Atto I

../Personaggi ../Atto II IncludiIntestazione 15 aprile 2020 100% Da definire

Personaggi Atto II

[p. 199 modifica]

ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di donna Eleonora

Donna Eleonora ricamando1 ad un piccolo telaio e Colombina colla rocca sedendo, che dorme.

Eleonora. Questo tulipano non risalta come vorrei. Bisogna dargli un ombra un poco più caricata. Vi vogliono due o tre passate di seta scura. Colombina, dammi quel gomitolo di seta bleu. Colombina, dico. Colombina?

Colombina. Signora, Illustrissima, eccomi. (svegliandosi)

Eleonora. Tu non faresti altro che dormire.

Colombina. Chi non dorme di notte, bisogna che dorma di giorno. [p. 200 modifica] Sino alla mezzanotte si lavora, e all’alba si salta in piedi e si torna a questo bellissimo divertimento della rocca. Signora padrona, anch’io son fatta di carne, e non dico altro.

Eleonora. (Povera sventurata! la compatisco). (da sè)

Colombina. Tenete la seta bleu. La ra, la ra, la ra, la ra, la lera. (canta con rabbia e siede filando)

Eleonora. Colombina, non so che dire. Tu hai ragione; e con ragione ti lagni della vita miserabile che meco sei costretta di fare. Tu sai come eri trattata da me, quando don Roberto, mio consorte, era in Napoli, e la nostra casa poteva sfoggiare come le altre. Ora don Roberto, per l’omicidio commesso di quel ministro da lui chiamato a duello, fu esiliato da questi stati; sono confiscati tutti li di lui beni, ed io, che altra dote non gli ho portata che quella di un’antichissima nobiltà, sono miserabile come vedi. I congiunti della mia casa sono tutti poveri, nè mi possono dar sollievo. I parenti di mio marito mi odiano tutti per la mia povertà; tutti mi abbandonano, tutti mi deridono. Cara Colombina, tu sei stata finora l’unico mio conforto fra tante angustie. Se tu mi abbandoni, oh Dio! mi darò in preda alla disperazione.

Colombina. Via, via, signora padrona, non mi fate piangere; finchè potrò, non vi abbandonerò. Del poco ognuno si può contentare, ma con niente nessuno può fare.

Eleonora. In casa nessuno ci vede; diamoci le mani d’attorno, lavoriamo, che un giorno il cielo ci assisterà. Spero che il fisco mi accorderà gli alimenti. Il mio procuratore mi ha assicurato che averà delle buone ragioni per sostenere la mia causa.

Colombina. E intanto vi va spolpando e mangia egli quello che dovremmo2 mangiar noi.

Eleonora. Vi vuol pazienza. Ognuno ha da vivere col suo mestiere.

Colombina. E noi con qual mestiere vivremo?

Eleonora. Eccolo qui. Tu con la rocca ed io col ricamo.

Colombina. Compatitemi se parlo con libertà. Siete una signora di poco spirito. [p. 201 modifica]

Eleonora. Perchè?

Colombina. Perchè ve ne sono delle altre povere come voi, anco con famiglia, e famiglia grossa, e non penano come fate voi.

Eleonora. Averanno il marito provveduto d’impiego.

Colombina. Eh, pensate! Se mantengono anche il marito.

Eleonora. Ma come fanno?

Colombina. Ve lo dirò io. Non sono tanto scrupolose, quanto siete voi.

Eleonora. Ho inteso; mutiamo discorso.

Colombina. Mutiamo discorso e facciamone uno più bello. Ieri ho veduto il signor Anselmo, padrone di questa casa, e con bella maniera mi fece intendere essere passato il semestre della pigione.

Eleonora. Lo so benissimo; e perciò ho venduto il mio manto: e là dentro in quel cassettino sono i denari destinati pel signor Anselmo.

Colombina. Vi è il signor don Rodrigo, ch’è un cavaliere tanto garbato, che vi ha fatto centomila esibizioni; e voi non gli volete dir nulla, e vi contentate patire piuttosto che raccomandarvi.

Eleonora. Una donna che chiede, è poi soggetta a concedere; e l’uomo che dona, non ha intenzione di gittare il suo senza speranza di ricompensa.

Colombina. Don Rodrigo è un cavaliere generoso e prudente.

Eleonora. Ma non averà obbligo d’essere prudente meco, se io non lo sono con lui.

Colombina. Eppure mi pare che non vi dispiaccia la di lui conversazione.

Eleonora. Sì, lo confesso; egli è l’unica persona che vedo volentieri in mia casa. Senti, è stato picchiato.

Colombina. Sarà qualche creditore. (parte)

Eleonora. Pazienza. Come presto la sorte ha cambiato scena per me! Non vi è che don Rodrigo che sia costante; egli, ad onta delle mie disgrazie, non cessa di favorirmi. Che maniere soavi, che singolari prerogative l’adornano! Ah mio cuore, pensa alle [p. 202 modifica] miserabili circostanze nelle quali ti trovi, e non compiacerti vanamente delle finezze di don Rodrigo, le quali non devono passare i limiti della compassione.

SCENA II.

Colombina, poi Anselmo e detta.

Colombina. Signora padrona, non ve l’ho detto?

Eleonora. Ebbene, chi è?

Colombina. Il signor Anselmo, il quale probabilmente verrà a portar via quei pochi denari che potevano servire per voi3.

Anselmo. Si può venire? (di dentro)

Eleonora. Passi, passi, signor Anselmo.

Colombina. (Almeno gli voglio dire le nostre miserie). (da sè)4

Anselmo. Buon giorno a V. S. Illustrissima.

Eleonora. Serva, signor Anselmo.

Anselmo. Come sta ella? sta bene?

Eleonora. Eh, così, così. Oppressa dalle mie disgrazie.

Anselmo. Ah! davvero la compatisco; e tutta la città sente con rammanco e dispiacere le sue disavventure.

Eleonora. S’accomodi.

