Lettere (Bentivoglio)/La nunziatura di Parigi
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III
LA NUNZIATURA DI PARIGI
Lettere diplomatiche dal 1616 al 1621
I
Della disgrazia familiare toccata al maresciallo d’Ancre.
Della sua potenza a corte. Colloquio avuto con lui dal Bentivoglio.
Io sono venuto qua in congiuntura d’una grand’afflizione del marescialle d’Ancre e di sua moglie per la morte della loro figliuola. Avevano disegni alti sopra di lei, cioè d’acquistar col suo matrimonio un appoggio di qualche gran casa in questo regno, e ne sarebbe succeduto loro l’effetto, perché, come Vostra signoria illustrissima sa, in mano loro è al presente questa corona, e quel ch’era prima favore s’è convertito in assoluta autoritá. Essi hanno rinovato i ministri ed essi gli maneggiano a modo loro. La marescialla però non sa ancora niente del caso, perch’essendo ella oppressa da un lungo male, e parendo ora che cominci a migliorar alquanto non vogliono dare occasione al male di esacerbarsi con questa nuova.
Io ho visitato il marescialle, e gli ho dato la lettera di Vostra signoria illustrissima, l’ho accompagnata con quell’officio che conveniva, mi son condoluto seco ancora in nome di lei della perdita ch’ha fatta per il dispiacere che gli ho detto che da lei ne sarebbe sentito. Egli mostra d’aver ricevuto il colpo con molta franchezza d’animo, e quanto alla persona di Vostra signoria illustrissima mostra grande osservanza verso di lei, come anco un ossequio grande verso Nostro Signore ed un zelo particolare verso le cose ecclesiastiche. Lo ringraziai parimente degli offici che fece perché si levasse l’intoppo che s’era attraversato alla mia prima audienza. Di che egli mostrò di ricever molto gusto e prese occasione poi d’entrar nella materia, concludendo in sostanza che bisognava ritrovar qualche forma di reciproca sodisfazione. Non discese egli però a particolare alcuno, solo che disse di certo proposito che veramente quanto ai ministri c’era differenza dal portar parola al rappresentar la persona, volendo inferire che i ministri che venissero mandati qua dal re non portavano con loro la persona ma semplicemente la parola di Sua Maestá. Io stetti sui generali, e mi fermai solamente sul dire che Sua Santitá non pretendeva niente di piú di quel che si fosse usato coi miei predecessori.
Quanto alla nominazione al cardinalato dell’abbate di Marmottier, né il marescialle né altri m’han parlato sinora; spero che intanto arrivará a Roma il signor cardinale Ubaldini e che rappresentará a Vostra signoria illustrissima quanto sia per riuscir scabroso questo negozio; veramente il miglior modo di regolarlo è di procedere in maniera che il marescialle e sua moglie non sperino troppo né disperino affatto, ed aspettare intanto quel che faranno le cose in questa corte soggetta, come Vostra signoria illustrissima sa molto bene, a meravigliose mutazioni. Che se volessimo levare ogni speranza al detto marescialle e sua moglie, ciò sarebbe un irritargli a grandissima indignazione e farci avverse le loro nature sdegnose difficili piene di fasto e troppo assuefatte qui ad ottenere quanto sanno desiderare.
Parlò meco il marescialle ancora di questi tre nuovi ministri come di sue creature, e mostrò gusto grande delle lodi ch’io dava a Mangot e Lusson ch’avevo di giá visitati, dicendomi ch’averei occasione anche di stimar piú Barbin, perché egli in abilitá di maneggi grandi poteva esser maestro degli altri due. Questo Barbin è ora il ministro di maggior autoritá, ed egli principalmente ha fatto cadere il presidente di Vaer.
Il marescial d’Ancre ha poi dato egli stesso la nuova della morte della figliuola a sua moglie, che ne mostrò gran dolore al principio, ma poi ha mostrato molta costanza.
II
Intercessione del Bentivoglio presso la regina madre a favore del Nevers. Colloquio del Bentivoglio col vescovo di Luçon. Il maresciallo d’Ancre ed i nobili di Francia. Sentimenti del re verso il maresciallo.
Uscí poi la dichiarazione contro Nevers che Vostra signoria illustrissima riceverá a parte. Questa dichiarazione ha commossi qui gli animi grandemente ed ha fatto nascere vari sensi. Accennai con le mie passate a Vostra signoria illustrissima l’officio che aveva passato meco la duchessa di Longavilla, affinch’io m’interponessi con la regina per Nevers suo fratello, ed accennai ancora la mia risposta. Venne poi tre dí sono la medesima duchessa a trovarmi, e con grandissima istanza mi ricercò di nuovo ch’io volessi parlare alla regina accioché si lasciasse di procedere contro Nevers con quel rigore che portava la dichiarazione, ma che piú tosto si ricevessero da lui per le vie soavi quelle sodisfazioni che fossero giuste. Giudicai di dover condescendere alle sue preghiere, stimando che il far buoni offici in favor d’un prencipe cattolico ed il procurar la pace e la quiete fosse cosa dovuta alla qualitá del carico ch’io esercito, e della persona ch’io rappresento. Il giorno appresso dunque parlai alla regina e gli diedi conto di quanto aveva trattato meco la duchessa predetta e passai poi con Sua Maestá l’officio che conveniva, e con tal risguardo in particolare che la Maestá sua potesse conoscere ch’io mi movevo principalmente col fine del servizio del re e della Maestá sua, e perciò procurai prima di scoprire il suo senso per dovervi aggiustare poi l’opera dal mio canto in quello che fosse occorso; la regina mi ascoltò con grandissima attenzione, e mostrò d’aggradir molto il termine sincero ch’usavo con lei, e mi parlò poi a lungo sopra la materia con gran confidenza.
Quanto alla risposta da doversi dare alla duchessa di Longavilla Sua Maestá mi disse che io averei potuto dirgli che la dichiarazione medesima insegnava il modo a Nevers di dar sodisfazione al re; che il venir in pratiche ed in trattati non si sarebbe mai consentito; che la necessitá aveva costretto il re a pigliar la via del rigore dopo che le vie dolci non riuscivano, e che quanto a lei non averebbe potuto se non aver molto caro che Nevers si fosse ridotto alla debita obedienza e rispetto verso il re per amore, e non ci avesse ad esservi tirato per forza. Mi disse a parte poi liberamente Sua Maestá che non credeva che Nevers avesse punto voglia d’accomodarsi, ma ch’il suo disegno fosse d’unirsi con gli altri mal contenti e di turbare di nuovo la Francia, e veder se fosse loro potuto riuscir di farsi tanti piccioli re, ciascuno nella provincia del suo governo. Contro il qual lor disegno mi disse Sua Maestá che se n’era fatto un altro sí risoluto dalla parte sua e del re che questa volta o le Maestá loro si dovevano perdere o perdersi questi perturbatori del loro regno e riposo. Fece poi meco la regina querele grandi del procedere di Nevers, esagerò tutti i suoi mali portamenti che si contengono nella dichiarazione; disse ch’egli sotto maschera di mezzano aveva fatto peggio negli ultimi movimenti che se egli fosse stato unito con gli altri ch’avevano prese l’armi contro il re, e ch’era pieno d’ambizione di superbia e di vanitá. E perché io replicai alla regina che pur s’era veduto ch’egli se n’andava in Germania ed aveva in testa quell’impresa d’Oriente quando fu ritenuto Condé, e che s’egli avesse avuta cattiva intenzione non si sarebbe separato dagli altri, Sua Maestá mi rispose che a lui non erano allora ignote quelle trame che si ordivano, anzi ch’ebbe a dire che non vi si voleva trovar presente, ma che il suo disegno era di tornar indietro e d’esserne a parte s’avessero avuto effetto. E perché in certa occasione ancora io dissi che Nevers si era pur sempre mostrato buon cattolico, Sua Maestá mi replicò ch’egli insieme con gli altri s’era servito della religione per coperta, soggiungendomi che se fossero buoni e zelanti cattolici starebbero uniti col re, e che a questo modo si darebbero agli eretici le leggi che si volessero; ma che son essi che fanno pigliar sempre vantaggio agli eretici mascherandosi e smascherandosi in materia di religione come piú stimano che lor torni conto. Queste principalmente sono state le querele della regina contro Nevers e contro gli altri prencipi malcontenti.
Dopo l’audienza della regina ho poi anche parlato al vescovo di Lusson, il quale mi ha replicato quasi le medesime cose; m’ha detto di piú che Nevers è in continue pratiche con gli altri mal contenti e con Buglione in particolare, il quale Buglione ha scritto agli Stati delle Provincie unite domandando loro aiuto sotto pretesto che gli spagnuoli d’accordo con quelli che ora governano in Francia (che questo vogliono accennar le parole ch’egli usa) abbiano intenzione d’attaccar Sedan. A questa lettera non hanno risposto gli Stati, ma l’hanno data all’ambasciatore francese residente in Olanda affinché la mandi qua. Lusson me l’ha mostrata e m’ha letto quello che sopra ciò scrive l’ambasciatore medesimo, il quale dice che in Olanda si sente male questo procedere di Buglione e degli altri mal contenti, e che si giudica che non si possa far meglio che di rimediare con la forza a quei disordini, che andaranno ogni di piú crescendo con la soavitá. Procurò Lusson in particolare di giustificar la mente e l’azione della regina contro le communi voci che corrono, e m’asseverò piú volte con giuramento che la regina faceva quanto poteva per indurre il re ad applicarsi al governo, ch’ella era stata in pensiero di lasciarlo inanzi alla retenzione di Condé, e che l’averebbe fatto se Barbili con grandissima risoluzione non le avesse detto queste parole: — Madama, se volete lasciare il governo tagliate prima la gola ai vostri figli, perché lasciando voi il governo i vostri figli sono spediti. —
Ma dall’altra parte debbo dire a Vostra signoria illustrissima che generalmente vien sentita male la dichiarazione uscita contro Nevers. Presuppongo prima ch’ella sappia esser grandissimo l’abborrimento che qui s’ha alla regina, per rispetto principalmente del marescialle d’Ancre e di sua moglie. E per dire il vero il favore loro è ridotto a sí grand’eccesso che non è piú chiamato favore ma tirannia; la moglie ha in mano la voluntá della regina ed il marito lo scettro del regno. Questi tre nuovi ministri dipendono assolutamente da loro, e tutti tre vanno d’ordinario a casa del marescialle a trattar negozi ed a pigliar gli ordini come s’egli fosse il re stesso. Onde quanto cresca ogni giorno l’indignazione Vostra signoria illustrissima può considerarlo. Dall’indignazione poi si prorompe sempre a maggiori querele, e sempre s’interpreta nella peggior parte ogni azione del presente governo. Dicono però che il marescialle d’Ancre voglia la guerra; ch’egli vada procurando ogni ora con nuovi mezzi di tener lontani dalla corte i grandi per far maggiore a questo modo la sua grandezza; ch’egli con le turbolenze speri che gli venga a cader in mano qualche piazza importante di Normandia, della qual provincia è luogotenente, ed in particolare Havre di Grazia porto maritimo, e che gli possa riuscire di fortificare un luogo ch’è ora in mano sua chiamato Ghilbus, di sito importantissimo, e che per essere alla bocca della Senna mette il freno a tutta la Normandia, il qual luogo fu smantellato questi anni adietro ad istanza della medesima provincia, che per questo effetto diede sessanta mila scudi mentre il conte di Suesson n’era governatore. Queste e molte altre cose vengon dette contro la regina, contro il marescialle e contro questi nuovi ministri, eccettuati i quali è certissimo che la regina non ha alcuno per lei. Questi pochi fanno un partito al quale è contrario il partito di tutto il regno. Ognuno detesta questo governo, ognuno lo chiama pieno di violenza, ed ognuno n’aspetta inconvenienti e mali gravissimi. Quando si venga all’armi, l’opinione commune è che sian per unirsi infallibilmente insieme Nevers, Umena, Vandomo e Buglion, e se ben la duchessa di Longavilla assicura ch’il figliuolo non s’unirá e l’ha a me di nuovo assicurato ultimamente, con tutto ciò vien creduto da molti il contrario. Ma degli altri non si dubita, anzi vien detto che di giá siano legati insieme a difesa, com’essi dicono; ma il peggio è che si teme che gli ugonotti non s’uniscano anch’essi con loro. Certa cosa è che essi combattono per ogni via Vandomo, e con speranza di guadagnarlo, ed ora gli hanno inviati uomini espressi a fargli generosissime offerte, le quali sono che lo riceveranno per capo del loro partito senza astringerlo a farsi eretico; che gli daranno cento mila scudi ogni anno di pensione; che l’aiutaranno a rimettersi nel suo governo della Bretagna, e con l’armi quando non possan farlo altrimenti. Ma peggio ancora. Temesi come una sollevazione generale di tutto il regno quando s’abbia a far guerra, cioè che ogni provincia debba pigliar l’armi a propria difesa, e servirsi del pretesto di voler procurare la conservazione del proprio governo sinché il re sia in etá di poter governare.
Dunque si dubita che l’armi che saranno mosse contro Nevers non eccitaranno solo quelle del medesimo Nevers, né quelle solamente degli altri prencipi disgustati; né meno che s’abbino a fermar solo nell’eccitar gli umori sempre maligni e sempre disposti degli ugonotti, ma che siano per far nascere una commozione generale degli umori di tutto il regno esulcerato per ogni parte, e ch’ha, si può dire, le sue posteme per ogni membro. In questo termine si trova ora la Francia, e per commun giudicio le cose non si son trovate un gran pezzo fa in maggior confusione e pericolo. Credesi che la regina lo vegga, o che se ella non sa tutti questi particolari, ne sappia la maggior parte. Con tutto ciò crescono, in luogo di calare, i suoi favori verso Ancre, contro il quale s’augumenta all’incontro l’odio generale perché si sa che il re l’abborrisce, e non può patirlo ancorché non ardisca ancora di mostrar questo suo senso alla madre; ed io so certo che Sua Maestá ebbe a dire queste parole pochi di sono: — Questo marescialle vuol esser la rovina del mio regno, ma ciò non si può dire a mia madre perch’ella andarebbe in collera. — Quando la gente del re entrorno questi giorni passati in Santa Manú, la regina mandò Ancre a darne la nova al re affin di concigliargli per questi mezzi la grazia di Sua Maestá, ma il re a pena lo guardò e non gli rispose mai parola. Altri segni apertissimi ancora vi sono del suo abborrimento verso Ancre, nondimeno vuol la sciagura di questo regno che il re tardi piú del dovere a pigliar vigor d’animo ed a conoscer se stesso. Ha giudizio proporzionato all’etá, ma l’animo sin qui apparisce inferiore agli anni. Chi potrebbe parlar chiaro alla regina sarebbe il padre Suffren gesuita, suo confessore; egli ha credito grande con Sua Maestá e lo merita per la santitá della vita; ma è cosí grande la sua retiratezza da tutti i maneggi di cose temporali, e corrisponde sí poco in lui ancora alla santitá la prudenza, che egli in alcune cose non ammette i piú ricevuti principi. E particolarmente quanto al favor d’Ancre egli mostra di non credere che sia in eccesso sí grande, onde non parla sí chiaro all’orecchie della coscienza della regina come dovrian farlo parlare le querele communi di tutto il regno. Quando nascesse questa commozione generale che vien temuta, si potria dubitar fermamente che in dispetto della regina e d’Ancre si fosse per procurare la liberazione di Condé. Qui si trova ora in Parigi il duca di Roan di gran sangue, che fa come da capo degli ugonotti, e che promette molto di sé alla regina; ma egli non ha fede alcuna e non stima punto il darla ed il romperla. Oltre che quando ben gli ugonotti non avessero lui, hanno la Tramoglia di grandissima casa, parente stretto di Condé per via della madre di esso Condé, ch’è della Tramoglia ancor essa.
Di tutte le cose ch’ho scritte sin qui io sono andato raguagliando come in confuso Vostra signoria illustrissima per la confusione che hanno partorito le materie da se medesime. Ora debbo dirle che ho poi parlato alla duchessa di Longavilla, e le ho fatto sapere la risposta della regina. Alla duchessa è parso che si stia molto sul rigido, non di meno ha mostrato di voler fare ogni officio con Nevers, ed ha mostrato anco di credere ch’appresso di lui sian per valere assai le mie esortazioni, per il rispetto grande che egli porta alla santitá di Nostro Signore ed alla santa sede, ma è necessario che Vostra signoria illustrissima sappia che in questo maneggio della duchessa predetta è intervenuta un’altra persona che in questa cittá è in grandissima stima e venerazione, e che senz’altro dev’essere conosciuta ancora da Sua Santitá e da Vostra signoria illustrissima. Questo è il signor di Berul, uomo di nobil sangue, sacerdote d’esemplar bontá, di molte lettere, di non minor prudenza nelle cose temporali che zelo nell’ecclesiastiche, nelle quali con diverse opere di pietá egli ha acquistato in questo regno grandissima fama, e particolarmente con l’aver instituito le congregazioni degli oratòri, che ogni dí in queste parti van crescendo di numero e d’opinione. Nel medesimo Berul ha grandissima confidenza Nevers, anzi con lui molto maggiore che con la sorella di cui Nevers non si fida totalmente tenendola per troppo dipendente dalla regina. Essendosi dunque consultato fra noi che offici io dovessi fare con Nevers, ed avendo noi considerato quanto potesse importare al medesimo Nevers di riconciliarsi col re, ed all’istesso re di ricever la sua riconciliazione e di separarlo dagli altri, siamo venuti in questo parere che il miglior espediente che si potesse pigliare fosse l’essergli mandato da me lo Scappi che lo conosce che l’ha trattato, e che avrebbe prima d’ogni cosa potuto mitigare il suo animo esacerbato per quel che si può credere dalla dichiarazione uscita contro di lui, e poi tirare esso Nevers a consigli quieti ed alla risoluzione di accomodarsi col re. Cosí dunque fu stabilito fra noi, ma che ciò prima fosse approvato dalla regina e dai ministri, ancorché io giudicassi che ciò forse non piacerebbe a Sua Maestá né a’ suoi ministri, per il dubio che potrebbero avere che Nevers fosse per credere che lo Scappi fosse di concerto con la regina e con loro; mandai lo Scappi a dar parte di questo mio pensiero a Lusson, il quale cadette subito a punto sul sospetto ch’io aveva pensato. Con tutto ciò disse che n’averebbe parlato alla regina e procurato di sapere il senso di Sua Maestá, alla quale non potè parlare ieri giovedí alle ventisei, e restò in appuntamento che gli averebbe parlato oggi: ma perché siamo a mezzodí e non ho avuto ancora la sua risposta, ed il gentiluomo della duchessa di Longavilla vuol partire quanto prima, ond’io andarò soggiungendo quel piú che m’occorre in altre materie, e poi in ultimo porrò la risposta che mi averá data Lusson.
