, per più dargli cuore allo spendere, con arte s’infinse d’essere ammalato, agiatamente standosi circa dieci giorni di continuo corcato nel letto poltroneggiando: il quale mostrava di non poter mangiare, facendosi pregare che mangiasse; ma senza preghi bevea come se infermo fusse, et mangiava come sano. Et in questa sua malattia maliziosa et gaglioffesca mai non vi volse aver medico veruno, conoscendo egli che si stava assai meglio di quello che erano li suoi meriti appresso a Dio; et ancora s’avvisava che con gli aforismi d’Ippocrate, venendovi il medico, la urina e il polso non avrebbero mostrato la qualità del vero. L’onde dimandato un notajo, fece vista di far testamento, et fingere di renunziare et lassare altrui quello che suo non era. Il qual prima a Marc’Antonio, figliuolo di Lucasellaro, provvide, renunziando a bugie, del vescovato di Monpelier in Francia; et a Gioanni, figliuolo della cognata del sellaro, della prepositura di San