I tre libri dell'arte amatoria ed il libro de' rimedj d'amore/Dell'arte amatoria/Libro I

Dell'arte amatoria - Libro I

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Dell'arte amatoria Dell'arte amatoria - Libro II

[p. 3 modifica]DELL’ARTE AMATORIA

Di

P. OVIDIO NASONE

SULMONESE


LIBRO I.

0

Chi peregrin nell* amorosa scuola Entra, me legga, se vuol esser dotto. Non usansi senz’arte e vele e remi;

Non senz’arte guidar si puote il cocchio; Non senz’arte si può reggere Amore.

Ben sapeva condurre Automedonte (i) ’

Co’ focosi, destrieri il carro, e Tifi? òedea maestro suir emonia poppa.

Ne’ misterj d’Amot me fece esperto V enere bella, e ben dirmi poss* io ” D’Amore un altro Tifi e Automedonte. Ch’ei sia crudel, noi niego, e spesse volte Contro me stesso si rivolta; pure.Egli è fanciullo, e V immatura etade Atta si rende al fren.* Docile e mite * Rese Chiron T impetuoso^ Achille (a) * ■

(i) Automedonte, figlio di Dioreo,fu il Cocchiero d’Achille, Tifi condusse gli Argonauti in Coleo sulla nave Argo, che qui dicesi emonia, perchè era su, quella Giasone figlio del Re di Tessaglia, e perchè la Tessaglia si chiamava Emonia dal monte Emo.

(a) Chirone figliuol di Fillira fu il Precettore d’A~

chillej il qual vien chiamato JSacides fia Eaco suo Avo, [p. 4 modifica]

Col dolce suon della canora cetra;
Ed ei, che fu il terrore e lo spavento
De' suoi compagni spesso, e de’ nemici.
Dicesi che temesse il. vecchio annoso;
E quelle mani, che dovean un giorno
Gettare a terra il forte Ettor, porgea, 1
Quando Chirone le chiedea, alla sferza.
Ei fu d’Achille, io son d’Amor maestro;
L’un e l' altro è fanciul feroce, e tragge
L’un e l’altro da Diva i suoi natali. 2
Come l ’ aratro il toro, e come il freno
Doma il caval focoso; io così Amore
Render placido voglio ancor che il petto
Con l’arco mi ferisca, e con la face
Tutte m’abbruci le midolle e l' ossa.
Quanto più Amore hammi ferito ed arso,
Tanto più voglio vendicarmi. Apollo,
Non io, che mentirei, dirò che appresi
Da te quest’arte, o che fui reso dotto
Dal canto degli augelli. A me non Clio,
Nè le Sorelle sue, come al Pastore
Della valle d’Ascrea, comparver mai; 3
Me un lung’uso fe'istrutto; e fè prestate
All' esperto Poeta. Io cose vere
Canto: Madre d' Amor, siimi propizia.
Gite lungi, o Vestali, e voi Matrone,
Che i piè celate sotto lunga veste.

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Come seguir senza periglio Amore
Si possa, ed i concessi furti io canto;
Nullo i miei carini chiuderan delitto.
Tu, che novel nell’amorosa schiera
Entri soldato, le tue cure volgi
Prima a trovar de’ voti tuoi l' oggetto,
Indi a farlo per te amoroso, e infine
Onde lunga stagion l’amor si serbi.
E questo il modo, è questo il campo, in cui
Scorrere il nostro cocchio debbe; è questa
Del corso nostro la prescritta meta.
Or che il tempo è propizio, or che si puote
Andare a briglia sciolta, una ne scegli.
Cui dir tu possa: a me tu sola piaci.
Questa dal Ciel non già pensar che scenda.
Ma qui trovar la dei con gli occhi tuoi.
Onde tender le reti al cervo debba.
Sa bene il cacciator, e non ignora
La valle, ove il cignal s’asconde: i rami
L’uccellator conosce, onde si gettano
Gl’incauti augelli, e al pescator son note
L’acque, che maggior copia hanno di pesci.
Tu, che d’un lungo amor cerchi materia.
Impara i luoghi, ove frequenti veggonsi
Le vezzose donzelle. Io non ti dico,
Che dar le vele ti fia duopo al vento,
Nè correr lunga e faticosa strada.
Perseo dall’Indie ne condusse Andromeda,
E Paride rapì di Grecia Eléna.
Ma in Roma, in Roma ritrovar potrai
Fanciulle, che in beltà portino il vanto
Più che del Mondo in altra parte. Come 4

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La gargara contrada abbonda in biade,
In uve la metinnia, in pesci il mare,
In augei il bosco, e come nell’ Olimpo
Splendono stelle ; così in Roma ammiransi
Amabili Fanciulle : qui sua sede
Pose del grand’ Enea la bella Madre.
Se a nascente beltà ti porta il genio,
Tenera donzelletta eccoti innante;
Se già formata giovine desideri,
Mille ti piaceranno , e fian costretti
A rimaner sospesi i voti tuoi:
Che se a te figlia più matura e saggia
Piaccia, ne avrai, mel credi, un folto stuolo.
De’ portici pompeiti all’ ombra i lenti 5
Passi rivolgi, allor che Febo i campi
Dall’ erculeo Leon saetta ed.arde,
O a quel che adorno de’ più scelti marmi
Da lontani paesi a noi venuti,
La Madre aggiunsein dono a’don del Figlio.6
Nè quello lascerai, che tragge il nome
Da Livia, ornato delle pinte tele 7
De’ Pittori più celebri ed antichi;