Sappia dunque Vostra signoria illustrissima che oltre a tante considerazioni che m’hanno mosso ad abbracciare le cose del duca di Nevers, m’ha mosso particolarmente un motivo che mi fece Lusson, e fu che venendosi all’armi il re pretenderá che Nostro Signore scomunichi questi principi. Ciò sarebbe senza dubbio un voler impegnar Sua Santitá in una materia di conseguenza molto importante e da partorir forse un’alienazione grandissima in tutti questi prencipi cattolici da Sua Maestá e dalla santa sede, quando vedessero che in cause mere temporali si fulminassero le scomuniche contro di loro, e di fargli precipitar forse tanto piú facilmente nell’eresia e nell’unione cogli eretici. Lusson però mi disse che di ciò apparivan molti altri esempi. Alle quali cose io risposi con termini generali, e con assicurar solamente che tutto quello che Sua Beatitudine avesse potuto fare in aiuto della causa del re Laverebbe fatto con ogni prontezza ed affetto; quanto al breve per Nevers, mi disse Lusson che nei termini ne’ quali era scritto non poteva esser di molto frutto, che nondimeno n’avrebbe parlato alla regina, e fattomi poi sapere se Sua Maestá avesse gustato che vi fosse mandato. Intanto quel che posso concludere nel punto presente, per fine di questa cifra, è che tutte le cose di qua si dispongono all’armi. Jamines va con autoritá grande in Campagna, ed è gran miseria quella della regina, che non sapendo di chi fidarsi fa elezione di Jamines, dopo l’ingiuria fattagli di levargli bruttamente di mano Condé, ma si fida molto meno del duca di Ghisa, il quale perciò sotto vari pretesti cercaranno di tener qui per esser cugino carnale di Nevers e di Umena, e perché nel suo cuore egli odia Ancre, e piú di lui l’odiano assai il cardinale e Gianvilla suoi fratelli, oltre che Ghisa non mostrossi molto capace nell’occasione passata di governar un esercito.
Ho voluto rappresentare a Vostra signoria illustrissima distintamente con questa cifra lo stato delle cose presenti di questo regno, affinché Ella in una occhiata le vegga, le giudichi, e da Nostro Signore e da lei vi si possano anticipatamente preparare quei rimedi che potranno venire dalla lor parte.
Lusson ha poi data la risposta, ed è che la regina non giudica a proposito ch’io mandi persona alcuna a Nevers; la duchessa di Longavilla gli dará conto di quanto io ho fatto, e gli scriverá efficacemente ma poco frutto si può sperare da lei; e di questa opinione è particolarmente Berul, dal quale in grandissima confidenza io ho avuto notizia di una gran parte delle cose avvisate di sopra.
III
Uccisione del maresciallo d’Ancre.
Il favore e l’autoritá in che la regina madre aveva collocato il marescial d’Ancre aveva passato ogni termine. Onde il re finalmente s’è risoluto di farlo ammazzare, e ciò seguí ieri alli 24, mentre egli entrava nel Lovre a piedi con grandissimo accompagnamento secondo il solito.
Il signor di Vitry, uno dei capitani delle guardie del corpo, n’ebbe l’ordine da Sua Maestá e l’eseguí accompagnato da un suo fratello e da alcuni altri, e l’ammazzorono con tre pistolettate. Succeduto il caso se ne sparse la voce per tutto Parigi, e tutta la nobiltá subito concorse a trovar il re, il quale pieno d’allegrezza abbracciò tutti, e replicò spesso queste parole: — Io sono il re: il tiranno è ammazzato. — Villeroy fu incontinente fatto venire in corte, e fu rimesso in sua mano l’officio di segretario di stato, e spedirono corrieri a tutte le parti per far sospender l’armi; ed il re medesimo piú volte disse: — La pace è ora fatta: i prencipi e gli altri saranno miei buoni servitori, e verranno a trovarmi. — E senz’altro si crede che ciò sia per seguire ben presto. Il re mandò parimente persona espressa a dar parte al prencipe di Condé, nella Bastiglia, della morte d’Ancre ed a fargli buon animo. Pisius è stato restituito al suo officio di prima, come anche alle finanze il presidente Giannino e alla cura dei sigilli il signor da Vaer, e s’intende che Sillery sará capo del consiglio. Barbin fu ritenuto preso, come anco la marescialla d’Ancre nel Lovre stesso, e le furon levate le gioie e le chiavi di tutti i forzieri e scrigni, e si crede che sia per formarsi processo contro di lei e contro il marito, cosí morto com’è. Il suo cadavero fu lasciato nel Lovre quasi tutto il giorno al publico spettacolo ed agli obbrobri del popolo, che vi concorse in gran numero, e poi fu sepolto di notte. Ma questa mattina fu dissotterrato dal popolo che lo strascinò per Parigi, e poi l’impiccò per i piedi sul ponte nuovo, e un’altra volta lo tornò a strascinare per tutti i luoghi piú frequentati, e finalmente lo tagliò in minutissimi pezzi portandoli in varie parti e facendone come un trionfo. L’odio è stato sí grande che s’è convertito in barbarie. Si sono fatte allegrezze publiche del caso, e tutto Parigi n’è andato in festa. Il signor di Vitry ha avuto il maresciallato ch’aveva Ancre, e il signor di Luines, favorito del re, l’officio di primo gentiluomo della camera di Sua Maestá, che pur anche aveva il medesimo Ancre. Il cavalier di Vandomo ha avuto l’abbazia di Marmotier, e si crede che sará dato a qualch’altro l’arcivescovato di Tours.
IV
Manifestazioni d’ossequio e di fedeltá di nobili al re.
Condizioni della regina madre.
Sillery è poi stato fatto capo del consiglio. Il duca di Longavilla è qui, ed Umena ha mandato un suo nipote a far sapere al re che fará subito quanto dal re gli sará comandato ed ordinato: onde anch’egli s’aspetta di giorno in giorno; e gli altri prencipi anch’essi di mano in mano anderan comparendo.
La principessa di Condé pur anche ha voluto venir a Parigi senza averne prima dimandata licenza al re. Onde Sua Maestá, prima che ella giungesse, li fece sapere che si fermasse qua fuori una lega ad un luogo del prencipe, finché la Maestá sua li facesse intendere la sua volontá.
L’arcivescovo di Tours sta nascosto, e non si sa dove; e non si sa se s’abbia a procedere contro di lui, ch’è povero uomo di spirito e del tutto innocente. Il figliolo d’Ancre è ritenuto in casa con guardie, e non si sa quello che ne faranno. Sono privati d’officio tutti quelli che erano stati posti nel Lovre per favor d’Ancre, e contro i suoi servitori è uscito un bando rigorosissimo che debbano uscir di qua. Non è rigor ma rabbia quella che s’usa contro di lui e contro ogni cosa sua. Ma tutto potrebbe passare se non fosse la miseria della regina madre, derelitta abbandonata ritenuta come presa, e contro la quale il re si mostra sempre piú duro. Ma quel che tocca alla regina Vossignoria illustrissima lo vedrá in cifre a parte.
Oltre a molti indizi grandissimi della rovina imminente di Ancre, me n’aveva assicurato in particolare il vescovo di Lusson, con circostanze tali che mi pareva di non ne poter dubitare. Dopo l’ultimo spaccio, mi communicò il medesimo Lusson che egli e Barbino avevano dimandata licenza alla regina madre, e che egli specialmente era tornato a dimandarla piú volte con grand’istanza, e con dichiarazione aperta che egli con buona coscienza non poteva essere ministro della violenza d’Ancre. Il re seppe questa sua risoluzione, onde, fatto ammazzare Ancre, lo fece chiamare e l’accarezzò, ed il signor di Luines, che ora è il favorito, l’ha assicurato anch’egli della buona disposizione del re, e che egli parimente fará in suo servizio quanto potrá. S’eran poste guardie a Mangot, ma poi glie l’han levate. Barbino, per aver maneggiato danari, forse potria correr qualche borasca.
V
Comunicazione dell’uccisione del maresciallo al nunzio
ed udienza di questo dal re.
Poche ore dopo che fu ammazzato Ancre, il re mandò il signor di Bonulio a darmene parte, facendomi sapere che Sua Maestá s’era risoluta a questo per aver scoperto che il detto Ancre machinava contro la sua persona. Io risposi nel modo che giudicai conveniente, ed avendo poi oggi avuto audienza da Sua Maestá, e domandatala perché ho scoperto che desiderava che le persone publiche andassero a trovar la Maestá sua per applaudere al principio del suo governo, io ho preso occasione di fare il mio primo officio con raccomandarle principalmente le cose della Chiesa e religiose. Sua Maestá m’ha risposto con buoni termini, ancorché ristretti in brevitá di parole.
VI
Spese fatte dal nunzio per spedizione di dispacci.
Il re avendo fatto ammazzare il marescial d’Ancre, e deposta al medesimo tempo la regina madre dal governo, ed essendo succeduta qui in un subito cosí gran mutazione di cose, come avviso in altre mie lettere e cifre, ho giudicato che mi convenisse darne conto a Vostra signoria illustrissima, e maggiormente a Nostro Signore, per corriere espresso. Al che m’ha mosso ancora l’aver veduto che gli altri ministri publici hanno fatto il medesimo con i loro prencipi. Il Bartolini residente della gran duchessa ha desiderato d’aver parte nella spedizione dell’istesso corriere; e perciò s’è spedito in comune e comune sará la spesa, che per la mia porzione è di cento scudi di questi d’oro. Potrá degnarsi Vostra signoria illustrissima, cosí parendole, d’ordinare a monsignor tesoriere che ne faccia far il rimborso. Non ho lettere da accusare a Vostra signoria illustrissima perché non sono capitate sin ora.
VII
Elezione del nuovo sindaco della facoltá teologica
all’universitá di Parigi.
La settimana passata bisognò eleggere il nuovo sindico della facoltá teologica di questa universitá, e v’aspirava il dottor Anichino teologo della Sorbona e gran ricerista: ma con gli offici che si son fatti dai buoni è stato eletto il dottore Isambert pur teologo e dottor sorbonista, e soggetto di grandissimo zelo e dottrina, ed uno di quelli che sono piú ben affetti verso la sede apostolica. Ho fatto anch’io quello che bisognava in tal occasione, ma senza strepito acciò che i miei offici riuscissero tanto piú fruttuosi quanto meno sospetti.
VIII
Del sequestro d’un libro di autore ugonotto.
Fu stampato alcuni giorni sono un libro molto pernizioso sotto nome d’un certo Francesco Manginot medico regio, che di cattolico s’è fatto eretico; ma che in effetto ha avuto per vero autore il ministro di Molin, ministro ugonotto di Sciarantone. Ciò è venuto a notizia del procurator generale del parlamento, e per gli ordini che egli ha dati s’è impedito il vendere il detto libro ed è venuta in sua mano una gran parte degli esemplari. Io ho fatto gli offici che bisognavano, e merita lode il detto procuratore per il zelo mostrato in questa occasione, come suol fare anche in tutte l’altre ch’hanno riguardo alle cose ecclesiastiche ed alla religione.
IX
Notizie d’un ambasciatore del duca di Savoia al nunzio
intorno all’arcivescovo di Spalatro.
Passò di qua ultimamente di ritorno d’Inghilterra in Italia il conte Scarnafissi, che è stato ambasciatore del signor duca di Savoia qualche tempo appresso quel re. Son seguiti i soliti complimenti fra noi, ed avendogli io dimandato in particolare dell’arcivescovo di Spalatro, egli m’ha dette quasi l’istesse cose che ho giá avvisate: solo m’ha aggiunto di piú che in Inghilterra correva una voce che il detto arcivescovo sia stato uomo carnale, e che spezialmente abbia avuto a fare con una sua propria nipote. Del che m’ha detto esso conte che la regina parlò a lui medesimo. Quanto alle dimostrazioni fatte dal re verso il duca intorno agli aiuti richiestigli, ho presentito che il detto conte non ha ricevuta in Inghilterra sodisfazione se non di parole.
X
Rigori di Luigi XIII contro la regina madre.
Ha poi continuato il re nel rigor di prima contro la regina madre, cosí nell’averla tenuta ristretta come in essersi risoluto di non volerla vedere se non all’uscir che ha fatto Sua Maestá di Parigi per andarsene a Bles, come si dirá qui di sotto. Alle due madame solamente ha permesso il re che ogni giorno la visitassero; il padre Suffren suo confessore ne ebbe licenza una volta, e poi l’ha avuta in ultimo qualche servitor particolare della regina; ma piú d’ogni altro il vescovo di Lusson che per la parte di Sua Maestá ha trattato con i ministri del re tutto quello che bisognava per stabilir il luogo nel quale doveva la Maestá sua ritirarsi e la forma con che doveva uscir di Parigi. Sono stati dunque proposti vari luoghi alla regina, affinché Sua Maestá n’eleggesse uno a suo gusto, ed ha eletto Bles, luogo distante da Parigi 50 leghe, di bellissimo sito, d’aria perfetta, e che ha un palazzo antico dei re, dove Sua Maestá potrá abitare commodamente. Gli altri luoghi proposti s’intende che siino stati Molins, Alasone e Turs. A Molins, che è terra assegnata alla regina per assicurazione della sua dote, potrebbe essere forsi che in altro tempo Sua Maestá si transferisse: ma per ora ha fatto elezione della stanza di Bles. Quanto alla forma d’uscir di Parigi e di vedersi con suo figliuolo, s’è contentato il re che la regina eschi di qua con ogni dimostrazione d’onorevolezza. Ambedue le madame, con tutte le principesse ch’erano in Parigi, l’hanno accompagnata sino a due leghe di qua. La regina regnante la visitò e si trattenne con lei sin al punto medesimo di partire, e poco prima il re istesso andò a visitarla. Furon però prima concertate le parole che dovevano passare dall’una e dall’altra parte, e furono queste in sostanza: la regina disse al re che ella aveva governato sette anni, che ella desiderava di ritirarsi, che lo pregava ad amarla, e ricordarsi che ell’era sua madre. Alle quali parole rispose il re che ringraziava Sua Maestá delle fatiche fatte, che l’avrebbe sempre servita, e che in ogni tempo se gli sarebbe mostrato figliuolo ossequiente. Il re si ritirò poi quasi subito, ed alcuni dicono che Sua Maestá s’intenerí; altri che non mostrò tenerezza alcuna. La regina gettò qualche lagrima nel parlar che fece al figliolo, ma in tutte l’altre azioni si mostrò costantissima ed in quel concorso di principesse, che tutte piangevano, e fra le lagrime abbondantissime ed i gridi, si può dir, delle figlie, ritenne sempre un volto placido e pieno di virilitá, e nell’istesso modo si mantenne al licenziarsi da Sua Maestá le medesime figliuole e principesse, che andarono ad accompagnarla.
Ha mostrato Sua Maestá un gran desiderio di levarsi di qua. Avrebbe voluto condur le figliuole e d’esserne restata priva ha mostrato il suo maggior dispiacere. In Bles si tratterrá in quel modo che piú sará di suo gusto. Disporrá a sua voglia di quel governo. Avrá dal re diecimila scudi d’oro di pensione l’anno, e del suo ne ha quasi ducento mila; potrá tener la sua compagnia di guardie che l’ha accompagnata quando è partita, e potrá tener tutta la sua famiglia di prima che pur l’ha seguitata; e le resta molta commoditá per gratificare i suoi servitori, avendo Sua Maestá nel paese che le fu assegnato per assicurazion di dote alcuni vescovati e molte abbazie da provedere, e molti offici secolari di varie sorti. Il vescovo di Lusson è andato a servirla e sará come capo del suo consiglio. La regina ha desiderato d’averlo appresso e senza dubio ne sará ben servita.
Di questi particolari toccanti la regina ho giudicato conveniente di far una lettera a parte.
XI
Persecuzioni a parenti e favoriti del maresciallo d’Ancre.
