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Edgar Allan Poe 1835 1928 Decio Cinti Indice:Poe - Racconti grotteschi, Milano, Sonzogno, 1928.pdf racconti Il Re Peste Intestazione 4 gennaio 2025 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Racconti grotteschi


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IL RE PESTE

(Storia che contiene un’allegoria).

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Verso la metà, circa, di una notte del mese d’ottobre, sotto il regno cavalleresco di Edoardo III, due marinai appartenenti all’equipaggio del Free and Easy, goletta mercantile che faceva servizio fra l’Ecluse (Belgio) e il Tamigi, e che allora era ancorata in questo fiume, furono meravigliatissimi di trovarsi seduti in una taverna della parrocchia di Sant’Andrea, a Londra, — la quale taverna aveva per insegna il ritratto di un Allegro Lupo di mare.

La sala, benchè fosse mal costruita, annerita dal fumo, bassa di soffitto, e simile d’altronde a tutte le bettole di quell’epoca, era, secondo l’opinione dei grotteschi gruppi di bevitori sparsi qua e là, sufficientemente adatta al suo scopo.

Di quei gruppi, i nostri due marinai formavano a parer mio il più interessante, se non il più notevole.

Quello che sembrava il più anziano, e che dal [p. 8 modifica]compagno veniva chiamato col nome caratteristico di Legs (gambe), era anche, considerevolmente, il più alto dei due. La sua statura poteva essere di almeno sei piedi e mezzo mezzo, e l’abitudine di tener curve le spalle sembrava in lui la conseguenza necessaria di una tanto prodigiosa statura. Ciò ch’egli aveva di superfluo in altezza era nondimeno più che compensato da manchevolezze in altre cose. Era straordinariamente magro, e, come affermavano avrebbe potuto sostituire, i suoi compagni, quand’era ubbriaco, una fiamma dell’alberatura, e quando invece era digiuno, un’antenna del fiocco.

Ma certo queste celie ed altre analoghe non avevano mai prodotto effetto alcuno sui muscoli cachinnici di quel lupo di mare. Co’ suoi zigomi sporgenti, il suo gran naso a becco di falco, il suo mento sporgente, la sua mascella inferiore depressa e i suoi grandi occhi bianchi protuberanti, la fisonomia di lui, quantunque rivelasse una specie di burbera indifferenza, aveva un’espressione solenne e seria oltre ogni possibile descrizione e oltre qualsiasi imitazione.

Il marinaio più giovane era, in tutto il suo aspetto, il contrario e la reciproca del suo compagno. Un paio di gambe arcuate e tozze reggeva il suo corpo pesante e massiccio, e le braccia singolarmente corte e grosse pendevano e si dondolavano lungo i suoi fianchi, ed eran simili [p. 9 modifica]alle zampe di una tartaruga marina. Due occhietti d’un colore impreciso brillavano profondamente infissi nella sua testa. Il naso rimaneva sepolto nella massa di carne che avvolgeva la sua faccia tonda, piena e purpurea, e il grosso labbro superiore si riposava compiacentemente sull’inferiore, ancor più grosso, con un’aria di soddisfazione personale, aumentata dall’abitudine, che aveva il proprietario delle suddette labbra, di leccarsele di tanto in tanto. Evidentemente, egli guardava il suo lungo compagno di bordo con un sentimento che era per metà di meraviglia e per metà beffardo; e talvolta, se lo guardava in faccia, sembrava il sole quando, rosso al tramonto, sogguarda la cima delle rupi di Ben-Nevis.

Le peregrinazioni di quella degna coppia nelle diverse taverne delle vicinanze, nelle prime ore della notte, erano state varie e piene di avvenimenti. Ma i fondi, anche i più copiosi, non durano eternamente e i nostri amici si erano avventurati con le tasche vuote nella bettola a cui abbiamo accennato.

