I mercatanti/Appendice/Atto II

Atto II

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Appendice - Atto I Appendice - Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Strada

Lelio.

Oh pazzo maledetto! Non ho veduto una bestia simile a Pantaloncino. Si può sentire di peggio? Mettersi a tagliare a tre o quattro farabutti, e perdere in meno d’un’ora i due mille ducati che ha carpiti di mano a quel povero medico! Manco male che gli ho cavati cinquanta zecchini, prima che si sia posto a giocare. Se io tardava due ore, andavano ancora questi. Così gliene avessi buscati di più. Giacchè li ha da consumar malamente, è meglio che ne dia ad un galant’uomo, ad un amico, ad un uomo civile, che avendo poca entrata e poca volontà di far bene, ha bisogno di qualche incerto per poter godere il bel mondo.

SCENA II.

Dottore Malazucca e Lelio.

Dottore. Oh padron mio, ho piacere di rivederla.

Lelio. Servitore divotissimo, signor Dottore.

Dottore. Mi sono scordato, due ore sono, quando ella mi ha graziato, di domandarle il suo nome, il suo cognome e la patria.

Lelio. Ha forse da comandarmi qualche altra cosa?

Dottore. Non signore, ma quando ricevo qualche finezza, ho piacere d’aver memoria di chi mi ha favorito.

Lelio. (Diavolo! Questa mi pare una stravaganza). (da sè)

Dottore. Favorisca dirmi il suo nome. Lo metterò nel mio taccuino.

Lelio. Ma io non intendo ch’ella abbia meco alcuna obbligazione.

Dottore. So il mio dovere; la prego. (col taccuino in mano, e la penna) [p. 132 modifica]

Lelio. (Eppure non me ne fido). (da sè)

Dottore. Il suo nome?

Lelio. Fabrizio.

Dottore. (Scrive) Il cognome?

Lelio. Malmenati.

Dottore. Il paese?

Lelio. Fossambruno.

Dottore. Signor Fabrizio Malmenati di Fossambruno, o mi faccia restituire i due mille ducati che mi ha carpiti il signor Pantaloncino de’ Bisognosi, o V. S. sarà chiamato in giudizio come mezzano di una patentissima truffa.

Lelio. (Il diavolo me l’ha detto). (da sè) Ma che dite di truffa?

Dottore. Sì signore, Pantaloncino me li ha truffati; e voi ne siete d’accordo.

Lelio. Io! Mi meraviglio di voi. Sono un uomo d’onore, e il signor Pantaloncino è un mercante onorato....

Dottore. Che mercante? È un fallito. È pieno di debiti. Non ha più un soldo di capitale. Gioca da disperato, e ora in questo punto che noi parliamo, è in una biscaccia a perdere i poveri miei denari, che mi costano tanti sudori, che ho fatto tante vigilie per avanzarmeli, che erano l’unica mia speranza, l’unico sostentamento della mia vecchiaia. Povero me, sono assassinato. (piangendo)

Lelio. Ma perchè non andate a ritrovarlo sulla biscaccia dove dite che si ritrova, e non gli levate il denaro?

Dottore. Se sapessi dov’è, non tarderei un momento. Arrischierei anche la vita per ricuperar il mio sangue. Ma non mi hanno voluto dir dove sia questo maledetto ridotto. Voi, se lo sapete, ditemelo per carità.

Lelio. Volentieri; ve lo dirò. Andate per questa strada, troverete un ponte, giù del ponte vi è una fondamenta. In fondo della fondamenta troverete un’altra strada, a mezza di essa voltatevi a mano dritta, e andate fin che trovate una corte. In essa vedrete un sottoportico. Passatelo, salite quel ponte, e dopo andate giù per la fondamenta.... [p. 133 modifica]

Dottore. Piano, piano, che non mi ricordo più niente affatto.

Lelio. Vedete quella calle?....

Dottore. Come si chiama il luogo della biscaccia?

Lelio. Si chiama Biri1.

Dottore. E come si chiama il biscacciere?

Lelio. Asdrubale Tagliaborse.

Dottore. Vado subito.

Lelio. (Va, va, che ti ho insegnato a dovere). (da sè)

Dottore. Meschino me! In Biri? Lo troverò questo Tagliaborse?

Lelio. Domandate ad un tal Pancrazio Spaccatesta.

Dottore. Oh che nomi! Oh che gente! Poveri i miei denari! Se non lo trovo, ci penserete voi. Signor Fabrizio Malmenati, ci penserete voi. (via)

Lelio. Ora che hai il mio nome ed il mio cognome, stai fresco. Manco male che ho sospettato il vero. Povero diavolo, mi fa compassione, ma neanche per questo gli darei indietro li cinquanta zecchini, che ho avuti da Pantaloncino.

SCENA III.

Pantaloncino e Lelio.

Pantaloncino. Oh sior Lelio, giusto vu ve cercava.

Lelio. Anch’io doveva venire in traccia di voi.

Pantaloncino. I ho persi tutti.

Lelio. Bravissimo.

Pantaloncino. Son senza un bezzo; e gh’ho bisogno d’agiuto.

Lelio. A questo proposito devo darvi una buona nuova.

Pantaloncino. Via mo.

Lelio. Il medico vi cerca, e vuole indietro li due mille ducati.

Pantaloncino. Eh via, che sè matto.

Lelio. Se giungevate qui due minuti prima, l’avereste veduto e l’avereste goduto. Ma se volete, siete ancora a tempo. Andate giù di quel ponte, che lo troverete... [p. 134 modifica]

Pantaloncino. No no, no m’importa de véderlo. Cossa diavolo ghe xe saltà in testa? Xelo matto?

Lelio. È stato informato dello stato vostro. Ha saputo che i suoi denari erano sul banco d’una biscaccia, e fa il diavolo contro di voi e contro di me.

Pantaloncino. Se sto vecchio no gh’averà giudizio, sangue de diana, ghe taggierò i garettoli.

Lelio. Voi volete precipitare.

Pantaloncino. No voggio che sti furbazzi me fazza perder la reputazion.

Lelio. Il medico vorrà il suo denaro.

Pantaloncino. Che el vaga da mio pare, e che el se lo fazza assicurar.

Lelio. Benissimo, se lo vederò, ghe lo dirò.

Pantaloncino. No ghe xe bisogno che vu ghe lo suggerì; un mio amigo no ha da far ste figure.

Lelio. Vuole che io gliene renda conto. Ha preso in nota il mio nome ed il mio cognome.

Pantaloncino. Cossa gh’aveu paura? Vardeme mi, e no dubitè gnente. Vedeu sta mela? So doperarla. Vedeu sto abito marcantil? Se ghe porta respetto. E pò, che cade? Coi bezzi se giusta tutto.

Lelio. Ma se denari non ne avete più.

Pantaloncino. Se no ghe n’ho, ghe n’averò. A bon conto Corallina m’ha promesso de darme altri cento e cinquanta ducati. E pò, ho fatto un negozio de formaggiele da Sinigaggia tempo sie mesi a pagarle, e anca da queste, vendendole subito, cavo un centener de felippi.