Nel furor che ha mostrato il popolo di Parigi contro il maresciallo d’Ancre ha patito ancora i suoi infortuni l’arcivescovo di Tours suo cognato. All’arcivescovo fu saccheggiata la casa ed andarno come a sacco parimente l’arcivescovato e le sue abbazie. Il re ne dispose subito, e nominò all’arcivescovato il vescovo di Baiona suo primo elemosiniere, e all’abbazia di Marmotier, che è la principale, il cavalier di Vandomo, che ne aveva però avuto in altri tempi il brevetto; e ad un’altra di poco momento uno che è medico di Sua Maestá. L’arcivescovo ha poi giudicato a maggior suo vantaggio il risegnar nelle medesime persone con pieno consenso e la chiesa e l’abbazie, e veramente il vescovo di Baiona ha proceduto bene, essendosi offerto a lasciargli la chiesa se l’avesse voluta, e gli è stata parimente usata ogni cortesia dal cavalier e dal medico. Sopra la chiesa di Tours restará donque all’arcivescovo una pensione di mille scudi di questi d’oro, e un’altra simile sopra l’abbazia di Marmotier, e ducento scudi sopra l’altra. Con un tal abate di Liuri italiano, che altre volte fu in favore della marescialla e che ne riportò due abbazie, è stato proceduto con gran violenza, perché un cavalier francese con le pistole contro l’ha fatto rinunziar per forza e l’ha tenuto preso. Ma egli, essendo fuggito si trova ora in custodia del signor Cardinal di Perona, al quale ha servito altre volte, e si crede che la passerá bene.
Come scrissi per il corriere spedito, visitai subito Villeroy e Sillery. Ho visitato poi anche gli altri che son rientrati nei loro uffici di prima, cioè Vaer, Giannino e Pisius. Sono passati fra noi i complimenti soliti, e procurerò di qui inanzi d’avere con loro quella corrispondenza che piú possa giovare alle cose di questo carico. Ho visitato ancora questi prencipi che son venuti alla corte, se ben da Nevers fui visitato prima con segni veramente di gran rispetto verso di Nostro Signore e Vostra signoria illustrissima. È venuto parimente a vedermi il gran scudiere. Credesi che egli sia per essere molto in favore appresso il re, mostrandoglisi molto inclinato Sua Maestá ed essendo egli cavalier di merito grande.
XII
Falsa voce di progettata richiesta d’udienza al re
a favore della regina madre.
Qualche di prima che la regina madre partisse, fu divulgato che i prelati del clero, che son qui in Parigi, dovessero domandar audienza al re e parlare a Sua Maestá in favore della regina, affinché si riconciliassero insieme. Fu detto che il Cardinal di Perona doveva portare la parola, e che in questa pratica io aveva avuto gran parte. Il signor di Luines, quasi in nome del re, mi fece parlar di ciò dal signor di Bonulio introduttor degli ambasciadori, per certificarsi meglio della veritá. Io gli dissi che non avevo avuto notizia alcuna (come era vero) di simil pratica, il sospetto della quale è poi anche del tutto svanito. Il re ne averebbe avuto disgusto, e non è dubio, e sarebbe riuscita infruttuosa. Ma qualche ugonotto o qualche falso cattolico n’avranno ordita l’invenzione e sparsa la voce.
XIII
Udienza del nunzio dai sovrani.
Dopo l’audienza del re l’ebbi ancora dalla regina sua moglie, e passai con Sua Maestá quasi il medesimo officio che avevo passato col re. Sua Maestá lo gradí e mi rispose con termini pieni di zelo e di rispetto verso la Chiesa e la santa sede. Il giorno medesimo che la regina madre partí, si trasferirono le Maestá loro ad un luogo vicino a Parigi un’ora di camino, chiamato il bosco di Vincenna, dove si tratterranno sin fatte le prossime feste di Pentecoste.
XIV
Colloquio del nunzio col de Luynes.
Il giorno medesimo ch’io viddi il re parlai ancora al signor di Luines, favorito di Sua Maestá, e passai con lui quell’officio che dovevo. Ma quell’officio fu nella camera propria del re e alla sfuggita; l’ho visitato poi a parte e l’ho assicurato della buona voluntá di Nostro Signore e di Vostra signoria illustrissima non solo per tutti gli interessi che egli e la sua casa siano per aver nello stato d’Avignone, ma per tutte l’altre occorrenze. Mi ringraziò affettuosamente e mi si mostrò molto desideroso di servir alla santa sede. Io lo pregai ad aver a cuore i buoni costumi del re, ed a procurar che Sua Maestá faccia buone nominazioni e che favorisca le cose ecclesiastiche, poiché dal servizio di Dio e della Chiesa dipende quello di Sua Maestá e del suo regno; lo pregai ancora a procurar col suo favore la intiera estirpazione delli duelli. Il ragionamento fu lungo e ne ebbi buone risposte; piaccia a Dio che siin buoni altre tanto gli effetti; e per fine a Vostra signoria illustrissima bacio umilmente le mani.
XV
Del vescovo di Boulogne.
Intorno al negozio del vescovo di Bologna scuopro che egli facilmente sará liberato; il che succedendo, saremo liberati ancor noi da quei disturbi che forsi ci averebbe fatti incontrare la sua causa o col parlamento o con altri ministri regi; e per fine etc.
XVI
Della pubblicazione del vescovo di Spalatro.
Per via di questi ambasciatori di Venezia ho inteso che l’arcivescovo di Spalatro va stampando la sua opera, e che di giá è finito di stampare il primo libro. Il re ha deputato uno dei piú eminenti fra loro in dottrina a riveder di mano in mano quello che si va mettendo alla stampa. Nel resto egli si trattiene tuttavia in casa dell’arcivescovo di Canturberi, e vien custodito affine che non sia ammazzato, com’egli mostra di temere, ed il re gli ha conferito ultimamente il decanato di Vensor che vale tre mila scudi, a quel che avvisano.
XVII
Disgrazia d’un sacerdote francese stoltamente millantatore.
Un certo francese chiamato Travaglio, sacerdote, e che altre volte è stato capuccino, si trova ora preso per essersi vantato di voler ammazzare la regina madre. Egli ha avuto parte, per quel s’intende, nel caso del marescial d’Ancre, e mosso poi da spirito furioso ha detto a piú persone che il colpo non era perfetto, e che il re doveva levar di vita la madre e che egli l’averebbe uccisa. Ha confessato il tutto, e gli sará dato il supplicio che merita. Ma perché egli è sacerdote, si scuopre che il parlamento pretenderá che il vescovo di Parigi prima lo degradi: il che non vorrá fare il vescovo senza conoscere prima la causa nei debiti modi, sí che potrebbe essere facilmente, che secondo i soliti abusi di qua, egli fosse fatto morire senza degradazione.
XVIII
Opportunitá che s’inviino brevi da presentarsi a personaggi eminenti.
In questo nuovo stato di cose vo pensando, che per servizio di Nostro Signore e della sede apostolica, sarebbe molto a proposito che Sua Santitá inviasse qua una mano di brevi da presentarsi al re alla regina sua moglie a vari prencipi e ministri, e in bianco ad altre persone, com’io giudicherò allora piú conveniente. Potrebbe Sua Beatitudine, se cosí le parerá, scrivere al re pigliandone occasione dall’aver Sua Maestá nuovamente preso in mano il governo, com’anch’agli altri sull’istessa occasione, rimettendosi nel resto alla mia viva voce. Ai cardinali ancora e a qualch’altro prelato di maggior qualitá sará bene di scrivere e di fare i brevi nella medesima conformitá. Mando una lista di quelli che si debbono aver principalmente in considerazione, rimettendo però il tutto alla somma prudenza di Sua Santitá e di Vostra signoria illustrissima, alla quale bacio le mani.
XIX
Passaggio per Parigi d’un ambasciatore del re di Spagna.
Arrivò qua la settimana passata il signor don Baldassar di Zuniga con sua moglie, di passaggio verso Spagna. Hanno fatto i lor complimenti in corte, e dal re è stato presentato esso don Baldassare d’argenti indorati per dieci mila franchi. Avendogli fatto ora questo presente Sua Maestá perché non gliel fecero alla sua partita, quando fu qui ambasciatore, per l’opinione che si ebbe che dovesse tornare. Son passate fra noi le visite solite, ed io ho scoperto che egli non verrá piú a Roma, avendomi quasi chiaramente detto egli stesso che il re lo porrá nel suo consiglio di stato in Ispagna.
XX
Notizie intorno al re di Francia.
La prima volta ch’io vidi il re questi giorni passati, lo trovai magro e pallido piú del suo solito, ma ne fu allora attribuita la cagione all’inquietudine ed a qualche vigilia patita da Sua Maestá per occasione dei disegni che aveva in mente, e che poi ha fatto mettere in esecuzione. Ora al bosco di Vincena ho trovato Sua Maestá con molto buona cera e nella sua sanitá di prima, e s’intende che quell’aria gli abbia giovato assai, particolarmente l’esercizio che ha fatto. Quanto all’applicarsi ai negozi, Sua Maestá ogni giorno si trova in consiglio, ed a quel che ognun dice dá buon saggio di capacitá e di giudizio. Nella mia audienza stette con molta attenzione, e le risposte furon brevi ma di sostanza. Ha due parti fra l’altre molto buone per governare, cioè la dissimulazione e ’l segreto. Agli offici divini sta voluntieri e si mostra inclinato sin qui alla pietá, ma i suoi anni son tanto teneri che non posson promettere ancora niuna cosa di certo.
XXI
Notizia di trattative intorno ad avvenimenti d’Italia.
Dalla congiunta copia di lettera ch’io scrissi ieri a monsignor nunzio di Spagna, vedrá Vostra signoria quel che si è negoziato qui intorno alle cose d’Italia.
Dopo d’aver scritto io la detta lettera, mi fecero poi sapere questi ministri che aveano chiamati ieri sul tardi in casa del cancelliere gli ambasciatori veneti, nella forma che aveano chiamato prima il duca di Monteleone, e che avean parlato loro nel modo che bisognava; e che gli ambasciatori si erano mostrati disposti a far con la republica quegli offici che Sua Maestá cristianissima desiderava.
La principal difficoltá degli ambasciatori fu sopra il punto del disarmare, dicendo che bisognava procurar che ciò seguisse in maniera che l’armi spagnuole non dessero gelosia. Al che si rispose da questa parte, che Sua Maestá non mancherebbe di dare la sicurezza che fosse stimata necessaria dal canto suo, come aveva anche fatto l’altra volta che si concluse il trattato d’Asti.
Nell’istesso modo parleranno questi ministri a quei di Savoia; ed hanno ricercato me di scrivere a Turino ed a Venezia, affinché quei nunzi accompagnino efficacemente i loro offici con quelli degli ambasciatori di questa corona. Il che io ho fatto prontamente; e la medesima prontezza ho fatta conoscer qui, nell’impiegare l’opera mia dove ha bisognato; e questi ministri hanno mostrato d’averne avuto molta sodisfazione.
A Villeroy diedi parte degli offici fatti dalla santitá di Nostro Signore in Ispagna per corriere espresso; e l’assicurai che Sua Beatitudine avrebbe continuato a far tutti quelli di piú che avesse potuto, per tirar a fine un sí importante negozio, e che sarebbe andata sempre unita con questa corona. Villeroy mostrò molto gusto d’intender questi particolari.
Al re domandai audienza, ma Sua Maestá mi rimise al suo ritorno a Parigi, che sará oggi, essendo cessata l’occasione che faceva star fuori Sua Maestá, che era il non volersi trovar alla morte della marescialla d’Ancre, alla quale finalmente fu tagliata publicamente la testa ieri l’altro, ed il corpo fu poi abbruciato e le ceneri sparse in aria.
Pisius spedisce oggi un corriere a Turino e Venezia; ed io scrivo con quest’occasione a Vostra signoria illustrissima, e mando il presente pieghetto in mano di monsignor nunzio di Turino, immaginandomi che a lui non mancherá occasione di farlo pervenir presto in mano di Vostra signoria illustrissima.
Accuso a Vostra signoria illustrissima le lettere e cifre delli 17 del passato. Risponderò ed aggiungerò quel piú che sará di bisogno col prossimo ordinario.
Avendo poi inteso che il corriere se ne viene dirittamente a Roma, scrivo anch’io a dirittura a Vostra signoria illustrissima.
XXII
Notizie mandate a Roma dal Bentivoglio intorno alla Concini,
raccolte ne’ fogli d’avvisi che ci son rimasti.
La marescialla d’Ancre è stata condotta alle carceri della Conciergerie, ch’è un mal segno per lei, e la causa è stata rimessa al parlamento.
Nel consiglio s’è presa risoluzione di mandare il figliuolo del maresciallo d’Ancre a Caen, fortezza di Normandia, che il cavaliere di Vandome ha avuto in governo. In quel luogo egli sará custodito, ma con una custodia larga, e gli sará data commoditá d’allevarsi bene.
Ultimamente fu publicato un editto, che tutti quelli che sono stati servitori del maresciallo d’Ancre dovessero uscir di Parigi in termine di 24 ore, sotto pena della vita.
La causa della marescialla d’Ancre si va tirando inanzi, e non si scopre sin qui cosa alcuna di certo. Si crede fermamente che vi saranno indizi chiari di sortilegi e di giudaismo: questo parlamento però non fa molto caso de’ sortilegi se non sono piú che provati. Il capo piú principale in che si procede contro la detta marescialla, è sopra l’essere stata partecipe di varie estorsioni e brutti maneggi di suo marito.
Nella causa della marescialla d’Ancre si procede, da qualche giorno in qua, con gran diligenza, credendosi che in breve sia per terminarsi; e si va dicendo che si trovino molte cose contro di lei intorno a vari capi: cioè di magia di giudaismo di trasporto di denari fuori del regno, di estorsioni e di corrispondenze segrete con ministri di prencipi forestieri; onde si crede fermamente ch’ella sará condannata alla morte e al fuoco.
La causa della marescialla d’Ancre va piú in lungo di quello che si pensava; ma non è da maravigliarsene, perché tutte le cause che si trattano nel parlamento caminano con gran lentezza. Nondimeno si crede che sia per terminarsi per tutta questa settimana; e comunemente si crede che essa marescialla sia per essere condannata alla morte, come di giá si è avvisato; sebbene non mancano anche persone, e di considerazione, che tengono il contrario. Il popolo, per la credenza che ha ch’ella sia fatta morire, tiene ancora in piedi i palchi che furono fatti sulla piazza della Grève, la notte dei fuochi di san Giovanni, per poter vedere sopra di essi un tale spettacolo. E dalla copia delle conclusioni prese dal procurator generale del re, si può vedere quel che si domanda contro la marescialla e altre persone nominate nel suo processo.
Si terminò finalmente la causa della marescialla d’Ancre, e agli 8 del corrente fu condannata a morte: onde l’istesso giorno, sul tardi, fu condotta sopra una carretta nella piazza della Grève, ch’era piena d’un’incredibil moltitudine di popolo, dove le fu tagliata la testa, e il corpo, dopo, abbruciato. Morí, per quel che comunemente s’è tenuto, molto cristianamente, e mostrò un’intrepidezza e costanza grande. Letta che le fu la sentenza, ella disse subito, che aveva da deporre cose di grande importanza; e perciò, essendo udita, depose che nel viaggio di Baiona il duca di Guisa, il prencipe di Joinville (fratello di Guisa) e la principessa di Conti loro sorella, il duca d’Epernon, il cancelliere (Sillery) e il commendatore loro fratello avevano procurato d’avvelenare il re e la regina madre, e che le Loro Maestá erano state salvate da quel medico ebreo del quale essa marescialla si serviva. E ciò ella depose per tirar in lungo la causa, e veder di godere il benefizio del tempo piú che fosse possibile; ma vedendo che non si doveva per questo ritardare l’esecuzione della sentenza rivocò nel fine quanto aveva detto. Questa sua morte è stata accompagnata da accidenti tali che ha lasciato gran compassione negli animi del popolo, e particolarmente per essersi inteso che i voti de’ giudici siano stati divisi. I beni si confiscarono tutti: dei quali il re ha poi donato una gran parte al signor di Luynes, e alcune cose al maresciallo di Vitry: il resto si crede che sará applicato alla corona.
XXIII
Ancora delle trattative intorno agli avvenimenti d’Italia.
Da Venezia giunse qua ultimamente un corriere spedito dall’ambasciator di Francia. Quel che portò fu che l’ambasciatore aveva fatti gli offici che bisognavano con la republica, perché approvasse la negoziazione seguita in Ispagna, e che essa republica non ostante qualche difficoltá, che avrebbe potuta fare, si contentava di rimettere il tutto a Sua Maestá cristianissima. Questo medesimo hanno poi dichiarato con termini piú espressi alla Maestá sua questi ambasciatori veneti, avendo mostrato che quel che principalmente desidera la republica è che Sua Maestá s’interessi nelle cose d’Italia, e che non solo entri per cauzione dell’accomodamento di Lombardia, ma di quello ancora del Friuli, non potendo la republica assicurarsi delle cauzioni dell’imperatore e di Spagna. Hanno avuto buone risposte dal re e da questi ministri, i quali però non sono venuti ancora ad alcuna determinazione precisa, volendo essi prima sapere quello che avrá operato l’abboccamento che dovea seguire fra don Pietro di Toledo e il Dighieres e Bettuna dopo la presa di Vercelli, e quello che partorirá la dichiarazione tendente a pace che avea fatta il medesimo don Pietro.
Intanto giunse ieri un corriere di Spagna, spedito dall’ambasciator di Francia, con avviso che, per esser il re a San Lorenzo ed il duca di Lerma a Lerma, il consiglio non aveva ancora potuto pigliar risoluzione intorno alle cose avvisate di qua. A me però scrive monsignor nunzio che presto sarebbe stata presa.
