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sembrava si fosse accaparrato, per sè solo, un pezzo di fisonomia. Nella dama in questione, questo pezzo era la bocca: una bocca che cominciava dall’orecchia destra e correva fino alla sinistra, disegnando un terrifico abisso nel quale i cortissimi orecchini pendenti scomparivano ad ogni istante. La dama, per altro, faceva ogni sforzo per tener chiusa quella bocca e per darsi un’aria dignitosa. Il suo abbigliamento consisteva in un sudario recentemente inamidato e stirato, che le saliva fin sotto al mento con un collarino pieghettato di mussolina di batista.
Alla sua destra, stava seduta una giovane signora minuscola, che sembrava sotto la sua protezione. Quella delicata creaturina lasciava scorgere nel tremito delle sue dita affilate, nella lividezza delle sue labbra e nelle lievi macchie rosse spiccanti sul suo colorito plumbeo, i sintomi evidenti di una tisi galoppante. Tutta la sua persona, però, aveva un aspetto assai nobile. Ella indossava con grazia e con grande disinvoltura un ampio e bellissimo sudario di lino indiano d’impareggiabile finezza; i capelli le scendevano sul collo in lunghi riccioli; un sorriso dolce le sfiorava la bocca; ma il naso, estremamente lungo, sottile, sinuoso, pendeva molto più in giù del labbro inferiore; e quella proboscide, nonostante la mossa delicata con cui ella la spostava di tanto in tanto, muovendola a destra o