Novelle (Cademosto)/Novella III
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NOVELLA III.
Il più delle volte avviene a chi va per viaggio qualche infortunio, come, nè è ancor guari di tempo, che uno speciale romanesco, nominato Pietro, il quale soleva fare traffico et mercatanzia di mele, più che d’altra cosa che si facesse, et or qua et là andando intorno alle castella et terre di Roma, comperando assai copelle ove l’api fanno ’l mele, perchè partitosi un dì di Roma, andoe a Cretone ad un suo amico, chiamato Antonio, per avere di queste copelle; et ritrovato, pregollo che lo volesse servire co’ suo danari di
qualcheduna; al quale promesse che per fine a dieci gli ne darebbe, et che di più non poteva, nè men sapeva chi nella terra fusse che n’avesse; ma s’egli voleva, l’inviarebbe a Castel Chiodato, distante da Gretone quattro miglia, et che ivi ne arebbe da un suo cognato: onde di ciò lo ringrazioe. Perchè Antonio scrisse al predetto , pregandolo che allo speciale gli ne facesse avere; et dato lui la lettera, appresso lo prega che voglia menare a questo suo cognato duo bracchetti. Il qual, tolta la lettera et li cani, si messe la via tra’ piedi, già in su la sera intorno alle ventidue ore et mezza. Et appena camminato due miglia, surse un malvagio tempo, çon tuoni spaventevoli et ardentissimi lampi, con, appo una grossa gragnuola; nè quivi luogo era ch’al coperto trar si potesse, non scorgendo ove ch’e’ si fusse, se non che, pur talvolta con il lume del baleno comprendeva poco o niente la via. Et essendo già vicino la mezza ora di notte che camminato aveva, anzi trottato, tutto fuor di se medesimo si trovava. Pur
questo per avventura gli avvenne, perocchè arrivoe a una casaccia, presso al castello un miglio, alla quale d’una parte vi stava una acqua corrente, perchè quivi era solito di essere un mulino, in maniera, che ancora vi sono alcuni pezzi di rota, et dentro la casa vi si trova il solaro tutto vecchio, ove stava la pietra che macina ’l grano. Il che, scorgendo lo speciale solo con l’aiuto del lampeggiare, la mala commodità del luogo non molto esser in acconcio del suo bisogno, ritrovandosi solo con l’acqua, anzi tutto in compagnia dell’acqua, divisò che lo starsi alla pioggia era il peggio. Onde conchiuse di restar quivi per tutta quella notte, ancor che dubitasse di qualche lupo, o d’altra mala gente: al quale, per più suo travaglio, cominciò la pioggia a cessare. Perchè, mutato consiglio, con la disperazione tolse per partito di volere al castello arrivare, ancora che dal cielo non che acqua, ma lance piovere dovessero, sperando di tosto giungervi, perocchè da indi al castello più di un miglio non vi era. Il quale,
appena camminato in mezzo, pervenne al piè della montata. Perchè di subito recominciò a piovere; et non quasi asceso duo balzi del colle, non poteva comprendere alcuna vestigie nè pedata di via, per la molta oscurità, in modo che non sapeva che si fare, nè d’ire più oltra o retornarsi a drieto, seco pensando, tutto ch’arrivasse al castello, le porte d’esso troverebbe serrate; et se alla casa del mulino ritornar volesse, era il luogo rovinato et mal securo. Pur si elesse, tutto mal contento, bagnato et agghiacciato, tra li duo mali il minore, ritornare alla casa del mulino, e più pazientemente ch’ei potè, a quella rivenne. Et al buio ritrovandosi, al meglior modo ch’ei potè et seppe, assalito sovra la tramoggia del mulino, cominciò a ringraziar Iddio, et tutto in se raccolto et ristretto con li cagnoletti si stava, desiderando che tosto il nuovo giorno si facesse. Avvenne poi che di subito un’altra volta senti rinforzare un nembo di grossissima acqua, con tanto spavento, che mostrava che il mondo si dovesse dissolvere. Per la