Quanto al punto che gli spagnuoli abbino a disarmare con buona fede conforme al trattato d’Asti, egli mi dice che di giá se n’era data parola amplissima all’ambasciator di Francia, e quanto all’altro doversi ordinare a don Pietro che desista da ogni ostilitá, in accettando Savoia il medesimo trattato. Egli pur anche mi scrive che si poteva sperar che ciò fosse per farsi, non ostante qualche gelosia che per avventura si potesse pigliar sopra cosí fatta instanza. Qui ancora si piglia qualche gelosia di don Pietro, non essendo piaciuto che egli abbia rinforzato il presidio di San Germano e dato segno di voler fortificar meglio Vercelli. Ma si può sperar che presto siano per cessare queste gelosie, e che pure al fine sia per seguire una buona e sicura pace. Infine io rinovai ieri efficacemente i miei offici col re, e gli ho rinovati oggi con questi ministri. In Sua Maestá ho trovata la risoluzione di prima, e nei ministri quella che piú potevo promettermi, per cooperare al medesimo fine.
XXIV
Speranze della conclusione della pace in Italia.
Savoia anche piú ampiamente dei veneziani ha rimesse qua tutte le cose sue, qui insomma s’hanno buone nuove da tutte le parti, onde si spera infallibilmente la pace. Il medesimo che scrive a me il nunzio, lo scrive il segretario Arostigni al duca di Monteleone. Da don Pietro egli non ha avviso alcuno particolare dopo la presa di Vercelli; ma non mette però alcun dubio nella pace.
Parte di qua il signor marchese di Lanz, essendo stato regalato dal re d’una bellissima collana di diamanti, e d’una pistola che Sua Maestá gli ha donata con le sue proprie mani. Egli invia inanzi per le poste un suo gentiluomo, ed io mi son servito di questa occasione per scrivere a Vostra signoria illustrissima la congiunta lettera e cifra per la via di Turino, rimettendo il resto all’ordinario prossimo che dovrá partire fra quattro giorni.
XXV
Il cavalier Marini alla corte di Parigi.
Presuppongo che Vostra signoria illustrissima sappia che si ritrova a questa corte il cavalier Marini con una pensione molto onorata che gli dá Sua Maestá. Egli è qua poi in quella stima di dottrina e d’ingegno che meritano le sue composizioni; ed in questa occasione del libretto, ed in particolare della lettera dedicatoria delli quattro ministri di Sciarantone, ha egli voluto dar segni della sua pietá, onde ha fatto in risposta dei ministri una scrittura in prosa nella nostra lingua, che per le molte e gravi punture che in essa ci sono si può chiamar piú tosto una invettiva che altro. Il re ed il signor di Luines han voluto vederla, ed essendo molto piaciuta, Sua Maestá averebbe voluto che si stampasse, ed il signor di Luines lo desiderava grandemente. Ma s’è poi giudicato per molti rispetti, ed in particolare per aver riguardo alla salvezza del cavalier Marini (procedendo gli ugonotti ben spesso con violenza contro quelli da’ quali stimano d’esser offesi) di non lasciarla stampare.
Nulladimeno esso cavaliere ha desiderato sommamente che questa sua scrittura pervenga alle mani di Nostro Signore e di Vostra signoria illustrissima, e perciò m’ha pregato con particolarissima instanza ch’io le ne invii una copia, si come fo con la presente, e follo tanto piú volentieri quanto egli vive qui con ogni modestia e con dimostrazione di molto zelo verso le cose della religione cattolica. Egli mi dice d’aver desiderato ciò, solo per dar qualche segno della riverenza che porta alla santitá di Nostro Signore ed a Vostra signoria illustrissima.
XXVI
Ancora delle speranze nella conclusione della pace.
La pace conclusa.
Lodato Dio, che pur finalmente possiamo tener per sicura la pace d’Italia. Venne di Spagna il corriere che s’aspettava e portò buone risposte; furono in sostanza che accettando Savoia il trattato d’Asti, Sua Maestá cattolica darebbe ordine a don Pietro di Toledo che sospendesse l’armi subito per doversi subito ancora venir all’esecuzion di detto trattato; il quale dovesse terminarsi come l’altra volta dentro d’un mese. Col detto corriere monsignor di Capua mi scrisse diffusamente, e mi mandò una copia di tutte le scritture che s’erano date all’ambasciator di Francia; le quali scritture saranno di giá capitate a Vostra signoria illustrissima con piena relazione di quanto s’è negoziato da quella parte: onde resta ora ch’io parimente la informi a pieno di quanto s’è trattato e stabilito da questa. Parlerò prima delle cose di Savoia e poi di quelle dei veneziani, conform’all’ordine che s’è tenuto qui nella trattazione. Con le risposte che portò il detto corriere, non s’ebbe piú alcuna difficoltá intorno alle cose di Savoia; ma qui ne sorse una subito dalla parte del duca di Monteleone, il quale pretese che avendo sodisfatto il suo re a quello che si desiderava qui, cioè accettando Savoia, don Pietro sospendesse l’armi; ogni ragion voleva ora che da questa parte si richiamassero le genti di guerra, che erano entrate in Italia o marciavano a quella volta; qui parve a questi ministri di sentirsi troppo presto stringere da questa instanza, poiché si faceva prima che Savoia avesse accettato. All’incontro diceva il duca di Monteleone che era in sua mano l’accettare, e che qui avevano sempre detto che farebbono che egli accettasse. Io ero entrato nel negozio vivamente, prevedendo a punto che non sarebbero stati inutili i miei offici per levar molte difficoltá; e cosí avvenne perché subito in questa io fui ricercato dei miei offici, i quali interposi in maniera che s’aggiustò questo punto. L’aggiustamento fu che il duca si contentasse per ora d’un ordine strettissimo che si darebbe di far sopraseder la gente, e d’un altro che s’invierebbe al Dighieres d’astenersi da qualsivoglia motivo che potesse cagionar alterazione, e che di tutto questo il re stesso assicurarebbe esso duca, e che tutto ciò si dovesse intendere come s’avesse virtú di revocazione, la quale seguirebbe in effetto subito che Savoia accettasse. Cosí il duca restò sodisfatto.
Vengo ora alle cose dei veneziani. Nelle risposte portate dal predetto corriere non si parlava di loro. Onde questi ambasciadori veneti restorono grandemente confusi, e sopramodo ingelositi che li spagnuoli volessero accomodarsi con Savoia lasciando la republica loro in travaglio. Ma non era maraviglia che non si parlasse dei veneziani, perché in effetto era stata loro tutta la colpa, poiché dopo la ricusazione fatta dal loro ambasciadore delle condizioni di pace propostegli in Madrid, dalli 18 sino alli 24 di giugno mai piú egli non aveva mossa parola. E noi di qua non avevamo scritto in Spagna se non delle cose di Savoia, sopra le quali venivan le risposte portate dal predetto corriere straordinario. I detti ambasciadori fecero qui romor grande e ricorsero a questi ministri, e finalmente conclusero che Savoia non s’accomodarebbe senza veder accomodate le cose loro, e che perciò bisognava necessariamente aggiustar anche le cose loro ad un medesimo tempo.
Questo era vero, perché Savoia aveva scritto qua ch’accetterebbe il trattato d’Asti nel modo che Sua Maestá cristianissima desiderava, purché al medesimo tempo ancora seguisse l’accomodamento dei veneziani. Dunque si venne subito a trattar delle cose loro; la mira che s’ebbe qui, ed in che io particolarmente ho premuto con somma efficacia e con incessanti offici, fu ed è stata che giá si potevano tener per aggiustate le cose di Savoia; s’aggiustassero qui parimente quelle dei veneziani, in modo che di qua si mandasse la pace fatta in Italia senza che s’avesse a dipendere da nuove risposte di Spagna e da nuovi accidenti pericolosi che le dilazioni potevano partorire.
Procurarono perciò questi ministri che il duca di Monteleone facesse qualche dichiarazione per scritto, con la quale restassero sicuri i veneziani del loro proprio accomodamento col re di Boemia. Il duca molto prontamente formò una scrittura, e gli ambasciadori veneti in risposta un’altra; ma perché non pareva che queste due scritture, nella forma semplice ch’erano al principio, fossero sufficienti per mandar di qua aggiustate in Italia le cose dei veneziani senza che si dovessero aspettar nuove risposte di Spagna, perciò fu pensato che saria stato meglio ch’il duca s’allargasse un poco piú, e che gli ambasciadori veneziani formassero un’ampia scrittura, articolando accettando e sottoscrivendo le capitolazioni distese in Spagna, poiché essi potevan farlo avendo avuta amplissima procura dalla republica, e non solo per le persone loro ma per quelle che essi in altre parti avessero avuto bisogno di sostituire. Nella negoziazione di queste due scritture ha bisognato travagliar molto, ed io sono andato inanzi ed indietro infinite volte. Volevano gli ambasciadori veneti inserire due condizioni, una che nell’accomodamento venisse dichiarata la restituzione delle loro galere ed altri vascelli e robbe prese, e l’altra che al medesimo tempo si dovessero accomodar le cose di Savoia.
Nelle cose di Savoia risposero questi ministri che non occorreva metter difficoltá, perché bisognava tenerle per accomodate, e di ciò era sicura Sua Maestá cristianissima.
Quanto alla detta restituzione dissero che n’averebbero trattato col duca di Monteleone col quale adoprarono me ancora, ma trovammo in effetto ch’il duca non solo non aveva autoritá di prometterla ma né anche notizia particolare del fatto. In modo che i detti ministri tanto strinsero gli ambasciadori veneti che essi al fine si contentarono d’una promessa di Sua Maestá cristianissima, di dover fare ogni officio perché Sua Maestá cattolica faccia restituire tutto quello che sará in natura di restituirsi; e non è dubio che sí come è giusto che ciò si faccia per via d’officio, cosí sarebbe stato ingiusto il volerlo per via di capitolazioni, poiché non sarebbe stato né anco in mano del re cattolico stesso il far restituir quello che non fosse restituibile, e a questo modo averebbe dovuto dependere dai veneziani il farsi o non farsi la pace, e massime per un interesse di robbe di mercanzia, e per conseguenza interesse piú privato che publico. Il che non conveniva in maniera alcuna; e confesso ch’io esagerai molto queste ragioni alli ministri, affinché non comportassero che questa difficoltá non solo impedisse la pace ma né anche punto la ritardasse.
Dall’altra parte io m’affaticai grandemente per servizio dei medesimi veneziani appresso il duca di Monteleone, affinché egli s’allargasse piú nella sua scrittura. Al che egli condescese volontieri per il desiderio di mandar fatta di qua la pace in Italia, e per levar il sospetto che qui s’aveva che li spagnuoli volessero tirar in ogni modo i veneziani a far la pace col re di Boemia in Spagna, dove ora non occorrerá che vadano se non per la ratificazione. S’allargò donque esso duca in alcune parole di molta sostanza, le quali furono suggerite da me con desiderio grande di questi ministri, che fossero aggionte dal duca sí come egli fece molto prontamente. Anzi egli a requisizion dei medesimi ministri e con i miei offici ha anche di piú aggiunto un altro capitolo, nel quale promette in nome di Sua Maestá cattolica sospension d’armi per mare e per terra ai veneziani per quel tempo stesso di due mesi che dispone il trattato di pace fra il re di Boemia e loro; e sin da ora egli scriverá a don Pietro che non innovi cosa alcuna contro di loro, perché ciò sarebbe un contravenir a pace fatta. E simili altri offici hanno detto questi ministri che passerá col medesimo don Pietro il signor di Bettuna in nome di Sua Maestá cristianissima, sí come ho detto che scriverò anch’io al signor Cardinal Ludovisio che gli passi in nome di Sua Beatitudine nella medesima conformitá, e questa sospension d’armi di Spagna l’han desiderata i veneziani per assicurarsi che dopo il disarmamento di Savoia li spagnuoli non voltassero incontinente l’armi contro di loro. A questo modo restano aggiustate le cose dei veneziani, ai quali nondimeno per maggior sodisfazione promette in scrittura Sua Maestá cristianissima che fará osservare il lor trattato di pace col re di Boemia, assicurandogli parimente nella medesima scrittura degli offici che fará la Maestá sua col re cattolico per la restituzione delle galere vascelli e robbe prese, che siino in natura di restituirsi. Ora s’attende a formar nel debito modo tutte queste scritture, ed io per me spero che fra due o tre giorni seguirá la conclusione di quanto bisogna, e subito si spediranno corrieri a tutte le parti. Onde succederá facilmente ch’il ragguaglio che ora io do a Vostra signoria illustrissima per l’ordinario che parte oggi, le pervenga prima per via di straordinari; nondimeno, ad ogni buon fine, ho voluto usar ancora questa diligenza e le bacio umilissimamente le mani.
Finalmente poi è piaciuto a Dio che qui si concludano le due paci, non restando ora altro che l’esecuzione da farsi in Lombardia e nel Friuli. Le scritture però non sono ancora sottoscritte, ma ciò seguirá oggi o dimani senz’altro, ed io ne mando copia a Vostra signoria illustrissima nella forma che s’è aggiustata. Nel distenderle si sono incontrate maggiori difficoltá che non si pensava; ond’ha bisognato mutarle e rimutarle per dar sodisfazione a tutti. L’ordine è stato questo: il duca di Monteleone con la sua scrittura promette che in Spagna s’accettaranno e ratificaranno gli articoli di pace fra il re di Boemia e la republica di Venezia, e promette in nome del suo re la sospensione d’armi detta di sopra. All’incontro gli ambasciatori veneti con un’altra scrittura diretta a Sua Maestá cristianissima hanno accettati i medesimi articoli e con un’altra a parte sostituiscono l’ambasciatore Gritti a far il medesimo in Ispagna. In virtú delle quali scritture tutte Sua Maestá cristianissima in una sua ampia e solenne dichiara esser concluse le due paci, v’inserisce i detti articoli e v’interpone la sua fede e parola per l’osservanza dell’una e dell’altra. Questa scrittura generale del re chiama l’altre ch’eran necessarie ad includersi, e vien sottoscritta dai medesimi ambasciatori della republica, e la Maestá sua con un’altra a parte promette alla detta republica di far officio col re cattolico per la restituzione delle galere vascelli e robbe prese.
Nacque in ultimo un grandissimo incontro. Volevano i veneziani e i savoiardi una clausola con la quale s’intendessero tanto unite le loro due paci che non solo l’una apparisse conclusa al medesimo tempo che l’altra, ma che nascendo difficoltá nell’esecuzione in questa prima di Savoia che si dovrá effettuare piú presto, l’altra non avesse effetto. Questi ministri s’alterorno di ciò grandemente parendo loro molto strano che queste due paci che si concludono ora qui con la fede ed autoritá del re di Francia dovessero come restar in aria e dipendere da condizioni; e si vedeva chiaramente che l’ambasciator alemanno che è in Ispagna non averebbe accettato né ratificato in questa maniera. Io fui chiamato in casa del cancelliere a trovarmi presente a questa differenza si come ero stato ancora chiamato ad altre conferenze dove si trattò di questa difficoltá, e mi pregarono che parlassi e che unitamente con loro cercassi di superarla, sí come feci nel miglior modo che potetti per la mia parte. Onde poi l’ambasciator veneto straordinario che vi si trovò solo perché l’altro è indisposto, riconobbe le ragioni esser di tanto peso che non pretese piú la detta clausola. Anzi egli mi pregò ch’io inducessi al medesimo senso il suo collega, il quale perciò visitai al letto, e finalmente anch’egli si lasciò persuadere; ma la maggior difficoltá fu col conte del Moreta ambasciator di Savoia e col Fresia agente. Io mi trovai pur anco insieme col detto ambasciatore, ed a sua instanza a conferir con loro di questo punto; e tante furono le ragioni addotte da noi che finalmente li convincemmo.
Questa mattina, col divino aiuto, s’è terminata e conclusa intieramente la negoziazione in casa del cancelliere alla mia presenza, come si riferisce nella scrittura generale del re, e con la mia sottoscrizione ancora, dopo la quale si sono sottoscritti i cinque deputati regi e dopo loro gli ambasciatori veneti. Queste sottoscrizioni si sono fatte in tre scritture originali in pergamena, che doveranno servire una per questo re, un’altra per Sua Maestá cattolica e la terza per la republica di Venezia; qui non hanno voluto solennizzare quest’ultima conclusione delle due paci se non con la mia sola presenza. Onde tanto maggiore è la riputazione che ne risulta a Sua Beatitudine ed alla sede apostolica. L’ambasciator veneto ordinario, ancorché indisposto di febbre terzana, ha voluto anch’egli trovarsi alla sottoscrizione. Qui veramente non si poteva proceder meglio per far le due paci. Resta ora che in Ispagna e dalla parte di don Pietro si faccia il medesimo, e Vostra signoria illustrissima dovrá farne ogni officio si come parimente che dal duca d’Ossuna non si proceda piú ad alcun atto d’ostilitá. Di ciò m’han ricercato di scrivere a Vostra signoria illustrissima questi ministri e gli ambasciatori veneti; ed io ho promesso loro che farei l’officio. Pisius m’ha fatta avere una copia autentica della scrittura principale, che mando con l’altre a Vostra signoria illustrissima.
Quest’ambasciator di Savoia spedí ieri a Turino un suo gentiluomo per le poste, e con tal occasione io diedi conto a Vostra signoria illustrissima, per via del signor cardinale Lodovisio, di quanto passava intorno alla negoziazione che si trattava qui delle due paci d’Italia, ma essendosi oggi col divino aiuto stabilita la detta negoziazione e spedendosi perciò corrieri in varie parti, con quello ch’il re invia a Turino ho voluto significar a Vostra signoria illustrissima quanto di piú si è fatto. E perché stimo che questo corriere che partirá stanotte o dimattina sia per passar inanzi al sudetto gentiluomo, per questo ho giudicato necessario in un negozio di tanta importanza di far un secondo duplicato di quanto ieri le inviai, ed un duplicato di quel che m’occorse scriverle d’avvantaggio. Onde questo che io debbo ora far sapere di piú a Vostra signoria illustrissima sará aggiunto al secondo duplicato, affinché la materia di questa trattazione le capiti tutta unitamente insieme. Accuso a Vostra signoria illustrissima le sue lettere delli 7 del passato, e le cifre pur dell’istessa data con altre scritture avisate. Io per non aver avuto tempo ho lasciato di rispondere sino al seguente ordinario che doverá partire fra otto giorni.