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Visiterai pur anco i luoghi, dove 8
In atto di far strage de’ Consorti
Effigiate son 1' empie Oanaidi;
E il lor Padre crudel, che nudo tiene
L’acciajo micidial nell’empia destra;
Nè il Tempio oblia, u' Venere la morte
Plora del caro Adon, nè il giorno Sabbato
Sacro al culto giudeo. Sarà tua cura
A’ menfitici templi esser presente 9
Della liniger’Iside; seconda
I voti questa Dea delle fanciulle.
Che desian donne diventar, com’ essa.
Lo fu di Giove. Fra i clamori alterni
Del Foro strepitoso ( e chi mai fede
Prestar ci puote? ) Amor talvolta trova
Atto alle fiamme sue pascolo ed esca.
In quella parte ove s’innalza al cielo 10
L’onda d’Appio, che giace appiè del Tempio
Di ricchi marmi adorno, a Vener sacro,
Prigioniero d’Amore è l’Avvocato,

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Che attento alla difesa altrui, se stesso
Guardar non sa. Oh quante volte, oh quante
In quel loco gli manca la favella,
E dell' amor che l' agita ripieno.
Non della causa altrui, ma della propria
S’occupa solo! Dal propinquo Tempio
Ride la Dea di Pafo, e il difensore
Trasformato veder gode in cliente.
Ma più che altrove ne’ curvi Teatri
Troverai da far paghi i voti tuoi:
Ivi mille bellezze lusinghiere
Si offriranno al tuo sguardo, e tal potrai
Per stabile passion scegliere, e tale
Onde l' ore passare in gioco e in festa.
Come frequente la formica in schiera
Vanne al granajo a far preda di cibo;
E come Papi in olezzante suolo
Volan sul timo e sopra i fior; le culte
Donne in tal modo in folto stuolo assistono
Agli scenici ludi. È così grande
11 numero di queste, che sospeso
Mille volte rimase il mio giudizio.
Non a’ Teatri per mirar, soltanto,
Come per far di lor superba mostra
Vanno non senza del pudor periglio.
Tu questi giochi strepitosi il primo,
Romolo, instituisti; allor che il ratto 11

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Seguì delle Sabine. Ancor non marmi,
E non tappeti ornavano i Teatri,
Nè il palco vago era per piote tele;
Ivi semplicemente allor fur posti
I virgulti e le foglie, che recava
II bosco palatino, e non si vide
Decorata la scena allor con 1' arte.
Sopra i sedili di cespugli infesti
Assistea il popol folto, che all’irsuta
Chioma di fronde sol cingea corona.
Col cupid’occhio ognuno intanto nota
Quella, che far desia sua preda, e molti
Pensieri nel suo cor tacito volge.
Mentre d’agreste flauto il suono muove
Grottesca danza, ed il confuso plauso
Ferisce il ciel, ecco che il Re dà segno
Onde alla preda sua ciascun si volga.
Rapido il proprio loco ognuno lascia,
Fanne co’ gridi il suo desio’ palese,
E le cupide mani addosso slancia
Sulle Vergin d’insidie ignare, come
Fugge la timidissima Colomba
Dall’Aquila, e de’ Lupi il fiero aspetto
Agna novella; di spavento piene
Volean così le misere Sabine
De’ rapitori lor’schivar gli amplessi;
Ma da ogni parte senza legge inondano;
Niuna serba il color, che aveva innante;

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Tutte assale il timore, e in varj modi:
Questa il petto percote, il crin si straccia;
Quella riman priva di sensi; alcuna
Non per il duol fa proferir parola;
Altra la cara madre appella invano;
Chi quale statua immobile rimane;
Chi fugge, e chi di grida il cielo assorda.
Ma le rapite Giovani condotte
Son via, qual preda geniale e cara.
Di pudico rossor tinsero molte
Le delicate guance, e vie più piacquero.
Se troppa ripugnanza alcuna mostra,
E seguir nega il suo compagno, questi
La porta fra le sue cupide braccia,
E si le dice: a che d’amaro pianto
Da begli occhj tu versi un fiume? teco
Sarò come alla Madre è il Genitore.
Romolo, tu il primiero a’ tuoi soldati
Vera recar felicità sapesti;
Se tal sorte goder potessi anch’io,
Io pur non sdegnerei d’esser soldato.
Però da quell’esempio anco a’ dì nostri
Trovan le Belle ne’ Teatri insidie.
D’esser presente ognor cerca e procura
Alle corse de’ rapidi destrieri.
Di gran popol capace il Circo augusto
Molti a te recherà comodi; d’uopo
Onde spiegare i tuoi pensieri arcani
Non avrai delle dita, nè co’ cenni
Intendere dovrai. Franco t’assidi,
Che niuno il vieta, alla tua donna accanto.
Quanto più puoi t’accosta al di lei fianco,
E procura che il loco anzi ti sforzi
A toccarla, quand’ella ancor non voglia.

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Onde seco parlar cerca materia,
E da’ discorsi pubblici incomincia.
Quando i cavalli appariranno, tosto
Di chi sieno richiedi, e quello, a cui
Dirige i voti suoi, tu favorisci;
Ma con frequente pompa allor che giungono
Le statue degli Dei, fa plauso a Venere 12
Quale a tua Diva tutelar. Se mai
Della tua bella sulla veste, cada
Polve, la scoti con la mano, e fingi
Scoterla quando pur netta si serbi;
E sollecito ognor prendi motivo
Da leggiere cagion d’esserle grato.
Se la sua veste strascinasse, pronto
Sii tosto a torla dall' immonda terra:
Per così tenui cure avrai in mercede,
Ch'ella poi soffrirà, che le sue gambe
Tu possa riguardar. Sia tuo pensiero,
Che quei, che sono assisi al vostro tergo,
Appoggiando i ginocchi al di lei dosso,
Non le rechin molestia. I lievi ufficj
L’alme facili adescano: fu a molti
Util l’aver con destra man composto
Il cuscino, agitar con piccol foglio
Il volubile vento, e saper porre
Sotto tenero piè concavo scanno.
Farà la strada al nuovo amore il Circo,