Lelio. Buono: mangieremo del buon formaggio. Ve lo farò vender io.

Pantaloncino. No gh’è altro mo, che bisogna che ghe daga drento de ancuo diese zecchini de caparra.

Lelio. Li avete promessi?

Pantaloncino. I ho promessi.

Lelio. Quando avete promesso, bisogna darli. [p. 135 modifica]

Pantaloncino. Ma no ghe n’ho un per la rabbia. Caro vecchio, imprestemeli vu.

Lelio. Io? Non ho un soldo.

Pantaloncino. V’ho pur dà stamattina vinti zecchini per vu, e trenta per l’abito della virtuosa.

Lelio. Bene; li ho spesi.

Pantaloncino. L’abito dove xelo?

Lelio. L’ha avuto chi l’aveva d’avere.

Pantaloncino. Almanco dovevi lassarmelo veder.

Lelio. Dovevo portarvi l’abito sulla bisca?

Pantaloncino. Voggio andar adesso dalla cantatrice, a veder se l’abito ghe dà in tel genio.

Lelio. Sì, andate. Appunto ella vi attende per chiedervi la guarnizione.

Pantaloncino. Guarnizion? Anderò un’altra volta. Ma caro vecchio, impresteme sti diese zecchini. Savè pur, che co ghe n’ho, ve n’ho sempre dà.

Lelio. Anch’io, se ne avessi, ve li darei.

Pantaloncino. Cossa aveu fatto de vinti zecchini?

Lelio. Cosa avete fatto voi di due mille ducati?

Pantaloncino. Mi, i ho zogai.

Lelio. Ed io li ho spesi.

Pantaloncino. Inzegnemose per ste formaggiele.

Lelio. Io non saprei.

Pantaloncino. Vardè se gh’avessi qualcossa da impegnar; per i amici se fa de tutto.

Lelio. Io non ho niente.

Pantaloncino. Caro amigo, no me abbandonè.

Lelio. Cosa posso fare per voi?

Pantaloncino. Son senza bezzi.

Lelio. Dovevate tralasciar di giocare. (via)

Pantaloncino. Tolè suso. Questo xe el bel conforto che el me dà. Dovevate tralasciar di giocare. Un amigo parla cussì? Un amigo che me n’ha magnà tanti? Furbazzo, se parleremo. Ma intanto son senza bezzi, e no so dove dar la testa. [p. 136 modifica]

SCENA IV.

Monsieur Rainmur e Pantaloncino.

Rainmur. (Dieci mille ducati? Ho dato la mia parola). (da sè)

Pantaloncino. (Sto aseno d’oro me poderave agiutar). (da sè)

Rainmur. (Bisogna andare al Banco. Ho dato la mia parola), (da sè)

Pantaloncino. Monsù, votre servan.

Rainmur. (Lo guarda e fa un ghignetto derisorio.)

Pantaloncino. Coman ve porte vu, monsù?

Rainmur. (Sorride e non risponde.)

Pantaloncino. Mi stago malissimo.

Rainmur. Che male avete?

Pantaloncino. Son senza bezzi.

Rainmur. Signore, questa è la vostra salute.

Pantaloncino. Perchè la mia salute?

Rainmur. Il perchè voi mi dispenserete di dirlo.

Pantaloncino. Disemelo, me fe servizio.

Rainmur. Perdonate; perchè quando non averete denaro, sarete meno vizioso.

Pantaloncino. Cossa songio mi? Un baronato? Un scavezza collo?

Rainmur. Perdonate.

Pantaloncino. Gh’ho bisogno de bezzi per far i fatti mi, e no per buttarli via.

Rainmur. Bene.

Pantaloncino. Ho comprà una partìa de formaggiele da Sinigaggia, e ghe posso vadagnar suso el trenta per cento.

Rainmur. Bene.

Pantaloncino. Gh’averia bisogno de dusento ducati, possio sperar che monsù me fazza el servizio?

Rainmur. Aspettate. (mette le mani in tasca)

Pantaloncino. (Finalmente el xe allozà in casa nostra. Noi me dirà de no!) (da sè)

Rainmur. Favorite. Conoscete questo carattere?

Pantaloncino. Sior sì, questa la xe una mia lettera de cambio [p. 137 modifica] per cento zecchini che m’avè impresta. Aveu paura che no ve li paga?

Rainmur. Quando averete pagati questi, me ne domanderete degli altri.

Pantaloncino. Oh che caro sior tela d’Olanda.

Rainmur. (Lo guarda bruscamente senza parlare.)

Pantaloncino. Xe quattro mesi che el xe in casa nostra, e no se ghe pol domandar un servizio.

Rainmur. Vi pagherò l’incomodo di quattro mesi.

Pantaloncino. Casa nostra no xe una locanda.

Rainmur. È vero; in una locanda si spende meno.

Pantaloncino. I vostri cento zecchini ve li darò.

Rainmur. Dovevate avermeli dati.

Pantaloncino. Son un galantomo.

Rainmur. V’è qualcheduno che non lo crede.

Pantaloncino. Chi xe che no lo crede?

Rainmur. La piazza.

Pantaloncino. Me maraveggio de vu.

Rainmur. Ed io niente di voi.

Pantaloncino. Cossa vorressi dir?

Rainmur. Perdonate.

Pantaloncino. Via, semo amici, e no vôi avermene per mal de gnente. Se più vecchio de mi; podè esser mio pare. Ve amo e ve respetto, e gh’ho per vu quella stima che meritè.

Rainmur. Ben obbligato.

Pantaloncino. Me seu amigo? Me voleu ben?

Rainmur. Oh signore... (con riverenza)

Pantaloncino. Deme un baso.

Rainmur. Ben obbligato. (si danno li due baci soliti)

Pantaloncino. Oh! m’impresteu sti dusento ducati?

Rainmur. No; perdonate.

Pantaloncino. Ma me seu amigo?

Rainmur. Sì, amico.

Pantaloncino. E no me volè imprestar sti dusento ducati?

Rainmur. No; perdonate. [p. 138 modifica]

Pantaloncino. Ande là, che sè un gran tangaro.

Rainmur. (Lo guarda bruscamente.)

Pantaloncino. Cossa me vardeu? Credeu de farme paura?

Rainmur. (Lo guarda come sopra.)

Pantaloncino. Vardè qua sto sior foresto, el vien a magnarme le coste, e no se pol aver un servizio.

Rainmur. (Smania per la scena, movendo il bastone.)

Pantaloncino. Coss’è, sior, me faressi qualche bulada? Son omo capace de darve sodisfazion; e imparè a trattar coi omeni della mia sorte. E co un galentomo ve domanda dusento ducati in prestio, no se ghe dise de no. Monsù, votre servitor in tel stomego. (via)

Rainmur. Gioventù scorretta, mal educata, ignorante.

SCENA V.

Brighella e monsieur Rainmur.

Brighella. Signor, el padron l’è a Rialto che el l’aspetta. El me mandava a casa pregandola de lassarse veder da lu, che ghe preme assae.