XXVII
D’un incidente occorso a monsignor Rucellai.
Diedi conto a Vostra signoria illustrissima dell’accidente occorso a monsignor Rucellai con una mia delli 10 del corrente sí come ella vedrá, in caso che la lettera non fosse capitata, dal duplicato ch’io le ne mando qui a parte. Scrissi quasi all’improviso, perché seppi il successo poco prima ch’io serrassi il mio piego. Dopo ho inteso meglio com’il fatto sia succeduto, ch’è stato in questa maniera. Il marchese di Rogliac s’incontrò con monsignor Rucellai nella fiera di San Germano appresso una bottega d’un orefice, mentre il detto Rucellai andava per la fiera in compagnia della marchesa di Alvi e d’una sua cognata sorella del cardinale di Sordis; mostrò il marchese d’esser urtato da monsignor Rucellai, ed avendo preso da questo occasione di rissa, con un bastone che egli aveva in mano gli diede d’alcuni colpi in sulla testa. Il rumore fu grande e vi concorse ancora gran numero di persone, ma il marchese si ritirò subito, ed uscí fuori di Parigi e non s’è inteso altro di lui. Il re e questi ministri hanno inteso malissimo un tal eccesso, e mostrano di voler che se ne facci giustizia. Il prencipe di Gianvilla in compagnia del quale era andato monsignor Rucellai alla fiera mostra d’interessarsi grandemente in questo negozio, non tanto per cagion d’amicizia quanto per stimarsi anch’egli offeso, in un certo modo, di quest’affronto di Rucellai. Onde tutti questi signori della casa di Ghisa hanno fatto e fanno molti offici gagliardi in favore del detto Rucellai. Il giorno appresso che successe il caso, il signor Cardinal di Guisa insieme con Rucellai venne a trovarmi ed ambedue mi ricercavano che io volessi far risentimento di questo fatto col re e con questi ministri; io risposi con termini generali biasimando grandemente l’eccesso di Rogliac, come in effetto è degno di gran biasimo e castigo, ma senza che mi paresse di dover impegnare in questo fatto l’autoritá di Nostro Signore, oltre che monsignor Rucellai vien consigliato che vegga d’accomodarsi con procurar piú tosto di ricevere tutte le sodisfazioni possibili per via amicabile, al che l’ho consigliato anch’io, e gli ho promesso che in tal caso non mancherò d’interporre ogni officio dal canto mio; che è quanto posso significare a Vostra signoria illustrissima intorno a questo particolare.
XXVIII
Della facoltá teologica di Parigi e della sua devozione alla santa sede.
È stato scritto qua per lettere di Roma da qualcheduno di questa nazione, che pare che l’opinione che si soleva avere in cotesta corte di questa facoltá teologica di Parigi sia molto diminuita, e particolarmente che se ne parla come ella non avesse quei buoni sensi che dovria intorno all’autoritá della santa sede e che perciò appresso Sua Santitá medesima sia in poca stima la detta facoltá e per conseguenza il collegio della Sorbona che tiene il primo luogo. È venuto ciò a notizia di questi dottori della medesima facoltá, ed ha cagionato nei piú principali e di maggior zelo molto sentimento, e piú degli altri in quelli della Sorbona. Hanno pensato dunque i piú buoni e meglio affetti alla santa sede che si debba mandar a Roma una persona di essa facoltá, non tanto per giustificarsi di questa voce che è sparsa, quanto perché abbia a star costí del continuo ed a trattar gli affari di detta facoltá che le possono occorrere in cotesta corte di Roma; ma uno dei piú principali fini sará ancora di tener unito per via della detta persona il corpo di questa facoltá quanto piú sará possibile con la medesima corte di Roma. Onde la persona che si manderá dovrá aver ordine particolarmente d’avvisar la detta facoltá delle risoluzioni, che s’anderanno pigliando costí alla giornata in materia di religione, e di quelle che escono fuori dalla congregazione del sacro concilio, per potersi poi qui nei pareri che si ricercano ordinariamente da questa facoltá, in dubi pure di religione ed in casi di coscienza, conformar alle determinazioni di Roma; onde quei che non hanno cosí buon affetto alla santa sede, siccome son particolarmente i riceristi, non sentono troppo bene questa risoluzione, ma essendo essi in poco numero rispetto agli altri, si crede ch’il parere dei buoni sia per prevalere, e ciò si deve desiderare poiché da questo non può risultare se non frutto alle cose della religione e vantaggio alla santa sede. Io ho parlato con alcuni altri di questi dottori piú principali della Sorbona ed in particolare col dottor di Vual, che per buontá pietá e dottrina è il piú stimato di tutti, conforme a quello che ne ho scritto altre volte, ed ho procurato di persuadere loro che quel che è stato avisato da Roma sia una voce vana e forse inventata da persona poco ben affetta al ben publico e desiderosa di veder disunita essa facoltá. Della corte di Roma gli ho poi assicurati che Sua Santitá non può avere se non una buona ed onorata opinione di questa facoltá e in particolare della Sorbona, per la sodisfazione particolare che ricevette la Santitá sua della censura che usci ultimamente sopra il libro spalatense. Di quest’officio hanno mostrato di sentir molto gusto. Nel resto non hanno fatta ancora elezione della persona; si crede però che si fará quanto prima, ed il detto dottor di Vual mi ha assicurato che si eleggerá qualcheduno de’ meglio affetti alla santa sede. M’ha soggiunto egli ancora di piú che si crede parimente che Sua Maestá sia per aver molto gusto della medesima missione, e che perciò sia per aiutarla con qualche trattenimento amico. M’è parso a proposito di dover dar conto di tutto ciò a Vostra signoria illustrissima.
XXIX
Della buona disposizione di Luigi XIII verso la Chiesa.
Con lettera particolare il signor cardinale di Retz m’ha dato parte d’essere stato fatto da Sua Maestá del consiglio segreto, come dico nel foglio d’avvisi publici. Da questa dimostrazione e da quella che pochi dí sono pur fece la Maestá sua, con aver eletto per grande elemosiniere il signor cardinale della Rosciafocò si scuopre il buon affetto che porta Sua Maestá ai soggetti ecclesiastici e l’inclinazione che ha alla Chiesa, e perché queste due azioni sono state in grand’onore e vantaggio delle cose ecclesiastiche, stimerei, quando cosí parerá alla somma prudenza di Nostro Signore e di Vostra signoria illustrissima, che fosse bene che Sua Santitá scrivesse un breve alla Maestá sua con lodarla delle due azioni e con esortarla ed infiammarla a continuar a farne dell’altre simili; e d’un tale officio si ha da credere che Sua Maestá sia per sentir molto gusto. Onde si può credere che Sua Maestá sia per pigliar tanto piú animo a perverare nella buona disposizione che mostra verso le cose che tendano alla pietá. Il signor di Luines poi ha avuta gran parte in queste due deliberazioni, ed il suo favore ogni dí va piú crescendo, sí come egli ogni di piú si mostra inclinato alle cose della Chiesa, e perciò stimarei, se cosí piacerá a Sua Santitá e a Vostra signoria illustrissima, che sarebbe a proposito che la Santitá sua scrivesse medesimamente un breve ad esso signor di Luines, con lodar ancora lui di quanto ha fatto sin qui in servizio della religione e con persuaderlo a far l’istesso per l’avvenire; e caso che ciò s’abbi a fare, si potrebbe scrivergli nella forma piú onorevole, perché egli adesso è governatore in capite dell’Isola di Francia, che era il governo del signor duca d’Umena. Non sarebbe se non bene che ella ancora con quest’occasione scrivesse al detto signor di Luines, che le servirebbe per introdurre con lui qualche sorte di corrispondenza per tutto quello che potesse occorrere; Vostra signoria illustrissima medesimamente per il sudetto rispetto potrebbe dargli dell’eccellenza. Io però in ciò mi rimetto al prudentissimo giudizio di Sua Santitá e di Vostra signoria illustrissima.
XXX
Notizie degli avvenimenti di Boemia.
L’agente qui dell’imperatore è venuto a trovarmi, e m’ha dato parte dei buoni progressi che si van facendo in Boemia dalla parte di Sua Maestá cesarea, come Vostra signoria illustrissima averá inteso da monsignor nunzio d’Alemagna. Da esso monsignore è un gran pezzo che io non ho avute lettere, e mai non ho avuto risposta di quel che gli ho significato intorno a quanto io avevo negoziato qui per l’affare di Boemia; si come non ho avuto mai né anche avviso di quel piego ch’io gl’inviai per monsignor vescovo di Sant’Angelo, dove era la risposta di questo re alla lettera del re di Polonia. Ho qualche dubio che le lettere non siano smarrite. Io però non mancherò d’avvisare il medesimo monsignor nunzio d’Alemagna di quanto anderá occorrendo. L’imperatore ha scritto qua una lettera al re, con ringraziarlo della buona disposizione che ha mostrata verso Sua Maestá cesarea in quest’occasione della ribellione di Boemia, con aver ancora passato un nuovo officio, affinché di qua non si voglia dar orecchio a qualsivoglia instanza che venisse fatta dai ribelli o d’altri in lor favore. Qui hanno risposto di voler continuare alla medesima buona disposizione, e di ciò hanno assicurato a pieno il detto agente. Mando copia della lettera dalla quale hanno mostrato qui di ricevere molta sodisfazione.
XXXI
Trattative di matrimonio fra il principe di Savoia
e la sorella di Luigi XIII.
Dopo l’audienza publica il signor Cardinal di Savoia n’ebbe pochi giorni appresso un’altra, nella quale fece la sua dimanda al re intorno al matrimonio tra il signor prencipe di Piemonte e la seconda sorella di Sua Maestá. Sentí la Maestá sua con molto gusto la detta dimanda, e disse che ne voleva parlare col suo consiglio, e che poi averebbe risposto. Poco dopo venne il signor di Pisius a darmi parte della detta dimanda, inviato da Sua Maestá, che mi fece dire che in questa ed in ogni altra occasione non mancherá giá mai di dar ogni piú vivo segno del rispetto che porta alla santa sede ed alla Santitá di Nostro Signore. Io gli risposi in quel modo che mi parve conveniente, ed assicurai il medesimo signor di Pisius che a Sua Santitá sará sempre di particolar piacere tutto quello che potrá risultare in prosperitá di questa corona ed in gusto di Sua Maestá medesima. Il detto signor di Pisius passò l’istesso officio ancora con l’ambasciator di Spagna, che dopo avergli risposto con quei termini che si dovevano, gli soggiunse che conveniva che s’avesse memoria d’adempire con Sua Maestá cattolica quel che s’era convenuto nel tempo dei matrimoni. Al che Pisius rispose che non si saria mancato; fatto questo, subito si prese risoluzione prima d’ogni cosa di mandar in Spagna il signor di Fargi, cavaliere molto qualificato, a dar parte a quella Maestá della dimanda predetta affine ch’il tutto abbia a seguire con sodisfazione parimente ch’essa Maestá. Qui si crede che di lá non sia per farsi alcuna difficoltá, poiché non pare che niuna ragione le voglia, dopo che da questa banda si sará sodisfatto a quel che si deve, ed il medesimo ambasciatore di Spagna mostra qui meco di credere l’istesso; per esser questo un negozio che può portar seco delle conseguenze di grand’importanza fra le due corone, io non ho mancato d’avvisare e suggerire quanto occorre in questa materia a monsignor d’Amelia, affinché, bisognando, egli possa far quelli offici che giudicherá a proposito. Il sudetto signor di Fargi prima che sia partito è venuto a vedermi, ed io gli ho dato lettere per il medesimo monsignor d’Amelia.
XXXII
Ancora del predetto matrimonio.
Iersera il signor di Bonulio, introduttor degli ambasciatori, venne a trovarmi in nome del re ed a darmi parte che Sua Maestá si è risoluta di concludere il matrimonio tra madama sua seconda sorella ed il signor prencipe di Piemonte, ma che essendosi trovato che sono congiunti insieme in quarto grado, è necessario d’aver dispensa da quest’impedimento dalla Santitá di Nostro Signore, e che per ottenerla Sua Maestá s’è risoluta di spedire oggi un corriere a Roma. Io risposi al detto signor di Bonulio che rendevo umilissime grazie a Sua Maestá dell’officio che Sua Maestá s’era degnata di passar meco, e dopo gli dissi che non s’aveva da dubitare che in questa ed in ogni altra occasione Sua Santitá non fosse per compiacere Sua Maestá in tutte le cose possibili. Quanto al detto matrimonio si crede che oggi saranno sottoscritti gli articoli dalle parti, ed in sostanza s’intende che madama avrá in dote quattrocento mila scudi del sole conforme alle solite doti delle figlie di Francia, pagabili in tre volte, cioè una parte ora, un’altra fra un anno, e l’ultima rata sei mesi dopo, e che all’incontro il prencipe di Piemonte presentará madama di cinquanta mila scudi di gioie e le assegnará trenta mila scudi annui incirca da godere in caso ch’egli venisse a morire prima di lei; ma publicato che sia il matrimonio si sapranno particolarmente tutte le circonstanze.
A portarne gli articoli sottoscritti subito sará spedito dal signor cardinale di Savoia il marchese Gaiuso figliolo del conte di Verrua, confermandosi qui tuttavia la voce che sia per venir poi il prencipe di Piemonte a Parigi, se ben qui si crede ch’il Cardinal suo fratello debba in suo nome sposar madama senz’altra dilazione.
Il signor di Fargis non è ancora tornato. Onde vedendosi qui tanta lunghezza, non si è poi piú voluto tardare a condur inanzi e concludere la pratica del matrimonio. È certo che ognuno si maraviglia come di Spagna non l’abbiano rispedito subito, e prestato facil consentimento ad un negozio che pure dovevan tener per fatto.
Alla regina madre è stato spedito un corriere con gli articoli perché siano sottoscritti da Sua Maestá, e se il corriere non tornò ieri sera, dovrá esser tornato questa mattina senz’altro. Il duca di Nemurs, come della casa di Savoia, anderá in nome del re a levar di casa il cardinale, e lo condurrá in cerimonia a Lovre, dove si fará la sottoscrizione degli articoli con ogni solennitá, che è tutto quello che per ora posso riferire a Vostra signoria illustrissima intorno alla presente materia del matrimonio predetto.
Il signor cardinale di Savoia ha poi mandato un suo gentiluomo a farmi sapere la conclusione del matrimonio ancora dalla sua parte, ed oggi senz’altro si sottoscriveranno gli articoli.
XXXIII
Fuga della regina madre dal castello di Blois.
La Francia insomma non può star senza continue novitá, ed ora inaspettatamente n’è sopragiunta una delle maggiori che potessero nascere. La regina madre finalmente non ha potuto contenersi in piú lunga pazienza, onde alli 21 del presente Sua Maestá si risolse d’uscir all’improviso di Bles sulla mezza notte, essendo venuto il duca di Pernon a levamela. Il modo della sua uscita si racconta communemente in questa maniera: cioè, che Sua Maestá scendesse da una finestra del castello, e che, uscita dalla cittá, trovasse l’arcivescovo di Tolosa con una carrozza da campagna e con cento cavalli, e che una lega dopo trovasse Pernon medesimo che l’aspettava con altri trecento cavalli. La regina non prese altre persone in sua compagnia che due sole donne italiane, che vennero con lei in Francia, e due suoi domestici francesi dei piú fidati; e subito se ne andò a Ecure, buona terra ch’è sotto il governo del duca di Pernon, per andarsene di lá poi ad Angolemme verso la Ghienna che è un’altra terra principale della quale è puranche governatore il medesimo Pernon. Quest’avviso venne qua subito, e trovò il re in San Germano, dove Sua Maestá era andata con tutta la corte e con i prencipi di Savoia per passar in quel luogo qualche giorno in trattenimento di caccie. Avuta la nuova, Sua Maestá venne subito in diligenza a Parigi, ed ha mostrato un gran senso di questo successo, e se n’è commossa grandemente tutta la corte per il dubio che si può avere che quest’accidente non se ne tiri adietro molti altri peggiori.
Da che il re tornò a Parigi non s’è quasi fatto altro che stare in perpetui consigli, e le risoluzioni che si sono prese sin ora sono che Sua Maestá con ogni maggior prontezza armi gagliardamente e che vada quanto prima in persona verso Orleans e quelle parti oltre la Luera dove potrá piú richiedere il bisogno del suo servizio, e perciò s’è dato ordine subito di trovar danari e di levar fanteria e cavalleria, e di fare tutti gli altri provedimenti necessari per mettere alla campagna per ora un esercito di dodici mila fanti e tre mila cavalli. Intanto la regina madre ha inviato qua un gentiluomo con una sua lettera, nella quale dá conto al re delle cagioni che l’hanno mossa ad uscir di Bles nel modo che ha fatto, e sono queste in sostanza: che Sua Maestá, dopo aver sofferti tanti mali trattamenti per il passato, avria continuato ancora a soffrirgli, se non avesse vedute le cose sue ridotte a termine che non poteva tenersi piú in alcun modo, sicura in Bles; che perciò s’era risoluta d’uscir di quel luogo e di mettersi in istato di sicurezza dentro i governi del duca di Pernon; che ciò non doveva dispiacere al re, essendo esso Pernon uno dei suoi migliori e piú fedeli servitori e soggetti, e che per tale piú volte era stato a lei dichiarato dal medesimo defonto re suo marito; che ella averebbe desiderato ora piú che mai di vedere e di communicare col re per informarlo principalmente di molte cose di grand’importanza, che riguardano il suo servizio, il quale corre gran pericolo se non gli si dá conveniente rimedio; e che in somma la risoluzione che ella aveva presa non tendeva se non a buon fine, e principalmente a quello del servizio di Sua Maestá. Questo contiene in sostanza la lettera, dopo la quale si è poi inteso che sia comparso ancora un gentiluomo inviato da Pernon pur anche con una lettera sua, ma che il re non abbia voluto né vedere il gentiluomo né ricever la lettera. E quanto alle particolari considerazioni che toccano al detto Pernon di giá son noti i suoi disgusti, avendone io dato avviso di mano in mano, ed ora mando parimente copia in italiano di due lettere scritte da lui al re alla sua partita di Metz.