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E la sparsa nel foro, infausta arena.
Ivi pugnò spesso il Fanciul di Venere,
E chi andò per mirar altri piagato,
Ferito pur rimase. Ah quante volte
Mentre un la lingua a ragionar discioglie,
Tocca la mano, tiene il libro, e cerca.
Il vincitore del proposto premio,
IL volatile strai senti nel seno,
Gemè piagato, e accrebbe pregio al gioco!
Ah fu bello il mirar quando con pompa
Solenne Cesare introditsse il primo 13
Non avvezze a pugnar in finta guerra
E le persiche navi e le cecropie!
Da questo e da quel mar vennero allora
Giovani vaghi, amabili donzelle,
E la Città racchiuse immenso mondo.
Fra tanta turba di leggiadri oggetti
Chi non trovò da far paghi i suoi voti?
Oh quanti e quanti a forestiero laccio
Porsero il piè! Ma Cesar s’apparecchia14

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Già il resto a soggiogar del Mondo intero,
E già l’ultimo Oriente è nostro ancora.
La pena avrai dovuta, o Parto audace,
E voi godete, ombre de’ Crassi estinti,
E con voi godan le romane insegne
Di barbarica destra a ragion schive.
Ecco il vindice vostro, ognun l’acclama
Invitto Duce nelle schiere prime;
Giovin sostiene perigliose guerre.
Quasi invecchiato fra le stragi e l’armi.
Deh non vogliate, o timidi, il valore
Dagli anni loro argomentar de’Numi;
E la virtù ne’ Cesari precoce.
Degli anni suoi più assai rapido sorge
Celeste ingegno, e mal tollera l’onte
D’una pigra dimora. Era bambino 15
Ercole allor che i due serpenti oppresse.
Ed era in fasce pur degno di Giove.
O Bacco, o tu che ancor fanciullo sei,16

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Quanto fosti mai grande allor che i tuoi
Tirsi dovè temer l’India domata?
E tu prode Garzon sotto gli auspicj17
Del Padre, l’armi tratterai vincendo.
Sotto un nome sì chiaro aver tu dei
I primi erudimenti, e come il Prence18

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Or de’Giovani sei, sarai col tempo
L’ornamento miglior de’vecchj Padri.
Vendica offesi i tuoi fratelli, e i dritti19
Del Genitor sostieni: della Patria
E Padre e Difensor l’arme ti cinse;
Ed or che l’inimico i regni invola,20
Cruccioso alla vendetta egli t’invita.
Scellerati di lor saran gli strali,
Pietà e Giustizia i tuoi vessilli, e l’armi
Della causa miglior sostenitrici.

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Ora il mio Duce alle latine aggiunga L’eoe ricchezze. E voi, Cesare, e Marte, Entrambo Padri soccorrete il Figlio,

Che in difesa di Roma espon sua vita; Come giàMarte^or tu, Cesar, sei nume. (a3) Ecco l’augurio mio -; tu vincerai;

Sciorrò co’ carmi allora il voto; degoo» Tu allor fatto sarai d’alto poema.

Porrai le squadre in ordinanza, e all’armi Co’ versi miei l’esorterai: tenaci Di me nel tuo pensiero i detti imprimi.

Il petto forte de’ Romani, il tergo ( 24 )

Io canterò de’ Parti, e l’inimico Telo, che vibran dal cavallo in fuga. Mentre tu fuggi, o Parto, e cosa al vinto. Onde sia vincitor, tu lasci? Il tuo Marte recò finora infausto augurio.

Dunque quel dì verrà, Cesare, in cui Tu di natura la più amabil opra Di lucid’oro adorno andrai tirato Da quattro candidissimi cavalli?

Or mal sicuri nella fuga i Regi Partici andranno innanzi, il collo carco Di, pesante catena. Insiem confusi Giovani lieti e tenere Donzelle,

D’un’insolita gioja il cor ripieno,

Mireran lo spettacolo gradito.,

Se una di quelle a te richiegga i nomi Di que’ Re, di que’ monti, dr que* fiumi,

(a 3 ) Fu Cesare Augusto ascritto in vita fra i Dei, ed ebbe perciò onori divini.

(24) Avevano i Parti in ’ costume di guerreggiar fuggendo, ed anzi si rendevano formidabili, mentre ìibravan le lor saette, da Uff, cavalle rivolte in fuga.

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Che non cadan le vele, e cessi il vento.
Come si scioglie il gel, l’ira, indugiando,
Si dilegua così. Forse mi chiedi.
Se la servente innamorar ti giovi?
Tai cose ammesse, il rischio è manifesto.
Una rende l’amor più diligente,
L’altra più tarda e meno attenta: questa
Alla Padrona sua ti serba in dono,
Quella a se stessa. L'esito dipende
Dalla fortuna, che quantunque arrida.
Agli audaci, a te do fedel consiglio.
Che d’un’impresa tal lasci il pensiero.
Non per scoscese perigliose strade
Andrò, nè, duce me, verrà ingannato
Alcun Giovine amante. Ma se poi,
Mentre riceve e assiduamente porta
L’innamorate cifre, a te non solo
Per la sua fedeltà piaccia, com’anco
Per la beltà del corpo; allor procura
Della Padrona in pria il possesso, e ch’indi
Questa la segua: l’amoroso gaudio
Non dall’Ancella incominciar tu dei.
Se all’arte mia si crede, e i detti miei
Non portano pel mar rapaci i venti,
Questo consiglio mio nell’alma imprimi:
Non mai tentar, se non compisci l’opra.
Se a parte ella verrà del tuo delitto.
Non la temere accusatrice. Invano
Invischiato l’augel tenta la fuga,
Nè riesce già uscir dalle allentate
Reti al cinghiale. Il pesce all’amo colto
Si scota invano; tu la premi e assedia.
Nè la lasciar, se vincitor non sei.
Se a una colpa comune ella soggiace,

[p. 28 modifica]att

Non temer tradimenti; a te saranno Note della Padrona opre e parole.

Se cauto celerai l’accusatrice.

Sempre, contezza avrai della tua Amica. Folle è colui che in suo pensier si crede Che sol debban del cielo osservar gli astri Della terra il cultore ed i nocchieri.