Rainmur. (Rimproveri! temerità! impertinenze!) (da sè)

Brighella. L’è in bottega da quel dal caffè, sala? In t’un camerin serrà. Nol se vol lassar veder, se no la va ela a consolarlo.

Rainmur. (Il figlio fa disonore al padre, e il padre si rovinerà per il figlio). (da sè)

Brighella. El l’aspetta...

Rainmur. Ho inteso. (Dieci mille ducati son mal sicuri). (da sè)

Brighella. E al Banco del ziro el mio padron l’è aspetta; e se tratta de dir...

Rainmur. Di’ al tuo padrone che torni a casa, che io l’aspetto.

Brighella. Ma signor...

Rainmur. M’hai capito. (Aiutar, va bene. Gettar, va male. Rischio, pazienza; ma precipizio, mai). (da sè, via)

Brighella. Coss’è sta novità? Elo fursi pentio de zirar al sior Pantalon i diese mille ducati che el gh’ha promesso? L’è [p. 139 modifica] pur un omo pontual, che fa conto della so parola quanto della so vita. Cossa dirà el povero mio padron? El pianzeva dall’allegrezza, contandome come una providenza del cielo l’esibizion de sto galantomo; e adesso, se ghe porto sta risposta, cossa diralo? L’è veramente desfortunà. Tutte le cosse va mal per elo, e ho paura senz’altro...

SCENA VI.

Pantalone e Brighella.

Pantalone. Coss’è. Brighella, no ti vien mai? L’astu trovà l’Olandese?

Brighella. L’ho trovà.

Pantalone. Cossa diselo? Dove xelo? Vienlo a Rialto?

Brighella. Giusto; za un tantin l’era qua, e l’è torna a casa.

Pantalone. Ma no ti gh’ha dito, che lo aspetto con ansietà?

Brighella. Ghe l’ho dito, el m’ha resposo...

Pantalone. Coss’è? Nol vol altro? S’alo pentìo?

Brighella. El m’ha dito cussì che V. S. vada a casa subito, che el l’aspetta.

Pantalone. Mo a cossa far a casa? I bezzi l’ha dito de zirarmeli in banco. Stè a veder che el s’ha pentìo. Brighella, se sta cossa xe vera, mi son un omo precipità.

Brighella. La vada a casa a sentir cossa el dise.

Pantalone. Mo se a Rialto i m’aspetta. I creditori xe là colle lettere in man. I mi nemici i sta con tanto de occhi. I zoveni averà dito che vago; se no i me vede, i dise che son fallio.

Brighella. Caro signor, no ghe pol esser soprazonto qualche accidente, che gh’impedissa poder andar?

Pantalone. Bisognerave avvisarli.

Brighella. Anderò mi. Troveremo un pretesto.

Pantalone. Eh caro Brighella, sto nostro mistier el xe delicato assae. Quel che ne tien in pie, xe la fede, el credito, l’opinion. Tanti e tanti gh’ha più debiti de mi, gh’ha manco capitali de mi, e tutti ghe crede, e tutti ghe corre drio, per[p. 140 modifica]chè la fortuna i agiuta, e i se mantien a forza de imposturar. Ma quando l’omo scomenza a scantinar, quando in piazza el scomenza a mancar de credito, tutti ghe xe adosso, tutti cerca de ruvinarlo, tutti aspetta de goder la bella botta. E saveu perchè? Per invidia del ben dei altri e per amor del proprio interesse; perchè la torta se spartissa po tra de lori, e perchè el precipizio de un poveromo accressa i so utili, ghe moltiplica le corrispondenze, e daga fomento e pascolo alla so maledetta ambizion.

Brighella. Sior padron, adesso non è tempo nè de perderse de animo, nè de formar riflessi sulle vicende del mondo; la vada a casa a sentir cossa dise monsù Rainmur.

Pantalone. Cossa te par a ti, caro Brighella? Cossa t’alo dito? Come t’alo parla?

Brighella. El me par un pochetto turbà; ma no sarà niente.

Pantalone. Astu visto mio fio?

Brighella. Signor no, non l’ho visto.

Pantalone. Va là, va a Rialto...

Brighella. Come vorla che diga?

Pantalone. Dighe che i aspetta... Ma pò, se no podesse vegnir?

Brighella. È meggio che li licenzia per sta mattina.

Pantalone. Ma le lettere che scade ancuo?

Brighella. Se le scade ancuo, gh’è tempo tutta la zornada.

Pantalone. Se costuma pagar la mattina a Rialto, al banco.

Brighella. Mattina o sera, co se paga, basta.

Pantalone. Va là, za xe tardi. L’ora de Rialto xe debotto passada. Per sta mattina no saremo più a tempo. Procura de darghe delle bone parole; e dighe che pagherò. (guarda l'orologio)

SCENA VII.

Dottore Malazucca e detti.

Dottore. Signor Pantalone de’ Bisognosi.

Pantalone. Schiavo, sior Dottor carissimo. La compatissa se l’ho fatto aspettar. Ma adesso no me posso trattegnir. [p. 141 modifica]

Dottore. Una parola, signore.

Brighella. (La toga intanto sti do mille ducati). (a Pantalone)

Dottore. Una parola, padron mio.

Pantalone. La diga, ma presto, che gh’ho da far.

Dottore. Signore, i due mille ducati...

Pantalone. I do mille ducati, per servirla, li torrò mi.

Dottore. Li prenderete voi?

Pantalone. Li torrò mi.

Dottore. Quanto mi darete?

Pantalone. El sie per cento.

Dottore. Non posso farlo, non posso dall’otto venire al sei.

Brighella. (La facilita; la ghe n’ha bisogno). (a Pantalone)

Pantalone. (No vorave che sto povero vecchio li perdesse). (a Brighella)

Brighella. (Le cosse se giusterà: intanto co sti do mille ducati faremo tàser qualchedun). (a Pantalone)

Dottore. (Per assicurarli, mi converrà perdere qualche cosa). (da sè)

Pantalone. La senta, sior Dottor, fina al sette arriverò a darghelo; ma gnente de più.

Dottore. Via, mi contento del sette.

Pantalone. Che monede xele?

Dottore. Non lo sapete? Zecchini.

Pantalone. Via, andemo a contar i bezzi, e ghe farò la so ricevuta.

Dottore. I denari sono belli e contanti. Io vi do questa carta, e voi me ne darete un’altra di vostra mano.

Pantalone. Ma i bezzi dove xeli?

Dottore. Domandateli a vostro figlio.

Pantalone. A mio fio? Cossa gh’intra mio fio?

Dottore. Oh bella! Questa è la sua ricevuta. A lui ho dato i due mille ducati all’otto per cento...

Pantalone. A elo?

Dottore. Sì; e a voi, che siete il capo di casa, non ho difficoltà di lasciarli al sette.

Pantalone. Oh poveretto mi! Brighella... [p. 142 modifica]

Brighella. Un bel negozio, sior padron.

