Novelle (Cademosto)/Novella I
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NOVELLA I.
Egli non è ancora guari di tempo, che fu in Pelestrina un mugnaio, chiamato Ghidotto, che con il suo mulino ivi s’esercitava , ove d’intorno i vicini venivano due et tre miglia per macinare non v’essendo a loro agio più presso di altro mulino che quello. Ora avvenne che una bella giovane, vedova, di ventiquattro anni senza più, Laura nominata, si partì da Cavi, castello due miglia lontano da Pelestrina, et venne al mulino un giorno sul tardo, per far macinare un poco di grano, che
seco sopra un asinello portato s’aveva. La qual da Ghidotto veduta, et stranamente piaciutale, tutto di libidine il gaglioffo s’accese. Et seco deliberando d’attaccarle l’uncino, con parole et favole l’andava intertenendo, per prolungare ’l tempo fino alla notte, mostrando lei, che ’l grano che portato aveva, stava umido, et che la mola non era bene in acconcio per poterla sì tosto servire, chente ella desiderava: in modo che l’avviso et desiderio di Ghidotto, la notte la sovraggiunse. Perchè tutta di mala voglia si trovava, et egli allegro et contento, mostrandosi però l’avere a noia del suo dispiacere. Laonde Ghidotto, volendosi d’indi partire per ritornare a casa, le disse: donna, non vi pigliate affanno, perchè, piacendovi, per questa notte potrete dormire con mia mogliera, amendue sole in un letto. Per la qual cosa Laura congiunta alla mezza ora di notte, et già surto un mal tempo, sì che una grossa et spessa gragnola s’incominciava a venire, perchè costretta da necessità, fu contenta di fare ’l volere di Ghidotto.
Et partitonsi amendui di compagnia con l’asinello, giunsero alla stanzia lungo la via del mulino un tratto d’arco. Ove trovato Ghidotto la Lisa sua mogliera, che così avea nome, le disse chi era la femina che seco menato avea, e ’l come e ’l perchè, et che ella mettesse in acconcio un letticciuolo, al meglio che si potesse, in una cameretta presso la sua ove ch’egli con essa si dormiva, acciocchè per quella notte la giovane vi potesse giacere. Et tolto Ghidotto l’asinello della Laura per il capestro, lo mise ivi presso con dui altri ch’egli avea. Per il che la Lisa, veduta costei sì bella, divenne tantosto gelosa; et temendo ch’il marito non le volesse por la diadema del capricorno in testa, prese per partito a suo diporto un nuovo et bel sollazzo. Et questo fue, che avendole Ghidotto comandato che la rifacesse il letto nella cameretta a canto la sua, il che ben fece ma artatamente. Perocché, cenato ch’ebbero tutta tre di compagnia, Ghidotto si ritornò al mulino, attendendo l’ora per tornarsi poi a stare ’l
rimanente di quella notte con la Laura, come divisato avea; il che non gli reuscì. Perciocchè in quel tempo che Ghidotto colà si stava, la Lisa fece coricare Laura nel letto ov’egli con essa si dormiva, et ella si pose nell’altro rifatto per la Laura. Revenuto adunque Ghidotto, et trovato ’l lume spento, et ciò fatto dalla Lisa senza indugio cautamente, posto ch’ebbe la Laura a giacere, et questo per non volere esser veduta da lui, retornato ch’ei fosse a casa, il che altresi piacque a Ghidotto. Et anco, prima ch’ella si corcasse, serrò l’uscio a chiave ove si stava Laura a dormire, acciocchè, volendo là entro intrar Ghidotto, non potesse; la qual cosa di gran lunga era aliena dall’animo di Ghidotto. Et che sia il vero, egli di diritto si venne alla camera divisata da esso, ove si credeva che vi fosse la Laura. Perchè aperto l’uscio, che solo si stava serrato con il saliscendo, et intrato pian piano, sì per non essere sentito dalla Lisa, nè men conosciuto dalla Laura, si pose poi, fuora d’ogni sua credenza, a giacere a lato la Lisa, che tutta