4

Non a* campi fallaci ognor si debbe Cerere abbandonar, nè alle tranquille^” Cerulee onde del mar la curva prora.

Ah! che non sempre assicurar ti puoi Il cor di vincer delle Belle; spesso Ciò s’otterrà, se il tempo sia propizio.

Se dell’Amica il natalizio giorno (44)

(44) Era presso gli Antichi in gran venerazione il giorno natalizio: e gli Amanti celebravano con feste e con doni quello, in cui eran nate le Donne che amavano. Si dee preferir certamente questa lieta costumanza a quella che hanno adottato i Messicani e i Cinesi, i quali riguardano un tal giorno come infausto e doloroso. Alcuni di essi invece di ricevere con acclamazioni di gioja la nascita d’un figlio, gli rispondono ai suoi primi singulti, mio figlio tu sei venuto al mondo per soffrire soffri, e t’acquieta. Si fabbrican altri di buon 7 ora la tomba, e vanno ogni giorno a renderle omaggio come al termine consolatore de’ lor giorni. Non poco influisce, a dir vero, un tal uso a fomentare il barbaro costume d’uccidere i proprj figli in un popolo, il quale con gli ottimi suoi libri classici illustrati dall* immortai Confucio e con le savissime leggi, su cui ha stabilito il suo pacifico Impero y cerca di rendersi virtuoso ed illuminato.

Dra presso i Romani nel suo pieno vigore V uso delle visite e de’ doni nel principio dell ’ anno, il quale incominciava anticamente col mese ’ di Marzo, le di cui Calende eran consacrate al Dio Marte. Cele bravansi in Roma nel primo giorno d? un tal mese alcune feste dette matronali in memoria iella pace

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Scorrer sanguigno umor la flebil Allia (4 <$) Per le piaghe latine, o in quello in cui Torna la festa settima, che è sacra Al Palestin siriaco, e in cui s’astiene Ognun dalla fatica, avrai mai sempre Culto superstizioso al dì natale Della tua Bella; pur funesto giorno Sia quello, in cui tu offrir dono le debba; Ma a te lo rapirà, se tu gliel nieghi, Che a Femina mancar non puote l’arte Per carpir le ricchezze a Giovin caldo. Del Mercante il Garzon verrà discinto Alla vogliosa ed avida Padrona,

E porrà le sue merci in vaga mostra, Mentre tu giungi, e al fianco suo t’assidi. Essa ti pregherà, che tu le osservi Per additarne il prezzo e liberale Ti sarà di preghiere e ancor di baci, Perchè le compri, e giurerà contenta D’esserne per rnolt’anni, e che non puoi Comprarle cosa che le sia più accetta.

Se poi ti scusi che non hai denaro,

Ti chiederà il tuo nome, e turpe fia Per scusa addur, che tu firmar noi sai. Rinasce poi, quando le fa bisogno,

(46) A i 5. d 9 Agosto ebbero i Romani una sconfitta da* Galli sul fiume Allia non lontano da Roma y onde come infausto e di pessimo nome fu condannato un tal giorno. Crede il Poeta, che debbano i Giovani onorare il dì natalizio delle lor Belle, e vuole che intraprendano V amorose loro conquiste o in que* malinconici tempi qui figurati sotto il giorno alliense, in cui amari le Donne d’esser rallegrate, o in que’ giorni festivi simili a* sabbati giudaici, ne* quali non è alle medesime permesso d* occuparsi in alcun lavoro. [p. 31 modifica]3i

Che dell’offerte natalizie il giorno Rieda, e di pianto sa bagnare il volto Per la supposta perdita di pietra.

Che le ornava 1 * orecchio. D’altre cose L’uso ti chiedrà, che date poi Renderle nega; tu le perdi, e. invano Speri per ciò che grata ti si mostri.

No, quando avessi dieci lingue e dieci Bocche, io già non potrei dell’impudiche Donne narrare le sacrileghe arti.

Il guado tenti un ben vergato foglio;

E della mente tua la prima volta Sia nunzio; le carezze, e le parole,

Che imitino il linguaggio d’un Alante Rechi, e fervide aggiungi anco preghiere. Donò da’prieghi mosso a PriamoAchille (47) Di E ttor l’esangue spoglia; e Iddio sdegnato A voci supplichevoli si piega..

Prometti pur, che. nuocer già non ponno Mai le promesse; ognun può farsi ricco Con semplici parole. La speranza Data una volta, lungo tempo dura:

C’inganna, è. ver, ma Diva utile è a noi. Se liberal con lei. fosti di doni.

Avrà ragion d’abbandonarti; quello,

Cile già le desti, è suo, nè può timore

Di perdita nutrir. Ognor tu devi

  • «*

(47) Achille dopo aver strascinato tre volte intorno alle mura di Troja il corpo d 9 Ettore da lui ucciso all 9 assedio di quella Città, lo rese finalmente, o a dir meglio, lo vende a Priamo Padre del medesimo, che prostrato a* suoi piedi y lo pregava di. ciò caldamente.

Exani inutnque auro corpus vendebat Achille®... 1 _ - • „ - Virgili [p. 32 modifica]Finger di dar quel che non desti; spesso Fu deluso così di steril campo 11 credulo Padron. Così, perdendo A perder segue il giocator, nè lascia Per questo il gioco; e il lusinghiero dado Nelle cupide mani agita ognora.

Questa è Timpresa, e qui il valore è posto: Ascolta; senza doni il suo cor tenta La prima-volta, ancor che i doni apprezzi; Se lor liberal ti sia, saralkr ognora.

Vada dunque il tuo foglio, ma vergato Con detti lusinghieri; della Bella La mente esplori, e primo il cammin tenti. Cidippe ingannò un pomo, in cui Fincise(48) Note leggendo, fu di queste preda.

O Giovani romani, io vel consiglio.

