Il cavaliere e la dama/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Strada comune.
Pasquino da viaggio, poi Don Rodrigo.
Pasquino. Maledetta la mia disgrazia! Son nato sciocco e morirò barbagianni1. Corpo del diavolo; ho perduta la lettera. Il mio padrone mi manda a posta da Benevento a portare una lettera alla padrona, e il diavolo me l’ha portata via.
Rodrigo. (Questi è il servo di don Roberto). (da sè)
Pasquino. Se non la trovo, son disperato. (va cercando la lettera intorno di sè e per terra)
Rodrigo. Pasquino?
Pasquino. Signore.
Rodrigo. Che fai tu qui?
Pasquino. Cerco una lettera.
Rodrigo. Che lettera?
Pasquino. Una lettera che mi ha data il padrone per portare alla mia padrona.
Rodrigo. Come sta il tuo padrone?
Pasquino. È in letto, che sta combattendo fra il male ed il medico.
Rodrigo. Perchè dici così?
Pasquino. Perchè il male ed il medico fanno a gara per ammazzarlo più presto.
Rodrigo. (È ridicolo costui). (da sè) Dunque il tuo padrone è ammalato?
Pasquino. Signor sì, ed io ho perduta la lettera.
Rodrigo. Don Roberto scrive una lettera a donna Eleonora?
Pasquino. Signor sì. Abbiamo fatto la cosa in due2.
Rodrigo. E come in due?
Pasquino. Egli l’ha scritta ed io l’ho perduta.
Rodrigo. (Voglio valermi di costui per il mio disegno). (da sè) Come farai a presentarti a donna Eleonora senza la lettera di suo marito?
Pasquino. Io fo conto di tornarmene a Benevento coll’istessa cavalcatura. (accenna le proprie gambe)
Rodrigo. E vorrai partire senza lasciarti vedere dalla padrona? Se ella sa che sei qui venuto, dubiterà che don Roberto sia morto e darà nelle disperazioni.
Pasquino. È vero; anderò a consolarla3.
Rodrigo. Se vai senza lettera, è peggio.
Pasquino. Dunque anderò o non anderò?4
Rodrigo. Orsù, sentimi, io ti darò da portarle una cosa che le sarà più cara della lettera.
Pasquino. Buono. L’averò a caro.
Rodrigo. Eccoti una borsa con dentro cinquanta scudi. Devi portarla a donna Eleonora e dirle che a lei la manda il consorte, aggiungendo che egli la riverisce e sta meglio di salute. Se chiede perchè non abbia scritto, le dirai perchè non ha avuto tempo; ma avverti sopratutto di farle credere senza dubbio che il danaro venga da don Roberto.
Pasquino. Signore, non faremo niente.
Rodrigo. Perchè?
Pasquino. Perchè quando dico una bugia, divengo rosso.
Rodrigo. Procura di usar franchezza. Parla poco; dalle la borsa e vattene presto. Se ti porti bene, vieni al caffè vicino e ti darò uno scudo di mancia.
Pasquino. Per far ch’io non venga rosso, non vi è altro rimedio che toccarmi il viso con dell’oro o con dell’argento. Se questo scudo l’avessi avanti, mi par che la cosa anderebbe meglio.
Rodrigo. Ti ho capito. Eccoti uno scudo, opera da tuo pari.
Pasquino. Lasci fare a me, sono un uomo di garbo.
Rodrigo. Sopratutto avverti, per qualunque interrogazione che ti facesse, non nominare la mia persona.
Pasquino. Non vi è dubbio che io vi nomini, perchè non mi ricordo come abbiate nome.
Rodrigo. Vanne, ti aspetto al caffè vicino con la risposta.
Pasquino. E collo scudo.
Rodrigo. Lo scudo te l’ho dato.
Pasquino. Quello è per il viso; quell’altro servirà per la mano. Uno per il rossore e l’altro per la vergogna.
Rodrigo. Portati bene e non dubitare.
Pasquino. Sa V. S. come dice il proverbio? Una mano lava l'altra e tutte due il viso5. (parte)
Rodrigo. Costui è faceto, ma so per relazione essere fedele ed onorato; onde son certo che non mi gabberà. In questa guisa soccorrerò donna Eleonora, senza offendere la sua delicatezza. Ella è una dama piena di spirito e di buone massime, ed io sempre più mi sento stringere dalle prerogative del di lei merito. Se ella fosse libera, non esiterei un momento a dichiararle il mio cuore, ma essendo moglie, soffocherò i miei sospiri, dissimulerò qualunque passione, e mi farò gloria di servire puramente una dama, che fa risplendere il decoro della sua nascita anche fra le persecuzioni della fortuna. (parte)
SCENA II.
Don Flaminio e Balestra.
Flaminio. Balestra, sono in un grande impegno.
Balestra. Se crede ch’io sia capace di servirla, mi comandi.
Flaminio. Ho scommesso un orologio d’oro, che a me riuscirà d’introdurmi in casa di una dama e che diverrò il suo servente6.
Balestra. È fanciulla, vedova o maritata?
Flaminio. Ha il marito esiliato.
Balestra. Come sta ella d’assegnamenti?
Flaminio. Credo sia miserabile.
Balestra. Spererei che l’orologio d’oro non si avesse a perdere.
Flaminio. Aggiungi che, oltre la scommessa, vi è tutto il mio impegno. Non si è mai detto, nè si dirà, che don Flaminio abbia attaccata una piazza che non siasi resa. Perderei del buon concetto, se non riuscissi in questa novella impresa. Ma dirotti ancora di più, la dama non mi dispiace, ed alli stimoli dell’impegno mi s’aggiungono quelli di una inclinazione, che quasi quasi principia ad essere amore.
Balestra. Tre forti ragioni per dichiarar la guerra al nemico. La piazza bisogna attaccarla da più parti (giacchè col titolo di bella piazza V. S. denomina la sua dama). Bisogna piantare il blocco della servitù in qualche distanza, finchè stringendolo a poco alla volta, diventi assedio. Conviene distribuire le batterie; qua una batteria di parole amorose, là una batteria di sospiri, costà un’altra di passatempi, e qua la più forte batteria de’ regali. Batti da una parte, batti dall’altra, o di qua o di là si fa breccia. Allora, o che la piazza si rende a patti, o che il soldato valoroso, prendendola per assalto, tratta a discrezion l’inimico, lo passa a fil di spada e s’impossessa di tutta la munizione.
Flaminio. Bravo, Balestra. Tu sei molto intendente della guerra amorosa.
Balestra. Sappia che nel reggimento di Cupido ho sempre servito di foriere.
Flaminio. Potresti dunque precedere la compagnia de’ miei desideri amorosi e avanzarti verso il quartiere dell’inimico.
Balestra. Buono! Vorrebbe V. S. Illustrissima ch’io gli andassi a preparare la tappa.
Flaminio. Potresti intimare al capitano la resa.
Balestra. Mi dia un poco di munizione e mi lasci operare.
Flaminio. Eccoti della polvere d’oro, che vale molto più di quella da schioppo. (gli dà dei denari)
Balestra. Infatti anche nelle guerre più vere si consuma più oro che salnitro. Lasci fare a me. Già so qual è la piazza che si deve attaccare; me l’ha detto un’altra volta e, grazie al cielo, ho buona memoria.
Flaminio. Ti pare che sia soverchiamente difesa?
Balestra. So tutto; conosco il general comandante. So che presidio vi è dentro.
Flaminio. Ti lusinghi della vittoria?
Balestra. Della difesa interna non ho paura. Mi spaventa un certo campo volante.
Flaminio. Condotto forse dall’armi di don Rodrigo?
Balestra. Per l’appunto. Ho paura ch’egli abbia un reggimento d’Ungheri, che distruggano le nostre batterie.
Flaminio. Convien pensare a qualche militare strattagemma.
Balestra. Vedrò se mi riesce aver la piazza con l’intelligenza di qualche subalterno.
Flaminio. Questo sarebbe un combattere senza sangue.