Pantalone. Donca vu, sior, ave dà a mio fio i do mille ducati?

Dottore. Non lo sapevate?

Pantalone. No lo saveva, e no lo voggio saver, fazzo conto de no saverlo.

Dottore. Bisognerà bene che lo sappiate: e se non vi chiamerete voi debitore di questa somma, farò i miei passi, e vostro figlio anderà in prigione.

Pantalone. In preson mio fio? Vu meritè de andar in berlina, sior vecchio avaro, che per un vadagno illecito, per un avantazo de un per cento de più, m’avè mancà de parola a mi e li avè dai a un zovene che negozia, xe vero, ma finalmente in casa gh’ha ancora so pare vivo. Se ghe li avè dai, vostro danno. Meritè de perderli. Sieu maledetto vu, e maledetti tutti quelli della vostra sorte, che facendo usure, stocchi e negozi storti, precipita la zoventù, ruvina le case, mantien i vizi, i desordini, el zogo, le crapule e le disonestà.

Brighella. Bravo da galantomo. L’ha parlà da par soo.

Dottore. Se non mi pagate con altra moneta che con questa, ora vado a farmi fare giustizia.

Pantalone. Fermeve, sier can, sier omo senza conscienza.

Brighella. (La lassa che el vada. Cossa ghe porlo far?) (piano)

Pantalone. (Ah Brighella, mio fio no merita che lo assista, ma el xe finalmente mio fio).

Dottore. E così, cosa mi dite?

Pantalone. Meriteressi de perder tutto.

Dottore. Ma non perderò niente.

Pantalone. Maledetto avaro, usuraio.

Dottore. Non voglio altri strapazzi. Anderò alla Giustizia.

Pantalone. Vegnì qua.

Dottore. Cosa volete?

Pantalone. Cossa voleu perder su sto negozio, e mi ve assicuro el vostro credito.

Dottore. Non voglio perdere neanche un soldo.

Brighella. Caro sior, la li perderà tutti. [p. 143 modifica]

Dottore. Buon viaggio. Io perderò il denaro, e la famiglia de’ Bisognosi perderà la riputazione.

Pantalone. Sentìu che bone massime, che gh’ha sto omo da ben? (a Brighella)

Brighella. Mi mo gh’ho un’altra massima, meggio della soa.

Pantalone. Che xe?

Brighella. Darghe una peada, e cazzarlo in rio2.

Dottore. A me questo? Alla Giustizia?

Pantalone. No no, sior, no ve dubitè; no voggio buttarve in rio. El diavolo ve butterà un pochetto più in zoso.

Dottore. Datemi i miei denari.

Pantalone. Ve contenteu, che de quell’obbligo me chiama mi debitor?

Dottore. Sì, son contento.

Pantalone. Ma con un patto, che ridusemo el pro dai otto al sie per cento.

Dottore. Oh, questo poi no. Sino al sette mi contento.

Pantalone. El sette no ve lo voggio dar.

Dottore. E noi non faremo niente.

Pantalone. Perderè i bezzi.

Dottore. Ci penserà vostro figlio.

Pantalone. E per venti ducati precipiteressi un omo?

Dottore. E voi per venti ducati non salverete la riputazione a un figliuolo?

Pantalone. La xe un’ingiustizia, una baronada.

Dottore. Schiavo suo.

Pantalone. Ve darò i vostri bezzi.

Dottore. Sì, datemeli.

Pantalone. Vegnì doman, che ve li darò.

Dottore. Sì, tornerò domani. Mi fate anche voi compassione: tornerò domani. Ma sentite, o i miei denari, o il sette per cento, o vostro figlio prigione. Il cielo vi dia vita e salute. (via)

Pantalone. Poverazzo, da una banda el me fa pietà. [p. 144 modifica]

Brighella. El ghe fa pietà? L’è l’omo più finto che sia a sto mondo.

Pantalone. Perchè distu che l’è finto?

Brighella. No sèntela? L’è medico, e el ghe augura bona salute.

Pantalone. Caro ti, el me augura vita e salute, acciò che no mora avanti de pagarlo.

Brighella. E la se vol tirar adosso st’altro debito?

Pantalone. Cossa vustu far? O salvar tutto, o perder tutto: e se me salvo mi, voggio salvar el mio sangue.

Brighella. E pò?...

SCENA VIII.

Corallina in zendale e detti.

Corallina. Oh signor padrone...

Pantalone. Cossa feu a st’ora, fora de casa?

Corallina. Venivo in cerca di lei.

Pantalone. Dove?

Corallina. A Rialto.

Pantalone. Gh’è qualche novità?

Corallina. Ho premura di dirgli una cosa.

Pantalone. Per parte de chi?

Corallina. Per parte mia.

Pantalone. E no podè aspettar de parlarme a casa?

Corallina. Avevo piacere di ritrovarvi a Rialto.

Pantalone. Cossa vorressi da mi a Rialto?

Corallina. So che fate lì tutti i vostri pagamenti.

Pantalone. E per questo?

Corallina. Vorrei che mi restituiste i miei cento e cinquanta ducati.

Pantalone. Perchè rason? No ve pago el vostro pro pontual?

Corallina. Sì signore, ma ho da servirmene per un affar di premura.

Brighella. (Stè a veder, che anca questi ghe li magna Pantaloncin). (da sè) [p. 145 modifica]

Pantalone. Coss’èlo sto affar de premura? Voi saverlo anca mi.

Corallina. Perdonatemi, signore, della roba mia non sono obbligata render conto a nessuno.

Pantalone. E mi no ve vol dar gnente, se no so dove che li volè impiegar. Son vostro patron, vu se sola, no gh’avè parenti, no vôi che li dezzipè, no voi che ve li fe magnar da qualcun.

Corallina. Vi dirò, signore, mi è venuta occasione di maritarmi.

Brighella. Sior padron, el tempo passa.

Pantalone. Vago. Chi xelo el no vizzo?

Corallina. Arlecchino.

Pantalone. Ben, parlerò con Arlecchin, e fe conto d’averli avui.

Corallina. Signore, non faremo niente.

Pantalone. Mo per cossa?

Corallina. Non faremo niente, se non mi date il dieci per cento.

Pantalone. El diese per cento! Con chi credeu d’aver da far? Chi v’ha messo in testa ste bestialità?

Corallina. Ho trovato chi me lo dà.

Pantalone. Chi èlo sto desperà, che ve vol dar el diese per cento?

Corallina. Non posso dirlo, signore.

Brighella. Che lo dirò mi, sior padron. L’è el sior Pantaloncin, so degnissimo fio.

Pantalone. Mio fio?

Brighella. Sior sì, e za tempo la ghe n’ha dà altri cento e cinquanta al medesimo prezzo.

Pantalone. Oh poveretto mi!