Anselmo. Grazie alla bontà di V. S. Illustrissima. (siede)

Eleonora. Caro signor Anselmo, non mi mortificate con cerimonie che poco si convengono allo stato in cui mi ritrovo.

Anselmo. Mi perdoni, signora. Ella è nata dama: povertà non guasta gentilezza. Le male azioni son quelle che pregiudicano all’onore delle famiglie, e non le disgrazie. La fortuna può levare i denari, ma non arriva a mutare il sangue. La nobiltà è un carattere indelebile che merita sempre venerazione e rispetto; e siccome il nobile, benchè povero, è sempre nobile, così dobbiamo noi altri umiliarci alla nobiltà del sangue, senza riflettere agli accidenti della fortuna.

Eleonora. Tutti non pensano come voi, signor Anselmo, e per lo più si stima più nobile chi ha più denari. [p. 203 modifica]

Anselmo. Io le protesto che per lei ho tutto il rispetto, e tanto la stimo ora, ch’è in questo stato, quanto in tempo delle sue fortune.

Eleonora. Voi siete un uomo pieno di bontà e gentilezza. M’immagino per qual motivo vi siate preso l’incomodo di favorirmi, onde non voglio più lungamente tenervi in disagio. Colombina.

Colombina. Illustrissima.

Eleonora. Apri quel cassettino e portami quella borsa.

Colombina. La servo. (Oggi non si desina più). (da sè)

Anselmo. Signora donna Eleonora, è vero ch’è passato il semestre; ma se mai ella si ritrovasse in bisogno e che questo denaro le potesse giovare, son galantuomo, glielo dico di cuore, se ne serva, che io la faccio padrona.

Eleonora. Vi ringrazio infinitamente. Son debitrice e devo soddisfare al mio debito. Via, Colombina, conta il denaro al signore Anselmo, e si compiacerà di farmi la ricevuta.

Anselmo. Non so che dire; quando non lo vuol tenere, quando ella non ha bisogno, le chiedo scusa e lo prendo per obbedirla.

Colombina. (Contandogli i denari, parla piano ad Anselmo) (Oh signor Anselmo, se sapeste le nostre miserie! Sono cinque giorni che non bolle la pentola. Si mangia un poco di pane con un ramolaccio senza sale, un poco di pappa nell’acqua, e si muor dalla fame).

Anselmo. (Come! La signora è in tanta necessità; le offerisco di rilasciarle il denaro, e lo ricusa?) (piano a Colombina)

Colombina. (Ella è fatta così, morirebbe piuttosto che domandare).

Anselmo. (Ma perchè?)

Colombina. (Per certi scrupoli, che non vagliono un fico).

Anselmo. (Bene, ho capito. Fate una cosa: andate via e lasciatemi solo con lei).

Colombina. (Signor sì, mi raccomando alla vostra carità). Signora, il denaro è bello e contato; vado a fare una cosa. (parte)

Anselmo. Signora donna Eleonora, la supplico per amor del cielo perdonarmi la libertà ch’io mi prendo. Qui siamo soli, nessuno ci sente, mi sono note le sue indigenze, son galantuomo, son [p. 204 modifica] uomo avanzato in età; grazie al cielo, venti scudi non mi fanno nè più povero, nè più ricco; la prego degnarsi di tenerli per sè, di servirsene ne’ suoi bisogni, me li darà quando le tornerà più comodo.

Eleonora. Ah, signor Anselmo, il cielo vi benedica pel bel cuore che voi avete, per la generosa esibizione che voi mi fate. È vero, mi trovo in angustie, ma non ardisco permettere che voi tralasciate di ricevere il denaro che vi è dovuto, col pericolo di non averlo mai più.

Anselmo. Se più non l’averò, pazienza. Intanto se ne prevalga; e le giuro5 che altro fine non mi muove a usarle quest’atto di buon amore, se non che la compassione delle sue disgrazie.

Eleonora. Vi rimuneri il cielo per una sì bella pietà.

Anselmo. Fo il mio debito e niente più. In questo mondo abbiamo da assisterci l’uno coll’altro. L’intenzione del cielo è che tutti abbiano del bene. Chi è più ricco, deve darne a chi è più povero, e bisogna considerare che anche i più ricchi possono6 diventar miserabili. Si consoli, si regoli con prudenza, e non dubiti che il cielo l’aiuterà. Buon giorno a V. S. Illustrissima. (si alza) (Mi fa compassione. Chi è avvezzo a viver male, presto si accomoda a viver bene; ma chi è avvezzo a star bene, oh quanto dura fatica ad accomodarsi a star male!) (fa riverenza e parte)

SCENA III.

Donna Eleonora, poi Colombina e poi il Dottore Buonatesta.

Eleonora. Che uomo7 da bene, che cuore liberale ed umano!

Colombina. Signora padrona, è venuto... (osserva i denari sul tavolino) Oh! che vuol dire? Il signor Anselmo non si è preso il denaro? [p. 205 modifica]

Eleonora. No, me lo ha prestato sin tanto che io possa restituirglielo con minore mcomodo.

Colombina. Buono, buono, e viva. Mangeremo almeno qualche cosa.

Eleonora. Chi è venuto?

Colombina. Il signor Dottore... Volete che io vada a comprarvi un pollo?

Eleonora. Ci penseremo. Fa venire il Procuratore.

Colombina. Vado subito. Compatitemi, è una settimana che si digiuna. Oh cari! Oh come son belli! Benedetto quel vecchio! Ventre mio, preparati, che hai da far festa. (dopo aver riguardato li denari, parte)

Eleonora. Povera ragazza, la compatisco. Le lunghe astinenze la rendono desiosa di reficiarsi.

Dottore. Faccio umilissima riverenza alla signora donna Eleonora.

Eleonora. Serva, signor Dottore, favorisca.

Dottore. (Oh le belle monete!) (osserva i denari, e siede)

Eleonora. Che buone nuove mi porta della mia causa?

Dottore. Buone, buonissime, ottime, ottimissime. (Sono tutti scudi effettivi).