Deh coltivate le bell’arti; solo Non utili saran; per la difesa; ’

De* paurosi Rei; ma dalla forza Del facondo parlar, vinta la mano A voi daran col Giudice severo,

Con lo scelto Senato, e il Popol folto Ancor le calte amabili Donzelle.

(48) Da Zea una delle Isole delùdi andò Aconzio in Deio per assistere a’ sacriftcj di Diana, che là si celebravano splendidamente. Ivi ei concepì urt immenso amore per Cidippe y ma non ardiva di chiederla in i$posa. Stette molto tempo dubbioso nello scegliere un mezzo per appagare la sua passione; ma in lui cessarono i dubbj quando intese che vigeva in Deio una legge, per cui restava concluso tutto ciò che si diceva nel tempio di Diana; e però gettò a* piedi della sua Bella un pomo, in cui erano scritti i. versi seguenti. Juro tibi sane per mystica sacra Dianae Me tibi venturam comitem sponsamque futuram:

Digitized by Google [p. 33 modifica]33

Ascosa V arte resti, e da princìpio 1

Non sii eloquente. Da’ vergati, foglj Vadan lungi parole aspre e ricerche., •

Chi mai, se non. di senno affatto privo.

In tuono volgerà declamatorio.•;

Alla tenera Amica il suo discorso?

Oh quante volte fu giusta cagione Di grave sdegno un foglio! 1 detti tuoi Meritin fede, e adopra usati accenti,; Ma sempre lusinghieri, onde le sembri D’udirti ragionare. Se ricusa, -,

Di ricevere.il foglio, e senz’averlo, -, Letto a te lo ’ rimandi,. la speranza ■ ’ • Però non t’abbandoni, e,il mio consiglio. Serba in memoria t II. collo al giogo piega Il Giovenco difficile col.tempo,

E a soffrir s’ammaestra il lento freno ’ Col tempo anco il Cavallo. Un ferreo anello Dal continuo uso si consuma, e il vomere Dal continuo rivolgere la terra

Che del sasso è più. duro? e che più molle Avvi dell’onda? eppure il duro sasso Dall’onda molle vien scavato. Ancora,

Se sii costante, vincerai col tempo Penelope medesma: tardi, è vero,,, Caddero al suolo le trojane.mura.,

Ma pur caddero alfin. I foglj tuoi Leggerà a nch’essa, e non darà risposta. Cui tu non debbi violentarla: solo

• a f i

Fa che ognor legga lusinghieri accenti,

E di risposta altìn sarà cortese A ciò che lesse; a gradi e con misura Succederansi questi ufficj; Forse, ’

Verrà da prima a te foglio dolente. [p. 34 modifica]34

Con cui ti pregherà, che l’amoroso Linguaggio cessi; m a desia il contrario Entro il suo core, e vuol che tu prosegua. Continua dunque; e alfin resi contenti Saranno i voti tuoi. Quando supina Vien trasportata sulle molli piume. Fingendo indifferenza, ti presenta Della Padrona alla lettiga; e canto,

E in cifre ambigue quanto puoi favella. Onde- qualchle ’importuno udir -non possa Il vostro ragionar. Se volge il piede Negli spaziosi portici, tu quivi Trattienti fin ch’ella’ -vi fa dimora.

Or la precedi ed or la segui a tergo:

Or lento movi il passo, ed or t’affretta. Nè d’inoltrarti in mezzo alle colonne Abbi’ rossor, nè di sederle al fianco.

Non- ne’ Teatri senza te si trovi,

E segnai pótti al teigo, onde la vegga. Giacch’ivi il puoi, contemplala, e le dici Quanto brami co’ segni e con lo sguardo. Alla saltante applaudisci, e sii Favorevole a quei che rappresenta Personaggio amoroso. S’ella sorge,

Sorgi; e ti assidi - pur, s’ella s’assida;

E a suo -piacere il tempo tuo consuma.

Ma non volere innanellare il crine Con "caldo ferro, e con mordace pomice 1 Stropicciarti le gambe; il che tu lascia ’. A’ molli Sacerdoti di Cibale. (4.9), 0J •. l

(49) Ope, o Vesta, che ancor dìcesi Rea, e la Dea Buona, è Madre degli Dei, e si chiama Gibele; per che nel monte Gibele di Frigia le furono la prima

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Beltà.negletta agli uomini conviene:

Vinse Teseo; Arianna * e la raplo Disadorno le< tempie, il cria scompostolo) Arse pel* sFiglio Fedra, ed era incolto; • Cura e delizia, dèlia Dea d’Amore.,,..

Fu Adon,jche fra le selve i di traeva.. S’annégrin pur le membra al marzio Campo, Ma sieno monde, e. monda sia la veste. (5i) Aspra non sia la lingua, e netti sieno.i Dalla ruggine i denti; il mobil. piede Non nuoti, in larga pelle* ^»ed- inesperta •* iT

volta celebrati i sacrificj. I suoi Sacerdoti eràrio eunuchi, e ogni giorno y per comparir mondi, si raschia van le membra. <

(5o) Arianna, figlia del Re Minos, s* innamorò perdutamente di Teseo, che fu da 3 Greci mandato con al tri giovani in Creta per esser divorato dal Minotauro. Essa gl 9 insegnò la maniera d’uscir dal laberinto quando avesse ucciso quel mostro 9 e in compagnia di Fedra sua sorella s*. incamminò con V Amante^ che domato il Minotauro, tornava in Grecia vittorioso. Teseo che nel viaggio erasi già invaghito di Fedra, lasciò bar bar amente in Nasso Arianna >.e andò con la sorella

in Atene sua patria. Ivi questa divenne, come si è detto, amante d y Ippolito nato da Tesele da Ippolita Regina delle Amazzoni.