Nel momento preciso in cui veramente comincia questo racconto, Legs e il suo compagno Hugh Tarpaulin stavano seduti nel centro della sala, ognuno coi gomiti puntati sulla grande tavola di legno, e con la faccia fra le mani. Sotto la protezione di una capace bottiglia di hummingstuff, non pagata, essi sbirciavano le sini[p. 10 modifica]stre parole: «Niente gesso!»1 che non senza stupore nè senza sdegno vedevano scritte sulla porta, a grandi caratteri tracciati proprio col gesso, con quello spudorato gesso che osava dichiararsi assente!

La facoltà di decifrare i caratteri scritti — considerata dal popolo di quei tempi come un po’ meno cabalistica dell’arte di tracciarli, — non avrebbe potuto, secondo una rigorosa giustizia, essere attribuita a quei due alunni del mare. Ma, in verità, quelle lettere avevano certi attorcigliamenti e, nel loro insieme, una non so quale indescrivibile agitazione, che facevano prevedere ai due marinai una burrasca della peggior specie, e che li decisero ad un tratto, secondo il linguaggio metaforico di Legs, a «preparare le pompe, ad abbassar le vele, e a fuggire davanti al vento».

Così, dopo aver bevuta la birra che restava, e dopo essersi solidamente allacciati i corti farsetti, i due amici si slanciarono improvvisamente verso la strada. Tarpaulin, a dire il vero, entrò due volte nel vasto camino, prendendolo per la porta, ma la fuga finì con l’essere effettuata felicemente, e, mezz’ora dopo la mezzanotte, i nostri due eroi, evitata la burrasca, correvano risolutamente per una viuzza buia, dirigendosi [p. 11 modifica]verso la scalinata di Sant’Andrea, inseguiti con ardore dall’ostessa dell’Allegro Lupo di mare.

Molti anni prima dell’epoca in cui si svolge questa drammatica storia, e molti anni dopo, tutta l’Inghilterra e, più particolarmente, la metropoli, echeggiavano periodicamente del sinistro grido: «La peste!». La città, allora, era in gran parte spopolata, e negli orrendi quartieri vicini al Tamigi, nelle viuzze e negli angiporti oscuri, angusti ed immondi, che il demone della peste aveva scelti (così si supponeva) come suoi luoghi di nascita, s’incontravano soltanto — orgogliosi e soddisfatti — lo Spavento, il Terrore e la Superstizione.

Per ordine del re, quei quartieri erano chiusi, ed era proibito a tutti, con minaccia della pena di morte, di penetrare nelle loro orribili solitudini. Tuttavia, nè il decreto del monarca, nè le enormi barriere erette agli sbocchi delle vie, nè la prospettiva della morte atroce che quasi sicuramente inghiottiva ogni miserabile da nessun pericolo distolto dal tentar l’avventura, impedivano che le case disabitate e rimaste prive di mobili venissero spogliate in rapine notturne, del ferro, del rame, del piombo, di qualunque cosa, insomma, potesse esservi di smerciabile.

Si constatava specialmente, ad ogni inverno, quando si aprivano le barriere, che le serrature, i chiavistelli e i sotterranei segreti avevano solo mediocremente protette le grandi riserve di vini [p. 12 modifica]e di liquori che, dati i rischi e le difficoltà dello spostamento, molti dei numerosi bottegai di quei quartieri si erano rassegnati ad affidare a sì insufficienti difese.

Ma nell’ambiente del popolino colpito dal terrore, erano pochissimi coloro che attribuivano quei fatti all’azione di esseri umani. Gli Spiriti della peste, i Demoni della febbre, erano, secondo il volgo, autori di ogni sventura; e si narravano incessantemente, su quell’argomento, cose tali da agghiacciare il sangue, cosicchè tutto l’insieme degli edifici chiusi fu a poco a poco avvolto nel terrore come in un sudario, e il ladro stesso, in molti casi, sgomentato dall’orrore superstizioso prodotto dalle sue imprese, finiva col lasciare il vasto circuito del quartiere maledetto, alle tenebre, al silenzio, alla peste e alla morte.