Eleonora. Quando si può sperare di avere la sentenza?

Dottore. Anche oggi, se vuole.

Eleonora. Se voglio? Vi potete immaginare con quanta ansietà la desidero.

Dottore. (Quattro e due sei, e tre nove, e due undici...) (va contando con arte li scudi sul tavolino)

Eleonora. Che cosa andate dicendo fra di voi?

Dottore. Andava facendo il conto, quanta spesa ci vorrà per far pubblicare la sentenza.

Eleonora. Quanto ci vorrà?

Dottore. Ora glielo saprò dire, (quattro e tre sette, e due nove, e quattro tredici, e tre sedici, e due diciotto, e due venti). (osservando come di sopra) Ci vorranno per l’appunto venti scudi.

Eleonora. Possibile che ci voglia tanto! [p. 206 modifica]

Dottore. Può essere che io mi sia ingannato. Ora tornerò a fare il conto. Osservi, per sua maggiore intelligenza le farò vedere il conto chiaro con queste istesse monete. Ecco qui: quattro al cancelliere, otto al Tribunale, due al notaio, tre per il registro e tre per la copia; guardi se il conto può andar meglio. Mi favorisca, li ha ella preparati a posta? È stata informata? Capperi! lo sapeva meglio di me. Brava! la sa lunga. Con lei non si può scherzare. Se le dicevo di più, comparivo un bel barbagianni. Venti scudi! Eccoli, sono qui. Non occorre altro. Li prendo e li porto a Palazzo.

Eleonora. Oh Dio! e li volete portar via tutti?

Dottore. Non ha veduto il conto? Per me, ella vede, non mi resta neanche un quattrino.

Eleonora. Caro signor Dottore, badate se potete risparmiar qualche cosa. Vi svelo una verità deplorabile8. Per oggi non ho altro che poco pane, per saziar me e la mia povera serva.

Dottore. La non ci pensi, la si lasci servire. Oggi avrà la sentenza in favore. Domani avrà il suo assegnamento. Mangerà, tripudierà, lasci fare a me.

Eleonora. Ma veramente oggi si darà la sentenza?

Dottore. Oggi senz’altro. Non sono capace di dare ad intendere una cosa per un altra. Io non sono di quei procuratori che, per iscorticare i clienti, promettono la vittoria senza verun fondamento. Sono galantuomo, disinteressato. Per me non gli chiedo niente, lo faccio di buon cuore.

Eleonora. Il cielo ve ne rimuneri. Quando avrò il mio assegnamento, sarete largamente ricompensato.

Dottore. L’ultima cosa a cui penso, è questa. Signora, vado a Palazzo.

Eleonora. Andate pure. Oggi v’aspetto.

Dottore. Verrò senz’altro.

Eleonora. Colla sentenza?

Dottore. Colla sentenza.

Eleonora. Siete sicuro della vittoria? [p. 207 modifica]

Dottore. La vittoria l’ho in pugno. Ho guadagnato senz’altro, e si vedrà quanto prima fin dove si estenda l’acutezza del Dottor Buonatesta. (parte)

SCENA IV.

Donna Eleonora, poi Colombina.

Eleonora. Oh cielo! Quando mai terminerò di penare? Non vedo l’ora di andare al possesso di qualche cosa, per poter sovvenire alle mie miserie e per soccorrere in qualche parte il povero mio marito, che si trova in angustie niente meno di me.

Colombina. Orsù, signora padrona, eccomi qui. Datemi uno scudo, ch’io vado subito, subito a provvedere il desinare.

Eleonora. (Oh sì, che vogliamo star bene). (da sè)

Colombina. Dove sono i denari? Dove li avete messi?9

Eleonora. Li ho dati al signor Dottore per la spedizione della causa.

Colombina. Tutti?

Eleonora. Tutti: mi ha fatto il conto, e senza venti scudi non si può avere la sentenza.

Colombina. Che ti venga la rabbia. Dottor del diavolo! Portarli via tutti? Lasciarmi senza desinare? Non me ne scorderò mai più. (è picchiato)

Eleonora. Picchiano.

Colombina. Fosse almeno quel cane del Dottore; vorrei certo, certo che li mettesse giù.

Eleonora. Ma se fa per noi.

Colombina. Non gli credo una maledetta. (parte)

Eleonora. Costei sempre pensa al male, ed io penso al bene. Ah, voglia il cielo ch’ella non l’indovini più di me.

Colombina. Signora, signora. Ecco qui il signor don Rodrigo.

Eleonora. (S’alza) Presto, ritira quel tavolino, avanza quella sedia, porta via il telaio; sbrigati e fa che passi. [p. 208 modifica]

Colombina. (Capperi! si è messa in ardenza, quando ha sentito nominare don Rodrigo). (da sè)

Eleonora. Fa presto, non lo fare aspettare.

Colombina. Vado subito. Signora, ricordatevi che non vi è da desinare.

Eleonora. E per questo, che vuoi tu dire?

Colombina. Se don Rodrigo si movesse a pietà, non istate a fare la schizzinosa. (parte)

Eleonora. Don Rodrigo è un cavaliere generoso, ma io sono una dama d’onore: gradisco sommamente la sua amicizia, ed ho per lui una stima, che non è indifferente; ma sopra tutto mi sta a cuore il mio decoro e la mia estimazione.

SCENA V.

Donna Eleonora, Don Rodrigo, poi Colombina.

Rodrigo. M’inchino a donna Eleonora.

Eleonora. Serva umilissima di don Rodrigo. S’accomodi.

Rodrigo. Per obbedirvi. (siedono) Come ha ella riposato bene questa notte?

Eleonora. Ah! Come può riposare una che ha il cuore da mille parti angustiato.

Rodrigo. (Povera dama! Quanto la compatisco). (da sè) Che nuove abbiamo di don Roberto?

