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238 | ATTO SECONDO |
Certo aveva una lettera, in cui dicevami don Roberto essere oppresso dalla febbre e circondato dalle miserie.
Rodrigo. (Poter del mondo, colui mi ha ingannato). (da sè)
Eleonora. (Cresce il suo turbamento). (da sè)
Rodrigo. Ma veramente vi ha detto il servo da chi abbia ricevuto egli il denaro?
Eleonora. Non me l’ha detto. Scoperta ch’io ebbi la lettera, fuggì immediatamente per non essere da me obbligato a palesare la verità.
Rodrigo. Questa veramente può dirsi una provvidenza del cielo.
Eleonora. Sì, se io non la credessi tuttavia un’industriosa invenzione di qualche cuor liberale.
Rodrigo. E vi sarà chi abbia cuor di donare, senza la vanità di dichiararsi autore del dono?
Eleonora. Sì, don Rodrigo, questo cuore pietoso, questo cuore magnanimo vi è senz’altro; ne dubitai fino ad ora, ma oramai ne son certa.
Rodrigo. Chi è questi? Poss’io saperlo?
Eleonora. Voi lo siete, o cavaliere, il più degno di sì bel titolo.
Rodrigo. Io, signora?
Eleonora. Sì, voi; è vano che a me vi nascondiate. Dopo che io ho ricusato per onestà l’esibizioni cortesi che fatte mi avete, dubitai che da voi mi venisse l’industrioso sovvenimento. Ora dagli effetti che in voi hanno fatto le stravaganze di un racconto giuntovi affatto nuovo, mi assicurai d’una verita che mi reca in un tempo stupore, obbligazione e rossore.
Rodrigo. Siete assolutamente in errore. Io non ho il merito di avervi soccorsa. Io non mi son preso l’ardire di farlo, da che lo avete in presenza mia ricusato. Non l’ho fatto, vi dico, non l’ho fatto; e quando fatto l’avessi, una minima parte di quel rossore che accennate di concepire per un tal dono, distruggerebbe tutto il merito del donatore.
Eleonora. Oimè!... Colombina. (chiama)
Rodrigo. Vi occorre nulla? Poss’io servirvi?
Eleonora. Ho il cuore oppresso. Colombina.