Balestra. Vi è un certo capitan Colombina; se mi riesce di guadagnarlo, può essere che di notte ci faccia calare il ponte e ci dia l’ingresso per la porta del soccorso. Allora, chi si può salvare, si salvi: la piazza è nostra, ed il comandante prigioniero di guerra.
Flaminio. Bravo, Balestra, tu sei da campagna e da gabinetto, valoroso e politico nell’istesso tempo. Opera da tuo pari e non dubitare che sarai a parte della vittoria. (parte)
Balestra. Per lui il generale e per me il capitano. Questa è stata la più bella scena del mondo. Chi ci avesse uditi, ci avrebbe presi per due commedianti del secento. Ma lasciando l’allegoria e venendo al proposito, qui convien maneggiarsi e servire un padrone che in me confida. In questa sorta d’affari ci vuole audacia e coraggio. Andrò in casa a dirittura. Se trovo la serva, alzo un partito; se trovo la padrona, ne pianto un altro. I denari bastano, le parole non mancano, faccia tosta e niente paura. (parte)
SCENA III.
Camera di Donna Eleonora.
Donna Eleonora e Colombina.
Colombina. Ecco qui quel che mi hanno dato sopra lo spillone. Sei carlini7.
Eleonora. Sei carlini e non più?
Colombina. E ancora con gran fatica.
Eleonora. Mi costa due zecchini. Gran disgrazia per chi ha di bisogno! Dove l’hai impegnato?
Colombina. Da un uomo dabbene, che digiuna tre volte la settimana e fa pegni a posta per maritare delle fanciulle.
Eleonora. Prende nulla sopra l’imprestito?
Colombina. Sì signora, mi ha detto che da qui a otto giorni gli porti otto carlini, altrimenti venderà lo spillone.
Eleonora. Sarebbe meglio digiunasse meno, e non facesse usure.
Colombina. È stato picchiato8, vado a veder chi è. (parte)
Eleonora. Mi sta a cuore mio marito. Fosse almeno qualche sua lettera.
Colombina. Allegramente, signora padrona. (viene camminando)
Eleonora. Che buona nuova mi porti?
Colombina. E qui Pasquino, che viene da Benevento.
Eleonora. Sia ringraziato il cielo: ha lettere?
Colombina. Non lo so.
SCENA IV.
Pasquino e dette.
Pasquino. Bacio la mano alla mia padrona. Colombina, ti saluto.
Colombina. Benvenuto, Pasquino. Che fa il padrone?
Eleonora. Che fa mio marito?
Pasquino. Crepa di sanità.
Eleonora. Non ti capisco. Sta bene o sta male?
Pasquino. Sta benissimo, non può star meglio.
Eleonora. Sia ringraziato il cielo. Ti ha dato lettere?
Pasquino. Lettere?... (si confonde)
Eleonora. Sì, non ti ha dato alcuna lettera per me?
Pasquino. Non mi ha dato lettera, ma mi ha dato una cosa che vai più di mille lettere.
Eleonora. E che cosa ti ha dato?
Pasquino. Osservate: una borsa di quattrini. Cinquanta scudi. (mostra la borsa)
Colombina. Oh cari! so anch io che vagliono più di centomila lettere.
Eleonora. Come mio marito può mandarmi questo denaro, se trovasi in istato di necessità? Ho timore che tu mi voglia ingannare.
Colombina. Eh, che Pasquino è un galantuomo, non è capace di dir bugie.
Pasquino. Mi maraviglio, sono un uomo che, quando dico la verità, non mentisco.
Eleonora. Ma donde può avere avuto questo denaro?
Pasquino. Ve lo dirò io, ma zitto che nessuno lo sappia. (Bisogna inventare qualche cosa). (da sè)
Eleonora. E bene, come l’ha avuto?
Colombina. Uh, che curiosità!
Pasquino. L’ha vinto al giuoco.
Eleonora. Come! giuoca mio marito?
Colombina. Signora sì, giuoca; si diverte ed ha guadagnato.
Eleonora. E a che giuoco ha giuocato?
Pasquino. Aspetti, ora me ne ricordo9. Ha giuocato a un certo giuoco grande, che finisce in one... credo che si dica...
Colombina. Faraone?
Pasquino. O giusto, a faraone.
Eleonora. E con chi ha giuocato?
Pasquino. Oh bella! Col medico che lo visitava.
Eleonora. Col medico?
Colombina. Sì signora, col medico. Per tenerlo sollevato, averà giuocato con lui.
Eleonora. Queste sono scioccherie. Io dubito che qualche cosa vi sia sotto.
Pasquino. Qui non vi è mente, ne sotto, ne sopra; questi sono cinquanta scudi che vi manda il padrone; se li volete, teneteli, se no, glieli porto indietro.
Colombina. Oh diamine! Che cosa mai vorreste10 che dicesse vostro marito, se gli riportasse indietro i cinquanta scudi? Direbbe che non avete bisogno di lui e farebbe qualche cattivo giudizio.
Eleonora. Non so che dire; li prenderò come una provvidenza del cielo, ringraziando l’amore di mio marito, da cui voglio credere mi sieno mandati.
Colombina. Oh, è così senz’altro.
Pasquino. L’è così, sulla mia riputazione.
Eleonora. Ringrazio anche te, Pasquino. Sarai stanco, vattene a riposare.
Pasquino. Non sono stanco, ma ho un altro incomodetto.
Eleonora. E che cosa hai?
Pasquino. Ho fame.
Eleonora. Colombina, conducilo in cucina e per ora dagli quel poco che vi è11.
Pasquino. Prego il cielo che suo marito possa guadagnare un’altra borsa a quel medico che ha perso questa12 (caccia13 fuori il fazzoletto per soffiarsi il naso, e dal fazzoletto cade una lettera.)
Eleonora. Che cosa ti è caduto?
Pasquino. Oh diavolo! (S’accorge della lettera che era dentro nel fazzoletto)
Eleonora. Che foglio è quello?
Pasquino. Eh niente... (Se legge questa lettera, ho paura di qualche imbroglio). (da sè)
Eleonora. Voglio vederlo.
Pasquino. Eh no, signora. È una lettera mia...
Eleonora. Dammela, voglio vederla.
Pasquino. In verità non occorre...
Eleonora. Colombina, levagli quella lettera.
Colombina. Dà qui.
Pasquino. Via, è una lettera del padrone.
Colombina. Vogliamo vedere. (gli leva la lettera) Eccola. (la dà alla padrona)
Eleonora. Mi pareva impossibile che don Roberto non mi avesse scritto. Questo è suo carattere. Oimè, il cuore mi balza in petto. (apre la lettera)
Pasquino. (Ora si scuopre tutto, è meglio ch’io me ne vada), (da sè) Signora padrona, vado via.
Colombina. Aspetta; voglio anch’io sentir questa lettera.
Pasquino. (Vo’ vedere se mi riesce buscare quest’altro scudo; e me ne torno a Benevento, prima che da questo nuvolo precipiti la tempesta). (parte, vedendo non essere osservato)
Eleonora. Senti cosa mi scrive mio marito. (a Colombina14) Consorte amatissima.
Colombina. Egli poi vi ha sempre voluto bene.
Eleonora. Oimè!... La febbre tuttora mi tormenta.
Colombina. Ha la febbre?
Eleonora. Lo senti? Pasquino non ha detto il vero. Presto, va per Pasquino e fallo venir qui.
Colombina. Vado subito; ma avvertite, non gli deste indietro i cinquanta scudi. (parte)
Eleonora. Oggi è il sesto giorno ch’io peno15 coricato nel letto. Sono senza amici, senza assistenza e senza denaro per comprarmi un pollo da fare il brodo. Spedisco il servo, sperando che la vostra pietà non mi lascerà senza qualche soccorso, se non altro colla vendita di qualche cosa men necessaria al vostro bisogno. Non parlo d’interessi, perchè a questi ora non penso. Desidero notizie della vostra salute e sono. Oh me infelice! Che sento! Pasquino perchè ingannarmi col farmi credere in buona salute il povero mio consorte? Ah! qui vi è qualche inganno; il cuore me lo presagiva. Da chi mai può essermi questo denaro somministrato? Oimè, Pasquino non torna. Basta, la maniera con cui lo ricevo, a niente mi obbliga, e lo riterrò francamente come una provvidenza del cielo. Colombina. (chiama)
SCENA V.