Eleonora. Sono sei giorni che non ho di lui veruna notizia. Nell’ultima lettera ch’ei mi scrisse, mi diceva che dubitava avere un poco di febbre, onde il non veder suoi caratteri, mi fa temer ch’ei stia male. Aspetto il nostro servitore Pasquino; oggi dovrebbe arrivare da Benevento. Non vedo l’ora di ricevere qualche notizia del povero mio marito.

Rodrigo. È tuttavia in Benevento?

Eleonora. Sì signore. Egli non si è partito di là, per essere in maggior vicinanza di Napoli e aver nuova di me più frequentemente. [p. 209 modifica]

Rodrigo. Povero cavaliere! Come fa a sussistere senza assegnamenti?

Eleonora. Lo sa il cielo. Aveva seco qualche giojetta, se ne sarà prevalso nelle occorrenze.

Rodrigo. E voi, perdonatemi la troppa libertà ch’io mi prendo, come vi reggete a fronte di tante disgrazie?

Eleonora. Fo come posso.

Rodrigo. Se vi occorre cos’alcuna, parlate.

Eleonora. Vi ringrazio infinitamente, per ora non sono in grado d’incomodarvi.

Rodrigo. (Quanto è modesta!)

Eleonora. (Quanto è gentile!)

Rodrigo. Come va la vostra causa col fisco?

Eleonora. Mi assicurò il mio Dottore che presto si darà la sentenza.

Rodrigo. Ieri ho parlato di voi col signor Segretario, ed ha mostrato di compassionare il vostro caso. Non sarebbe mal fatto che gli faceste presentare un memoriale in nome vostro, ed io, se così vi aggrada, ne sarò il presentatore.

Eleonora. Mi fareste un favor singolare, anzi il memoriale l’ho di già preparato, e solo mancavami il mezzo per esibirlo. Colombina.

Colombina. Signora. (viene)

Eleonora. Guarda nell’arcova10 sul mio scrittoio, che vi ha da essere un memoriale; recamelo tosto.

Colombina. La servo. (Ha fatto nulla?) (piano ad Eleonora)

Eleonora. Va via, impertinente.

Colombina. (Or ora farò io). (parte)

Rodrigo. In un’età sì giovane, con tante belle doti che vi adornano, trovarvi sola, senza marito e senza beni, è un caso che fa pietà.

Eleonora. Non mi accrescete il peso de’ miei disastri col rimarcarmene le circostanze.

Colombina. Io non trovo nulla. [p. 210 modifica]

Eleonora. Sciocca che sei! Non ne fai una a dovere. Lo troverò io. Con licenza. (parte)

Rodrigo. S’accomodi.

Colombina. (Graizie al cielo, è andata). (da sè)

Rodrigo. Colombina, come va?

Colombina. Male assai. Non si mangia, non si beve e si muor dalla fame.

Rodrigo. Donna Eleonora non ti dà il tuo bisogno per vivere?

Colombina. Se non ne ha nemmeno per sè. Fa una vita miserabile; mangia pane ed acqua, ed io faccio lo stesso per conversazione11.

Rodrigo. Ma io m’esibisco d’assisterla, ed ella...

Colombina. Zitto, che viene: non le dite nulla ch’io abbia parlato, e regolatevi con prudenza.

Rodrigo. Io rimango confuso.

Eleonora. Ecco il memoriale. Vedi se c’era, scioccherella? Tenete, don Rodrigo, mi raccomando alla vostra bontà.

Rodrigo. Sarete puntualmente servita. Ma, cara signora, vorrei pregarvi d’una grazia.

Eleonora. Comandate.

Rodrigo. Vorrei che vi degnaste di far capitale della mia buona amicizia.

Eleonora. Credo che vediate, se io la stimo.

Rodrigo. No, non ne fate quella stima ch’io desidero.

Colombina. (Ora comincia a venire il buono). (da sè)

Eleonora. Qual maggior dimostrazione posso io darvene?

Rodrigo. Desidero mi parliate con libertà. Voi siete in qualche angustia e non lo volete a me confidare.

Eleonora. Oh signore, v’ingannate. Io non ho bisogno di nulla.12

Rodrigo. Iersera giuocai al faraone; mi venne in mente la vostra persona, misi una posta per voi, la vinsi; la raddoppiai, e nuovamente la vinsi: questo denaro è cosa vostra, onde degnatevi d’accettarlo. [p. 211 modifica]

Colombina. Oh sì, signora, ha giuocato per voi, ha vinto, il denaro è vostro. (a donna Eleonora)

Rodrigo. Eccolo....

Eleonora. No no, rigiuocatelo, perdetelo, fatene altr’uso. Siccome, se aveste perduto, io non vi avrei rimborsato, così, avendo vinto, a me non s’appartiene la vincita.

Rodrigo. Ma in ogni forma avete da farmi la finezza di ricevere queste sei doppie...

Eleonora. In ogni modo contentatevi ch’io aggradisca unicamente il vostro buon cuore. Io non ne ho bisogno.

Colombina. (Oh diavolo! la scannerei come un animale). (da aè)

Rodrigo. Signora, quando è così, vi chiedo scusa della libertà che presa mi sono.

Eleonora. Non posso che lodare la vostra bontà.

Rodrigo. (Che nobil tratto!)

Eleonora. (Che cuor generoso!)

Rodrigo. (Le sue maniere m’incantano!)

Eleonora. (Sono adorabili i suoi costumi!)

Rodrigo. Donna Eleonora, vi levo l’incomodo. (s’alzano)

Eleonora. Non incomoda chi favorisce.

Rodrigo. Vi prego non lasciarmi senza l’onore de’ vostri comandi.

Eleonora. Vi raccomando il memoriale.

Rodrigo. Sarete servita. Vi son servo. (s’incammina)

Colombina. Eh signora, vi vuol altro che memoriali; pagnotte vogliono essere. (piano ad Eleonora) Aspetti, aspetti, che verrò a servirla. (a don Rodrigo)

Eleonora. Dove vai?

Colombina. Vado ad accompagnare il signor don Rodrigo.