Corallina. Come diavolo lo avete saputo? (a Brighella)

Pantalone. Tocco de desgraziada! Ti va a dar bezzi a mio fio? Anca ti per avarizia ti agiuti la barca a precipitario? Ma sentì, sta volta el mal casca sora de ti; i bezzi ti li ha persi, el te li ha magnai, matta, stramba, senza giudizio, to danno: maledetto interesse! El chiappa tutti, e mi poverazzo, mi me tocca sentir le stoccae, soffrir la vergogna. Ah fio desgrazià! Maledetto zogo! El zogo me l’ha ruvinà. Sto zogo i lo gh’ha [p. 146 modifica] in ti ossi. Vardè se trionfa el zogo per tutto. I ha fina stampà le carte da zogar in ti fazzoletti da naso. (via)

Corallina. Ma voi come diavolo avete saputo...

Brighella. Patrona, vago a Rialto.

Corallina. Ditemi, come avete saputo che io abbia dati questi denari al padron giovine?

Brighella. Vorla che ghe lo diga?

Corallina. Sì, mi farete piacere.

Brighella. Me l’ha dito Arlecchin.

Corallina. Arlecchino?

Brighella. Siora sì, el so sposo, la so bella zoggia. Donne, donne, che se tacca sempre al so pezo.

Corallina. Ma sentite...

Brighella. Patrona, vago a Rialto. (via)

Corallina. Disgraziatissimo d’Arlecchino! L’ho tanto pregato che non dica niente a nessuno, e subito lo ha detto a quel chiacchierone3 di Brighella? Me la pagherà. Lo voglio far pentire d’aver parlato; è vero che ancor io avevo promesso di non parlare, e ho parlato, ma finalmente l’ho detto ad uno che ha da esser mio sposo; e lui lo va a dire a Brighella? Me la pagherà. Ma ora che ci penso, il signore padrone mi dice che i miei denari li ho persi, che il padroncino me li ha mangiati? Non vorrei che fosse verità... Eh, non può essere; se li ho veduti nella borsa due ore sono, se va il pro sopra il capitale, se vi ha messi dentro perfino li due zecchini del dito piccolo.

SCENA IX4.

Arlecchino e Corallina.

Arlecchino. E cussì, Corallina, la dota cressela o calcia?5

Corallina. Per te è calata del tutto.

Arlecchino. Avanti de manizzarla?6 [p. 147 modifica]

Corallina. Sì, per causa della tua lingua.

Arlecchino. Mo cossa t’oggio fatto7 colla lingua?

Corallina. Chiacchierone! Cosa hai raccontato a Brighella?

Arlecchino. Mi no gh’ho dito altro che quel che ti m’ha dito ti.8

Corallina. Bravo! ed egli l’ha raccontato al padrone vecchio.

Arlecchino. Ma mi no gh’ho miga dito che el ghe lo diga.9

Corallina. T’ho pur detto io, che tu non lo dicessi a nessuno.

Arlecchino. Gnanca10 a Brighella?

Corallina. Ho detto a nessuno, a nessuno.

Arlecchino. I dis che ogni regola gh’ha la so eccezion, credeva de poderlo dir almanco a uno.11

Corallina. Sei un balordo.

Arlecchino. Ti vedi ben, semo paesani, semo camerada, el me vol ben, me conseio con lu.12

Corallina. Non occorr’altro. Confidati nel tuo Brighella; e con me, chi ha avuto ha avuto.

Arlecchino. Ma la dota mi non l’ho avuda.13

Corallina. E non l’averai nemmeno.

Arlecchino. Cossa vut che fazza de ti14 senza la dota?

Corallina. Quello che io farò di te.

Arlecchino. Che voi mo dir?15

Corallina. Ti mando al diavolo.

Arlecchino. E mi dove t’oi da mandar?16

Corallina. Ignorante!

Arlecchino. Et17 in collera. Corallina?

Corallina. Non esser buono da tacere un segreto.

Arlecchino. Via, compatissi18; fa conto che sia una donna.

Corallina. Io i fatti miei non li dico a nessuno. [p. 148 modifica]

Arlecchino. Ti l’ha pur dito a mi.19

Corallina. A te lo potevo dire.

Arlecchino. E mi credeva de poderlo dir a Brighella.20

Corallina. Sei un asino.

Arlecchino. Via, ti sarà me muier.21

Corallina. Ah, la mia dote la voglio impiegar meglio.

Arlecchino. At paura che te la ruvina?22

Corallina. Sì, ho paura che me la consumi.

Arlecchino. Bisogna ben che la sia pochetta. 23

Corallina. Sono trecento ducati in denari contanti; e ho dell’oro e ho della biancheria.24

Arlecchino. No l’è po sto gran tesoro.

Corallina. È una dote da poveretto.

Arlecchino. Da poveretto? No vôi altro.

Corallina. Perchè? Sei un gran signore?

Arlecchino. No son un gran signor, son un servitor, ma no vôi esser poveretto.

Corallina. O povero, o ricco, non sei per me.

Arlecchino. Se mi no son per ti; gnanca ti ti sarà per mi.

Corallina. Che vuol dire, ti preme poco della mia persona.

Arlecchino. Qualche volta me preme, e qualche volta no me preme.25

Corallina. E adesso...

Arlecchino. Adesso no me preme troppo.

Corallina. Io voglio un marito, che di me abbia sempre premura.

Arlecchino. Ti stenterà26 a trovario.

Corallina. Mi proverò.

Arlecchino. Prova, e se no ti trovi de meggio, vien da mi.27

Corallina. Quando28 è fatta, non si torna indietro.

Arlecchino. Penseghe29 avanti de farla. [p. 149 modifica]

Corallina. Se tu non fossi così chiacchierone, non ti lascierei per un altro.

Arlecchino. Con qualcun bisogna che parla.30

Corallina. Parla con me.

Arlecchino. Tornemo sul proposito31 della dota.

Corallina. Tu non pensi ad altro che alla dote, e di me non fai conto. Chi non fa stima di me, non merita la mia dote. Quattro o cinquecento ducati non sono molto, è vero, ma ho qualche cosa che val di più. Sono economa, son faccendiera, so far di tutto, e mi contento di poco. Pensaci, e se ciò non ti basta, e se una donna della mia sorte non ti soddisfa, Arlecchino, tu non sei di buon gusto. (via)

Arlecchino. Veramente la gh’ha del bon; ma sto bon el gh’ha el so dretto e el so roverso. Eh! bisognerà che la toga; se vôi trovar una muier che gh’abbia tutto dolce, senza niente de amaro, no me marido più per tutto el tempo de vita mia.32 (via)

SCENA X.

Camera in casa di Pantalone.

Madamigella Giannina e Beatrice.

Madamigella. Così è, amica, voglio provarmi.

Beatrice. Fareste un’opera portentosa.

Madamigella. Credo che nel signor Pantaloncino vi sia un fondo buono, e che tutto il male provenga dai pregiudizi, che sono nel di lui spirito insinuati. Questi si ponno facilmente distruggere, quando l’uomo riducasi ad ascoltare un linguaggio nuovo, che abbia forza di riscuotere la ragione e di convincere la volontà.