giuliva si stava, sì che la camiscia non le toccava l’anche, conoscendo di far una tal vendetta contra ’l marito. La qual, intrato ch’ei si fu nel,letto, s’incominciorono a sollazzare, sì che presero diletto alla muta una gran pezza, et più di quattro miglia, fuor dell’usanza di Ghidotto, camminarono. Tal che, avendosi la Lisa come che contraffatto il capo con un’altra cuffia diversa a quella ch’era avvezza di portare, et anco altramente con nuovi atti et gesti nella palestra di Venere a dimenarsi, che più oltra Ghidotto non pensando, la Laura esser si credette. Per la qual cosa il cattivello, già affaticato et stracco per molti giorni addietro per il macinar, del grano, sì ancor per la questione fatta, fuor d’ogni sua credenza, con la Lisa, si rese pregione, non sapendo a cui. Il qual, prima ch’apparesse il nuovo giorno di due ore, si levo dal letto, acciocchè per la chiarezza di quello, non fosse dalI’una nè dall’altra delle due femmine conosciuto. Il qual poi partitosi per tornar al mulino s’abbattė per via con un suo
compar frate Stefano, che di buon tempo si stava mezzo che guasto di Lisa sua comare. A cui Ghidotto, salutatolo, disse: compare mio, l’amore che vi porto et ho portato già gran tempo, mi stringe a dirvi (ma come s’io mi confessassi da voi) una consolazione che m’è avvenuta esta notte, avendomi tolto i più dolci baci e ’l più bel diletto con la più avvenevole giovane ch’io conoscessi mai in tempo di mia vita. Laonde se vi piace d’averne la vostra parte, io ve l’offerisco: et Iddio me lo perdone; perocchè per farvi cosa che a grado sempre vi fosse, io farei et direi peggio per vostro amore che questo. Perchè, volendo, voi andate tosto ivi a casa mia, acciocchè la non esca del letto per girsene a casa sua; et troverete la porta di strada serrata solo appresso; poi a man sinestra della camera mia, intrarete in quell’altra a canto, alzando il saliscendo piano, che la Lisa non vi senta, sicchè fate, com’io so che saprete fare. Il buon frate compare, ch’aveva la conscienzia aguzza et la ventura ritta, come
hanno gli altri frati et compari, nel dir delle parole di Ghidotto, sì focosamente s’accese, che gli venne un tal sfinimento di cuore, che par che si morisse. Il quale, senza indugio, con poche parole lo ringrazioe, et ivi venuto, trovando gli usci in quel modo ch’il compare detto gli aveva, intrò dentro, et trovata la comare Lisa, et vedutonsi l’uno et l’altro, perocchè ’l giorno già per tutto chiaro faceva, maravegliaronsi amendui. A cui disse la Lisa con bassa et rotta voce: che andate voi cercando da questa otta, compare? Il qual, come istordito, rispose: oh! io il vi dirò; il compar Ghidotto testè m’ha detto, ch’io venisse qui et tosto, et che vi troverei una giovane, con la quale egli dice aversi dato bel tempo questa notte. La Lisa sogghignando, rispose: egli ben s’avvisava che la bisogna andar dovesse a questa guisa, come che il caprone s’è avvantato con voi, ma non ė suto così; però ch’esso, credendo l’altrui terreno lavorare, ha lavorato il suo. Et dettogli questo, appo tutto il resto
della piacevolezza gli narroe, in modo che delle risa amendui si smassellaveno. Et con questa si fatta allegrezza, prese ’l compare sigurtà et ardimento di manifestarle l’amoroso suo desiderio, pregandola che della sua santa affezione gli dimostrasse qualche gratitudine, et che allora era opportuno il tempo, senza temenza alcuna dell’onore, né di lei, né di lui. La Lisa, raccolto in un pensiero, che il compar diceva il vero dell’amore che portato le aveva et di nuovo portava, quasi come vergognata, gli ebbe compassione; et contenta, di pari volontà presero piacere insieme, ma alla fuggita, per non esservi l’agio, con il sospetto che Ghidotto non retornasse a casa, o forse altra persona; benchè poi più volte si retrovorono insieme a sollazzare. Affrettatosi adunque il frate, mezzo che contento se n’andò via senza indugio; et tanto più tosto, quanto che già la Laura del letto s’era levata per girsene a Cavi. La qual, volendo aprir l’uscio della camera ove la si giacque, et trovandolo serrato a chiave, picchiò; et
