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Davanti ad ogni convitato, c’era una metà di cranio, di cui ognuno si serviva come di una coppa. Sopra le loro teste pendeva uno scheletro umano tenuto da una corda annodata ad una gamba e legata ad un anello fissato nel soffitto. L’altra gamba, che era libera, si staccava dallo scheletro ad angolo retto e faceva ballare e piroettare tutta la carcassa vuota e fremente, ogni volta che un soffio di vento s’insinuava nella sala. Il cranio di quell’orrenda cosa conteneva una certa quantità di carbone acceso, che proiettava su tutta la scena una luce vacillante ma viva; e le bare, e tutto il materiale d’un impresario di funerali, ammucchiati fino ad una grande altezza lungo i muri, e contro le finestre, impedivano al benchè minimo raggio di quella luce di trapelare nella via.

Alla vista di quella straordinaria assemblea e del suo equipaggiamento, ancor più straordinario, i nostri due marinai non ebbero quel contegno decoroso che si sarebbe avuto il diritto d’aspettare da loro. Legs, appoggiandosi al muro presso il quale si trovava, lasciò cascare la sua mascella inferiore ancor più in giù del solito, e spalancò i suoi vasti occhi in tutta la loro estensione, mentre Hugh Tarpaulin, chinandosi tanto da porre il naso a livello della tavola, e mettendosi le mani sulle ginocchia, proruppe in una risata smodata e intempestiva, che fu come un lungo, fragoroso, assordante ruggito.