Appunto da una delle barriere a cui si è accennato, e che indicavano l’ingresso di una zona proibita, Legs e il bravo Hugh Tarpaulin, in fuga per un vicolo, videro improvvisamente fermata la loro corsa. Non potevano pensare a retrocedere, e non c’era tempo da perdere, poichè avevano già quasi alle calcagna i loro inseguitori. Per due marinai puro-sangue, l’arrampicarsi su quell’impalcatura rozzamente costruita non era che un giuoco, e, esasperati dalla duplice esasperazione della corsa e dei liquori bevuti, essi saltarono risolutamente dall’altra parte, e poi riprendendo la loro corsa pazza, e urlando e gri[p. 13 modifica]dando, si smarrirono in breve in quelle profondità complicate e mefitiche.

Se non fossero stati tanto ubbriachi da aver perso completamente il senso morale, i loro passi vacillanti sarebbero stati paralizzati dagli orrori della loro condizione. L’aria era fredda e brumosa. Fra l’erba alta e vigorosa che saliva fino alle caviglie, i ciottoli scalzati giacevano in gran disordine. Case crollate ostruivano certe vie. I più fetidi e più deleterî miasmi regnavano dappertutto; e, grazie a quella pallida luce che anche a mezzanotte emana sempre da un’atmosfera brumosa e pestilenziale, si sarebbero potute scorgere, giacenti attraverso le vie e i vicoli, o in putrefazione entro le case prive d’imposte, molte carogne di ladri notturni, fermati dalla mano della peste nel corso delle loro delittuose imprese.

Ma nè aspetti, nè sensazioni, nè ostacoli di questo genere potevano arrestare la corsa di due uomini, i quali, fondamentalmente coraggiosi, e, specie quella notte, traboccanti di coraggio e di humming-stuff, sarebbero ruzzolati intrepidi, direttamente quanto l’avrebbe consentito loro l’ubbriachezza, fin dentro alle fauci della Morte. Avanti, sempre avanti, andava il sinistro Legs, facendo echeggiare in quel deserto solenne grida simili al terribile urlo di guerra degl’Indiani. E con lui sempre, sempre correva il tarchiato Tarpaulin, aggrappato al farsetto del compagno più [p. 14 modifica]agile, e superando i maggiori sforzi di costui nella musica vocale, con muggiti da basso, tratti dalle profondità de’ suoi polmoni stentorei.

Certo, erano giunti alla fortezza della peste. Ad ogni loro passo o ad ogni loro capitombolo, la strada che percorrevano diveniva sempre più orribile e più immonda, con passaggi sempre più stretti e più intricati. Grosse pietre e travi che cadevano qua e là dai tetti in rovina dimostravano, con le loro cadute pesanti e tremende, quanto fossero prodigiosamente alte le case circostanti. E, quando essi dovevano fare uno sforzo energico per aprirsi un varco attraverso i frequenti mucchi di macerie, avveniva spesso che le loro mani si posassero su di uno scheletro, o affondassero in carni decomposte.

Ad un tratto, i due marinai incespicarono contro la soglia di un vasto edificio di aspetto sinistro; un grido più acuto d’ogni altro grido proruppe dalla gola dell’esasperato Legs, e dall’interno rispose un’esplosione rapida di successivi urli selvaggi, demoniaci, che quasi parevano scoppî di risa. Senza spaventarsi per quelle voci che per la loro natura, in quel luogo, in un simile momento, avrebbero agghiacciato il sangue entro petti meno incendiati, i nostri due ubbriachi si scagliarono a testa bassa contro la porta, la sfondarono, e piombarono nell’interno, eruttando un uragano d’imprecazioni.

La sala nella quale si videro, altro non era che [p. 15 modifica]il magazzino d’un impresario di pompe funebri; ma una botola aperta in un angolo del pavimento, presso la porta, dava accesso ad una serie di cantine, le cui profondità, come fu proclamato da un rumore di bottiglie infrante, erano ben munite del loro contenuto tradizionale. In mezzo alla sala, una tavola apparecchiata; in mezzo alla tavola, un gigantesco vaso, pieno, a quanto sembrava, di punch. Bottiglie di vini e di liquori, insieme con vasi, boccali e fiale d’ogni forma e d’ogni specie, erano sparse a profusione sulla tavola. Tutt’intorno, su dei catafalchi, sedevano sei persone. Tenterò di descriverle ad una ad una.