Venere amò ardentemente Adone v figlio di Cinira <5 di Mirra, quantunque vivesse contìnuamente nd boschi intento a ■ cacciare le fiere. Pianse ella amar amen? te perchè questo giovinetto fu ucciso da un cinghiale, e non V avrebbe mai reso a Proserpina, se Giove non comandava, che per otto mesi avesse Venere il possesso d 9 Adone, e per gli altri quattro sei godesse Proserpina.

"(5i) Nel Campo marzio si facevano in Roma alcuni giochi, pe J qualì i giocatori si snudavano interamente, e si ungevan le membra con degli unguenti, che rendeano a* medesimi nera la pelle. [p. 36 modifica]

  • 36

Forbice non ti renda il crin deforme f Ma da maestra- man- ti sia recisa E la chioma e la barba t $enza macchie Sian l’unghie, nè soverchino’ le dita: r

Nelle concave nari non si scorga»

Alcun pelo; nè esali un tristo fiato"-* ’ ’ La bocca; e il naso non rimanga offeso „ Da che il fetido becco ognora saper’• * A lasciva Fanciulla- il resto lascia, •

E alla -Bardassa. Ma -già Bacco chiama •

Il vate suo: soccorre ei pur gli amanti;

E la fiamma che l’.arde ei favorisce..

Furente errava la- cretense Donna (5 a)

Per la. breve di-Nasso ignota, arena,..

Che flagellano ognor 1* onde del mare.

Ella coperta con discinta veste Come nel sonno, nudo il piede e sciolte Le crocee chiome, al sordo mar si volge;. E bagnando di lagrime le gote,

Teseo chiamava in alto suón: gridava,

E in un piangea la misera, ma in lei Era tutto decente; nè men bella Fu di lagrime aspersa e di dolore.

Mentre di nuovo con le man fa ingiuria Al delicato petto, a che fuggisti?

E cosa fia^di me, perfido?. dice,.

Di me che fia,. ripete; e intanto il- lido •••’■ De’ citnbali e de’ timpani percossi’

Da un’attonita mano il.suono assorda.

(5a) Quando Arianna si vid «abbandonata nell’Isola di JYasso,si diodo in preda all’ultima.disperazione. Bacco ivi accorso con le Baccànti e con Sileno, suo pedagogo, la prese in sposa y e collocò la di lei chioma in Cielo presso ai Arturo. >

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3?

Cad’ella al suolo da timor sorpresa;.

Le m&ncaQ.-le 1 parole; e più non scorre Per le igelatei oppresse, membra il sangue. S’appressati;le Baccanti * il. crin disciolto; Ed ecco 1 lievi Satini che sono -:.. Previa turba del- Dio..; Ecco sul dorso D’un< pasciuto, asinel 1* ebrio Sileno Carico d’anni., che si- regge appena»

E vprooura-: afferrare, i -brevi crini. -. Mentr’eglii. segue -lei Baccanti., e. queste ■ Lo chiamano fuggendo; l’inesperto...

Cavaliere.il quadrupede suo sferza., Dell’asino orecchiuto al capo scorre,

E a.terra cade: i Satiri gridare:

Sorgi v deh sorgi, o Padre. Intanto giunge Il Dio, che d’uva al carro adorno accoppia Le tigri, a cui con le dorate briglie.

Il freno regge.. Partì: Teséo, e insieme D’Arianna, la voce ed il dolore.

Tentò tre volte di fuggir, ma invano, Chè il timor la trattenne, e inorridita Tremò qual steril spiga al vento, e come Leggiera canna in umida palude;

Allora il Dio le disse: • ogni timore, Cretense ’Donna, dal tuo cor disgombra; In me tu vedi un - più fedele amante;

Di Bacco anzi sarai la dolce sposa.

Tu spazierai -nel ciel; la 1 tua corona Lucida stella in ciel sarà di scorta All’incerto Nocchiero in suo cammino.

D isse, e dal carro scese, onde non debba Sentir paura delle tigri, e il piede Sulla docil arena impresse 1* orme.

Rapi Ila poscia, e se la strinse al seno,

  • è •

Digitized by Google [p. 38 modifica]Chè tentato avria in van fargli contrasto. Mentre facile a un Dio tutto si rende.

De’ suoi seguaci 1 Imen- canta una parte, * L’altra ripete in alto suon gli evviva. • Così al letto nuziale il Dio /-la Sposa ’ Furon guidati, e s’annodare insieme. Quando tu sederai 1 con donna a mensa,

E di Bacco • a- te offerti idoni sieno, ’

Tu a Bacco,ea’Numi chetatila cena in cara Porgerai 1 voti, onde dal vin non venga * > • Offeso il capo tuo; Quivi- tu puoi* ‘ (

Con ambigue parole a lei far noti ‘

1 segreti del cor, ma però >in modo Che ben s’accorga esser a lei dirette. Potrai tu ancor con gocciole di vino Teneri accepti esporre, onde conosca, Ch’ella assoluto ha nel tuo core: impero. Co* tuoi s’incontrin gli occhi suoi,*ed il fòco Che t’arde il sené’, a leifaccian palese; Parla talora col silenzio il volto.

Procura il primo di rapir la tazza.

In cui bevv’ella, e dove i labbri impresse, Bevi tu pur: qualunque il cibo sia Bichieder dei, che tocco avrà ’col dito; 1 E mentre il chiedi, a lei stringi la mano. Volgi i tuoi voti pure, onde tu piaccia * Della Bella- al Marito. Assai ti puóte • Util recar, se a te sia fatto amico.

Se dai la legge al bere, a lui la mano (53)

(53) Solevano i Romani appena posti a mensa eleggere il maestro della cena, che da Orazio ( lib. i. od, 9. ) si chiama il Taliarco. Prescriveva il medesimo le leggi del convito e la maniera -.di bevere, e ordì Digitized by Google [p. 39 modifica]Cedi, e riponi dal tuo capo tolta La corona sul suo. Sia a te inferiore, Egual sia pur, si serva in tutto il primo; E seconda parlando il suo linguaggio.