Beatrice. Mio fratello avrebbe a voi una obligazione ben grande, se arrivaste col vostro sapere a coneggerlo, ad illuminarlo; e [p. 150 modifica] l’avrebbe a voi tutta questa nostra povera casa afflitta e disordinata per sua cagione.

Madamigella. Non è egli in casa?

Beatrice. Sì; è in casa da un’ora in qua; passeggia solo, è turbato, e qualche volta sospira.

Madamigella. (Chi sa che io a quest’ora non abbia fatta qualche impressione nel di lui animo?) Amica, con qualche pretesto mandatelo qui da me. Ora che non è in casa mio zio, posso prendermi qualche poco di libertà.

Beatrice. Procurerò di mandarlo. Ma ditemi, madamigella, vostro zio vuol egli ammogliarsi?

Madamigella. Credo che lo farà, quando io sarò collocata.

Beatrice. Una volta pareva ch’egli avesse della bontà per me.

Madamigella. Sì, è vero: ha della stima di voi.

Beatrice. Basta... Non dico altro.

Madamigella. V’intendo; e credetemi che anche per questa parte vi sarò amica.

Beatrice. Ora vi mando subito mio fratello. (con allegria)

Madamigella. Fatelo con buona grazia.

Beatrice. (Oh, monsieur Rainmur sarebbe per me la bella fortuna), (da sè, via)

Madamigella. Eppur è vero. Lo provo io medesima. Amore è un non so che superiore al nostro intelletto, e vincitor delle nostre forze. Per quanta resistenza voglia fare ad una passione ridicola, che mi trasporta ad amare uno che non lo merita, son forzata ad arrendermi e ad assoggettare la mia ragione ad un piacer pernizioso. Che forza è questa? D’attrazione? Di simpatia? O di destino? Qual filosofo me la saprebbe spiegare? Ma la dottrina è inutile, dove l’affetto convince. Io l’amo, e tanto basta. Il conoscerlo indegno d’amore non opra ch’io l’abbandoni, ma che lo desideri degno d’essere amato. Al desiderio unir voglio l’opera mia, e se mi riesce cambiargli il cuore, potrò dir con ragione che il di lui cuore sia mio, e andrò gloriosa di una tale conquista, più di quello farei se cento cuori docili per natura mi si volessero assoggettare. Eccolo il mio [p. 151 modifica] nemico. Chi lo vuol vincere, conviene batterlo dove si può credere men difeso. Anche l’adulazione può essere lodevole, quando tende ad onesto fine.

SCENA XI.

Pantaloncino e detti.

Pantaloncino. Xela ela, patrona, che me domanda?

Madamigella. Chi vi ha detto, che siete voi domandato?

Pantaloncino. Mia sorella.

Madamigella. Vostra sorella è bizzarra davvero. La premura che siate meco, è sua; dovrei parlarvi per una sua commissione, e mi dispiacerebbe che mi credeste sì ardita d’avervi per conto mio incomodato.

Pantaloncino. Cara ela.... Me maraveggio. Mi no so far cerimonie, e ancuo per dirghela ghe n’ho poca voggia. Son qua. Cossa comandela?

Madamigella. Non volete sedere?

Pantaloncino. Se el discorso xe longo, gh’ho un pochetto da far, lo sentirò un’altra volta; e se el xe curto, tanto stago anca in piè.

Madamigella. Se non volete seder voi, permetterete che seda io.

Pantaloncino. La se comoda pur.

Madamigella. Ora tirerò innanzi una sedia.

Pantaloncino. La se comoda.

Madamigella. (Questa sua inciviltà me lo dovrebbe rendere odioso, e pure ancora la compatisco). (va per la sedia)

Pantaloncino. (Se no gh’avesse in testa el balin del zogo, me devertirave un pochetto).

Madamigella. Signor Pantaloncino, non mi darete nemmeno una mano a strascinar questa sedia? (di lontano, vicino alla sedia)

Pantaloncino. Oh sì, la compatissa. No gh’aveva abbadà; la servirò mi. (porta egli la sedia innanzi)

Madamigella. Siete poco avvezzo a trattar colle donne. [p. 152 modifica]

Pantaloncino. Ghe dirò. Mi fin adesso son andà sempre a pepian. In soler33 poche volte.

Madamigella. Avete fatto un gran torto a voi medesimo.

Pantaloncino. Mo perchè?

Madamigella. Il vostro merito non doveva portarvi alle conversazioni indegne di voi.

Pantaloncino. Credela che mi sia un putto che merita?

Madamigella. Sì, lo credo con fondamento.

Pantaloncino. Grazie, grazie, patrona, grazie.

Madamigella. Le vostre amabili qualità potrebbero farvi far onore, se voi le teneste in maggiore riputazione.

Pantaloncino. Putta cara, son cortesan, vu me de el mandolato, ma no lo magno. Se vu avè studià i libri de filosofia, mi ho studià quelli del baronezzo, e ghe ne so tanto che basta per menarve a scuola vu, e diese della vostra sorte.

Madamigella. Questi libri del baronezzo vi hanno insegnato a disprezzar voi medesimo?

Pantaloncino. I m’ha insegnà a cognosser co i me minchiona.

Madamigella. Credete dunque che io vi burli?

Pantaloncino. E come!

Madamigella. Ditemi: vi guardate mai nello specchio?

Pantaloncino. Qualche volta, co me petteno.

Madamigella. Lo specchio vi dirà che siete bruttissimo.

Pantaloncino. No, la veda, patrona; col specchio fa natural, no me descontento.

Madamigella. Gli occhi vostri vi pareranno imperfetti.

Pantaloncino. No so gnente, patrona; me par, se ho da dir quel che sento, che i sia passabili.

Madamigella. La bocca! Oibò! La movete con mala grazia.

Pantaloncino. E pur, co rido, me par che no ghe sia mal.

Madamigella. Che dite della vostra fronte?

Pantaloncino. No sta a mi a dirlo, ma la mia aria no la xe da villan. [p. 153 modifica]

Madamigella. Signor Pantaloncino, begli occhi, bella fronte, bel labbro, e non sarete amabile?

Pantaloncino. Cara ela... la me fa vergognar.

Madamigella. Vi burlo, eh?

Pantaloncino. No so cossa dir...

Madamigella. Signor cortigiano, vi ha insegnato bene il vostro libro del baronezzo?

Pantaloncino. Confesso anca mi, che delle volte se falla.

Madamigella. Sapete cosa vi ha insegnato questo vostro bel libro?

Pantaloncino. Cossa, cara ela?

Madamigella. A trattar male colle persone civili.

Pantaloncino. Perchè, patrona?

Madamigella. Parvi una civiltà, una buona grazia, tollerare che una fanciulla per causa vostra soffra il disagio di favellarvi in piedi?

Pantaloncino. Perchè no se sentela?

Madamigella. I miei libri, che non sono di baronezzo, m’insegnano di non sedere, quando stia in piedi chi mi deve ascoltare.

Pantaloncino. Donca bisognerà che me senta anca mi.

Madamigella. Così fareste, se aveste meglio studiato.