Di fronte alla porta d’ingresso, e un po’ più in alto dei suoi compagni, stava seduto un personaggio che pareva il presidente della festa. Era un essere scarno, di alta statura, e Legs fu stupito di vedere un uomo più magro di quanto egli era magro. Il volto di quell’essere era giallo come lo zafferano; ma i suoi lineamenti, eccettuato uno solo, non avevano nulla che li rendesse degni di una descrizione particolare. L’anormalità unica consisteva in una fronte sì straordinariamente ed orribilmente alta da sembrare una corona di carne sovrapposta alla testa naturale. La bocca smorfieggiante era contratta da un’espressione di affabilità spettrale, e gli occhi, come gli occhi di tutti coloro che erano seduti a quella tavola, brillavano della singolare lucen[p. 16 modifica]tezza prodotta dai fumi delle bevande che ubbriacano. Quel gentleman era coperto da capo a piedi da un mantello di velluto di seta nero, sontuosamente ricamato, che ondeggiava negligentemente intorno al suo corpo, a guisa di una cappa spagnola. La sua testa era abbondantemente irta di pennacchi da carri funebri, ch’egli faceva dondolare con grande affettazione, e, nella mano destra, egli teneva un gran femore umano, col quale aveva colpito allora, a quanto sembrava, uno dei membri della compagnia, per imporgli di cantare una canzone.

Dirimpetto a lui, e con le spalle rivolte alla porta, c’era una dama, la cui fisonomia era altrettanto straordinaria. Quantunque non fosse meno alta del personaggio or ora descritto, costei non aveva alcun diritto di lagnarsi d’una magrezza anormale. Era, evidentemente, nel periodo estremo dell’idropisia, e il suo aspetto generale era molto simile a quello dell’enorme botte di birra d’ottobre che si ergeva, sfondata in alto, in un angolo della sala. La sua faccia era singolarmente rotonda, rossa e piena; e la stessa particolarità, o piuttosto assenza di particolarità che ho già notata per il presidente, caratterizzava la sua fisonomia; e cioè una sola parte di quella faccia meritava uno sguardo speciale. D’altronde il perspicace Tarpaulin vide subito che la stessa osservazione poteva essere ispirața da tutti quei personaggi, ognuno dei quali [p. 17 modifica]sembrava si fosse accaparrato, per sè solo, un pezzo di fisonomia. Nella dama in questione, questo pezzo era la bocca: una bocca che cominciava dall’orecchia destra e correva fino alla sinistra, disegnando un terrifico abisso nel quale i cortissimi orecchini pendenti scomparivano ad ogni istante. La dama, per altro, faceva ogni sforzo per tener chiusa quella bocca e per darsi un’aria dignitosa. Il suo abbigliamento consisteva in un sudario recentemente inamidato e stirato, che le saliva fin sotto al mento con un collarino pieghettato di mussolina di batista.

Alla sua destra, stava seduta una giovane signora minuscola, che sembrava sotto la sua protezione. Quella delicata creaturina lasciava scorgere nel tremito delle sue dita affilate, nella lividezza delle sue labbra e nelle lievi macchie rosse spiccanti sul suo colorito plumbeo, i sintomi evidenti di una tisi galoppante. Tutta la sua persona, però, aveva un aspetto assai nobile. Ella indossava con grazia e con grande disinvoltura un ampio e bellissimo sudario di lino indiano d’impareggiabile finezza; i capelli le scendevano sul collo in lunghi riccioli; un sorriso dolce le sfiorava la bocca; ma il naso, estremamente lungo, sottile, sinuoso, pendeva molto più in giù del labbro inferiore; e quella proboscide, nonostante la mossa delicata con cui ella la spostava di tanto in tanto, muovendola a destra o [p. 18 modifica]a sinistra mediante la lingua, dava alla sua fisonomia una espressione un tantino equivoca.