Colombina, Balestra e detta.
Eleonora. Pasquino dov’è?
Colombina. Pasquino, signora, non so per qual cagione è fuggito. Quella lettera l’ha sconcertato. Ma state allegramente. Questo galantuomo vi reca buone nuove del signor don Roberto.
Balestra. Si signora, vengo per parte del mio padrone a riverirla e ad assicurarla che il signor don Roberto sta meglio assai di salute.
Eleonora. Il vostro padrone chi è?
Balestra. Il signor don Flaminio del Zero.
Eleonora. Come ha egli notizia dello stato di mio consorte?
Balestra. È giunto poche ore sono da Benevento per le poste. Ha veduto colà il degnissimo di lei consorte, il quale lo ha incaricato di recare a lei questa buona nuova.
Eleonora. E mio marito non mi ha scritto una lettera?
Balestra. Non ha avuto tempo di farlo, perchè il mio padrone non ha potuto trattenersi. Gli ha però dette molte cose in voce, che a me non ha voluto confidare, e se V. S. Illustrissima si contenta, verrà in persona a renderla intesa d’ogni particolarità.
Eleonora. Venga pure, mi farà finezza.
Balestra. (A buon conto io farò che s’introduca e le parli, toccherà a lui a procurarsi il resto). (da sè) Le fo umilissima riverenza.
Eleonora. Addio, galantuomo16. Ingannata da Pasquino, temo di tutti; non so a chi credere.
Colombina. E si picchia. (si sente picchiare)
Eleonora. Va a vedere.
Colombina.17 (Parte.)
SCENA VI.
Donna Eleonora, poi Colombina, poi il Dottore Buonatesta.
Eleonora. Ah! questa borsa, questo denaro non cessa di agitarmi. Mille pensieri mi s’aggirano in mente; e quell’indegno è fuggito.
Colombina. Allegri, signora padrona.
Dottore. Allegramente, signora donna Eleonora.
Eleonora. È data la sentenza?
Dottore. È data; vittoria, vittoria.
Eleonora. Siete un grand’uomo; ma ditemi il tenore della sentenza. Quale sarà il mio assegnamento? Quando principierò a respirare? Quando anderò al possesso di qualche cosa?
Dottore. Adagio, una cosa alla volta.
Colombina. Signora sì, una cosa alla volta; sapete pure che i procuratori fanno le cose una alla volta, per andare più in lungo.
Dottore. Come dicevo, la sentenza è data (nel gomito). (da sè)
Colombina. Benissimo, abbiamo capito.
Eleonora. Lascialo dire.
Dottore. Ella averà un assegnamento di uno scudo il giorno (scarso). (da sè)
Colombina. È poco.
Eleonora. No, no, mi contento.
Dottore. Anderà al possesso della possession feudale (negli spazi immaginari). (da sè)
Eleonora. Avete avuto la copia della sentenza?
Dottore. Dirò, vi è una piccola difficoltà, che per altro si risolverà facilmente.
Colombina. Oimè!
Dottore. Sappia che l’avvocato fiscale si è protestato volersi appellare al magistrato supremo.
Eleonora. Ma poi non farà nulla.
Dottore. Anzi ha segnata subito l’appellazione.
Colombina. Non l’ho io detto? Schiavo, signori trenta scudi il mese.
Eleonora. Dunque siamo da capo.
Dottore. Senta ed ammiri la prontezza d’ingegno del dottor Buonatesta. Ho conosciuto che il fine dell’avvocato fiscale non era già per impedire l’effetto della sentenza, perchè a lui finalmente non entra utile in tasca, ma lo faceva... basta... m’intendo io.
Colombina. Fra voi altri vi conoscete.
Dottore. Onde cosa ho fatto? L’ho tirato in un gabinetto, gli ho parlato all’orecchio, e gli ho promesso venti scudi, se depennava l’appellazione, e mi ha promesso di farlo. Ah, che ne dice? Son uomo io? Ho fatto le cose a modo?
Eleonora. Da par vostro; ottimamente.
Colombina. Non mi pare che la cosa sia ancor finita.
Eleonora. Sì, è finita. Ditegli pure che dei primi denari entreranno del mio assegnamento, egli averà venti scudi.
Dottore. Signora mia, così non faremo nulla. L’amico non vuole aspettare; o subito, o niente.
Eleonora. Ma dove ho io da ritrovare venti scudi? Voi sapete che non ne ho.
Colombina. Non ve l’ho detto io che ci restava qualche cosetta di buono?
Dottore. Qui bisogna fare assolutamente uno sforzo. Si tratta di tutto.
Eleonora. (Colombina, che ne dici?) (piano a Colombina)
Colombina. (Se ci potessimo fidare che dicesse la verità!)
Eleonora. (O diamine! Vuoi tu che mi venga ad ingannare?)
Colombina. (Ma io ci credo poco, vedete).
Dottore. (Mi pare ch’ella si vada disponendo. Eh, non è già miserabile come si finge. L’ho bene indovinata io. Ella non mi voleva pagare col pretesto della povertà ed io mi pagherò con l’invenzione di una immaginaria sentenza). (da sè)
Eleonora. Orsù, signor dottore, ho risoluto di fare anche questa, lo tengo in questa borsa un poco di denaro, mandatomi dalla provvidenza del cielo; vedete in quanta necessità mi ritrovo, e pur me ne privo, fidandomi della vostra onestà.
Colombina. (Mi vengono i sudori freddi a pensarci). (da per sè)
Dottore. La non ci pensi, si lasci servire.
Eleonora. Tenete, questi sono venti scudi. (li leva dalla borsa e glieli dà)
Dottore. Non so se possa... occorrere altro... (guardando la borsa)
Colombina. Eh, il diavolo che vi porti, vogliamo mangiare ancor noi.
Dottore. Via, via. Vado subito a fare il negozio. (Bisogna pelare la quaglia senza farla gridare). (parte)
Eleonora. Manco male; la sentenza è data. Per liberarsi dalla vessazione dell’appellazione, sono bene spesi li venti scudi.
Colombina. Voglia il cielo che sia così. (si sente picchiare) E viva; gran porta è questa! È meglio lasciarla aperta. (parte)
SCENA VII.
Donna Eleonora, poi Colombina, poi Don Rodrigo.
Eleonora. La maniera di battere sembra di don Rodrigo.
Colombina. Ah, ah, ci siamo noi! (viene)
Eleonora. Che vuoi tu dire?
Colombina. Oh come siete venuta rossa! Eccolo il signor don Rodrigo.
Rodrigo. Vostro umilissimo servitore.
Eleonora. Serva obbligatissima, don Rodrigo; da sedere. (a Colombina)
Colombina. La servo. (porta le sedie)
Rodrigo. Ho veramente anticipato il tempo che aveva prefisso d’incomodarvi.
Eleonora. Mi avete anticipate le grazie.
Rodrigo. L’ho fatto per rendervi più sollecitamente intesa aver io eseguiti i vostri comandi colla presentazione del memoriale.
Eleonora. Troppa bontà, don Rodrigonota.
Colombina. (Ecco una di quelle occhiate che dico io: sarà meglio che me ne vada). (da sè) Signora, se non mi comanda, vado in cucina. (parte)
Eleonora. Va pure. Ebbene, don Rodrigo, che ha detto il signor segretario?
Rodrigo. Mi assicurò della sua protezione per voi.
Eleonora. Spererei per altro che uopo non fosse d’incomodarlo, poichè il mio dottore mi ha portata la nuova della vittoria ottenuta. (I) 18
Rodrigo. Dunque la causa è vinta?
Eleonora. Così egli mi disse; ma siccome il fiscale voleva appellarsene, è stato necessario il sacrificio di venti scudi per impedirne il progresso.
Rodrigo. Venti scudi, nello stato in cui vi ritrovate, è una somma considerabile.
