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Col dolce suon della canora cetra;
Ed ei, che fu il terrore e lo spavento
De' suoi compagni spesso, e de’ nemici.
Dicesi che temesse il. vecchio annoso;
E quelle mani, che dovean un giorno
Gettare a terra il forte Ettor, porgea, 1
Quando Chirone le chiedea, alla sferza.
Ei fu d’Achille, io son d’Amor maestro;
L’un e l' altro è fanciul feroce, e tragge
L’un e l’altro da Diva i suoi natali. 2
Come l ’ aratro il toro, e come il freno
Doma il caval focoso; io così Amore
Render placido voglio ancor che il petto
Con l’arco mi ferisca, e con la face
Tutte m’abbruci le midolle e l' ossa.
Quanto più Amore hammi ferito ed arso,
Tanto più voglio vendicarmi. Apollo,
Non io, che mentirei, dirò che appresi
Da te quest’arte, o che fui reso dotto
Dal canto degli augelli. A me non Clio,
Nè le Sorelle sue, come al Pastore
Della valle d’Ascrea, comparver mai; 3
Me un lung’uso fe'istrutto; e fè prestate
All' esperto Poeta. Io cose vere
Canto: Madre d' Amor, siimi propizia.
Gite lungi, o Vestali, e voi Matrone,
Che i piè celate sotto lunga veste.