Dall’altra parte, a sinistra della dama idropica, era seduto un vecchio omiciattolo gonfio, asmatico e gottoso. Le guance gli si posavano sulle spalle come due enormi otri di vino d’Oporto. Con le braccia conserte e con una gamba tutta fasciata, che teneva stesa sulla tavola, egli sembrava ritenersi degno di una certa considerazione. Traeva evidentemente orgoglio da ciascun pollice del suo involucro personale, ma provava un piacere più speciale ad attirare gli sguardi sul suo soprabito sgargiante. Veramente, quel soprabito aveva dovuto costargli molto, ed era tale da adattarglisi perfettamente. Era fatto di uno di quei drappeggi di seta, curiosamente ricamati, pendenti intorno ai sontuosi stemmi che vengono messi, in Inghilterra e altrove, in un punto ben visibile, sulle case delle grandi famiglie assenti.

Accanto a lui, alla destra del presidente, c’era un signore con grandi calze bianche e con mutande di cotone. Tutto il suo corpo era scosso in modo ridicolo da un tic nervoso che Tarpaulin chiamava le angosce dell’ubbriachezza. Le sue mascelle, rase da poco, erano strettamente chiuse in una fasciatura di mussola, e poichè le sue braccia erano ugualmente fasciate fino ai polsi, egli non poteva servirsi liberamente i liquori che erano sulla tavola. Doveva trattarsi d’una pre[p. 19 modifica]cauzione resa necessaria, secondo l’opinione di Legs, dal carattere singolarmente stupido della fisonomia da poppatoio che distingueva quell’individuo. Ma un paio d’orecchie prodigiose, che certo non si potevano fasciare, sorgevano nello spazio ai due lati della testa di quell’uomo, ed erano, a quando a quando, come trafitte da uno spasimo, al rumore d’ogni turacciolo che si facesse saltare.

Sesto ed ultimo, di fronte a costui, si vedeva un personaggio dall’aria singolarmente rigida, che, essendo affetto da paralisi, doveva sentirsi veramente molto a disagio nel suo abito estremamente incomodo. Indossava infatti un abbigliamento forse unico nel suo genere, che consisteva in un bel feretro di mogano, nuovissimo. La parte superiore del coperchio formava sul capo dell’individuo una specie di elmo o di cappuccio, e dava a tutta la faccia un aspetto indescrivibilmente interessante. Dei fori erano stati praticati ai due lati della cassa, tanto per comodità delle braccia che per eleganza; ma quell’abito, tuttavia, impediva al disgraziato che l’indossava di stare verticalmente su una sedia, come i suoi compagni; e siccome egli era appoggiato ad un cavalletto ed inclinato secondo un angolo di quarantacinque gradi, i suoi grossissimi occhi a fior di testa roteavano e dardeggiavano verso il soffitto i due terribili globi biancastri, come in un assoluto stupore della loro enormità. [p. 20 modifica]

Davanti ad ogni convitato, c’era una metà di cranio, di cui ognuno si serviva come di una coppa. Sopra le loro teste pendeva uno scheletro umano tenuto da una corda annodata ad una gamba e legata ad un anello fissato nel soffitto. L’altra gamba, che era libera, si staccava dallo scheletro ad angolo retto e faceva ballare e piroettare tutta la carcassa vuota e fremente, ogni volta che un soffio di vento s’insinuava nella sala. Il cranio di quell’orrenda cosa conteneva una certa quantità di carbone acceso, che proiettava su tutta la scena una luce vacillante ma viva; e le bare, e tutto il materiale d’un impresario di funerali, ammucchiati fino ad una grande altezza lungo i muri, e contro le finestre, impedivano al benchè minimo raggio di quella luce di trapelare nella via.