qual cosa rempaurito et come morto si stava. Ma quello che più gli fece raddoppiare la paura, fu una lamentevole voce, che ansando, diceva: ohimė! ohimè! Per la quale si pensava che fusse qualche spirito diabolico. Ma il cielo mai non abbandona che solo li desperati. Poichè la voce fu cessata, sentì, ma non vide così di subito, ivi dentro intrare una persona, et dopo quella un’altra con il calpistio de’ piedi, soffiando et scuotendosi l’acqua da dosso. Et questi duo, l’uno era un frate, del quale, per non vituperare il resto di loro, passaremo con silenzio chi fusse sua religione, l’altra persona fu una femmina, la quale un paniere in testa si portava. Onde giunti che furono, il frate misse mano a uno acciaiuolo che seco si portava, et facendo del fuoco, accese un moccolo, et con alcune canne et pezzi di tavole ch’erano ivi, si fece un ampio fuoco. Dappoi con il lume lo speciale conobbe ch’egli era un frate, et l’altra una bellissima giovane. Dopo il buon frataccione, recatosela in grembo, più di mille
vezzi et basocci gli faceva. La quale tutta giuliva si stava, benchè infino alla camiscia fussi molle; pur desiderosa di sonare il paffero stava queta. Ma il buon padre pien di carità, levato uno sciugatoto del panieri, gli asciugava il petto con le poppe, et per ogni asciugatura gli toglieva un bascio. Laonde volendola far colcare non a fin ch’ella dormisse, ma che si stesse svegliata, et per scaricare il balestro una volta, prima che mangiassino di quello che seco nel panieri portato aveva la donna, ma la ria fortuna fu contraria ad ambedui, et favorevole allo speciale. Perocchè esso, per non esser veduto da loro, più chei potea, si ritraeva in drieto, appoggiandosi a quelle tavolaccie della tramaggia mal commesse et schiodate l’una dall’altra, già per molto tempo ivi poste: in modo che con il troppo puntellare con la schiena, per non essere veduto, fu per cadere. Et caduto sarebbe, se non che si aggrappò ad un travicello che nel muro si stava sopra la tramoggia, che forse, se quello suto non fosse, si sarebbe
fiaccate le spalle. Per la qual cosa, con questo schiamazzo et furore, il frate et monna mal venuta et peggio ficcata si diedero spaventati a fuggire, non sapendo la cagione dello strepito, et forse dubbiosi di qualche spirito, ivi lasciando il paniere. Perchè lo speciale di maraviglia stupefatto ciò vedendo, et quasi come strasognato, contento sì per il fuoco fattogli, il quale tutto era pien di freddo, sì perchè vidde che nel paniere vi era un fiasco et del pane, che ancor non aveva cenato, di botto disceso dalla tramoggia, et tolto di quelle tavolaccie che ivi erano, alla porta al meglio ch’ei potè le commesse insieme con grossissimi sassi. Et ciò fece per più securezza de’ lupi et d’altre persone; et forsi che il frate non ritornasse con la giovane a togliere quello che ivi portato avevano, che egli goduto s’aveva; et ancora per fornire quella cosa che la paura et dappocaggine, spaventatisi subitamente, li divise; la qual fu buona cagione dello acconcio et ristoro dello speciale. Il quale, scoperto il paniere, et tolto il fiasco pieno di buon vino corso, et trovatovi duo grossi
polli bene arrostiti et allardati, con quattro pani freschi et bianchissimi, onde presso ogni suo dispiacer si dette a ridere et a mangiar con li suoi cagnoletti et scaldarsi. Et di quelli che portato questo ristoro gli avevano, non si curò più oltra, attendendo a godere con la pioggia et la disgrazia delli duo sciagurati la sua buona sorte, con speranza che tosto si facesse giorno. Perchè non appena cominciò apparir l’ultima stella e dar luogo la notte, che fuori si sbucò, senza altrimenti aprire chiavistello alla porta; e dove che ei si andasse, non vi so dire. Et ancora chi volesse sapere il successo della dolcitudine del mele che lo speciale desiderava d’avere, nè anco questo vi so dire. Et se alcuno altro via più curiosamente volesse intendere come avvenne, et a che reuscitte quell’ altra dolcezza melata et zuccherata del frate che venne a coda ritta, et della sua drusa con il paniere pieno di buone cose et lei di molta foia, nè men cotesto vi posso dire. Ma vi basti sapere che il frate era frate, et la donna non era donna, ma puttana.