Eleonora. Egli non ha bisogno di te.

Colombina. Ho io ben bisogno di lui.

Rodrigo. Colombina, ti occorre nulla?

Eleonora. Nulla, nulla, signore, non le date retta13, è pazza.

Colombina. Mi volete veder morire? morirò. [p. 212 modifica]

Rodrigo. Ma se la povera figliuola ha qualche cosa da dirmi, signora, non la impedite.

Eleonora. Ella non può dirvi che delle scioccherie; onde vi prego non ascoltarla.

Rodrigo. Vi obbedisco. A voi m’inchino. (Comprendo la delicatezza d’un animo che teme avvilirsi. Cosa rara, cosa ammirabile ai nostri giorni!) (da sè, parte)

SCENA VI.

Donna Eleonora e Colombina.

Eleonora. Che hai che piangi?

Colombina. Piango dalla fame, dalla rabbia, dalla disperazione.

Eleonora. Prendi questo spillone, procura impegnarlo e provvedi r occorrente per oggi.

Colombina. Ora mi fate piangere per un’altra ragione.

Eleonora. Perchè?

Colombina. Per vedervi tanto buona, che con tutta la gran necessità che avete, vi contentate patire e privarvi di tutti i vostri adornamenti, piuttosto che dimandare soccorso.

Eleonora. Eh cara Colombina, la vita si può sostenere con poco. Gli adornamenti non sono necessari, ma l’onore merita le più zelanti attenzioni, e chi è nato nobile, ha maggior obbligo di custodirlo.

Colombina. Don Rodrigo non ha verso di voi veruna cattiva intenzione.

Eleonora. Il cuor degli uomini non si conosce. Se non ha cattiva intenzione, può averla un giorno. Perdendo io di stima verso di lui, può egli arrogarsi dell’autorità sopra di me. No, no, morir piuttosto, ma sostenere il decoro.

Colombina. Brava, bravissima! Intanto anderò a impegnare lo spillone. Tireremo avanti fino che si potrà, e poi spero che vi accomoderete al costume. Eh signora mia, ne troverete poche che pensino come voi. Sapete che cosa dice il poeta? Che la necessità gran cose insegna. (parte) [p. 213 modifica]

Eleonora. La necessità non m’insegnerà mai a scordarmi del mio dovere. Il povero mio consorte, che ha tutto perduto, non ha che una moglie onorata, che vaglia a sostenere il decoro della desolata famiglia. Lo sosterr a costo della mia vita, e se vedrò che la presenza di don Rodrigo possa mettere in maggior pericolo la mia virtù, priverommi ancora di quest’unica conversazione, volendo io tutto sagrificare al dovere di sposa fedele, di donna onesta, e di dama povera, ma onorata. (parte)

SCENA VII.

Camera in casa di donna Claudia.

Donna Claudia e Balestra.

Claudia. Balestra.

Balestra. Illustrissima. (viene)

Claudia. Porta innanzi quel tavolino.

Balestra. Illustrissima sì. (lo tira innanzi) Comanda altro?

Claudia. No. (Balestra parte) Tardano molto le visite stamattina. Balestra

Balestra. Illustrissima. (viene)

Claudia. Hai veduto don Alonso?

Balestra. Illustrissima no.

Claudia. Non occorr’altro. (Balestra parte) Questo mio signor cavaliere ha poca attenzione per me. Farmi ch’egli si vada raffreddando un poco. Non viene più a bere la cioccolata la mattina per tempo. Balestra.

Balestra. Illustrissima. (viene)

Claudia. Dammi una sedia.

Balestra. La servo. (le porta la sedia, e resta in camera)

Claudia. (Siede) Mio marito non averà mancato a quest’ora di andare a riverire la sua dama. Che fai tu qui, ritto, ritto14, come un palo? (osservando Balestra)

Balestra. Stavo attendendo se comandava altro.

Claudia. Quando ti vorrò, ti chiamerò. [p. 214 modifica]

Balestra. Benissimo. (fra i denti, e parte)

Claudia. Questo star sola mi viene a noia. Balestra.

Balestra. (Viene senza parlare.)

Claudia. Balestra. (non vedendolo)

Balestra. Son qua, illustrissima.

Claudia. Pezzo d’asino! Non rispondi?

Balestra. Credevo che mi avesse veduto. (Che tu sia maledetta nel tuppè!) (da sè)

Claudia. A che ora è partito mio marito?

Balestra. A tredici ore. (vuol partire)

Claudia. Fermati. Ha detto nulla?

Balestra. Nulla.

Claudia. Via, vattene, non voglio altro. (con rabbia)

Balestra. Vado, vado. (parte)

Claudia. Se non viene nessuno, anderò io a ritrovare donna Virginia. Balestra.

Balestra. Illustrissima. (viene)

Claudia. Di’ al cocchiere che attacchi.

Balestra. Illustrissima sì. (parte)

Claudia. Ma anderò in carrozza senza un cavaliere che m’accompagni? Non è dovere. Balestra.

Balestra. Illustrissima. (viene)

Claudia. Non occorre altro.

Balestra. Non vuole altro?

Claudia. No.

Balestra. Non vuole la carrozza?

Claudia. No, ti dico, in tua malora.

Balestra. (Oh che bestia, oh che bestia!) (parte)

Claudia. Ma questo don Alonso è troppo incivile. Se mi tenta, mi faccio servire dal conte Asdrubale.

Balestra. Illustriss... (viene)

Claudia. Il malanno che ti colga; non ti ho chiamato.

Balestra. Una imbasciata.

Claudia. Di chi?

Balestra. Don Alonso vorrebbe riverirla. [p. 215 modifica]

Claudia. Asinaccio! Il cavalier servente non ha portiera. Passi.

Balestra. Perdoni; sono ancora novizio. (Un’altra volta lo lascio venire, se la fosse anco al licet.) (parte)

Claudia. Vorrei rimproverarlo, ma non vuò disgustarlo. E troppo buon15 cavaliere. Soffre16 tutto e si contenta di poco.