Alla vista di quella straordinaria assemblea e del suo equipaggiamento, ancor più straordinario, i nostri due marinai non ebbero quel contegno decoroso che si sarebbe avuto il diritto d’aspettare da loro. Legs, appoggiandosi al muro presso il quale si trovava, lasciò cascare la sua mascella inferiore ancor più in giù del solito, e spalancò i suoi vasti occhi in tutta la loro estensione, mentre Hugh Tarpaulin, chinandosi tanto da porre il naso a livello della tavola, e mettendosi le mani sulle ginocchia, proruppe in una risata smodata e intempestiva, che fu come un lungo, fragoroso, assordante ruggito. [p. 21 modifica]

Ma, senza mostrarsi offeso da una condotta sì straordinariamente villana, il gran presidente sorrise con molta grazia ai nostri intrusi, fece loro col capo impennacchiato di nero un cenno dignitosissimo, e, alzatosi, prese ciascuno dei due per un braccio e li condusse verso due seggi preparati per loro dagli altri personaggi. Legs non oppose resistenza alcuna e si sedette dove fu condotto, mentre invece il galante Hugh, preso il cavalletto che gli era stato assegnato a capotavola, lo portò accanto alla donnina tisica dal bel sudario, si lasciò cadere a sedere vicino a lei, con grande allegria, e, versandosi un cranio di vino rosso, brindò, augurandosi una più intima conoscenza. Ma a tale presunzione il rigido gentiluomo dal feretro parve singolarmente esasperato; e la cosa avrebbe potuto dar luogo a gravi conseguenze, se il presidente, battendo sulla tavola col suo scettro, non avesse attirata l’attenzione di tutti i presenti sul seguente discorso:

— La lieta occasione che ci si presenta c’impone il dovere di...

— Fermati! — interruppe Legs con grande serietà; — fermati un momento, ti dico, e spiegaci chi diavolo siete, tutti voialtri, e che cosa fate qui, equipaggiati come tanti demoniacci e intenti a tracannare il buon torcibudella del nostro onesto Will Wimble il beccamorti, divorando tutte le sue provviste accumulate nella stiva, per l’inverno! [p. 22 modifica]

A quell’imperdonabile saggio di pessima educazione, tutta la strana compagnia s’alzò a metà ed emise rapidamente una quantità di grida diaboliche, simili a quelle che dapprima avevano attirata l’attenzione dei due marinai. Il presidente fu il primo a calmarsi, e, rivolgendosi a Legs con grande dignità, riprese:

— Soddisferemo con perfetto buon volere ogni curiosità di ospiti illustri quali voi siete, quantunque non siate stati invitati. Sappiate dunque ch’io sono il monarca di questo impero, e che regno qui, unico signore, col nome di Re Peste Primo.

«Questa sala che voi molto ingiustamente supponete sia il magazzino di Will Wimble, l’impresario di pompe funebri, — uomo che non conosciamo, e il cui nome plebeo non aveva mai, prima di questa notte, scorticate le nostre reali orecchie, — questa sala, dico, è la sala del trono della nostra reggia, consacrata ai Consigli del regno e ad altre riunioni di un ordine sacro e superiore.

«La nobile dama seduta di fronte a noi è la regina Peste, nostra serenissima sposa. Gli altri personaggi illustri che vedete qui sono tutti della nostra famiglia, e portano l’impronta dell’origine legale nei loro nomi rispettivi: Sua Grazia l’arciduca Pest-Ifero, — Sua Grazia il duca Pest-Ilenziale, — Sua Grazia il duca Tem-Pestoso, — [p. 23 modifica]e Sua Altezza serenissima l’arciduchessa Ana-Peste.

«Quanto alla vostra domanda — soggiunse — relativamente agli affari che trattiamo qui, in consiglio, ci sarebbe facile rispondere che essi si riferiscono a nostri interessi regali e privati, e che, non riferendosi ad altro, non hanno importanza per altri che per noi. Ma, considerando i riguardi che potreste rivendicare nella vostra qualità di ospiti e di stranieri, ci degneremo anche di spiegarvi che noi siamo qui, questa notte (dopo profonde ricerche ed accurate investigazioni) per esaminare, analizzare e determinare perentoriamente lo spirito indefinibile, le incomprensibili qualità e la natura di questi inestimabili tesori della bocca, vini, birra e liquori della eccellente metropoli in cui ci troviamo, e per contribuire in tal modo ad accrescere l’autentica prosperità di quel sovrano che non è di questo mondo, che regna su tutti noi, i cui dominî non hanno limiti, e che si chiama La Morte!