Pantaloncino. Co no ghe xe altro mal, ghe remedio subito. (va a prendere la sedia)

Madamigella. (Gran giro mi convien fare per giungere al punto che io mi sono prefisso). (da sè)

Pantaloncino. Ecco qua la carega.

Madamigella. Sedete.

Pantaloncino. Me maraveggio. Tocca a ela.

Madamigella. Effetto di vostra gentilezza. (siede)

Pantaloncino. Obbligo della mia servitù.

Madamigella. Oh signor Pantaloncino, questi termini, queste buone grazie, non le avete studiate nel vostro libro.

Pantaloncino. No, patrona, le xe cosse che le imparo da ela.

Madamigella. Dunque confessate, che sinora avete avute delle cattive lezioni.

Pantaloncino. Sarà come che la dise ela. [p. 154 modifica]

Madamigella. (Va cedendo, spero bene). (da sè)

Pantaloncino. Ma cossa ala da comandarme?

Madamigella. Deggio parlarvi per commissione di vostra sorella.

Pantaloncino. Cossa vol da mi mia sorella?

Madamigella. Ella è innamorata.

Pantaloncino. Che la se comoda, che bon pro ghe fazza.

Madamigella. Ma l’amante, per dirla, non è degno di lei.

Pantaloncino. Con chi fala l’amor?

Madamigella. Vi dirò: il di lei genio la porta ad amare una persona che non merita l’amor suo.

Pantaloncino. Che vol dir?

Madamigella. Un giovine nato civile, se vogliamo, ma che ha massime vili.

Pantaloncino. Oibò, la fa mal mia sorella.

Madamigella. Accordate anche voi, che fa torto alla nascita chi la deturpa?

Pantaloncino. No vorla? Siguro.

Madamigella. Sappiate di più, che codesto giovane da lei amato è un giocatore, che consuma nelle biscaccie il tempo, il denaro e la salute medesima.

Pantaloncino. Pezo. La starave fresca!

Madamigella. Ah! Che dite? Un giocatore di questa sorta è un bel fior di virtù?

Pantaloncino. El zogo, el zogo... Basta... tiremo avanti.

Madamigella. Oh che poca avvertenza ha questa vostra sorella! Il di lei amante è rovinato: ha precipitata la casa in crapule, in feste, in divertimenti, in compagnia di gente trista, in case o disonorate o sospette.

Pantaloncino. Come? xela deventada matta? Co sta sorte de zente la fa l’amor? Voggio dirghe l’animo mio. Voggio che la me senta...

Madamigella. Fermatevi; non tanto caldo. Sapete chi è la persona viziosa, che ama vostra sorella?

Pantaloncino. Chi xelo sto poco de bon?

Madamigella. Il signor Pantaloncino de’ Bisognosi. [p. 155 modifica]

Pantaloncino. Mi, patrona?

Madamigella. Sì, voi. Guardatevi in quello specchio in cui si ravvisano gli animi, in cui i vizi e le virtù si distinguono. Guardatevi in quello specchio che vi ho posto dinanzi agli occhi, e conoscete voi stesso. Se un cristallo sincero vi assicura che siete amabile, un ragionamento veridico vi convinca che non siete d’amare. Poveri doni di natura, in voi traditi da un ingratissimo abuso! Infelici le grazie del vostro volto, deturpato dal vostro basso costume! Sfortunato quel sangue che nelle vene vi scorre, misero quel padre che a voi diede la vita, infelice colei che ingiustamente vi ama.

Pantaloncino. E mia sorella me vol tanto ben?

Madamigella. Sapete voi chi è la sorella che cotanto vi adora?

Pantaloncino. Chi xela? No la xe Beatrice?

Madamigella. No; ella è la povera madamigella Rainmur.

Pantaloncino. Ella?

Madamigella. Sì. Io; lo confesso con mio rossore.

Pantaloncino. Madamosella, vu me obblighè... vu me intenerì... son qua.... son tutto vostro...

Madamigella. Andate, che non so che fare di voi. (s’alza)

Pantaloncino. Come! Questa xe una maniera de burlar. Disè che me volè ben, e po me scazzè in sta maniera?

Madamigella. Quando dico d’amarvi, fo una giustizia al merito del vostro viso; quando da me vi scaccio, tratto come merita il vostro basso costume.

Pantaloncino. Songio tanto cattivo?

Madamigella. Non avete studiato altro libro, che quello del baronezzo.

Pantaloncino. Xe vero, ma... son zovene, son ancora a tempo de far dei studi da niovo.

Madamigella. Sareste voi disposto a prendere delle migliori lezioni?

Pantaloncino. Sì, cara, sotto una maestra cussì virtuosa, e cussì furbetta, impareria in poco tempo.

Madamigella. Come sta il vostro cuore! [p. 156 modifica]

Pantaloncino. El mio cuor xe d’una pasta cussì tenera, che el se lassa domar con una somma facilità.

Madamigella. V’annoiano i miei discorsi?

Pantaloncino. No, fia, i me dà gusto.

Madamigella. Sedete.

Pantaloncino. Volentiera. (siedono)

Madamigella. Ascoltatemi.

Pantaloncino. Son qua. (s’accosta bene a madamigella)

Madamigella. Non vi accostate cotanto. Le parole si sentono anche in qualche distanza. (si scosta)

Pantaloncino. Ma le parole opera meggio, co le xe agiutae dall’azion.

Madamigella. Questa è una lezione del vostro libro.

Pantaloncino. Via, no digo altro. V’ascolterò come che volè.

Madamigella. Vuò darvi la prima lezione, la quale farà onore a me, se la saprò dire, farà onore a voi, se la saprete ascoltare.

Pantaloncino. Son qua, ve digo. Ve ascolto con tutto el cuor.

Madamigella. Caro Pantaloncino...

Pantaloncino. (La lizion scomenza pulito). (da sè)

Madamigella. L’uomo che non conosce se stesso....

SCENA XII.

Monsieur Rainmur e detti.

Madamigella. Mio zio. (a Pantaloncino, alzandosi)

Pantaloncino. Monsù, la reverisso.

Rainmur. Servitore ben obbligato. (con riverenza gentile)

Pantaloncino. La compatissa, se dago incomodo a madamosella.

Rainmur. Ben obbligato.

Madamigella. Il signor Pantaloncino ha una bellissima disposizione alle belle lettere.

Rainmur. Me ne rallegro. (con qualche ironia)

Pantaloncino. Sta signora xe una gran virtuosa.

Rainmur. Ben obbligato. (a Pantaloncino) Andate nella vostra camera. (piano a madamigella) [p. 157 modifica]

Madamigella. Signore...

Pantaloncino. La xe un’arca de scienze.

Rainmur. Obbligato. (a Pantaloncino) In camera. (a madamigella, battendo il bastone per terra)

Madamigella. Vado. Signore. (una riverenza a Pantaloncino)

Pantaloncino. Comandela che la serva? (vuol dar braccio a madamigella)

Rainmur. Non importa, non importa. (lo trattiene con ironia)

Pantaloncino. El mio dover....