SCENA VIII.

Don Alonso e detta, poi Balestra.

Alonso. Ben levata, donna Claudia, mia signora.

Claudia. Caro don Alonso, compatite l’ignoranza del nuovo mio servitore. Non è stata mia intenzione che facciate anticamera.

Alonso. So la vostra bontà, nè io sto su queste piccole cose.

Claudia. Oh, io sono poi esattissima. Ma don Alonso mio, vi vorrei un poco più diligente.

Alonso. Signora, un affare di premura questa mattina mi ha trattenuto.

Claudia. Eh, non vorrei... Basta, basta, se me n’accorgo, povero voi.

Balestra. Illustriss... (viene)

Claudia. Che vuoi tu qui? (arrabbiata)

Balestra. Un’altra imbas...

Claudia. Va via, serra quella portiera.

Balestra. Ma senta....

Claudia. Va via. Quando un cavaliere è nella mia camera, non hai da entrare senza mia permissione.

Balestra. Non occorre altro. (Maledettissima!) (parte)

Claudia. Credetemi, don Alonso, che con questi servitori ignoranti io impazzisco.

Alonso. Ma egli, compatitemi, aveva un’imbasciata da farvi.

Claudia. Un’imbasciata?

Alonso. Certamente. Ha principiata la parola e non l’ha finita.

Claudia. Ha un’imbasciata da farmi, e non me la fa? Gran bestia! Balestra. [p. 216 modifica]

Balestra. Illustrissima. (di dentro)

Claudia. Non vieni?

Balestra. Posso o non posso? (di dentro)

Claudia. Vieni, animalaccio, vieni.

Balestra. Eccomi. (viene)

Claudia. Tu hai un’imbasciata da farmi, e non me la fai?

Balestra. Ma se non mi lasc...

Claudia. Presto, dico, fammi l’imbasciata.

Balestra. La signora donna Virginia vorrebbe riverirla.

Claudia. Donna Virginia? È in carrozza?

Balestra. È smontata.

Claudia. È scesa e tu la fai aspettare? Villano! Presto, va là, fa che passi.

Balestra. Se io sto più in questa casa, che il diavolo mi porti! (Vuol partire)

Claudia. Balestra, Balestra.

Balestra. Signora, signora?

Claudia. Tira innanzi un’altra sedia. (Balestra la tira, e poi vuol partire) Balestra, un’altra. (Balestra tira, e poi vuol partire) Balestra, quella non istà bene, un poco più in qua. Presto, via corri, va dalla dama.

Balestra. Un servitor solo non può far tutto.

Claudia. Taci là, temerario.

Balestra. (Strega del diavolo!) (da sè, parte)

Claudia. Oh, questi servitori sono indegnissimi.

Alonso. Bisogna trattarli con un poco più di dolcezza.

Claudia. Bravo, signor sì, tenete la parte dei servitori. Che caro signorino! Obbligata, obbligata.

Alonso. Compatitemi, io non ci devo entrare.

Claudia. Anzi ci dovete entrare, e tocca a voi a farmi portar rispetto e a farmi obbedire.

Alonso. Questo appartiene a vostro marito.

Claudia. Mio marito non abbada a queste cose. Egli si prenderà tal pena in qualche altro luogo, e a voi tocca a tener in dovere la mia servitù. [p. 217 modifica]

SCENA IX.

Donna Virginia e detti, e Balestra che alza la portiera.

Claudia. Cara amica, siate la benvenuta.

Virginia. Ah, ah, vi è don Alonso; ora capisco, perchè mi avete fatto fare mezz’ora di anticamera. Vi compatisco.

Claudia. Deh, perdonatemi, è derivato da un zotico servitore, che ho preso ieri al servizio. Vi prego a non prendere la cosa sinistramente.

Virginia. No, cara, ho scherzato. Ho piacere di ritrovarvi in una sì bella compagnia.

Alonso. Donna Virginia stamane è di buon umore.

Claudia. Ma! Chi ha il cuor contento, ha il riso in bocca. Ditemi, avete veduto mio marito?

Virginia. Sì, è stato a favorirmi stamattina per tempo.

Claudia. E non è venuto con voi in carrozza?

Virginia. No, perchè vi era il marchese Ascanio, e sapete che vostro marito non si picca di preferenza, e cede volentieri il suo posto ad un forestiere.

Claudia. E il marchese dove è andato?

Virginia. Dopo avermi accompagnata fin qui, è andato a Corte per un affare di qualche rilievo.

Claudia. Chi verrà a prendervi?

Virginia. O egli stesso, o vostro marito, o il signor barone, o l’Inglese, o che so io! Qualcheduno.

Claudia. Non vi mancano serventi.

Virginia. Ne ho tanti che non mi ricordo di tutti.

Claudia. E il più caro qual è?

Virginia. Tutti eguali. Non m’importa un fico di nessuno.

Alonso. (Io le ascolto col maggior piacere del mondo). (da sè)

Claudia. Che vogliamo fare? Vogliamo giocare all’ombre17?

Virginia. Oh sì, vi ho tutto il mio piacere.

Claudia. Don Alonso, ci favorite? [p. 218 modifica]

Alonso. Dipendo dai vostri voleri.

Virginia. Don Alonso poi è un cavalierino garbato.

Alonso. Ma io ho un difetto che a voi non piacerebbe.

Virginia. E qual è?

Alonso. Che al bene e al male mi piace esser solo.

Claudia. Balestra.

Balestra. Vengo o non vengo? (di dentro, e poi viene)

Claudia. Presto, porta le carte e le paglie.

Balestra. Subito la servo. (vuol partire)

Claudia. Sediamo intanto. Balestra.

Balestra. Signora.

Claudia. Le sedie al tavolino.

Balestra. (Va accostando le sedie) La servo.

Claudia. Presto, le carte e le puglie.

Balestra. Signora, una cosa alla volta. Io non ho altro che due gambe e due mani. (parte)

Claudia. Impertinente! Oh, lo caccio via subito.