Di questa risoluzione presa dalla regina madre si discorre qui variamente, come ben Vostra signoria illustrissima può imaginarsi; molti scusano Sua Maestá giudicando che ella sia stata troppo maltrattata e con termini troppo indegni, e che non potesse in alcun modo assicurarsi delle parole che se le davano, anzi che potesse temere di peggio. Altri la biasimano grandemente, e dan nome di consiglio disperato a questo che ha preso di gettarsi nelle fazioni o facendole o fomentandole, e con sí gran pregiudizio e nell’un modo e nell’altro dell’autoritá del re suo figliolo e della quiete del regno, e con tanto danno della religione cattolica, poiché da queste turbulenze risulta sempre un gran vantaggio alla fazione degli ugonotti. Al che s’aggiunge il sapervi ch’il re pochi dí sono aveva mandato il signor di Fargis, che venne ultimamente di Spagna, a Bles ad assicurar la regina di nuovo che l’averebbe veduta presto in ogni maniera. Fra le risoluzioni che ha prese il re di prepararsi alla guerra, Sua Maestá nondimeno s’è risoluta prima di ogni altra cosa di mandare il signor di Bettuna a trovar la regina per scoprire il suo animo e saper meglio la sua intenzione, e si crede che egli partirá presto. Nell’occasione di quest’accidente io ho giudicato a proposito di veder il re, com’ho fatto, e di mostrare a Sua Maestá quel senso di dispiacere che conveniva di un tal successo, ed assicurar insieme la Maestá sua che la Santitá di Nostro Signore ne stará con particolar afflizione. Sua Maestá gradi molto questo mio officio, ed a punto ne passarono un simile subito dopo me gli ambasciatori di Spagna e di Fiandra. Intorno a questa materia della regina madre saran contenuti diversi altri particolari publici nel foglio d’avvisi, e nel resto mi rimetto alla cifra.
XXXIV
Invio d’un incaricato della regina madre a Firenze.
La regina madre arrivò qua ieri l’altro, come Vostra signoria illustrissima vedrá a pieno per l’annesso foglio d’avvisi ch’io le invio, e si è risoluta di spedire una persona a Fiorenza per le poste a fine di dar conto al granduca di questa sua venuta. La spedizione però è molto segreta, per non dar ombra qui che Sua Maestá voglia tener stretta e particolarissima intelligenza con Sua Altezza. Io avendone però avuta notizia, ho stimato di dover anch’io con quest’occasione dar conto a Vostra signoria illustrissima di questo successo, come fo col mezzo del detto foglio d’avvisi. All’improviso ho saputo questa risoluzione della regina, onde non ho tempo di soggiungere altro a Vostra signoria illustrissima; ma con l’ordinario che dovrá partire fra tre o quattro giorni le darò minuto ragguaglio di quel piú che m’occorrerá. Raccomando questo pieghetto a Fiorenza al signor Matteo Bartolini residente giá del granduca a questa corte, che è fratello del mastro delle poste di Sua Altezza. Onde voglio credere che sia per capitare a Vostra signoria illustrissima assai presto.
XXXV
Colloquio del nunzio con la regina madre.
Oggi ho avuto poi audienza dalla regina madre, e Sua Maestá m’ha raccolto con segni di particolarissima benignitá. L’audienza è stata longa avendomi Sua Maestá trattato molto a pieno dei suoi accidenti passati. Ella mostra d’esser venuta qua totalmente risoluta di continuare in buona corrispondenza col re suo figlio, e mostra ancora di restar molto sodisfatta dei trattamenti che qui ora le vengono fatti. Io non ho mancato di animarla quanto ho potuto a continuare in un sí buon proposito, mettendole innanzi il ben publico che è per risultarne, massime in questo tempo della prossima assemblea degli ugonotti. Sua Maestá m’ha ricercato poi con molta instanza di rendere affettuose grazie in nome suo alla Santitá di Nostro Signore per gli offici che ha ordinato a me ch’io passi intorno alle sue occorrenze, mostrando di restarne a Sua Santitá con particolarissimo obligo, e d’aver un vivo desiderio di poterne mostrare ancora alla Santitá sua una particolarissima gratitudine.
XXXVI
Preoccupazioni francesi per le truppe spagnuole nel ducato di Milano.
Il signor di Pisius m’ha parlato ultimamente molto a lungo intorno a quelle forze che gli spagnuoli tengono da un tempo in qua nello stato di Milano con disegno, per quel ch’hanno mostrato, di soccorrere il re Ferdinando. Ora egli dice che essendo seguita l’elezione all’imperio in persona di Sua Maestá, par che abbia a cessar il bisogno di mandarle quel soccorso, potendosi credere che le cose di Boemia siano per accomodarsi, poiché quelle turbolenze erano state suscitate particolarmente per far ostacolo all’elezione di Ferdinando. Ma ora che è stato eletto imperatore, cessano i rispetti principali dei rumori di Boemia, e perciò converrebbe che li spagnuoli levassero dallo stato di Milano quelle forze che hanno mostrato di tenervi per tal cagione, per levar via insieme tutte le gelosie che potessero far nascere. M’ha ricercato dunque esso Pisius, in nome del re, ch’io scriva a Vostra signoria illustrissima tutto questo perché ella si compiaccia di rappresentar le medesime cose alla Santitá di Nostro Signore ed operar che Sua Santitá voglia dalla sua parte interporre i suoi offici in Ispagna, affinché s’abbiano da levar dallo stato di Milano le dette forze; ed in Germania, acciò che l’imperatore abbia da applicar l’animo ad accomodar le cose sue di Boemia piú tosto per via suave e di trattazione che per via della forza; e qui vien giudicato che questa sarebbe la strada piú sicura, poiché quando l’imperatore voglia servirsi del pretesto delle cose di Boemia per mantenere in Alemagna quelle forze d’armi forastiere di Spagna, con disegno d’avanzar troppo i suoi interessi, darebbe senz’altro materia d’una gran commozione, e per conseguenza d’un gran male a tutta la cristianitá; e perché senza dubio si verriano ad unir insieme, non solo in Germania ma in altre parti, quelli che stimassero necessario di dover gettarsi in un tal interesse, concludendo infine il medesimo Pisius che non potrebbe far di meno di non interessarsi anche in un tale movimento questa corona. Egli m’ha detto ancora che si scriverá di qua a Roma all’ambasciatore, affinché tratti di questa materia con Sua Santitá. Io gli ho risposto che dal canto mio non mancherò di dar conto a Vostra signoria illustrissima di tutto questo, e che m’assicuravo che la Santitá sua non lascerebbe di fare i suoi soliti offici per la quiete e ben publico. M’ha ricercato di piú l’istesso Pisius ch’io voglia scriverne parimente in Ispagna a monsignor nunzio, siccome farò. Di qua ne scriveranno anch’essi a quella corte, e se n’è scritto di giá all’ambasciatore di Sua Maestá cattolica che è in Parigi.
XXXVII
Di incidenti avvenuti a Roma
fra cittadini e dipendenti dell’ambasciatore di Francia.
Son comparse poi qua ultimamente le lettere che si stavano aspettando dal marchese di Couré intorno a quei disordini dei quali Vostra signoria illustrissima stimò bene di darmi parte per corriere espresso, e quanto al caso del Panfilio egli lo rappresenta in questa forma: che andando alcuni della sua famiglia a spasso di notte ed incontrando il Panfilio, uno di quelli gli si avvicinasse e ponesse avanti gli occhi una lanterna, per il che venissero tra lor due a parole e dopo alle mani. Il che vedendo gli altri francesi corressero anch’essi alla rissa dove restasse ferito il Panfilio, e che poco dopo si facesse tra loro la pace col mezzo del signor Mario Frangipani e del signor Bernardino Nari. Ma che, nonostante la pace, sei o sette giorni appresso fosse preso dalla corte quel tal Villa1 parigino, principale autore della rissa, che fu poi rilasciato, come Vostra signoria illustrissima m’avvisò.
Intorno all’altro caso degli sbirri, quel che l’istesso marchese rappresenta è, che mentre alcuni dei suoi stavano di notte a pigliar il fresco inanzi la sua porta, occorse che passaron di lá quattro sbirri con due prigioni, e che uno di essi sbirri trovando uno di quei del marchese che stava facendo qualche sua necessitá, gli disse con insolenza: — Che fai tu qui? — e che il francese risentitosi di sí fatto modo di parlare, gli desse uno schiaffo, e che lo sbirro all’incontro gli s’avventasse adosso, il che vedendo gli altri francesi andassero per aiutar il lor francese, sí come fecero gli altri sbirri per dar aiuto al lor compagno, e che cosí s’attaccasse la mischia, nella quale gli sbirri sentendosi battere si mettessero in fuga; onde i due prigioni vedendosi liberi, anch’essi subito si mettessero a fuggire da se medesimi per salvarsi. Sopra il primo caso il marchese esagera grandemente la cattura di quel Villa, per esser egli stato preso senza che ne sia stato avvertito prima, supponendo che sia usanza in cotesta corte che quando si tratta di far pigliare qualche famigliare d’ambasciatori si faccia loro prima sapere; e di questo dá conto come di cosa nella quale sia stato molto pregiudicato alla reputazione ed onore di questa corona, e che la cattura sia seguita tanti giorni dopo la pace. Egli vi fa gran reflessione sopra, parendogli che ciò quasi apposta sia stato fatto a sangue freddo, per cosí dire, e con animo di far a lui quest’affronto. E dopo aver egli detto tutto questo, soggiunge che non ostante il torto che gli era stato fatto, egli nondimeno aveva pregato il signor cardinale Bonsi che venisse a trovar, come fece, Vostra signoria illustrissima, affinché ella volesse mandar a passare con lui qualche complimento per potersi acquietare con qualche sua reputazione, ma ch’ella non aveva voluto mandare a far seco alcuna sorte d’officio, ancorché con altri ambasciatori in simili occorrenze si siano mandati sino i governatori medesimi a fare delle scuse.
Quanto poi all’altro caso, egli scrive che sebbene l’accidente era stato inopinato, che il parlar insolente di quel birro era stato in parte cagione, egli nondimeno ne sentí grandissimo dispiacere, e che ne condannò del tutto i suoi, facendone loro una severa reprensione. Soggiunge ch’egli fece parlar subito a Vostra signoria illustrissima dal medesimo signor cardinale Bonsi, affinché si vedesse che sodisfazione si avesse potuto dare di questo disordine alla Santitá di Nostro Signore ed a lei ancora, perché egli era pronto di fare tutto quello che fosse stato possibile; e che Vostra signoria illustrissima non solo non volesse dar orecchio a questa proposta, ma anzi che si mostrasse molto commossa e sdegnata verso di lui, sino a dire ch’egli non pensasse ch’ella potesse piú trattare con lui con buono stomaco, né ch’egli fusse piú per ricevere grazie, né molto meno per le mani di lei che per quelle d’altri. Di questo egli mostra di restar con molta meraviglia, non sapendo a chi attribuire che gli animi di Sua Santitá e di Vostra signoria illustrissima in particolare fossero tanto alterati verso di lui dopo quest’ultimo disordine: replicando egli molte volte insomma, che per la parte sua sará fatto quanto umanamente sará potuto per vedere che la Santitá sua e Vostra signoria illustrissima ne restassero con ogni maggior sodisfazione. Questo è quel che in sostanza ha presentato qui il signor marchese di Couré intorno ai predetti due casi. Quasi subito il signor di Pisius venne a trovarmi e mi diede parte di tutte le cose predette, in nome del re, e per quello ch’egli mi rappresentò, qui si mostra dispiacere della cattura del Villa per rispetto della riputazione di questa corona, e se ne vorrebbe qualche sodisfazione, se ben dispiace molto piú che venisse costí escluso il loro ambasciatore di poter trattare di dare a Sua Santitá ed a Vostra signoria illustrissima la sodisfazione che si conveniva per conto delli sbirri, massime che l’istesso che rappresenta Couré vien rappresentato ancora, per quel ch’essi dicono, da altre persone molte gravi e d’autoritá, e da altri della nazione, scrivendo tutti ch’esso Couré abbia usato ogni via possibile per raddolcire e placar l’animo di Sua Santitá e di lei, e che dal suo canto abbia fatto quanto si poteva desiderare.
A tutte le cose predette non ho mancato di rispondere nel modo che bisognava e di valermi delle ragioni suggeritemi da Vostra signoria illustrissima, onde intorno al primo capo ho detto che da Sua Santitá non viene ammesso in alcun modo il presupposto che fa il marchese di Couré, che non si possa pigliare alcun servitore d’ambasciatori senza fargli prima avvertiti; ed in questo proposito ho raccontato quel che fu fatto in tempo d’Alincourt e quel ch’è stato fatto ultimamente ad un servitore del Cardinal Borgia. Qui mi hanno replicato che ad Alincourt fu data poi quella sodisfazione che si richiedeva, e che il servitore di Borgia fu trovato in flagranti ed in un delitto molto brutto; e di piú mi hanno detto che Vostra signoria illustrissima ha detto che se pure è stato fatto intendere costí quando si pensava di far pigliare alcuno dei suoi, ciò si era fatto per termine di cortesia. Onde qui par duro che quella cortesia che s’è fatta cogli altri non si voglia fare ora al marchese di Couré.
Che il Villa sia stato preso, ed alcuni giorni dopo la pace, ho risposto che essendo stato il caso del Panfilio di molta considerazione e di molto scandalo, conveniva ancora per la riparazione della giustizia che ne fosse fatta qualche dimostrazione, e che non se ne poteva far alcun’altra piú soave che di far pigliar quello solamente che era stato principal cagione della rissa. Quanto alla pace, ho detto che in Roma non era nuovo di far carcerar un delinquente dopo la pace, perché colla pace vengono a restar sodisfatte fra loro le persone private e non il fisco. A questo hanno risposto qui che ciò è vero quando si tratta con rigor di giustizia e con persone private, ma che cogli ambasciatori par che convenga pure di far qualche cosa di piú che cogli altri. Ho replicato che assai si è fatto essendosi rilasciato subito ad una instanza del marchese di Couré il detto Villa, e non essendosi preso alcun altro di quei che erano nella medesima rissa. Che la cattura sia seguita alcuni giorni dopo la pace, ho risposto che io non avevo notizia precisa di quest’intervallo di tempo, e caso che sia stato vero, non sará stato per altro se non perché la corte non avrá avuto commoditá di farlo prima. Nel resto, che quanto alla buona volontá di Nostro Signore e divozione di Vostra signoria illustrissima verso questa corona ben potevano qui esserne pienamente sicuri, perché in tutte l’occasioni che si son presentate hanno potuto di qua chiaramente vedere l’onore ed il rispetto che s’è sempre mostrato dalla Santitá sua e da lei verso la medesima corona, e che ciò avevano potuto raccoglier di nuovo dal corriere spedito qua sopra l’istesse materie, poiché Sua Santitá prima d’ogni altra cosa ha voluto domandar al re quella sodisfazione che la Santitá sua per se medesima poteva pigliarsi; che Vostra signoria illustrissima non abbia voluto mandar a fare alcuna scusa col medesimo marchese, ho soggiunto ch’ella non ha giudicato di doverlo fare per non mostrar d’aver il torto in luogo che ella aveva stimato d’aver ragione.
Intorno al secondo capo ho risposto ch’era vero che il signor cardinale Bonsi era stato a trovar Vostra signoria illustrissima in nome di Couré; ma ho soggiunto che io non sapeva ch’egli avesse fatto sí larghe offerte com’egli rappresenta, che ben io sapeva che il medesimo cardinale aveva ricercato lei che volesse impetrare la grazia per i francesi che avevano battuta la corte, ma ch’ella aveva giudicato di non poter farlo in maniera alcuna, e quanto all’essersi Vostra signoria illustrissima risentita quando Bonsi venne a trattargli di questo, ho detto qui ch’ella con gran ragione aveva mostrato qualche commozione d’animo, vedendo che dalla famiglia del marchese di Couré si tratti con sí poco rispetto verso di lei e di Sua Santitá medesima, commettendo del continuo disordini sopra disordini contro la giustizia, nell’amministrazione della quale Sua Santitá preme tanto, ma che non poteva giá essere ch’ella fosse uscita a parole che in qualsiasi modo potessero offendere l’onore e la dignitá di questa corona. E queste sono state le mie risposte, delle quali però ha mostrato di non appagarsi molto Pisius.
XXXVIII
Ancora degli incidenti predetti, e d’un altro nuovo.