Col velo d’amistà tessere inganno E via sicura e frequentata, pure Non è senza delitto. 11 Taliarco Ancor che troppo generoso appresti I moltiplici vini e le vivande;

E benché creda di dover più assai Veder di quel che fu ordinato, certa Avrai nel ber da noi legge e misura. Onde la mente e il piè si serbin atti A’ loro ufficj: d’evitar procura Gli alterni detti e gV ingiuriosi accenti,

E vie più ancor se sien dal vin prodotti; E troppo facil non indur la mano

naca alle volte a’ Commensali che ognuno, bevuto il suo bicchiere di vino, proponesse qualche amena questione. Auguravansi spesso tanti anni quanti bicchieri di vino bevevano } e spesso ne bevean tanti quante eran le lettere che formavano il nome della Bella, o dell 9 Uomo insigne j a cui facevano un tale onore. Se molti erano gli anni augurati, o se molte eran le leU tere componenti il nome della persona in onore di cui bcveano mescevano allora il vino in una tazza assai grande, e compensavan così i molti bicchieri che avrebber dovuto vuotare. Era poi in uso al termine della mensa il vibrare in aria con le due prime dita i semi d y una mela fresca: si credevano fortunati in amore quando toccavan con quelli il soffitto della camera cv 9 era apparecchiata la tavola, e si riputavano infelici quegli amanti, che non li facean sorgere a quelli altezza. De 9 molti altri giochi, che i Romani usavano in queste circostanze, non ne è a noi pervi nuta che un 9 oscura notizia. [p. 40 modifica]4o

A perigliosa rissa. Al suol trafitto (54) Euritone cadéo, perchè soverchio Rebbe i vini apprestati. A’ dolci scherzi Atta è la mensa e il viri: s’hai bella voce, Non ricusa cantar; salta s’hai molli E pieghevoli braccia; e finalmente S’hai doti onde piacer, piaci. La vera Ebrietà nuoce, può giovar la fiuta. Balbetti in tronco suon l’astuta lingua. Onde di ciò che tu ragioni, o fai Oltra ’l dovere, il vino sol &* incolpi» Augura alla Padrona ed al Marita Una notte felice; ma per questo Fa tacito nel core apposto voto.

Tolta la mensa, allor che i Convitati Saranno per partir, tra Ior ti mischia;

( La turba e il loco ti daran l’accesso )

A lei che fugge t’avvicina, e il fianco Le premi dolcemente, e il piè col piede ► Abbia ora il conversar libero campo,

E tu lungi, o pudor rustico, vanne,

Che la fortuna e Venere propizj Sono agli audaci. De’ precetti nostri Or l’eloquenza tua non abbisogna; Principia pur, che ben sarai facondo. Imitare il linguaggio dell’amante Debbi, e mostrar d’aver ferito il core;

E onde ti presti fede ogni arte adopra.. Ardua.impresa non è Tesser creduto,.

(54)’ Euritone è quel Centauro, che reso caldo dal’vino y tentò nelle nozze di Piritoo di rapire Ippoda mia: Teseo lo percosse perciò così fortemente, che fiu costretto >. come dice Ovidio nelle Metamorfosi y cu ppmitar V anima e il vino