Rainmur. Ben obbligato.

Madamigella. (Anche mio zio ha poco studiato quella morale moderna, che unisce tanto bene la società ed il decoro.) (da sè, via)

Pantaloncino. Gran belle massime s’impara da quella so nezza.

Rainmur. Io ne sono contento.

Pantaloncino. Ma perchè l’ala fatta andar via?

Rainmur. Vi averà incomodato bastantemente.

Pantaloncino. Anzi la me insegnava delle bellissime cosse.

Rainmur. Mia nipote non è nata per fare la maestra alla gioventù.

Pantaloncino. La vede ben: discorrendo sempre se impara.

Rainmur. Non vorrei ch’ella imparasse qualche cosa da voi.

Pantaloncino. Cossa porla imparar da mi?

Rainmur. Perdonatemi. A non conoscere nè la civiltà, nè l’onore.

Pantaloncino. Come parleu, sior?

Rainmur. Vi dico in casa, quello che non vi dovevo dir sulla strada.

Pantaloncino. Mi son un omo incivil?

Rainmur. Con me non avete usata la civiltà.

Pantaloncino. Mi no conosso l’onor?

Rainmur. Se conosceste l’onore, sareste più pontuale.

Pantaloncino. Adesso capisso el fondamento dei bei discorsi de madamosella. Vu m’avè messo in descredito con vostra nezza. La m’ha strapazzà con bona maniera, ma la m’ha strapazzà. Da ela ho sopporta i strapazzi, da vu non li vôi sopportar.

Rainmur. Io non parlerò con voi, se voi non parlerete con me. [p. 158 modifica]

Pantaloncino. Faressi meggio andar via de sta casa.

Rainmur. Sarete servito. (dolce, e con grazia)

Pantaloncino. E me maravveggio dei fatti vostri. (forte)

Rainmur. Non alzate la voce.

SCENA XIII.

Brighella e detti.

Brighella. Coss’è sta cossa?

Pantaloncino. Coi galantomeni no se tratta cussì.

Brighella. Com’èla? Signor, el sior Pantalon l’è qua che el ghe vol parlar. (a Rainmur)

Rainmur. Ditegli che or ora io e mia nipote se ne anderemo di casa sua.

Brighella. Mo perchè, signor?

Rainmur. Perchè suo figlio è un pazzo. (eia)

Pantaloncino. A mi matto? Sangue de diana (vuol seguirlo)

Brighella. La se ferma. Cossa è stà.

Pantaloncino. Sior foresto della favetta34....

Brighella. La se ferma, l’è qua so sior padre.

Pantaloncino. Strapazzarme? Lo vôi mazzar.

Brighella. Sior padron, la vegna. La veda so fio... (alla scena)

Pantaloncino. Vien mio pare; xe meggio che vaga via, ma lo troverò colù, lo troverò. (via correndo)

SCENA XIV.

Pantalone gli corre dietro sin dentro la scena.

Brighella. La se ferma, la senta. (dietro a Pantalone) Sto putto vol esser el so precipizio. [p. 159 modifica]

SCENA XV.

Pantalone dalla medesima parte dove è entrato.

Pantalone. Furbazzo, te chiapperò. El s’ha serrà in camera. Cossa xe stà, Brighella?

Brighella. No so gnente. Strepiti grandi. Monsù vuol andar via de sta casa.

Pantalone. Mo per cossa?

Brighella. Per causa de so fio.

Pantalone. Oh poveretto mi! Monsù Rainmur dove xelo?

Brighella. Presto, la ghe parla.

Pantalone. Dove xelo?

Brighella. El sarà in camera. Andemo, no la perda tempo.

Pantalone. Sì, andemo.... Ma prima vôi parlar co mio fio. Vôi sentir cossa xe stà; avanti de presentarme a monsù Rainmur, vôi saver come che m’ho da contegnir.

Brighella. Ma se sior Pantaloncin s’ha serrà.

Pantalone. Va là ti, falò averzer. Fidelo; dighe che ghe parlerò con amor.

Brighella. Farò quel che posso. In verità, sior padron, che gh’ho el cuor ingroppà. (via)

Pantalone. Ah fio indegno! Ah fio desgrazià! Poveri pari! Poveri pari! Chi se augura fioli, se specchia in mi. Chi li gh’ha boni, ringrazia el cielo, e chi li gh’ha cattivi, i pol dir d’aver un travaggio, che supera tutti i travaggi del mondo.

Fine dell’Atto Secondo.



Note

  1. Biri, o Birri, chiamasi a Venezia «un’ampia contrada dietro la chiesa di S. Canciano »: G. Tassini, Curiosità venez., Ven. 1886, p. 89.
  2. Canale: v. Boerio.
  3. Nel testo: chiachiarone.
  4. Questa scena, voltata in toscano, leggesi anche nell'ed. Paperini (A. II, sc. XII).
  5. Pap.: «Pasq. E così, Corallina, la dote cresce o cala?».
  6. Pap.: di maneggiarla.
  7. Pap.: Che cosa ho fatto io ecc.
  8. Pap.: Io non gli ho detto altro, se non quello che tu dicesti a me.
  9. Pap.: Ma io non gli ho detto che lo dicesse.
  10. Pap.: Neanche.
  11. Pap.: Dicono che ogni regola ha la sua eccezione, credevo di poterlo dire almeno a uno.
  12. Pap.: Vedi bene, siamo della stessa patria, siamo di camerata, mi vuol bene, ed io mi consiglio con lui.
  13. Pap.: La dote io non l’ho avuta.
  14. Pap.: Che vuoi che faccia di te ecc.
  15. Pap.: Che vuol dire?
  16. Pap.: Ed io dove devo mandarti?
  17. Pap.: Sei.
  18. Pap.: scusami.
  19. Pap.: L’hai pur detto a me.
  20. Pap.: Ed io credevo di poterlo dire a Faccenda.
  21. Pap.: Via, sarai mia moglie.
  22. Pap.: Hai paura che te la sciupi?
  23. Pap.: Ella non è tanto poca.
  24. Segue nell’ed. Pap.: «ma non è per te. Pasq. Se io non sono per te, tu non sarai per me».
  25. Segue nell’ed. Pap.: «Cor. E ora? Pasq. Non molto. Cor. Io voglio ecc.»
  26. Pap.: Stenterai ecc.
  27. Pap.: e se non trovi di meglio, vieni da me.
  28. Pap. aggiunge: la cosa.
  29. Pap.: Pensaci ecc.
  30. Pap.: Con qualcheduno convien ch’io parli.
  31. Pap.: Torniamo al proposito ecc.
  32. Questa è sc. XIII nell’ed. Paperini: «Pasquino solo. Veramente ha del buono; ma questo buono ha il suo dritto ed il suo rovescio. Ah! Converrà ch’io la prenda. Se voglio trovar una moglie che abbia tutto dolce, senza niente di amaro, non mi accaso più per tutto il tempo di vita mia. parte».
  33. Piano superiore o piano nobile: v. Boerio.
  34. Vol. II. p. 420.