Dopo aver scritto ieri a Vostra signoria illustrissima un’altra lunga lettera intorno alle occorrenze del marchese di Couré, è arrivato qua un suo segretario spedito da lui a rappresentar qua piú pienamente a bocca quel che da lui medesimo era stato prima rappresentato per lettere, ed anche perché dia conto qua dell’accidente seguito costí ultimamente in persona del mastro di casa dell’istesso marchese.
La relazione che ha fatta qui il segretario sopra il nuovo accidente, è che essendo andato il detto mastro di casa in pescaria a spendere senza aver dato occasione alcuna imaginabile d’esser fatto prigione, in un subito si vidde circondato da sbirri che lo presero alla vista d’ogni uomo e lo messero in una carrozza serrata, e lo menorono alle carceri. Fatto questo, si venne ad esaminarlo, e non trovandosi contro di lui cosa alcuna, dice il segretario che si procurasse per via dell’istesso mastro di casa che il marchese volesse domandare la sua scarcerazione, il che non volle fare il marchese dicendo che non apparteneva piú a lui trattar di tal materia, ma che erano affronti che venivano fatti alla maestá di questo re ed a questa corona, e che perciò egli darebbe conto qua per uomo espresso dei modi coi quali egli veniva trattato in cotesta corte. Onde vedendosi che egli non voleva parlare per il suo servitore, si prese risoluzione di scarcerarlo e di mandarlo fuor di prigione quasi come per forza.
Questa è la relazione in sostanza che è stata fatta dal segretario, il quale dopo aver confirmato ampiamente a bocca tutto quello che era stato scritto qua dal suo padrone, sopra queste materie, ha esagerato grandemente i torti che gli sono stati fatti costi.
Di quest’ultimo caso si è trattato qui in pieno consiglio alla presenza del re, e tutti hanno stimato che questo sia un torto fatto manifestamente non al marchese di Couré, che non può essere considerato come persona privata, ma a questo re medesimo, e che ne venga per conseguenza a restar grandemente offesa in Roma la riputazione e dignitá della Maestá sua e di questa corona.
Il signor di Pisius era stato di giá a darmi parte di quel che aveva rappresentato qua il marchese di Couré per lettere, come io scrivo a Vostra signoria illustrissima nell’altra mia, e questa mattina è venuto di nuovo a vedermi d’ordine del re per darmi pur parte di tutte le cose predette e per farne insieme una doglianza molto grande meco, siccome è seguito, e per ricercarmi in nome di Sua Maestá che io voglia rappresentare tutte le medesime cose alla Santitá di Nostro Signore, e soggiungere, che essendosi tanto chiaramente pregiudicato con la carcerazione del detto mastro di casa all’onore della Maestá sua, voglia Sua Santitá apportarvi quel rimedio che è necessario, poiché le cose sono passate tant’oltre che non possono restare cosí in modo alcuno; e di piú m’ha detto il medesimo Pisius che sí come la Maestá sua s’è mostrata sí pronta in dar sodisfazione per corriere espresso alla Santitá sua, cosí par che ogni ragione voglia che Sua Santitá ancora con la medesima disposizione dia sodisfazione a Sua Maestá. Nella cattura del mastro di casa predetto quel che è parso qui duro piú d’ogni altra cosa è, che avendo spedito qua un corriere espresso Sua Santitá per aver quella sodisfazione che conveniva, non si abbia voluto aspettare senza venire ad altra inovazione finché si vedesse quel che riportasse l’istesso corriere. Par duro ancora grandemente che si sia preso il medesimo mastro di casa, mentre che s’erano interposti per veder d’accomodar le cose non solo vari cardinali amorevoli di questa corona, ma anco di quelli che sono creature di Sua Santitá ed in particolare il signor cardinale Campora, che insieme col signor cardinale Bonsi le aveva ridotte, per quel che riferisce il sudetto segretario, a buon segno.
Intorno al punto che costí par che non si voglia ammettere, di fare avvertiti gli ambasciatori prima che si venga a metter mano nei loro servitori, il signor di Pisius m’ha detto che costí vien risposto che si proceda ancora qui nell’istesso modo col nunzio, poiché non s’intende che egli abbia a goder maggiori prerogative di quelle che gode costi l’ambasciatore di Francia. A questo si replica di qua, che se ciò si dovrá mettere ad esecuzione, si potrá fare per l’avvenire, ma che intanto par molto duro che s’abbia a voler rompere in cotesta corte un’antica usanza cominciando dall’ambasciatore di questa corona. Le risposte che io ho date sopra il particolare della cattura del mastro di casa di Couré, Vostra signoria illustrissima le vedrá dalla cifra congiunta, non soggiungendo io qui altro per non ripetere le medesime cose.
XXXIX
Disapprovazione d’un atto della regina madre.
Non è piaciuto in corte che la regina madre abbia ricevuti quei deputati dell’assemblea degli ugonotti, che andarono a trovarla per il complimento che s’avisò nelle precedenti lettere. E senza dubio ella averebbe fatto molto meglio a rimettergli al re. Non piace neanco il vedere che la regina non parli ancora di venire appresso il re, ed ella va tardando; cominceranno senz’altro a nascere delle gelosie, e con gran danno del servizio del re e della religione per l’animo che piglieranno gli ugonotti dal veder principiarsi nuovi disgusti. Io ho fatto intendere tutto ciò alla regina per buone vie, e fattala supplicar efficacemente a venir quanto prima in corte.
XL
Ringraziamenti per favori fatti dal cardinale Borghese
al fratello del nunzio.
Niuna cosa ha dato piú animo, come Vostra signoria illustrissima sa molto bene, al signor Enzo mio fratello di far l’acquisto della casa e giardino di Montecavallo che la nuova grazia ottenuta di quel feudo sul ferrarese, grazia che essendo uscita intieramente dalla benignitá di Nostro Signore e di Vostra signoria illustrissima ha fatto anche uscir per conseguenza l’acquisto predetto dalle loro benignissime mani. Onde a gran ragione Vostra signoria illustrissima vi potrá aver sopra ogni diritto di giustizia, oltre a quello di padronanza che ella sempre avrá sopra tutte le cose nostre. Nel resto, un tal giardiniere e custode come Vostra signoria illustrissima sarebbe di troppa spesa; e con sua licenza io penso d’inviar a quest’ufficio qualcun di questi miei bravi ugonotti di Francia che non si lasci far paura da qualche Reville, o altro di cotesti cattolici apostolici romani francesi, quando vorranno per forza andar a vedere il giardino e la casa. Ma lasciando questi scherzi, ne’ quali Vostra signoria illustrissima sí benignamente ha voluto darmi occasione d’entrare, io le rendo quelle piú umili e riverenti grazie che posso dei nuovi favori che ella s’è degnata di fare a mio fratello ed a me, e prego Dio che a noi dia forza di mostrar verso di lei la debita gratitudine; e che a lei conceda ogni grandezza e felicitá piú desiderabile, e per fine le bacio umilissimamente le mani.
XLI
Ancora degli incidenti di Roma.
Dalle cose ch’io ho negoziato qua, credo che Vostra signoria illustrissima avrá potuto conoscere che non è mai stato in mio potere di far capaci questi ministri che il marchese di Couré abbia avuto colpa in quell’insulto della sua famiglia contro li sbirri, come né anche di fargli capaci che egli non procurasse allora tutte le sodisfazioni che si potevano desiderare da lui in risguardo del detto insulto, anzi che ne fosse ributtato con termini di disprezzo, come qui han sempre voluto mantenere. Di piú, non hanno mai voluto rendersi capaci che non fosse una cosa nuova ed insolita il far pigliar quel mastro essendo innocente, e che non sia stato un affronto publico fatto a questa corona il farlo pigliar nel modo che qui hanno presupposto. Hanno dunque pretesa una sodisfazione publica, ed hanno mostrato che si era offerta dall’istessa qualitá di Couré parimente coll’aver voluto mettere in mano della giustizia qualcuno dei delinquenti, e che non essendosi voluta accettare costí, anzi essendosi ributtata con disprezzo, come ho accennato di sopra, per ciò Couré non doveva ora dar altra sodisfazione, ma riceverla nel modo che qua il re pretendeva che fosse dovuta a Sua Maestá. In Compiègne trovai le cose in questi termini come scrissi allora diffusamente. Onde mi pareva che non fosse stato poco il migliorarle per la nostra parte nel modo allora avvisato, essendo stato necessario di guadagnar a palmo a palmo quel che si guadagnò, e per me credo, che se non fosse stata la congiuntura d’aver io conosciuto in Fiandra e mosso con tal occasione il prencipe di Condé, non si sarebbero le cose ridotte a quel segno. Ora mi dispiace infinitamente che Nostro Signore e Vostra signoria illustrissima non abbiano ricevuto intiero gusto di quel ch’io riportai da quella negoziazione. Primamente bisogna considerare ch’io non proposi né ammessi partito alcuno, ma lasciai che il tutto passasse e terminasse costá, e quanto a quelle scuse rispettevoli da farsi dal marchese di Couré ben vede Vostra signoria illustrissima che ciò non poteva escludere qualche altra sodisfazione publica, che si dovesse dare da lui in risguardo dell’insulto dei suoi, poiché le dette scuse avevano solamente a servir per la sodisfazione publica che si doveva alla persona propria di lui; e circa alla prima sodisfazione publica in risguardo dell’insulto dei suoi, quando capitò qua il corriere io non sapeva che tuttavia restasse in casa di Couré alcun delinquente, poiché non avevo ricevuto ancora le cifre del primo, due e tre d’ottobre, che non ricevetti né anche se non due di dopo la partita di qua del medesimo corriere, nelle quali cifre mi si parlava di quel credenziere, ma solo sapevo ch’il Reville era partito da Roma, e che andava qua e lá vagando. E ben può vedere Vostra signoria illustrissima che qua si sarebbero risi di me s’avessi fatto instanza che mettessero costí in mano della giustizia un uomo che non era nelle mani loro, oltre che, come ho di giá detto molte volte, qua stavan durissimi in non volere che si parlasse piú d’alcuna sodisfazione di Couré; in modo che mi pareva che non fosse stato poco il cavar quelle scuse rispettevoli in risguardo, come dico sempre, della persona propria di Couré, senza l’aver esclusa qualch’altra sodisfazione publica in risguardo dell’insulto dei suoi, la quale sodisfazione publica io non sapevo come procurare perché non me ne appariva la forma per non aver ricevuto sin allora le sudette cifre. E certo io non so come si commettesse un error í notabile di non me ne mandar il duplicato per il corriere, poiché fatto ben il conto non potevano essermi giunte in modo alcuno all’arrivo del corriere essendo stata la loro data del primo, due e tre d’ottobre, ed essendo arrivato il corriere alli 22 del medesimo, e pur si vede che communemente anche gli ordinari piccioli vogliono in questi tempi ventidue e ventiquattro giorni, e nondimeno credo che quello fosse il grande; e quanto alla via di Genova, di lá non vengono mai qua le lettere se non per occasione del passaggio che fanno per quella cittá gli ordinari di Francia. Notabile fu, torno a dire, il detto errore perché quelle lettere mi portavano una intiera informazione di tutto quello che si poteva far intendere qua dalla parte nostra, e specialmente mi suggerivano il particolare del credenziere colpevole, sul quale particolare io avrei fatto ogni maggior sforzo e procurato su questo punto d’avantaggiar ancora di piú che non feci la mia negoziazione di Compiègne; ma come si sia, replico di nuovo che oltre alla sodisfazione che doveva dar Couré in risguardo della sua propria persona non ostante che in Compiègne non si volesse che egli ne dasse piú alcuna sopra il fatto degli sbirri, e non ostante che si cercasse di giustificar l’altro fatto della retenzione delle lettere, non solamente n’è restato escluso, ma è restato aperto come prima il potersi pretendere costí qualche sodisfazione publica in riguardo dell’insulto dei suoi, non essendomi io impegnato qua in cos’alcuna come avvisai, e non dubito che costi nella trattazione dell’accomodamento non si sia per esser considerato molto bene quello che bisognava per l’intiera sodisfazione delle parti. Sopra tutto è necessario che Sua Santitá e Vostra signoria illustrissima facciano un presupposto, ed è ch’io son qua solo, come ho scritto altre volte, e ch’io solo non posso ritener i torrenti dei mali che di costá son venuti, e vengono da mille parti, avendomi detto questi ministri piú volte liberamente che essi devono credere piú a quei che trattan gli affari di Francia in Roma, e alle relazioni loro come eguali e tutte conformi, che alle sole mie. E quasi m’hanno detto in faccia ch’io gli avevo ingannati in quella spedizione del primo corriere, cavata senza aspettare di sentir il loro primo ambasciatore. E pure mi disse anco ultimamente il cardinale di Retz, che in queste cose di Couré non erano mancate persone religiose di gran zelo e pietá e spogliate d’ogni interesse e passione, che di costá avevano scritto nella conformitá medesima degli altri.
Nel resto, quanto alli particolari che si contengono nella piú longa cifra intorno alle cose di Couré, ed all’altra dei mali offici che di costá si saranno fatti qua facilmente sopra la visita che ha passata cosí subito Vostra signoria illustrissima col duca d’Albuquerque e con la duchessa sua moglie, io non mancherò d’avergli a memoria come bisogna, per servirmene di qua secondo che potrá portar l’occasione.
Ho veduto ancora quel ch’è parso a Vostra signoria illustrissima di farmi sapere, con un’altra cifra delli 15 pur del passato, intorno alle cose che Bonsi ha trattato di nuovo, e non ho che replicar sopra di ciò.
XLII
Intimazione del re di Francia agli ugonotti.
Il re, dopo ch’ebbe data audienza ai nuovi deputati dell’assemblea degli ugonotti, fece loro intendere che si dovessero ritirare, come hanno fatto, assegnando loro otto giorni di tempo d’arrivare a Loudun ed altri otto giorni da separarsi dalla medesima assemblea, ed in caso che quegli ugonotti non vogliano obbedire, Sua Maestá ha fatto dire alli stessi deputati che tutti saranno dichiarati criminali di lesa maestá, e che però s’anderá subito alla confiscazione de’ loro beni. Il signor prencipe di Condé ed il signor duca di Luines han parlato ai medesimi deputati, e gli hanno assicurati come da loro che degli articoli che l’assemblea ha fatto presentare al re, Sua Maestá sia per sodisfarla in tre solamente quando essa assemblea però obbedisca alla Maestá sua, ed i tre articoli sono questi: che nel parlamento di Parigi saranno ricevuti due consiglieri ugonotti in que’ due luoghi che essi pretendono che sian lor dovuti; che nella terra di Ludon si metterá un governatore di sodisfazione degli ugonotti, levandosi quel che vi era; e che intorno alla prorogazione delle piazze di sicurtá, che essi hanno, Sua Maestá dará loro, per adesso, un anno di piú di tempo di quel che lor resta. Di modo che essi le potranno tener ancora per lo spazio di piú di tre altr’anni, e questo si permette acciò che possano aver commoditá di fare un’altra loro assemblea generale politica prima che spiri il tempo della ultima prorogazione delle dette piazze di sicurtá, la quale assemblea essi sogliono tenere di tre anni in tre anni, ed allora si potrá poi trattare di questa materia come agli istessi deputati è stato detto dal medesimo prencipe di Condé, e duca di Luines. Gli ugonotti avrian voluto particolarmente avere sodisfazione intorno al negozio di Béarne; ma il re sta fermo piú che mai in volere che i beni della Chiesa in quelle parti siano restituiti agli ecclesiastici conforme all’arresto di Sua Maestá, e se in ciò gli ugonotti ricuseranno d’obbedire, la Maestá sua si mostra risoluta di non voler sodisfar loro in cos’alcuna. Qui molti credono che essi non siano per separarsi, ma che sian per ritirarsi alla Rosciella o in qualche altro luogo: presto si dovrá vedere quel che saran per fare.
XLIII
Rinnovazione di patti fra il re di Francia e quello d’Inghilterra.
Dalla Maestá di questo re e dall’ambasciatore inglese che è qui furon poi giurati il giorno della purificazione della beata Vergine dopo vespro, nella chiesa de’ religiosi di S. Bernardo, i capitoli della confederazione rinovata fra questo re e quello d’Inghilterra, e per quel ch’intendo sono i medesimi che si conclusero dieci anni sono tra il re defonto e l’istesso re d’Inghilterra, senza esservi aggiunto né levato cos’alcuna. Sin’ora non si sono veduti i detti capitoli, e se usciranno fuori io non mancherò d’inviarne copia a Vostra signoria illustrissima. Il medesimo giorno della purificazione si doveva fare ancora l’istesso in Londra da quel re e dall’ambasciatore che risiede colá di questa corona.
XLIV
Doti e carattere del Puisieux.
Intorno alla persona del signor di Pisius debbo dire a Vostra signoria illustrissima ch’egli vien stimato qui per molto buon cattolico e per molto piú zelante di suo padre, e verso le cose di Roma sempre m’è parso ch’egli sia ben inclinato, sí per il buon senso che egli ha verso le cose della religion cattolica come per rispetto degli interessi di questa corona. Egli è tenuto per uomo piú di buona intenzione che di gran capacitá, poiché qui vien creduto che se non fosse il padre che lo sostenta, egli correrebbe qualche pericolo nel suo offizio che è molto principale, e perciò molto ancora invidiato, essendo subordinate a questo offizio tutte le corrispondenze di fuori di questo regno. Pisius è ancor uomo che si presume assai di se stesso, ed è alquanto vano. Nel resto, quanto a quel che è passato intorno alle occorrenze del marchese di Couré, ha bisognato ch’egli faccia altro personaggio da quel ch’era in effetto, per esser egli, suo padre, ed il commendatore di Sillery suo zio stati sempre stimati diffidenti di Couré. Ma non è stato ch’esso Pisius non abbia piú d’ogni altro ancora detto che Couré non era punto buono per cotesto carico. Ch’è quanto ho da significare a Vostra signoria illustrissima sopra questo particolare.