Eleonora. Il cielo mi ha provveduto.
Rodrigo. Signora, me ne rallegro di cuore. Deh, benchè io non meriti da voi finezze, ardisco pregarvi farmene la confidenza.
Eleonora. Signore, ve lo dirò, giacchè purtroppo la mia serva so avervi confidate le mie soverchie indigenze. Il soccorso mi venne donde meno me l’aspettava.
Rodrigo. Forse dalle mani di vostro consorte?
Eleonora. No, anzi ch’egli19 ritrovasi in una luttuosa miseria.
Rodrigo. (Come andò la faccenda?) (da sè) Dunque da chi vi venne il soccorso?
Eleonora. Dalle mani di un servo.
Rodrigo. Dal vostro Pasquino?
Eleonora. Per l’appunto.
Rodrigo. Ed egli non l’ebbe dal vostro sposo?
Eleonora. (Che interrogazione caricata!) (da sè) No certamente; vi dico che don Roberto è in peggiore20 stato del mio.
Rodrigo. Ma da chi l’ebbe?... Ditemi in grazia; in che somma era il denaro?
Eleonora. Erano cinquanta scudi.
Rodrigo. E da chi ebbe il servo questi cinquanta scudi?
Eleonora. Mi disse che a lui li aveva consegnati mio marito per recarli a me.
Rodrigo. E voi non glielo avete creduto?
Eleonora. No, perchè aveva una lettera che diceva tutto il contrario.
Rodrigo. Ah! aveva anche una lettera dunque Pasquino!
Eleonora. (Come si va riscaldando in questo discorso). (da sè) Certo aveva una lettera, in cui dicevami don Roberto essere oppresso dalla febbre e circondato dalle miserie.
Rodrigo. (Poter del mondo, colui mi ha ingannato). (da sè)
Eleonora. (Cresce il suo turbamento). (da sè)
Rodrigo. Ma veramente vi ha detto il servo da chi abbia ricevuto egli il denaro?
Eleonora. Non me l’ha detto. Scoperta ch’io ebbi la lettera, fuggì immediatamente per non essere da me obbligato a palesare la verità.
Rodrigo. Questa veramente può dirsi una provvidenza del cielo.
Eleonora. Sì, se io non la credessi tuttavia un’industriosa invenzione di qualche cuor liberale.
Rodrigo. E vi sarà chi abbia cuor di donare, senza la vanità di dichiararsi autore del dono?
Eleonora. Sì, don Rodrigo, questo cuore pietoso, questo cuore magnanimo vi è senz’altro; ne dubitai fino ad ora, ma oramai ne son certa.
Rodrigo. Chi è questi? Poss’io saperlo?
Eleonora. Voi lo siete, o cavaliere, il più degno di sì bel titolo.
Rodrigo. Io, signora?
Eleonora. Sì, voi; è vano che a me vi nascondiate. Dopo che io ho ricusato per onestà l’esibizioni cortesi che fatte mi avete, dubitai che da voi mi venisse l’industrioso sovvenimento. Ora dagli effetti che in voi hanno fatto le stravaganze di un racconto giuntovi affatto nuovo, mi assicurai d’una verita che mi reca in un tempo stupore, obbligazione e rossore.
Rodrigo. Siete assolutamente in errore. Io non ho il merito di avervi soccorsa. Io non mi son preso l’ardire di farlo, da che lo avete in presenza mia ricusato. Non l’ho fatto, vi dico, non l’ho fatto; e quando fatto l’avessi, una minima parte di quel rossore che accennate di concepire per un tal dono, distruggerebbe tutto il merito del donatore.
Eleonora. Oimè!... Colombina. (chiama)
Rodrigo. Vi occorre nulla? Poss’io servirvi?
Eleonora. Ho il cuore oppresso. Colombina.
Colombina. Illustrissima. (viene)
Eleonora. Dammi lo spirito di melissa.
Colombina. La servo. (Oh, oh, davvero che don Rodrigo le ha fatto muovere i vermi). (va a prendere la baccella)
Rodrigo. Se comandate, vi servirò io. (le dà la sua boccetta)
Eleonora. Accetto le vostre grazie. (la prende)
Colombina. Eccola. (viene)
Eleonora. Va via, non occorre altro.
Colombina. (Ho inteso, l’asta d’Achille ferisce e risana). (parte)
Eleonora. Compatitemi, don Rodrigo; lo stato infelice del povero mio consorte mi opprime lo spirito.
Rodrigo. È sempre lodabile quella dama che ha dell’amor pel suo sposo.
Eleonora. Voi non siete di quelli che insinuano alle mogli odiare i propri mariti.
Rodrigo. Guardimi il cielo. Non credo possa darsi al mondo azione più vile ed indegna, quanto quella di disunire gli animi di due congiunti21. Pur troppo fra il marito e la moglie vi sono de’ frequenti motivi di dissensioni e discordie, e se qualche maligno spirito e torbido li fomenta, diventano in poco tempo i più crudeli nemici. Come? Non è lecito rubare una borsa, un orologio, e sarà lecito rubare le pace, insidiare la moglie altrui? S’io fossi col nodo maritale già stretto, non soffrirei un simile attentato da chi che sia, e riputerei per indegno e mal cavaliere chiunque aspirasse a rapirmi una minima parte del cuore della mia sposa.
Eleonora. Sareste voi un marito geloso?
Rodrigo. No, donna Eleonora. Amerei di buon cuore la società, nè impedirei all’onesta moglie che si lasciasse opportunamente servire. Servitù semplice non è riprensibile. Io ho l’onore di servirvi da qualche tempo. Voi siete una bella dama, siete giovane, siete adorabile, io son libero, son uomo, sono conoscitore del vostro merito. E che per questo? Potete voi imputarmi di poco onesto? Può il vostro marito dolersi della mia amicizia? Niuno meglio di voi può dirlo, e ve lo chiedo in un tempo che niente può stimolarvi a celare la verità.
Eleonora. Sì, don Rodrigo, la vostra onestà, la vostra cavalleria non può arrivare più oltre. Ella però non avrebbe un gran merito, quando avesse per me dell’indifferenza.
Rodrigo. Senza offendere l’onestà della dama, può anche soffrire qualche inclinazione per essa il cavaliere più saggio. Basta che non permetta egli mai che giungano i fantasmi d’amore a intorbidare la purezza delle sue intenzioni.
Eleonora. E chi può compromettersi di una sì bella virtù?
Rodrigo. Ognuno che non ha per costume l’essere dissoluto. Non nego che possano talvolta sorprendere un cuore il più illibato, il più onesto, pensieri scorretti e pericolosi, ma con una politica distrazione si troncano, dandosi a far qualche cosa, chiamando un servo...
Eleonora. Colombina. (chiama)
Colombina. Illustrissima. (viene)
Eleonora. Termina quella scuffia.
Rodrigo. (Ho inteso, donna Eleonora ha bisogno della distrazione). (da sè) Signora, è tempo che io vi levi il disturbo. (s’alzano)
Eleonora. Perchè sì presto? Ho chiamato la serva, perchè mi preme la scuffia.
Rodrigo. Un affare di qualche rimarco mi chiama altrove.
Eleonora. Non so che dire, siete padrone22. (Resisti, o mio cuore).
Rodrigo. (Trionfa, o mia virtù). (si guardano con passione)
Colombina. (Ecco le solite occhiate patetiche). (da sè)
Rodrigo. Donna Eleonora, son vostro servo.
Eleonora. Addio, don Rodrigo. (don Rodrigo mira donna Eleonora, fa riverenza e parte)
Colombina. Bellissimi quei muti complimenti, vagliono cento volte più delle vostre parole23. (parte)
Eleonora. Ahimè! Crescono fieramente i turbamenti del mio cuore. No, no, don Rodrigo non giunga mai a scoprire l’interna guerra cagionata dal di lui merito nel mio seno. Mi servano di regola e di sistema le belle massime da lui proposte per la più onesta e virtuosa conversazione. Benchè per altro è molto diverso il meditare dall’eseguire; e molte belle e prudenti cose per facili altrui si vanno insinuando, le quali poi dure e difficilissime riescono non solo a chi le apprende, ma a chi le insegna. (parte)
SCENA VIII.