— E che si chiama Davy Jones! — esclamò Tarpaulin, porgendo alla dama che aveva accanto un cranio pieno di liquore fino all’orlo, ed empiendone un altro per sè.

— Profano briccone! ― disse il presidente, rivolgendo allora la sua attenzione verso il bravo Hugh; — profano ed esecrabile furfante! — Dicevamo che in considerazione di quei diritti che non ci sentiamo affatto disposti a violare, nem[p. 24 modifica]meno nella tua sozza persona, acconsentiamo a rispondere alle vostre villane e intempestive domande. Nondimeno giudichiamo che, vista la vostra profana intrusione nei nostri Consigli, sia nostro dovere condannare te ed il tuo compagno a bere in un solo sorso e in ginocchio alla prosperità del nostro regno, un gallone di Black-strap per ciascuno. Dopo di che, sarete immediatamente liberi, tutti e due, di proseguire per la vostra strada o di rimanere a partecipare ai privilegi della nostra tavola, secondo i vostri gusti personali e rispettivi.

― Sarebbe cosa assolutamente impossibile — replicò Legs, a cui l’alterigia e la solennità del re Peste I avevano evidentemente ispirato qualche sentimento di rispetto, e che si era alzato ed appoggiato alla tavola durante il discorso del monarca; — sarebbe cosa assolutamente impossibile, dicevo col beneplacito della Maestà Vostra, fare entrare nella mia stiva anche soltanto la quarta parte della quantità di liquore di cui Vostra Maestà ha parlato poc’anzi. Senza neppure accennare a tutte le mercanzie che abbiamo caricate a bordo nella mattinata, come zavorra, e senza menzionare le diverse birre e i diversi liquori che abbiamo imbarcato stasera in parecchi porti, io ho, per ora, un considerevole carico di humming-stuff, preso, e debitamente pagato, all’insegna dell’Allegro Lupo di mare. Vostra Maestà vorrà dunque usarci la bontà di accon[p. 25 modifica]tentarsi della nostra buona volontà; poichè per conto mio non posso nè voglio in alcun modo ingollare neppure una goccia di più, e tanto meno una goccia di quella brutta acqua di stiva che risponde al saluto di black-strap.

— Ormeggia questa! — interruppe Tarpaulin, non meno stupito per la lunghezza del discorso del suo compagno, che pel genere del rifiuto ch’esso conteneva. — Ormeggia questa, marinaio d’acqua dolce! Ohè! Legs! vuoi finirla, di ciarlare? Il mio scafo è ancora leggero, mentre tu, lo ammetto, mi sembri veramente un po’ troppo carico in alto. Quanto alla tua parte di mercanzia, piuttosto che lasciar venire una burrasca, le troverò un posticino nella mia stiva... Ma...

— Questo accomodamento — interruppe il presidente — è in assoluto disaccordo coi termini della sentenza, o condanna che dir si voglia, la quale per sua natura è immutabile e inappellabile. Le condizioni che abbiamo imposte dovranno essere eseguite alla lettera, e ciò senza nemmeno un minuto di esitazione; se no, decretiamo che sarete legati insieme pel collo e pei piedi e debitamente annegati, come ribelli, dentro la botte qui presente di birra d’ottobre!

— Ecco una bella sentenza! — Che sentenza! — Giusta, giudiziosa sentenza! — Che glorioso decreto! — Che degnissima, irreprensibile, [p. 26 modifica]santissima condanna! — gridarono tutti insieme i membri della famiglia Peste.

Il re fece agire la sua fronte in innumerevoli grinze; il vecchio omiciattolo gottoso sbuffò come un soffietto; la dama dal sudario di lino fece oscillare il proprio naso a destra e a sinistra; il gentiluomo in mutande agitò convulsivamente le orecchie; la dama idropica spalancò la bocca come un pesce in agonia; e l’uomo dalla bara di mogano sembrò ancora più rigido e strabuzzò gli occhi verso il soffitto.