XLV
Della politica da seguirsi verso i Grigioni.
Come ho di giá significato a Vostra signoria illustrissima, è tornato qua il signor Guffier, ambasciatore di Sua Maestá a’ grisoni. Egli è venuto a trovarmi due volte ed abbiamo trattato insieme intorno alle occorrenze di quelle parti. L’espediente di serrar loro il passo verso il Tirolo e di levar loro le vittovaglie ed il sale, che ricevono da quella banda, viene stimato qui molto buona. Onde io scrivo a monsignor vescovo d’Adria, che sará bene ch’egli s’intenda con l’ambasciatore Casale, che Sua Maestá cattolica tiene alli svizzeri, intorno a questo particolare. Nel resto, qui stan fermi nella risoluzione che han sempre mostrata di voler aiutare con tutti i modi possibili le cose della religione e dei cattolici in quei paesi; e la venuta qua d’esso signor Guffier non potrá esser stata se non di molto giovamento. Io poi in questa materia non ho mancato di passare offici, che ho stimati necessari, con questi ministri in conformitá di quel che Vostra signoria illustrissima mi ha ordinato con la sua delli 21 del precedente, e di quel che ancora a me ha scritto monsignor nunzio agli svizzeri, che è quasi l’istesso che si contiene in quella lettera scritta a lei, della quale ella m’ha inviata copia.
XLVI
Desiderio dei sovrani di Francia per il cardinalato al vescovo di Luçon.
Col ritorno del segretario Memin a Roma si vengono a rinovare gli offici, che tante volte si sono passati con la Santitá di Nostro Signore e con Vostra signoria illustrissima, intorno alla dignitá del cardinalato per monsignor vescovo di Lusson; ed il signor duca di Luines m’ha fatto pregare per il duca di Mombasson suo suocero, che è venuto a posta a trovarmi, ch’io voglia passar ancora i miei con Vostra signoria illustrissima, affinché esso monsignor sia incluso nella prima promozione insieme con monsignor arcivescovo di Tolosa, assicurandomi che ciò sará sommamente grato a queste Maestá per il desiderio che esse n’hanno, ed avendomi egli fatto conoscere quanto siano ora uniti i suoi interessi con quelli di monsignor di Lusson, dopo la parentela che s’è contratta fra loro. Dell’istesso m’ha fatto ricercar similmente con particolarissima instanza la regina madre, facendomi soggiungere che di sí fatta grazia restará con ogni maggior obligo a Sua Santitá. Vengo dunque a rappresentare tutto questo a Vostra signoria illustrissima, alla quale non debbo soggiungere altro in questa materia, massime avendo io rappresentato di giá tant’altre volte quanto grande sia la premura che hanno in questo affare le sudette Maestá, e quanto grande sia il merito proprio di monsignor di Lusson.
XLVII
Disposizioni di Luigi XIII riguardo ai poteri del parlamento di Parigi.
Per via di monsignor nunzio di Turino scrivo a Vostra signoria illustrissima la presente, con l’occasione d’una persona che viene spedita in diligenza colá dalla regina madre, con la solita mancia per la signora principessa di Piemonte sua figliola; e con questa invio a Vostra signoria illustrissima il congiunto foglio di cifra. Di piú debbo soggiungere a Vostra signoria illustrissima che questa Maestá mandò ultimamente a chiamare il primo presidente ed alcuni altri dei piú principali di questo parlamento, e fece dire loro per il cancelliere che voleva che si levasse in ogni modo dal libro dei registri quell’arresto che esso parlamento fece a’ giorni passati con occasione di volersi rimettere in piedi la poletta; nel quale arresto si esponeva di voler far rimostranze a Sua Maestá, come qui dicono, intorno a’ molti disordini del governo, facendo dir loro la Maestá sua che il parlamento si deve contenere dentro i termini che abbraccia la sola amministrazione della giustizia, senza volersi ingerire nelle cose del governo; onde il re ha fatto fare dal suo consiglio un altro arresto che contiene i particolari predetti, affinché si levi dal detto libro dei registri quello del parlamento ed in suo luogo vi si metta questo. E perché dal potersi unire insieme tutte le camere del parlamento quando a lor piace nascono spesso molti disordini, il re pensa di voler mettere in ciò qualche ordine, con proibire che non si possino piú radunare di qui inanzi senza permissione espressa di Sua Maestá. Il conte di Vademonte suol venir di quando in quando a dar una volta a questa corte. Ond’è venuto qua ultimamente a far riverenza al re, e forse per qualche suo negozio.
XLVIII
Aspirazione del Bentivoglio alla comprotezione di Francia
presso la corte pontificia.
Da che in Roma si seppe che il cardinale Orsino aveva lasciata la comprotezione di Francia, il marchese mio fratello considerando piú gl’interessi di Vostra signoria illustrissima che i miei propri, cominciò a scrivermi che questo sarebbe stato un carico da procurare che cadesse nella mia persona. Per una lettera sua che doveva essermi resa da Marsigliac egli mi fece la prima apertura di ciò, e poi con due altre piú fresche me n’ha continuati i motivi, dicendomi che questo era negozio di tanto interesse di Vostra signoria illustrissima, e che il Cardinal Campori lo giudicava anch’egli in maniera tale, che succedendo la mia promozione al cardinalato come speravano, Vostra signoria illustrissima medesima per il cameriere da mandarsi con le lettere mi farebbe instanza d’attendere a queste pratiche; e finalmente poi con la spedizione del corriere inviato con la nuova d’esser io stato promosso, il medesimo marchese mio fratello, con termini piú efficaci anche di prima, e con la considerazione pur principalmente dell’interesse di Vostra signoria, ha continuato a replicarmi ristesse cose.
Al medesimo tempo, e credo l’istesso giorno della nuova arrivata qua della promozione, arrivò similmente Marsigliac ed una persona del marchese di Couré, ed hanno fatte subito varie proposte in questa materia della comprotezione, come dirò piú pienamente di sotto, ed è stata pur all’istesso tempo di spontaneo motivo del re e del duca di Luines in segretezza straordinaria, per via del padre Arnoldo confessore di Sua Maestá e del detto duca, offerta a me la comprotezione. Intorno alla quale offerta, avendo io considerato i motivi di mio fratello e gli altri rispetti ch’anderò esponendo qui sotto, ho stimato di dover accettarla, ma sotto il beneplacito e pieno consentimento di Nostro Signore e di Vostra signoria illustrissima; il qual punto resta in modo aggiustato, che quando sia per concorrere in ciò il gusto loro, sará uscita piú dalle loro mani, per cosí dire, questa comprotezione che da quelle del re e del duca di Luines.
Venne dunque Marsigliac, ed avendo Couré scritto a pieno anche sopra questa materia con la predetta persona da lui spedita sull’occorrenza della promozione, sono stati proposti vari cardinali per la comprotezione, e sono stati Este con eminenza sopra gli altri, Bevilacqua, Delfino, Bonsi ed Ubaldini. Marsigliac ha premuto grandemente sopra Este come anche Couré, e s’è veduto che ambidue andavano di concerto, e la proposta è stata che Este lasciarebbe gli spagnuoli e servirebbe questa corona, e le condizioni erano che gli si dessero otto mila scudi del sole ogni anno, ed una abbadia di quattromila delle prime vacanti. Ma qui essendosi considerato che il duca di Modena, e molto piú anche il prencipe suo primogenito, hanno presa un’intiera dipendenza dagli spagnuoli, e che il cardinale d’Este medesimo fu in Ispagna per questo effetto, e che finalmente i cardinali prencipi in tanto son considerabili in quanto si tiran dietro le conseguenze delle lor case, non s’è giudicato a proposito di dar la comprotezione a Este. Oltre che in questo tempo medesimo e sul punto stesso che il cardinale di Savoia sta sul venire in Francia per esser protettore, avendo l’ambasciatore di Savoia penetrata questa pratica d’Este, egli s’è lasciato intendere liberamente che il cardinale di Savoia averebbe piú tosto lasciata la protezione che consentito che un altro cardinale prencipe, come Este, fosse un comprotettore e potesse pretendere paritá con lui nell’officio. Dunque la pratica d’Este non è andata inanzi, quanto alla comprotezione, per questi rispetti accennati. Se ben quanto al desiderarsi di guadagnarlo, qui si ritiene volontá di farlo. Sopra gli altri cardinali nominati di sopra, non s’è fatta molta riflessione in riguardo della persona mia, della quale perché si cominciò a trattar subito, perciò non son venuti quasi in considerazione gli altri, né meno quasi Este medesimo, per esser finalmente cardinale solo e che averebbe dovuto separarsi dagl’interessi della sua casa, e con pericolo di non poter poi seguitare intieramente quei della Francia, quando i rispetti della sua casa venissero in opposizione a quei della Francia.
Nella mia persona dunque s’è considerata la qualitá della casa, qualche particolare esperienza acquistata da me in tanti anni di maneggi publici, quella ch’io ho presa in questa nunziatura delle cose proprie di questo regno, la sodisfazione che s’è ricevuta dal mio procedere, ma sopra ogni cosa la confidenza ch’io potrei aver con Nostro Signore e con Vostra signoria illustrissima per procurar di tenerle in buona congiunzione con questa corona, e la confidenza pure ch’io riporterei di qua, per tener nella medesima buona congiunzione il re e gli interessi di qua con Sua Santitá e con la santa sede, e con la persona particolare di Vostra signoria illustrissima. Per queste considerazioni che specialmente fanno apparire il buon animo del re verso Sua Santitá e la sua casa e verso Vostra signoria illustrissima, Sua Maestá per via del duca di Luines, e Luines per via del padre Arnoldo, mi fece, com’ho detto, offerir subito segretamente la comprotezione al medesimo tempo che si trattava degli altri cardinali nominati di sopra. Io presi tempo a pensare, e pregai e feci pregar Dio che m’inspirasse al meglio in negozio sí grave, ed esaminai la materia principalmente sopra tre punti, l’un che riguarda il servizio di Dio, della santa sede e la considerazione del ben publico, l’altro che riguarda gl’interessi della casa e persona particolare di Vostra signoria illustrissima, ed il terzo che concerne gl’interessi miei propri.
Quanto al primo punto, io ho considerato che senza dubio un cardinale italiano confidente e versato nelle cose di qua, ch’avesse in Roma i maneggi di questo regno, potrebbe essere un grand’instromento per conservare e stringere sempre piú l’unione fra la santa sede e questa corona, ch’è il maggior bene che possa risultare all’una ed all’altra parte, massime in tempo d’un re dotato d’eccellente pietá e disposto a tutte le cose buone, e che par riservato da Dio per rovinar l’eresia in questo regno. E questa unione servirebbe grandemente non solo contro l’eresia ma contro lo scisma, ch’è quello che minaccia maggiori pericoli in questo regno, dove in tanti e tanti è una alienazione sí grande dall’autoritá pontificia se bene finalmente ogni scisma degenera in eresia.
Quanto al secondo punto, essendomi io proposto inanzi gli interessi di Vostra signoria illustrissima, ho considerato ch’ella non potrebbe quasi averli maggiori per desiderare la comprotezione predetta in persona mia. Ben so ch’ella è sicura che la mia devozione e gratitudine verso di lei m’accompagnaranno sempre sino alla morte. Non solo dunque nel presente, ma in ogni altro pontificato ella potrebbe assicurarsi ch’io la servirei nel modo che bisognasse appresso questa corona, e l’importanza dei conclavi particolarmente ella può vederla meglio di me. I suoi poco amorevoli resterebbono grandemente storditi vedendo cader in mano d’una sua creatura sí confidente la comprotezione di un sí gran regno. Aldobrandino in particolare ne arrabbiarebbe, come anche Orsino, senza parlare di Couré, che senz’altro resterebbe balzato dal carico intieramente se ciò seguisse in persona mia. Oltre che Vostra signoria illustrissima s’assicurarebbe di non lasciar cadere in mano di qualch’altro, nemico o poco amorevole, quest’officio, e s’aggiunge che col mezzo mio ella potrebbe ancora guadagnare Savoia e levarlo ad Aldobrandino, il qual Savoia essendo piú tosto debole ch’altrimente, si lascerebbe maneggiare con facilitá; ed a punto m’ha detto Luines ch’egli averebbe il nome della protezione ma che io n’avrei la sostanza.
Quanto al terzo punto dell’interesse mio proprio, io posso affermare a Vostra signoria illustrissima con quel medesimo candore con che l’ho servita giá tanti anni, che in questa materia la minor riflessione l’ho fatta in me stesso. Il mio pensiero è stato sempre di non aver altra dipendenza che quella di Vostra signoria illustrissima, come non ho avuto altro benefattore che lei. Nel resto, ella sa meglio di me le conseguenze che portano seco tali dichiarazioni espresse, come sarebbe questa della comprotezione sudetta, ché se bene da una parte ne può risultare ancora molto onore, ne può risultare molto pregiudicio dall’altra. In questa materia dunque torno a replicare candidamente che il meno che io ho pensato è stato a me stesso. Tutto ho subordinato alle considerazioni del primo e secondo punto, ed ho voluto rappresentarle tutte pienamente a Vostra signoria illustrissima in questa cifra, nel modo che le ho esaminate fra me medesimo, prima d’aver data risposta al padre Arnoldo sopra l’offerta fattami, ed essendomi parse tali in somma che dovessero farmici condescendere, l’ho finalmente accettata, com’ho detto di sopra, ma sotto la condizione espressa come pure ho accennato, cioè di volerne prima il beneplacito e consentimento intiero di Sua Santitá e di Vostra signoria illustrissima, e con ciò tener in tanta reputazione le cose loro che, come ho detto, quando concorra in questo negozio il loro gusto, mi verrá quasi piú dalle loro mani la detta comprotezione che da quelle del re medesimo.
Dopo aver io data questa risposta, il duca di Luines ed io ci siamo veduti, ed il negozio si è stabilito, ed in ultimo il segretario Pisius m’ha portata la parola in nome del re medesimo, avendomi significato in sostanza che Sua Maestá mi dava la comprotezione dei suoi affari in Roma ch’aveva il cardinale Orsino e con la pensione medesima, e che quanto al punto del beneplacito di Sua Santitá e di Vostra signoria illustrissima, Sua Maestá trovava questa condizione ragionevole e degna d’un uomo d’onore e grato, e che si prometteva tanto dall’affezione loro che non l’averebber negata a una creatura loro sí confidente, la quale per questo medesimo rispetto di confidenza che Sua Maestá desiderava d’avere con loro era principalmente desiderata da Sua Maestá. Non si può dir quanto gusto il re mostri di ciò, né quanto grande sia quel di Luines, e voglio credere, che quando il negozio venisse ad effettuarsi, tutto il regno ne mostrerebbe un comune applauso, per esser state qui sí ben ricevute le mie azioni generalmente in tante occorrenze sí pericolose e sí gravi, che son nate qui al tempo di questa mia nunziatura. Intanto il negozio resta secretissimo, perché il re Luines e Pisius, il padre Arnoldo ed io soli n’abbiam notizia, ed il re per sua dignitá vuole che resti secreto, sinché venghi risposta da Roma del senso di Sua Beatitudine e di Vostra signoria illustrissima, acciocché in caso di negativa non s’abbia notizia della ripulsa.
Una sola difficoltá quanto al nome di comprotettore, o di vice-protettore, ha considerata Luines, ed è ch’avendo fatto sí gran romore i Savoiardi quando Este avesse avuto il nome di comprotettore, forse faranno romore parimente quando sappiano, in caso di beneplacito di Sua Santitá e di Vostra signoria illustrissima, ch’io sia per averlo; ma a questo risponde Luines medesimo che quella gelosia che Savoia averebbe potuto avere d’Este per esser prencipe, non deve averla d’un altro cardinale inferiore e che non può entrare in competenza alcuna con lui; oltre a un’altra ragione considerata dal medesimo Luines, la qual’è che se Orsino fosse tuttavia comprotettore bisogneria bene che Savoia avesse pazienza, e che però è giusto che l’abbia ancora nell’esser rimesso un altro cardinale in loco d’Orsino, il che non è inovare ma continovare quello che era giá fatto, e Luines mi ha detto che a lui dá l’animo sicuramente di far che Savoia s’acqueti in caso che facesse la medesima difficoltá nella mia persona ch’ha messa in quella d’Este.
Il negozio dunque è a questo segno; la risoluzione che vi piglierá sopra Nostro Signore e Vostra signoria illustrissima sará quella che sará piú di mio gusto, e dalle loro considerazioni dipenderanno in tutto e per tutto le mie. Supplico Vostra signoria illustrissima a fare che il tutto resti segretissimo sino all’ultima conclusione che avrá in un modo o in un altro, e la supplico insieme a far ch’io sappia quanto prima la loro intenzione intorno a quello che risolveranno. Intanto si risponde a Couré, sopra le proposte fatte per Este e per gli altri cardinali, che qui si vuol lasciar venir prima il cardinale di Savoia per risolver poi quello sopra il nuovo comprotettore che pareva piú a proposito. Ben resterebbe scornato Couré, se in caso che fosse di gusto a Sua Santitá e a Vostra signoria illustrissima ch’io fossi comprotettore, egli avesse notizia della pratica prima conclusa che mossa, ed in caso di consentimento non bisognerá dirne cosa alcuna costi, ma lasciar che si publichi qua.
Note
- ↑ Leggi invece Reville, come corregge nelle sue lettere il Borghese (n. del De Steffani).