Strada.
Don Flaminio e Balestra.
Flaminio. Ma che vuoi tu ch’io dica di don Roberto? Che so io come stia? Se sia vivo o se sia crepato?
Balestra. Questo le ha da servire per introduzione. Si ricordi quello che le ho detto. Da Pasquino ho rilevato quanto basta e l’ho informata di tutte le circostanze che possono autenticare l’invenzione. Vada24 francamente a visitarla e quando è là, s’ingegni. Si ricordi che in amore vi vuole audacia. (parte)
SCENA IX.
Don Flaminio e poi Anselmo.
Flaminio. Sì, cercherò il fortunato momento in cui presentare mi possa a donna Eleonora.
Anselmo. (Ecco qui quella buona pezza del signor don Flaminio). (da sè)
Flaminio. Oh signor Anselmo, di voi appunto andava in traccia.
Anselmo. Ed io andava in traccia di lei.
Flaminio. Avrei bisogno di una partita di cere.
Anselmo. Ed io avrei necessità che mi saldasse il conto vecchio.
Flaminio. Alla raccolta lo salderemo.
Anselmo. Sono oramai tre anni che V. S. mi va dicendo così; sono passate tre raccolte, e per me la gragnuola le ha sempre portate via.
Flaminio. Fate una cosa, andate dal mio fattore e fatevi assegnare tanto grano.
Anselmo. Benissimo, vado a ritrovarlo, che mi pare sia ora.
Flaminio. Ma... aspettate; il grano di quest’anno è disposto, fatevelo assegnare per l’anno venturo.
Anselmo. Vuole ch’io gliela dica? Vedo che V. S. mi corbella; ho bisogno del mio e sarà mio pensiere farmi pagare.
Flaminio. Come! mi mandereste voi una citazione?
Anselmo. Sì signore.
Flaminio. Credo che non avrete tanto ardire.
Anselmo. Oh, lo vedrà.
SCENA X.
Colombina con un viglietto, e detti.
Colombina. (Oh, eccolo il signor Anselmo). (da sè)
Flaminio. Quella giovane, non siete voi di casa di donna Eleonora?
Colombina. Sì signore. (camminando verso Anselmo)
Flaminio. È ella in casa?
Colombina. Sì signore. (come sopra)
Flaminio. Posso25 essere a riverirla?
Colombina. Signor Anselmo, la mia padrona vi rivensce e mi manda da voi con questo viglietto. Fortuna che vi ho ritrovato vicino, che mi avete risparmiata la strada.
Flaminio. Signor Anselmo, mi rallegro con voi. Viglietti di dame?
Anselmo. Con sua licenza, mi permetta ch’io legga. (si scosta per leggere)
Flaminio. Leggete pure, non v’impedisco. (accostandosi con curiosità)
Anselmo. Ma, signore, compatisca. Non voglio ch’ella veda i fatti miei.
Flaminio. Sarà qualche gran segreto.
Anselmo. O segreto, o non segreto, la civiltà insegna a non guardare i fatti de’ galantuomini.
Flaminio. Un mercante vorrà insegnare le creanze ad un cavaliere?
Anselmo. Or ora le risponderò. (si ritira in disparte e legge piarìo)
Flaminio. E così, come vi dicevo, quella giovane, stassera verrò a riverire la vostra padrona.
Colombina. Ma chi è in grazia V. S.?
Flaminio. Sono don Flaminio del Zero, quegli che deve favellare a donna Eleonora per ordine di suo marito.
Colombina. Ho capito: ella è il padrone di Balestra. Venga, venga, che è aspettato con ansietà.
Anselmo. Ho inteso tutto. Dite alla vostra padrona che sarà servita. (a Colombina)
Colombina. Sì, signore, ma presto, perchè l’ora s’avanza.
Anselmo. Vado subito al negozio e mando uno de’ miei garzoni.
Colombina. La riverisco, signor Anselmo; serva, signor don Flaminio26. (parte)
SCENA XI.
Don Flaminio ed Anselmo.
Anselmo. Ora sono da lei, signor mio garbato. Le pare stravaganza che un mercante abbia ad insegnare le creanze a lei, ch’è nato nobile?
Flaminio. Certamente; e mi pare anche una temerità il dirlo.
Anselmo. Le dirò, i cavalieri onesti e propri, che conoscono il loro grado e san trattare da quei che son nati, non hanno bisogno di apprendere a trattare civilmente da chi che sia; ma i cavalieri di nome, e che si abusano unicamente del titolo, non son degni di stare a fronte d’un mercante onorato, come son io.
Flaminio. Olà, temerario che siete. Vi farò pentire di tanta audacia. Io sono cavaliere e voi siete un vile mercante, un uomo plebeo.
Anselmo. Un vil mercante, un uomo plebeo? Se ella sapesse cosa vuol dir mercante, non parlerebbe così. La mercatura è una professione industriosa, che è sempre stata ed è anco al dì d’oggi esercitata da cavalieri di rango molto più di lei. La mercatura è utile al mondo, necessaria al commercio delle nazioni, e a chi l’esercita onoratamente, come fo io, non si dice uomo plebeo; ma più plebeo è quegli che per avere ereditato un titolo e poche terre, consuma i giorni nell’ozio e crede che gli sia lecito di calpestare tutti e di viver di prepotenza. L’uomo vile è quello che non sa conoscere i suoi doveri, e che volendo a forza d’ingiustizie incensata la sua superbia, fa altrui conoscere che è nato nobile per accidente e meritava di nascer plebeo.
Flaminio. Così parlate, e non temete di provocarmi?
Anselmo. Parlo così, perchè V. S. ha provocato me. Parlo schietto, da uomo franco, senza suggezione, perchè non ho da dar niente a nessuno. Io non ho timore delle sue bravate, perchè gli uomini onorati della mia sorta si sanno far portar rispetto. Padron mio, la riverisco. (parte)
Flaminio. Vecchio prosontuoso insolente! Due staia di quel grano che tu hai ricusato, bastano per pagare coloro che ti fiaccheranno le spalle. (parte)
SCENA XII.
Camera di donna Eleonora27.
Donna Eleonora e Colombina.
Eleonora. Ha detto che manderà?
Colombina. Così ha detto.
Eleonora. L’ora s’avanza e non vedo nessuno. Gli hai detto per oggi28?
Colombina. Ghelho detto io, e gliel’averà detto il vostro viglietto29.
Eleonora. Non so per qual ragione sia venuto in capo a donna Claudia e donna Virginia di volermi fare una visita. Le conosco; ci sarà il suo mistero.
Colombina. È stato picchiato.
Eleonora. Va a vedere chi è.
Colombina. Subito. (parte)
Eleonora. Il signor Anselmo è tanto gentile e cortese, che mi dovrebbe aver favorito, tanto più ch’io non l’ho mandato a pregare perchè mi doni, ma solamente aspetti qualche giorno il denaro.
SCENA XIII.
Colombina e Toffolo con un bacile, sopra del quale due mazzi di candele, sei pani di zucchero, un vaso di tè, un cartoccio di caffè e quattro candellieri d’argento; e detta.
Colombina. Oh, è molto garbato il signor Anselmo! Guardi, signora padrona, guardi.
Eleonora. Che ha egli fatto? Gli hai tu dato il mio viglietto?
Colombina. Gliel’ho dato in coscienza mia.
Eleonora. Io l’ho pregato che mi mandasse mezza libbra di caffè, una libbra di zucchero, ed un poco di tè30; ed egli perchè mi manda tutta questa gran roba?
Toffolo. Il signor Anselmo la riverisce, e dice che perdoni la confidenza. Le manda questo mazzo di candele, questo cartoccio di caffè d’Alessandria vero, un vaso di tè e questi sei pani di zucchero, acciò se ne serva e goda il tutto per amor suo.
Colombina. Così ancora i candellieri e la guantiera?