Virginia. (Ha ragione il poveruomo: che bella dama! Vuol tenere conversazione, e non ha che un servitor solo).

Balestra. Ecco qui le carte e le puglie. (resta in disparte)

Alonso. Farò io.

Claudia. No, no, quando giuocano due dame, tocca la mano al cavaliere; farò io.

Alonso. Come vi aggrada.

Claudia. (Mescola le carte, e le dà fuori.)

Virginia. Di quanto si giuoca?

Alonso. Comandate.

Claudia. Eh, di poco. Un carlino18 la puglia.

Virginia. Spadiglia obbligata?

Claudia. Sì, fino a cento.

Alonso. (Sto fresco!) (da sè) Passo19.

Virginia. Passo20.

Claudia. Entro. [p. 219 modifica]

Balestra. (In un forno ben caldo). (da sè, parte)

Virginia. A proposito, donna Claudia, quant’è che non vedete donna Eleonora?

Claudia. Sarà una settimana.

Virginia. Poverina, gran disgrazia!

Claudia. Eh, non dubitate che ha trovato chi la consola.

Virginia. E chi? Don Rodrigo?

Claudia. Don Rodrigo, per l’appunto. (va facendo il giuoco)

Virginia. Eppure è un uomo serio, che non si è mai dilettato di servir dame.

Claudia. Quelli che non appariscono in pubblico, fanno meglio le loro cose in privato.

Alonso. Signora, l’avete trovato questo trionfo?

Claudia. Oh, siete impaziente! Mi è stato detto per certo, ch’egli va in casa sua a tutte l’ore.

Virginia. È verissimo, lo so ancor io; e sì chi la sente, la modestina, ella è una Penelope di castità.

Claudia. io non le ho mai creduto. Sentite, se non fosse don Rodrigo, ella si morrebbe21 di fame.

Virginia. Dote non ne ha certamente.

Claudia. Dote? Se è andata a marito che non aveva camicia da mutarsi.

Virginia. Ma perchè mai don Roberto l’ha presa, se era così povera?

Alonso. Ve lo dirò io, signora. Perchè don Roberto è di una nobiltà moderna, e donna Eleonora è di una delle prime famiglie antiche di Napoli.

Virginia. Oh, oh, gran nobiltà invero! Si sa chi era sua madre; era figlia di un semplice Cittadino, e sua zia ha preso per marito un avvocato.

Claudia. Eh! Io so perchè l’ha sposata.

Virginia. Perchè, cara amica?

Claudia. Non voglio dir male, ma so tutta la storia come andò.

Virginia. Vi era qualche obbligazione? [p. 220 modifica]

Claudia. Ve lo potete immaginare.

Alonso. Signora, perdonatemi. Questo è un matrimonio ch’è stato trattato da mio padre; e donna Eleonora si è maritata onestissimamente.

Claudia. Eh sì, bravo, bravo; si sa che ancor voi le avete fatto l’amore, quand’era fanciulla, ed ora la proteggete, non è egli vero?

Virginia. Caro don Alonso, fate torto a donna Claudia.

Alonso. Io non faccio torto a nessuno dicendo la verità.

Claudia. Oh bene, andate dalla vostra gran dama, ch’io non ho bisogno di voi. (s’alza)

Virginia. Eh, venite qua, giuochiamo.

Claudia. No, no, non voglio giuocar più22. (s’alzano)

Alonso. Signora, perdonatemi, io non ho preteso nè di offendervi, nè di farvi alcun dispiacere.

Claudia. Maledetto vizio che avete di sempre voler contradire! Siete poco cavaliere.

Alonso. Avete ragione, vi domando perdono.

Claudia. Voler difendere una, che si sa chi è.

Virginia. Tutta Napoli è informata che don Rodrigo le dà da vivere.

Claudia. Le paga fino la cameriera.

Virginia. E la pigione della casa chi gliela paga? Ella non ha un soldo.

Claudia. So quasi di certo che don Rodrigo ha fatta la scritta23 in testa sua, perchè il signor Anselmo non la voleva lasciare a donna Eleonora.

Virginia. È vero?

Claudia. Io ne sono quasi certa, e avanti sera lo saprò meglio.

Virginia. Che ne dite, signor protettore?

Alonso. Credetemi che ciò mi pare impossibile.

Claudia. Eccolo qui. Perfidissimo uomo! Ho piacere d’avervi scoperto. È qualche tempo che mi parete meco raffreddato; sarete forse impegnato per la gran dama. Ma non son chi sono, se non mi vendico. Se è stato bandito suo marito, a me darà l’animo di fare esiliare ancor lei. [p. 221 modifica]

Alonso. Ma signora...

Claudia. Non voglio ascoltarvi.

Alonso. Vi supplico a...24

SCENA X.

Don Flaminio e detti.

Flaminio. Che è questo strepito? Perchè questi clamori25?

Virginia. Vostra moglie ha mortificato il povero don Alonso.

Flaminio. Mia moglie è bizzarra davvero. Non la conoscete ancora? Oh, la conoscerete, e allora compatirete me, se do in qualche impazienza.

Alonso. Amico, io non ho mancato a veruno de’ miei doveri.

Flaminio. Ma perchè siete andati in collera?

Virginia. Lo dirò io. Don Alonso si è posto a difendere donna Eleonora. Vuol negare che don Rodrigo sia il di lei servente, o per dir meglio, il di lei benefattore. Noi che sappiamo la cosa com’è, diciamo diversamente, ed egli26 si ostina e ci dà gentilmente delle mentite.

Flaminio. Oh, don Alonso, compatitemi, l’intendete male. In faccia delle donne, mai per vostra regola non si dice bene di un’altra donna. E poi, non sapete voi che il contradire ad una donna è lo stesso che voler navigare contr’acqua e contro il vento?

Alonso. Lo so benissimo, ma credetemi, io non posso sentire a pregiudicare la riputazione d’una dama onorata.