— Uh! Uh! ― fece Tarpaulin, sbellicandosi dal ridere, senza curarsi dell’agitazione generale. — Uh! Uh! Uh! — Uh! Uh! Uh! — lo dicevo, quando il signor re m’ha interrotto, che la questione dei due o tre galloni di black-strap in più o in meno, era cosa da nulla per una solida barca come me, non ancora eccessivamente carica; — ma, dato che si tratta di bere alla salute del Diavolo (che Dio possa assolverlo!) e d’inginocchiarmi davanti alla brutta Maestà qui presente, la quale, lo so, non è altri che Tim Hurlygurly, il pagliaccio! — oh! in questo caso la faccenda cambia aspetto e supera assolutamente i miei mezzi e il mio comprendonio!...

Non gli fu permesso di finire tranquillamente il suo discorso. Al nome di Tim Hurlygurly, tutti i convitati balzarono sui loro scanni.

— Tradimento! — urlò Sua Maestà il re Peste. [p. 27 modifica]

— Tradimento! — disse l’omiciattolo gottoso.

— Tradimento! — guaì l’arciduchessa Ana-Peste.

― Tradimento! — borbottò il gentiluomo dalle mascelle fasciate.

— Tradimento! — grugnì l’uomo dal feretro.

— Tradimento! Tradimento! — sbraitò Sua Maestà la donna dalla boccaccia enorme.

E, afferrato per la parte posteriore dei calzoni il povero Tarpaulin, che cominciava proprio allora a riempire di liquore, per sè, uno dei cranii che erano sulla tavola, lo sollevò lestamente in aria e lo fece cadere, senza riguardi, nella grande botte scoperchiata piena della birra ch’egli preferiva. Sballottato qua e là per alcuni secondi, come una mela in un vaso di toddy, egli scomparve infine in un vortice di schiuma che i suoi sforzi avevano naturalmente sollevato in quel liquido già molto schiumoso per natura.

Ma il marinaio gigantesco non vide con rassegnazione lo scorno del suo compagno. Dopo aver precipitato il re Peste nella cantina aperta, il valoroso Legs chiuse violentemente la botola su di lui, pronunciando una bestemmia, e corse verso il centro della sala. Ivi, strappato giù lo scheletro sospeso sopra la tavola, lo tirò a sè con tanta energia e tanta buona volontà, che riuscì, mentre gli ultimi bagliori si estinguevano nella sala, a spaccar la testa all’omiciattolo gottoso. [p. 28 modifica]

Allora, precipitandosi con tutta la forza di cui era capace sulla botte piena di birra d’ottobre e di Hugh Tarpaulin, la rovesciò in un attimo, e la fece rotolare. Ne eruppe un diluvio di birra tanto furioso, tanto impetuoso, tanto invadente, che la sala fu inondata da un muro all’altro — la tavola si ribaltò con tutto ciò che v’era sopra — i cavalletti furono scaraventati a gambe all’aria — il gran vaso di punch andò a finire nel camino — e le dame furono prese da crisi di nervi. Mucchi di oggetti funebri si sfasciavano e galleggiavano qua e là. I vasi, i boccali, le grosse bottiglie vestite di giunchi, cozzavano fra loro in un terribile parapiglia, e i fiaschi cozzavano, contro le borracce corazzate di corda. L’uomo dalle angosce rimase annegato al suo posto — il piccolo gentiluomo paralitico navigava al largo nella sua bara — e il vittorioso Legs, afferrata pei fianchi la dama idropica, si precipitò con lei nella via e puntò la prua direttamente verso il Free and Easy, prendendo bene il vento e rimorchiando il formidabile Tarpaulin, che, dopo aver starnutato tre o quattro volte, ansava e soffiava dietro di lui, traendo seco l’arciduchessa Ana-Peste.

Note

  1. Non si fa credito!