Toffolo. E i candellieri e la guantiera glieli manda, acciò se ne serva alla conversazione, e con suo comodo glieli renderà.
Eleonora. Ringraziatelo intanto per parte mia, che poi in voce farò le mie parti.
Toffolo. Quella giovine, prendete. (a Colombina)
Colombina. Bene, bene, date qui. (pone il bacile sul tavolino)
Eleonora. Sono molto tenuta alle finezze del signor Anselmo31.
Toffolo. Servitor umilissimo. (parte)
Eleonora. Presto, accomoda le candele su i candellieri.
Colombina. Eccomi lesta come un gatto. Picchiano. (Colombina accomoda le candele nei candellieri)
Eleonora. Sbrigati.
Colombina. Ora, che aspettino.
Eleonora. Non senti! Tornano a picchiare.
Colombina. Venga la rabbia a chi picchia. Vi anderò, quando averò finito.
Eleonora. Sei pur melensa.
Colombina. Ogni cosa vuole il suo tempo. Ecco ch’io vado32.
Eleonora. Venisse almeno alla conversazione anco don Rodrigo; forse non verrà per non esser criticato. Ma no, sarebbe meglio che egli venisse. Tutti sanno ch’egli mi favorisce, e schivando di venire in conversazione, parrebbe ch’egli volesse occultar le sue visite.
SCENA XIV.
Don Flaminio, Colombina e detta.
Colombina. Illustrissima, il signor Cavaliere del Zero.
Flaminio. A voi m’inchino, signora.
Eleonora. Son vostra serva33.
Flaminio. Finalmente la sorte mi ha concesso il sospirato onore di riverirvi.
Eleonora. Fortuna invero da me non meritata. Favorite d’accomodarvi, (siedono. Colombina parte)
Flaminio. Voi siete più che mai vezzosa e brillante. Le vostre disavventure e quelle di vostro marito non vi hanno punto scemato il rubicondo del vostro volto.
Eleonora. (Mi pare un poco troppo ardito con una dama, cui non ha più avuto l’occasion di trattare). (da sè)
Flaminio. Questo sarà un effetto della vostra virtù, che vi rende insensibile ai colpi della fortuna.
Eleonora. Signor cavaliere, vi supplico a dirmi tutto quello che vi ha pregato comunicarmi mio marito, che è l’unico motivo per cui vi siete preso l’incomodo di favorirmi.
Flaminio. No, mia signora, non è solamente per questo ch’io son venuto ad importunarvi, ma vi si aggiunge il vivissimo desiderio d’assicurarvi ch’io vi stimo, vi venero e sospiro l’onore di potervi servire.
Eleonora. Signore, io non mi aspettavo da voi un simile complimento. Favorite di grazia, come sta don Roberto?
Flaminio. Egli sta bene di salute, ed in suo nome molte cose avrei da rappresentarvi; ma la confusione in cui mi trovo, mi tronca il filo del divisato ragionamento.
Eleonora. Se altro non vi sovviene, è inutile che perdiate qui il vostro tempo.
Flaminio. A poco a poco me n’andrò sovvenendo. Ecco una delle cose dall’amico a me confidate. La sua cara sposa, la sua diletta compagna, la pupilla degli occhi suoi, a me l’ha egli raccomandata. Mi ha incaricato d’assistervi, di soccorrervi, di non allontanarmi da voi.
Eleonora. Mi sembra strano che don Roberto mi voglia appoggiare all’assistenza d’uno che non ho mai conosciuto, e che non ho mai veduto frequentar la mia casa.
Flaminio. Intendo: vi sarebbe più grato che tale incombenza l’avesse appoggiata a don Rodrigo, non è egli vero?
Eleonora. Don Flaminio, voi mi offendete.
Flaminio. Perdonate uno scherzo. Sappiate ch’egli sarà quanto prima in Napoli.
Eleonora. In Napoli? Come?
Flaminio. Mediante la mia assistenza.
Eleonora. Sarà rivocato il suo bando?
Flaminio. Sarà rivocato, averà i suoi beni. Il mio nome può molto presso la Corte, e non vi è grazia chiesta da don Flaminio, che non sia velocemente ottenuta.
Eleonora. Se così è, don Roberto avrà a voi tutta l’obbligazione.
Flaminio. E donna Eleonora non mi sarà punto grata?
Eleonora. Benedirò il vostro animo generoso.
Flaminio. Mi guarderete voi di buon occhio? (con tenerezza)
Colombina. Oh, signora padrona. Le dame arrivano in questo punto colla carrozza34.
Eleonora. Va tu a riceverle. Di’ loro che perdonino, ch’io non ho servitore.
Colombina. Eh non temete, non mancheranno loro braccieri. (parte)
Flaminio. Quante cose ho ancora da dirvi intorno alla venuta di don Roberto! (È necessario condurre la cosa in buona maniera). (da sè)
Eleonora. Ma voi mi tenete in una crudelissima pena.
Flaminio. E voi potete contribuir molto al di lui ritorno.
Eleonora. Se non mi dite tutto, non so che fare.
Flaminio. Ne riparleremo. (Balestra mi ha posto in un grande impegno). (da sè)
SCENA XV.
Donna Claudia servita da Don Alonso, Donna Virginia servita da Don Filiberto, Colombina accomoda35 le sedie, e parte.
Donna Eleonora va ad incontrare le Dame che arrivano.
Virginia. Serva, donna Eleonora.
Eleonora. Serva, donna Virginia. (si baciano)
Claudia. Serva, donna Eleonora.
Eleonora. Serva, donna Claudia. (si badano)
Alonso. M’inchino a donna Eleonora.
Eleonora. Serva, don Alonso.
Filiberto. Anch’io ho l’onore di rassegnarvi l’umilissima servitù mia.
Eleonora. Serva divota. Chi è questo signore? (a donna Virginia)
Virginia. Un cavaliere siciliano.
Filiberto. Vostro umilissimo servitore.
Eleonora. Mi fa troppo onore.
Virginia. Don Flaminio, mi rallegro con voi. (accennando donna Eleonora)
Flaminio. Ed io con voi. (accennando don Filiberto)
Virginia. Come va l’affare dell’orologio? (a don Flaminio)
Flaminio. Benissimo; l’ho mezzo guadagnato.
Claudia. Che ne dite, signor protettore? (a don Alonso)
Alonso. Quando lo vedrò, lo crederò.
Eleonora. Vi supplico accomodarvi.
Flaminio. Farò io gli onori della casa. Qua donna Virginia, e qua il signor cavaliere. Qua la mia signora, e qua don Alonso. Qua la padrona di casa, e qua io.
Virginia. (Guardate come vostro marito ha preso possesso in casa). (piano a donna Claudia)
Claudia. (È un diavolo quel mio marito. E poi sarà amicizia vecchia). (a donna Virginia)
Alonso. (Che uomo36 ardito è quel don Flaminio!) (da sè)
Eleonora. Care amiche, vi sono molto tenuta per l’onore che mi avete fatto della vostra cortese visita. Mi rincresce che, nello stato in cui sono, non possa accogliervi come meritate; ma spero che tanto voi, quanto questi signori, compatiranno le mie disgrazie.
Alonso. Noi siamo venuti per riverirvi, non per recarvi incomodo37.
Flaminio. (Donna Eleonora, ora mi è sovvenuto un particolare toccante vostro marito). (piano ad Eleonora)
Eleonora. Non conviene parlar piano in conversazione.
Flaminio. (In due parole vi sbrigo).
Eleonora. Di grazia, compatite; è una cosa che preme. (alla conversazione)
Virginia. Accomodatevi. (don Flaminio parla all'orecchio a donna Eleonora)
Claudia. (Don Alonso, preparate l’orologio).
Alonso. (Non sono ancora convinto).
Claudia. (Che ne dite? Si porta bene la dama virtuosa?) (piano a donna Virginia)
Virginia. (A maraviglia). (a donna Claudia)
Flaminio. (Credetemi...) (a donna Eleonora)
Eleonora. (Se sarà, lo vedremo). Ora sono da voi. Che abbiamo di nuovo, signori miei? Se non vi fate la ricreazione fra di voi, non aspettate dal mio scarso spirito materia bastante per divertirvi.