%

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  1. Achille uccise Ettore al assedio di Troja.
  2. Achille nacque dalla Dea Tetide, Amore dalla Dea Venere.
  3. Mentre Esiodo, cugino e quasi contemporaneo d’Omero, pascolava in Elicona le pecore di suo padre,fu dalle Muse condotto al fonte Ippocrene, e col bever di quell' acqua divenne Poeta.
  4. Gargaro, Castello sul monte Ida era celebre per l' abbondanza delle sue biade, e Metinna, Città nell’Isola di Lesbo, per l’abbondanza de’ suoi vini.
  5. Uno de’ più deliziosi Portici di Roma era certamente quel di Pompeo. Giaceva questo in vicinanza del suo Teatro, ei Romani lo frequentavano moltissimo in tempo d’ estate.
  6. Augusto sottò il nome d’ Ottavia fabbricò un portico in vicinanza del Teatro da lui dedicato a Marcello figlio della medesima ; e però dice il Poeta, che la Madre, cioè Ottavia , aggiunse il dono del portico al don del figlio, cioè al Teatro a lui innalzato da Augusto.
  7. E questo il portico che Livia moglie d’ Augusto fabbricò nella Via sacra ; ne fa menzione Svetonio, e vien riputato da Strabone uno de’ più be’ monumenti di Roma.
  8. Il portico d'Apollo palatino fabbricato da Augusto in una parte della sua casa era adornato di quanta immagini rappresentanti la strage, che de' proprj Mariti fecero le Danaidi per comando di Danao loro padre.
  9. Si adorava Iside figliuola d’Inaco in Menfi Città d’Egitto, donde furono trasportati in Roma i suoi sacrific). Fu questa amata impudicamente da Giove, il quale la cangiò per timor di Giunone in una Giovenca, e poi la restituì agli Egiziani nella sua pristina forma. Ella e i suoi sacerdoti andavano coperti di lino e però si chiamava lingera.
  10. Appio Censore condusse l' acqua nel Foro di Cesare; e d’architettura d’Archelao fu ivi innalzato a Venere un Tempio, che per somma fretta poi rimase imperfetto.
  11. Nell’anno del mondo 3231 fabbricò Romolo nel monte Palatino una Città o sia Fortezza, che dal suo nome chiamò Roma. Per accrescere il numero dei Cittadini, aprì un asilo fra il Palatino e il Campidoglio, in cui si ricevevano i Servi fuggitivi, i Debitori, i Malefici. Siccome i Popoli confinanti, e per conseguenza i Sàbini non volevano con tal gente collocar le lor Donne, Romolo gli invitò insieme con le sorelle, le mogli, e le figlie a uno spettacolo, che fe’ celebrare in onore del Dio Conso, ossia di Nettuno e comandò a’ suoi Romani che ciascun si rapisse fra quelle femmine una Consorte.
  12. Solevano i Romani portar per il Circo le Statue degli Dei e degli Uomini sommi, quando ivi davano lo spettacolo della corsa de’ Cavalli o d’altri giochi. V’ era fra queste Statue ancor quella di Venere, cui vuole il Poeta che si faccia un gran plauso. Si veda la seconda Elegia del Libro III. degli amori scritti dal medesimo Autore
  13. Cesare Augusto fece presso il Tevere rappresentare una battaglia navale detta Neumachia. Introdusse in questa a combattere le flotte che Marc’ Antonio aveva raccolte contro di lui nell' Oriente, e le navi ateniesi denominate Cecropie da Cecrope primo Re d'Atene, che seguirono il partito di M. Antonio Furono queste armate navali vinte tutte da Azio, e servirono nella Neumachia d'un brillante spettacolo a tutta Roma.
  14. Augusto destinò una spedizion per l' Oriente contro Fraate, e vi mandò il suo Nipote Cajo nato da Agrippa e da Giulia. Marco Crasso e Publio suo figlio avidi delle ricchezze de' Parti intrapresero contro i medesimi una guerra, in cui furono poi essi miseramente trucidati con undici Legioni. Per far a Cesare un encomio, dice ora il Poeta, che deve Cajo riportar vittoria di que' popoli, e riacquistar le insegne romane da loro tolte a Crassi.
  15. Essendosi Giove innamorato perdutamente d’Alcmena, si presentò a lei vestito delle sembianze d’Anfitrione suo marito, quando questi trovavasi alla guerra di Tebe. Da Giove e da Alcmena nacque Ercole, che fu allevato in Tirinta Città in Morea vicina ad Argo, e però fu detto Tirinzio. Intenta per ciò la gelosa Giunone a vendicarsi dell’infedeltà di Giove, suscitò contro d’Ercole due serpenti; ma egli li uccise valorosamente, benché fosse di tenera età.
  16. Bacco armato d’una lung’asta, e seguito da un esercito d’Uomini e di Donne, corse intrepido nell’Oriente, e soggiogò que’ paesi che allor tutti si comprendevano sotto il nome d’India. Essendo quell’asta così acuta, che imitava la conica figura del Pino, fu detta dagli antichi Poeti il Tirso, giacchè Thirza in lingua ebraica null’altro significa, se non se un ramo di Pino. Intrecciavano le Baccanti sul tirso l’uve e i pampini con l’edera, perchè Bacco insegnò agli uomini la maniera di coltivar la vite. Alcuni Eruditi poi, che ricercan la moralità nelle favole, pretendono che dipingasi sempre giovine questo divino coltivator della vigna, perchè gli uomini si rendon col vino in lor vecchiezza amorosi e lascivi, come lo furono in gioventù. Mons. de Lavaur con molti altri, i quali hanno attentamente considerato le imprese di Bacco e l’etimologia stessa del Tirso, porta verisimilmente opinione, che sia questa favola tratta in origine da que’ libri della sacra Scrittura, che parlano di Mosè, e di Noè.
  17. Si rivolge il Poeta a Cajo, che fu adottato per figlio da Cesare Augusto.
  18. Romolo dalle tre Tribù, nelle quali aveva distribuito il popolo romano, raccolse per ciascheduna cento uomini, che per nascita, per ricchezze, e per altri pregi erano i più riguardevoli. Furono questi chiamati Cavalieri, perchè trascelse que’soli, che fosser meritevoli d’un Cavallo, su cui dovean combattere in difesa di lui; e si distribuirono in tre Centurie, che conservando il nome delle Tribù, dov’erano state raccolte, si chiamavano de’Rammensi da Romolo, dei Tasienzi da Tazio Re de’ Sabini, e dei Luceri da Lucomone Re d’Etruria, che fu, come dicono, il fondatore della Città di Lueca. Da Tarquinio Prisco, e da Servio Tullio vennero in seguito accresciuti di numero, senza mutar però il nome di Centurie; esercitarono poi varie luminose incombenze; e fu denominato il loro ordine Senatus Seminarium, perchè in esso scieglievansi i Senatori. A’ 15. di Luglio facevano i Cavalieri ogni anno splendidamente la lor rassegna, mentre dal Tempio dell’Onore, che era situato fuori della città, andavano al campidoglio coronati d’ulivo, cinti d’una purpurea veste detta trabea, e assisi sopra i loro cavalli. Ogni cinque anni poi appena giunti al Campidoglio, scendevano da Cavallo, e presolo per mano lo guidavano avanti al Censore ivi assiso sopra una sedia curule; ed egli comandava di ritenere il Cavallo, se bene aveva il Cavaliero adempiuto a’ suoi doveri, e di venderlo, se aveva malamente eseguito le sue incombenze. Leggeva il Censore in tale occasione il catalogo de’ Cavalieri, e si chiamava il Principe de’ Giovani o della Gioventù quello che era da lui nominato il primo; e ciò non perchè fossero attualmente tutti giovani, ma perchè lo furono nella prima istituzione, e perchè l’età giovanile si estendeva presso i Romani fino a quarantacinque anni.
          Principe de’Senatori o del Senato ne’ primi tempi della Repubblica si chiamava quello che il primo tra Senatori viventi era stato Censore, poi quel che dal Censore fosse stato nominato il primo nel leggere il catalogo de’ Senatori, e nell’anno 544. dalla fondazione di Roma quel, che dal Censore era riputato degnissimo.
  19. Pompeo, domato il Re Tigrane, costrinse gli Armeni a ricevere da’ Romani in segno di servitù i Rettori. Si liberarono essi da un tal giogo, ma Cajo li obbligò nuovamente a soffrirlo, e vendicò in tal guisa i dritti d’Augusto, che dal Senato e dal Popolo romano fu per mezzo di Valerio onorato del luminoso titolo di Padre della Patria.
  20. I Parti tentavano di farsi padroni dell’Armenia.