apertole dalla Lisa, delli piaceri recevuti, insieme con il mugnaio ringrazioe, et dimandatole quello che fosse di lui, rispose, che al mulino lo troverebbe. Laonde la Laura, accomandatola a Iddio, tolto ’l suo asinello, et inviatasi là, trovò ’l mugnaio che fornito non aveva ancora di macinare il grano che dato gli aveva, con la credenza altresì la pecora d’avere macinata lei la passata notte. La quale volendo della macinatura del grano pagarlo, nulla da lei volle; anzi gran colmo et grossa misura le fece, parendogli d’esserle obbrigato di quella dolce cosa che v’ho detto, di cui aggabbato si rimase. Postole la farina sopra l’asinello, la si ritornò a Cavi tutta pudica et casta, e forse di ciò mal contenta. Ghidotto poi revenuto; a casa all’ora di desinare, et trovato la Lisa ch’il desco aveva apparecchiato, et con un paio di uove fresche, il qual assisosi per mangiare, ella disse: tuò, sorbi queste uove, che l’hai molto ben meritate questa notte. Esso mostrandosi un altro: et come holle io meritate? Rispose
essa: non sai tu, sciaurato, quella che qui conducesti iersera, con la qual credevi menare il mondo a tuo modo, che non ti venne fatto? Però che volendo tu, reo uomo, scaricar le some in un luogo, in uno altro le scaricasti. Et non ti bastava ingiuriar me, che sei divenuto ruffiano. A che modo ruffiano? rispose egli. Et essa: perchè faceste tu venir qui esta mattina, appena apparuto il giorno, frate Stefano nostro compare, a che fare? Ma alla croce di Iddio! io te ne pagherò. Sappi, che s’io fossi stata una rea femmina e una melensa, come sei tu reo uomo et pazzo, senza vergogna et timor d’Iddio, et avessi guardato al tuo poco senno, quando il compare mi venne qui al letto avrei fatto con esso quelle ch’hai tu cercato di fare con quella poltroncella; ma ho voluto avere più riguardo all’anima et onor mio, che tu fatto non hai. Et sappi che nè al compare, nè a te è reuscito il vostro pensiero; perocchè egli a coda ritta ci venne, e a coda ritta essene retornato; et tu meco, a tuo dispetto, ti sei
giaciuto questa notte, avvisandoti d’essere istato con un’altra, l’onde ti mostrasti cosi poderoso et gagliardo poltrone. Ma se tu segui a coteste tue gagliofferie io ti renderò pan per schiacciata. Ghidotto, fornito di mangiare, con il mal pro che gli fece, si partì dal desco turbato et vergognato, senza altro rispondere, per venire al mulino. Et rincontratosi per via con il suo compare frate Stefano, il qual con esso molto si dolse, che a cotal guisa ischernito l’aveva, dandogli ad intendere lucciole per lanterne, avendogli detto che nella camera vicina, ove che esso Ghidotto si dormiva, vi troverebbe quella giovane, et non vi trovò, ma che la comar Lisa, la qual tutta crucciata gli disse una gran villania. Perchè, avendolo agramente il compar frate ripreso, mostrandogli aver di ciò conceputo molto sdegno nell’animo, et partitosi da lui, senza pur dirgli addio, nè men ringraziarlo delle corna che in capo posto gli aveva il frataccione, il qual lassatolo insieme con le beffe di monna Lisa, andò a far penitenzia del suo gran
peccato. Però ciascun si guardi dalle astuzie de’ scellerati frati, et da quelle delle malvagie femmine, perchè quando vogliono, fanno il diavolo.