Virginia. (Che vi pare di quella scuffia?) (a donna Claudia)
Claudia. (Malissimo fatta). (a donna Virginia)
Virginia. (E sì ha pretensione di essere di buon gusto).
Claudia. (E quell’acconciatura si può far peggio?).
Virginia. Ditemi, donna Eleonora, chi vi ha fatto quella bella scuffia?
Eleonora. La mia cameriera.
Virginia. Sta bene, bene, che non può star meglio. È una moda che mi piace infinitamente.
Claudia. E il capo chi ve l’ha assettato?
Eleonora. La stessa mia cameriera.
Claudia. In verità, parete assettata dal primo parrucchiere di Napoli.
Eleonora. Credetemi che in ciò non vi metto studio.
Flaminio. Donna Eleonora sta bene in ogni maniera, privilegio delle donne belle. (Sentite un’altra cosa toccante vostro marito). (piano a donna Eleonora)
Eleonora. (Ora non è tempo).
Flaminio. (Se me la scordo, non la dico più).
Eleonora. (Via, fate presto). Compatite. (alla conversazione; e don Flaminio le parla all’orecchio)
Virginia. (Sono attaccati davvero). (a donna Claudia)
Claudia. (Sa il cielo quanti ne ha di questi cicisbei).
Filiberto. (Donna Virginia, quel vostro don Flaminio mi pare un pazzo. Nelle conversazioni non si parla segretamente). (piano a donna Virginia)
Virginia. (Lasciatelo fare; è innamorato).
Eleonora. (Basta così, non voglio sentir altro). (a don Flaminio)
Flaminio. Con più comodo diremo il resto.
Eleonora. Vostro marito è un cavaliere bizzarro. (a donna Claudia)
Claudia. Se saprete fare, vi darà piacere. (a donna Eleonora)
Eleonora. Ha delle commissioni di mio marito, e me le fa penare a poco per volta.
Claudia. Poverina! consolatela una volta.
Eleonora. Ha detto nulla a voi d’aver parlato a Benevento con don Roberto?
Claudia. A Benevento?
Flaminio. Sì, non sono io arrivato questa mattina da Benevento per le poste? Ho portate delle commissioni di don Roberto.
Claudia. (Che ti venga la rabbia, sentite che cosa si va sognando!) (a donna Virginia)
Virginia. (Ma che dite di lei, come trova bene i pretesti?) (a Claudia)
Alonso. (Don Flaminio vuole ingannare donna Eleonora, ma io scoprirò ogni cosa). (Colombina porta il caffè e lo distribuisce a tutti)
Virginia. (Donna Claudia, rinfreschi, rinfreschi).
Claudia. (Eh, le costano poco).
Virginia. (Viva don Rodrigo).
Claudia. (Poverino! egli spende, e gli altri godono).
Eleonora. Compatite, sarà poco buono.
Virginia. Anzi è perfetto.
Claudia. Non ho bevuto il meglio. (È acqua tinta). (a Virginia)
Virginia. (Non si può bere. Si vuol mettere con noi). (a Claudia)
Claudia. (Figuratevi! Povera pezzente!) (a Virginia)
Alonso. Veramente questo caffè può dirsi eccellente.
Claudia. Quando ella lo dice, sarà così. (con ironia ad Alonso)
Filiberto. Certamente è fatto a maraviglia.
Flaminio. Tutto quello che viene dispensato da donna Eleonora, non può essere che perfetto.
Eleonora. Siete troppo cortese.
Claudia. (Siete troppo cortese! guardate che bella grazia!)38 (caricandola)
Flaminio. (A proposito. Sentite ora un’altra cosa di sommo rimarco). (a donna Eleonora)
Eleonora. (No, signore. La convenienza non lo permette).
Flaminio. (Questa sola, e ho finito).
Eleonora. (Non voglio farmi spacciare per malcreata).
Flaminio. (Vi prego. Non siate meco sì austera).
Eleonora. (Ho capito. Comincio a ravvisarvi della caricatura). (da sè) Signore mie, scusatemi. La cameriera mi accenna che ha necessità di parlarmi. (si alza) Permettetemi ch’io vada per un momento, or ora sono da voi. Con licenza. (parie)
Claudia. Bella creanza! (a donna Virginia)
Virginia. Pare annoiata di don Flaminio. (a donna Claudia)
Claudia. Eh, per l’appunto. Ha soggezione di me. Per altro, se non ci fossi io, si contenebbe diversamente. (a donna Virginia)
Alonso. (Si vede che donna Eleonora è stanca delle impertinenze di don Flaminio). (da sè)
Virginia. Signor don Alonso, io principio a tenere dalla vostra parte.
Flaminio. Amico, preparatevi a pagar l’orologio. (a don Alonso)
Claudia. Oh, ecco qui don Rodrigo.
Virginia. Mi pareva impossibile che non venisse.SCENA XVI.
Don Rodrigo e detti.
Rodrigo. (Riverisce tutti che s’alzano, ed ei va a sedere nell’ultimo luogo vicino a don Filiberto, e tutti siedono). Bellissima conversazione.
Virginia. Ora poi è perfezionata coll’arrivo di don Rodrigo.
Rodrigo. Gentilissima espressione di dama troppo compita.
Claudia. Certo, finora siamo stati melanconicissimi; Donna Eleonora quasi quasi piangeva.
Rodrigo. Povera dama, non ha occasione di star allegra. (Costei principia a motteggiare). (da sè)
Virginia. Per altro ella ha delle buone nuove di suo marito.
Rodrigo. Sì? Me ne consolo. (Sventurata! ne ho io delle funeste). (da sè)
Virginia. Questo cavaliere ha detto che fra due giorni avremo don Roberto in Napoli libero, assoluto e nello stato di prima. (accennando don Flaminio)
Rodrigo. È vero? (a don Flaminio)
Flaminio. È verissimo.
Rodrigo. E chi lo assicura?
Flaminio. Io.
Virginia. Signor sì. Egli è venuto stamattina da Benevento ed ha parlato con don Roberto, che sta benissimo di salute.
Rodrigo. È vero? (a don Flaminio)
Flaminio. Ne dubitate?
Rodrigo. Quando avete parlato con lui?
Flaminio. Ieri sera.
Rodrigo. E stava bene di salute?
Flaminio. Benissimo.
Rodrigo. Signori, io non voleva funestare la conversazione con una nuova lugubre, ma don Flaminio mi obbliga a farlo. Ieri a mezzo giorno don Roberto spirò, e questa è la lettera che autentica la di lui morte. (mostra una lettera che aveva in tasca)
Virginia. Oh povera donna Eleonora! Manco male che ora non è qui presente.
Flaminio. E non credete....
Rodrigo. Udite la lettera. E il conte degli Anselmi che scrive a me. Amico. Due ore sono, mancò di vivere il povero don Roberto, assalito da un orribile parossismo. Io ne avanzo a voi la funesta notizia, sapendo essere stato il suo più intrinseco e fedele amico. Recate voi l’infausta nuova alla infelice vedova dama....
Virginia. Quel signore ch’è venuto stamattina da Benevento, vada a riposare, che sarà stracco. Gran cabalisti che siete voi altri uomini.
Flaminio. (Don Rodrigo mi ha fatto comparire un bugiardo in faccia a tutta la conversazione. Don Rodrigo me la pagherà). (parte guardando bruscamente don Rodrigo)
Rodrigo. (Don Flaminio mi guarda torvo e parte; non ho paura di lui). (vuol partire)
Claudia. Non vorrei seguisse qualche duello. (a Virginia)
Virginia. Don Rodrigo.
Rodrigo. Mia signora.
Virginia. E volete partire, senza dir niente alla povera donna Eleonora?
Rodrigo. È necessario ch’ella lo sappia? Ma giacchè si trovano qui due dame, lascierò ad esse il carico di un tale uffizio.
Claudia. Eh via, don Rodrigo, non fate tanto l’indifferente. Andate ad asciugare le lagrime alla vedovella.