Flaminio. E che? Pregiudicano forse la sua riputazione a dire che don Rodrigo la serve? Io servo donna Virginia, voi favorite mia moglie, e per questo che male c’è?

Alonso. Tutto va bene, ma dicono che don Rodrigo le dà da vivere, le paga la cameriera, la pigion di casa e cose simili.

Flaminio. Caro amico, e chi gliel’ha da pagare? Siete pur buono ancor voi. I beni di suo marito sono tutti confiscati; ella non ha un soldo di dote. Parliamoci chiaro, d’aria non si vive. [p. 222 modifica]

Alonso. Ma ella ha venduto, vende e lavora...

Claudia. Sentite com’è esattamente informato?

Virginia. Donna Claudia, volete che questa sera andiamo a fare una visita a donna Eleonora?

Claudia. Visite a donna Eleonora? Quella pezzente non è degna delle mie visite.

Virginia. Vedremo un poco come si contiene questa gran dama nello stato miserabile in cui si trova.

Claudia. La vedrete al solito delle sue pari, povera e superba.

Virginia. Chi sa che non scopriamo qualche cosa di più? Io ho in testa ch’ella si diletti di tener conversazione. Don Alonso lo saprà.

Alonso. Per quello ch’io so, donna Eleonora è una dama ritiratissima, e in casa sua, a riserva di don Rodrigo, non vi capita alcuno.

Flaminio. Orsù, venite qui. Quanto vogliamo scommettere ch’io vado in casa sua e le faccio da cicisbeo?

Alonso. Scommetto cento luigi che non vi riesce di farlo.

Flaminio. Scommettiamo un orologio d’oro.

Alonso. Benissimo. Io non mi ritiro.

Flaminio. Donna Virginia, siete voi contenta che io faccia questa prova e mi guadagni questo orologio?

Virginia. Servitevi pure con libertà.

Flaminio. Già m’immagino che per quel tempo ch’io lascierò di servirvi, non mancherà chi saprà occupare il mio posto.

Virginia. Di ciò non vi prendete pena. Ci penso io.

Flaminio. E voi, signora consorte, che cosa dite?

Claudia. Dico che avete vinto senz’altro.

Flaminio. Vi pare ch’io sia un cavaliere manieroso, capace per abbattere a’ primi colpi il cuor d’una donna?

Claudia. Le donne di quella sorta si vincono facilmente.

Flaminio. La scommessa è fatta, per ora più non se ne parli. Andiamo a fare una passeggiata in giardino.

Virginia. Andiamo pure27. [p. 223 modifica]

Flaminio. Favorite la mano.

Virginia. Eccomi.

Flaminio. Povera donna Virginia, come farete a star qualche giorno senza di me?

Virginia. Credetemi che non mi ammalerò certamente.

Flaminio. Ah crudele! Voi vi prendete spasso di chi muore per voi.

Virginia. Domani morirete per donna Eleonora, e un altro giorno tornerete a morire per me. (parlano)

Alonso. Comandate ch’io abbia l’onore di servirvi?

Claudia. Obbligatissima, andate a servire donna Eleonora.

Alonso. Ciò è impossibile. Ella sarà impegnata per vostro marito. (con ironia)

Claudia. Eh andate, che vi sarà luogo anche per voi. Una frasca non ricusa nessuno. (parte)

Alonso. Ecco il vizio comune di quasi tutte le donne. Criticare le azioni altrui e non riflettere sulle proprie. Ecco il soggetto principale di quasi tutte le conversazioni: mormorare, dir male del prossimo, tagliare i panni addosso alla povera gente. So che donna Eleonora è una dama onesta, e sono obbligato a difendere l’onor suo, ancorchè da lei non pretenda nemmeno di essere ringraziato. Servo donna Claudia più per impegno che per inclinazione. E se ella pretenderà da me più di quel che le si compete, prenderò il mio congedo. Gran pazzia è la nostra! Servir per diletto e soggettarsi alle ridicole stravaganze di una donna, per avere il grand’onore di essere nel numero de’ cavalieri serventi! (parte)

Fine dell’Atto Primo.



Note

  1. Nelle edd. Bettinelli e Savioli: in abito di casa ricamando.
  2. Bett. e Sav.: averessimo a.
  3. Bett., Paperini e Sav.: noi.
  4. Bett. e Sav.: piano, e si ritira un poco.
  5. Bett. e Sav. aggiungono: da mercante onorato.
  6. Bett. e Sav.: ponno.
  7. Bett. e Sav.: grand’uomo.
  8. Bett. e Sav.: lacrimosa.
  9. Bettin. e Sav.: Li avete messi via.
  10. Così le antiche edizioni; quella più recente Le Monnier, curata da Ern. Masi, corresse alcova.
  11. Così tutte le edd.; anche quella più recente curata da Ern. Masi.
  12. Bett., Paper, e Sav. aggiungono: «Colombina. [Che ti venga la rabbia]
  13. Bett. e Sav.: non gli abbadate.
  14. Bett. e Sav.: cosa fai qui, duro, duro.
  15. Così Zatta; le edd. precedenti: il buon.
  16. Bett. e Sav.: Fa.
  17. Vedi per questo giuoco la sc. 2 dell’A. II della Donna di garbo.
  18. Bett. e Sav.: Mezzo paolo.
  19. Bett., Pap. e Sav. aggiungono: (pone una puglia in piatto).
  20. Bett., Pap. e Sav. aggiungono: (fa lo stesso).
  21. Bett.: muorirebbe.
  22. ett. e Sav.: giuocare altro.
  23. Bett. e Sav.: fittanza.
  24. Bett., Pap. e Sav. aggiungono: «Claudia. Levatevi di qui».
  25. Bett. e Sav.: Cosa sono questi gridori?
  26. Bett. e Sav.: e lui.
  27. Bett., Paper, e Sav.; «Andiamo pure, anzi per far meglio, resteremo a pranzo con voi. Flam. Volentieri, mi fate onore. Favorite ecc.».