Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu/245


IL CAVALIERE E LA DAMA 235


ho parlato all’orecchio, e gli ho promesso venti scudi, se depennava l’appellazione, e mi ha promesso di farlo. Ah, che ne dice? Son uomo io? Ho fatto le cose a modo?

Eleonora. Da par vostro; ottimamente.

Colombina. Non mi pare che la cosa sia ancor finita.

Eleonora. Sì, è finita. Ditegli pure che dei primi denari entreranno del mio assegnamento, egli averà venti scudi.

Dottore. Signora mia, così non faremo nulla. L’amico non vuole aspettare; o subito, o niente.

Eleonora. Ma dove ho io da ritrovare venti scudi? Voi sapete che non ne ho.

Colombina. Non ve l’ho detto io che ci restava qualche cosetta di buono?

Dottore. Qui bisogna fare assolutamente uno sforzo. Si tratta di tutto.

Eleonora. (Colombina, che ne dici?) (piano a Colombina)

Colombina. (Se ci potessimo fidare che dicesse la verità!)

Eleonora. (O diamine! Vuoi tu che mi venga ad ingannare?)

Colombina. (Ma io ci credo poco, vedete).

Dottore. (Mi pare ch’ella si vada disponendo. Eh, non è già miserabile come si finge. L’ho bene indovinata io. Ella non mi voleva pagare col pretesto della povertà ed io mi pagherò con l’invenzione di una immaginaria sentenza). (da sè)

Eleonora. Orsù, signor dottore, ho risoluto di fare anche questa, lo tengo in questa borsa un poco di denaro, mandatomi dalla provvidenza del cielo; vedete in quanta necessità mi ritrovo, e pur me ne privo, fidandomi della vostra onestà.

Colombina. (Mi vengono i sudori freddi a pensarci). (da per sè)

Dottore. La non ci pensi, si lasci servire.

Eleonora. Tenete, questi sono venti scudi. (li leva dalla borsa e glieli dà)

Dottore. Non so se possa... occorrere altro... (guardando la borsa)

Colombina. Eh, il diavolo che vi porti, vogliamo mangiare ancor noi.

Dottore. Via, via. Vado subito a fare il negozio. (Bisogna pelare la quaglia senza farla gridare). (parte)