Rodrigo. Io sono un cavaliere onorato; donna Eleonora è una donna saggia e prudente, e chi pensa diversamente, ha il cuor guasto e corrotto dai pregiudizi del mal costume. (parte)
Virginia. Donna Claudia, ingoiate questa pillola.
Filiberto. Don Rodrigo ha parlato assai schietto.
Alonso. Imparate, signore mie, a giudicar meglio e a mormorar meno.
Filiberto. (La volpe perde il pelo, ma non il vizio). (da sè)
Virginia. Don Alonso, andate a ritrovare un medico. Donna Eleonora avrà bisogno di essere sovvenuta.
Alonso. Lo farò volentieri.
Virginia. E voi, don Filiberto, fatevi servire colla mia carrozza, ch’io resterò qui con donna Eleonora, se donna Claudia l’accorda.
Claudia. Sì, sì, restiamo pure. (Ho curiosità di vedere come termina l’istoriella di don Rodrigo). (da sè)
Virginia. (Noi altre donne qualche volta parliamo con troppa facilità, ma siamo poi di buon cuore). (da sè, parte)
Claudia. Don Alonso, volete venire ancor voi a consolare donna Eleonora?
Alonso. Io, signora, se mi tentate, vi parlerò più chiaro di don Rodrigo.
Claudia. Segno che avete più premura di lui.
Alonso. Orsù, io vado a ritrovare il medico.
Claudia. Sì, andate, e se volete ritrovare un buon medico per donna Eleonora, conducetele un bel marito. (parte)
Filiberto. Che bella cosa sarebbe, se si trovasse un medico che sapesse curare l’infermità della maldicenza! (parte)
Alonso. Questa in molti è un’infermità irremediabile. Lo fanno per costume, e non ne possono fare a meno. Però la mormorazione e la critica è un pane che si rende, e quello che noi diciamo degli altri, probabilmente verrà anche detto di noi. (parte)
Fine dell’Atto Secondo.
Note
- ↑ Bett. e Sav.: mammalucco.
- ↑ Bett. e Sav.: L’abbiamo fatta in due.
- ↑ Bett. e Sav. aggiungono: coll’adorabile mia presenza.
- ↑ Bett. e Sav.: e non anderò; mezzo sì e mezzo no.
- ↑ Bett. e Sav.: il preterito.
- ↑ Bett. e Sav.: cicisbeo.
- ↑ Carlino, antica moneta napoletana: 42 centesimi circa di lira italiana.
- ↑ Bett. e Sav.; battuto.
- ↑ Bett. e Sav.: me n’arricordo.
- ↑ Bett. e Sav.: Cosa vorreste.
- ↑ Segue nelle edd. Bett. e Sav.: «Col. Hai molta fame? Pasq. Più tosto. Col. Vieni, che stai fresco. Andiamo. Pasq. Signora padrona, mi favorisce una presa di tabacco? Prego il cielo ecc.».
- ↑ Nelle edd. Bett. e Sav.: «Eleon. Tieni. (gli dà il tabacco). Pasq. Buono. (starnuta, poi caccia fuori il fazzoletto ecc.)».
- ↑ Zatta: cava.
- ↑ Bett. e Sav.: legge forte la lettera.
- ↑ Bett. e Sav.: che io sono.
- ↑ Segue nelle edd. Bett. e Sav.: «Bal. (Colombina, ti voglio bene), piano a Colombina. Col. (Mi vuoi bene, ma non mi doni mai niente). piano a Balestra. Bal. (Hai tu di bisogno di nulla? comandami). Col. (Pagami un paio di scarpe). Bal. (volentieri). mette mano alla tasca. Eleon. Che discorsi son quelli? Col. Gli domandavo che ora è. Eleon. Ebbene, che ora è? Col. Or ora... Egli tira fuori l’orologio. Bal. (Prendi questo zecchino e seconda il mio padrone), piano a Col. Col. (Lascia fare a me), piano a Bal. Eleon. E così, che ora è? a Col. Col. (Non lo so, signora; Balestra ha l’orologio guasto), piano a Eleon. Bal. (La cosa comincia a andar bene), da sè, e parte. Col. Eppure questa consolazione non basta per farvi stare allegra. Eleon. No, perchè non vedendo lettere, ondeggio ancora fra mille pensieri. Ingannata ecc.».
- ↑ Bett. e Sav. aggiungono: «Col. (Avrei di bisogno di sapere che ora è)».
- ↑ Segue nelle edd. Bett. e Sav.: «(Che cavaliere adorabile!) Rodr. (Che venerabile dama!)».
- ↑ Così tutte le antiche edd.; l’ed. Le Monnier, curata dal Masi, stampa anzi egli.
- ↑ Bett. e Sav.: peggio.
- ↑ Bett., Sav.: coniugati.
- ↑ Bett. e Sav.: voi siete il padrone di voi medesimo.
- ↑ Segue nelle edd. Bett. e Sav.: «Eleon. Bada a te, bada a te; va via, che farai meglio. Col. Anderò a vedere se mi riesce di piluccar qualche cosa da D. Rodrigo. Vo far presto, avanti che scenda le scale».
- ↑ Ben. e Sav.: Questa sera, verso la mezz’ora di notte, vada ecc.
- ↑ Bett. e Sav.: Stassera posso.
- ↑ Bett. e Sav.: «Flam. Verrò senz’altro. Col. Venga pure. (Se l’orologio del servitore ha suonato una volta, quello del padrone dovrebbe ribattere tre o quattro volte)».
- ↑ Bett. e Sav.: Camera di Donna Eleonora, con due tavolini e varie sedie per la conversazione. Un candelliere con mezza candela di sevo accesa.
- ↑ Bett. e Sav.: per questa sera.
- ↑ Così segue nelle edd. Bett. e Sav.: «Eleon. Sarà mezz’ora di notte. Col. E se viene in conoersazìone, non vi è altro che quella mezza candela di sevo. Eleon. Pazienza; ognuno sa ch’io son povera. Col. È stato picchiato. Eleon. Prendi il lume. Col. E voi resterete all’oscuro? Eleon. Non importa. Col. Contenta voi, contenta io. prende il lume e parte. Eleon. Il signor Anselmo è tanto gentile ecc.»
- ↑ Bett. e Sav. aggiungono: e quattro candele di cera.
- ↑ Così segue nelle edd. Bett. e Sav.: «Colombina. Col. Signora. Eleon. (Vorrei dargli qualche cosa di mancia), piano a Colombina. Col. (Non sarà mal fatto). Eleon. (Prendi questo testone). Col. Sì signora. (Quel giovane, la mia padrona ringrazia ancor voi. Vi darebbe la mancia, ma non ne ha), piano a Toffolo (Questo lo voglio per me), si mette la moneta in tasca. Tof. Mi maraviglio. Servitore umilissimo, parte. Eleon. È restato contento? a Colombina. Col. Contentissimo. Eleon. Presto, accomoda le candele ecc.»
- ↑ Bett. e Sav. aggiungono: prende un candelliere e parte.
- ↑ Bett. e Sav. aggiungono: Colombina posa il lume e parte.
- ↑ Così Bettinelli e Savioli: «Col. Signora, senio arrivare la carrozza; saranno le dame, viene in fretta».
- ↑ Bettin. e Sav.: Colombina col lume, lo pone sul tavolino accomoda ecc.
- ↑ Bett. e Sav.: Grand’uomo.
- ↑ Segue nelle edd. Bett. e Sav.: «Virg. (Ehi, che ne dite? Quattro candele di cera). piano a D. Claudia. Claud. (E con i candellieri d’argento), piano a Virg. Virg. (Tutta roba di D. Rodrigo). Claud. (Già si sa; se non fosse lui, la farebbe magra). Alon. (Io giocherei che principiano a mormorare). Flam (Donna Eleonora, ora mi è sovvenuto ecc.)».
- ↑ La fine di questa scena e parte della scena seguente, come si leggono nelle edizioni Bettinelli e Savioli, trovansi in Appendice.