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verso la scalinata di Sant’Andrea, inseguiti con ardore dall’ostessa dell’Allegro Lupo di mare.

Molti anni prima dell’epoca in cui si svolge questa drammatica storia, e molti anni dopo, tutta l’Inghilterra e, più particolarmente, la metropoli, echeggiavano periodicamente del sinistro grido: «La peste!». La città, allora, era in gran parte spopolata, e negli orrendi quartieri vicini al Tamigi, nelle viuzze e negli angiporti oscuri, angusti ed immondi, che il demone della peste aveva scelti (così si supponeva) come suoi luoghi di nascita, s’incontravano soltanto — orgogliosi e soddisfatti — lo Spavento, il Terrore e la Superstizione.

Per ordine del re, quei quartieri erano chiusi, ed era proibito a tutti, con minaccia della pena di morte, di penetrare nelle loro orribili solitudini. Tuttavia, nè il decreto del monarca, nè le enormi barriere erette agli sbocchi delle vie, nè la prospettiva della morte atroce che quasi sicuramente inghiottiva ogni miserabile da nessun pericolo distolto dal tentar l’avventura, impedivano che le case disabitate e rimaste prive di mobili venissero spogliate in rapine notturne, del ferro, del rame, del piombo, di qualunque cosa, insomma, potesse esservi di smerciabile.

Si constatava specialmente, ad ogni inverno, quando si aprivano le barriere, che le serrature, i chiavistelli e i sotterranei segreti avevano solo mediocremente protette le grandi riserve di vini