I Bernardi/Atto I
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ATTO I
SCENA I
Noferi, Fazio vecchi.
Noferi.Quest’è a punto ’l tempo e l’ora solita
che Fazio suol uscir di casa. Oh! Eccolo
a punto di qua. Tu se’ si sollecito,
Fazio? che vuol dire?
Fazio.Oh! Buon di, Noferi.
Noferi.Buon di e buon anno.
Fazio.Quest’è ’l mio solito,
che ’nfin da giovanezza fui sollecito
e buon levatore.
Noferi.Io el contrario.
Ma donde, a si grand’ora?
Fazio.L’ordinario:
da udir messa.
Noferi.Tu mi par si torbido
stamani! Che ara’ fatto? Con mógliata
qualche batosta?
Fazio.Mal potre’ combattere
con lei: ch’ieri andò in villa a pigliar aria
con la fanciulla e la fante; e verrassene
stasera o domattina. Ma io fantastico
sopra un mio caso, che, benché lunghissima
la notte sia, m’ha, stanotte, continovamente
tenuto desto.
Noferi.Se gli è lecito,
o s’egli ti vien ben comunicarmelo,
fallo: che, forse, ti darò ’l consiglio
senza ’l fiorin; s’el caso, però, ’l merita
o lo ricerca.
Fazio.Assai ti ringrazio.
Ma, in questo caso, non è necessario
molto il consiglio perché ’l male, Noferi
mio, è giá fatto; se male debb’essere
il mio.
Noferi. Dunque, di mal porti pericolo?
Fazio.Pericol, si, ma nella borsa.
Noferi. Duolmene,
per Dio. Ma che cosa è?
Fazio.Tu la vuo’ intendere;
i’ me n’avveggio.
Noferi. Si, sendoti comodo
il dirlo; ch’altramente, noi desidero.
Fazio.Tel dirò. Io manda’ a Roma quel giovane
ch’i’ tengo in casa per compagnia di Albizo
mio figliuolo, è un mese, per riscuotere
certi danari dal reverendissimo
cardinale di Capua, che servitolo
avea, sendo in Firenze in minoribtis.
Noferi.Si, ch? Che somma?
Fazio.Dumila di camera,
tutti in una partita sola.
Noferi.Avevigli?
Fazio.Cosí gli avessi io ora!
Noferi.In fine, seguita:
ch ’è avenuto?
Fazio.È che giá son duo sabati
che da Suo’ Signoria tengo lettere
che gli ha pagati.
Noferi.O non lo scrive el giovane?
Fazio.Lo scrive; e dice voler partir subito.
Ma non arriva.
Noferi.Datt’egli notizia
di sua partita a punto?
Fazio. Io non ho lettere
di poi: se non che ’l procaccia, che ultimamente
venne, m’afferma quello essere
di tre giorni partito, la domenica
che ei montò a cavallo; ond’ora esserci
do verrebbe.
Noferi. Gli è ver. Ma di che dubiti,
in questa cosa?
Fazio. Dice «di che dubiti»!
Di quel che è da dubitar: non perdere
i mie’ danar.
Noferi. Vo* dir, dove va l’animo
tuo; quel che ne pensi.
Fazio. Le disgrazie
son sempre apparechiate; e poi il comodo
fa spesso l’uomo ladro.
Noferi. Oh! Quest’intendere
volea da te: se del giovane dubiti.
Fazio. D’ogni cosa tem’io.
Noferi. Mi maraviglio
de’ fatti tuoi, che, se d’un non ti fidi,
gli dia faccenda tale. Ti mancavano
uomini da mandar?
Fazio. Ci è ben dovizia
d’uomini, si; ma, de’ fedel, pochissimi
ci sono.
Noferi. Come non ti venne in animo
mandare il tuo figliuol?
Fazio. Gli è troppo giovane;
e non si debbe a un fanciullo credere
si grossa somma, pe’ casi che nascere
posson sempre. Che ne so io?
Noferi. Piacemi
il tuo discorso. Ma questo tuo giovane
quant’è che ti fu in casa?
Fazio. Oh! È giá un numero
di dodici anni.
Noferi.E fedel hai trovatolo,
ne l’altre tuo’ faccende?
Fazio.Fedelissimo.
Noferi.D’ond’è?
Fazio.Mi dice egli esser da Genova
e di nobil famiglia; benché, pregami
ch’i’ noi vadia dicendo, che vergognasi
di star come gli sta.
Noferi.Questo è il solito
di tutti que’ che son fuor della patria
e van per l’altrui case: farsi nobile.
Die ’l sa, po’, chi e’ sono! Pur, può essere.
D’ogni sorte va a torno. Come chiamasi?
Fazio.Bernardo, par a me, di casa Spinola.
Noferi.Ben, be’: gli è di gran casa. E per che causa
dice egli esser fuor? per la republica?
Fazio.No, no. È pur per altro.
Noferi.È un miracolo,
certo: che esser suol consuetudine
di simil gente per lo stato fingere
d’esser fuori; e di poi, spessissime
volte, si trova che son fuor per debito
e, talora, di mane ed altre simili
ribalderie. Ma ei del suo essilio
che cagion dice?
Fazio.Ch’a uno omicidio
si trovò giá con certi.
Noferi.Si può credere,
cotesto. E che ancora e’ sia nobile,
si come e’ dice: che ’n tale error caggiono
uomini d’ogni sorte; e ’l suo procedere
anco lo mostra, ch ’un che non è ignobile
ne fa ritratto. E, per questo, non piccolo
conforto ti vo’ dar, che tu non dubiti
di lui; che, se gli avessi avuto in animo
di tòrti e’ tuo’ danar, perché di scriverti
e darti aviso gli era necessario?
Non potev’ei, senz’altro, verso Napoli
pigliar la volta?
Fazio.Certo, ch’i’ t’ho obbligo
de’ tua conforti; ma non è possibile,
per questo, ch’i’ non tema.
Noferi.Dir non possoti
altro. Ma lasciam questo. I’ vo’ la causa
dirti del mio venir cosí sollecito
a ritrovarti a casa. I* vogl’intendere
da te ch’animo è ’l tuo: se tu deliberi
dar donna al tuo fígliuol.
Fazio.Di che domandi?
ch’è ancora un fanciul, ch’a punto quindici
di son ch’entrò ne’ ventanni, e non credo
ch’ei sappia ancor come sia fatta femina?
Noferi.Tu l’erri, Fazio. Oggi, e’ nostri giovani
son prima tristi che grandi. Né muovomi
a dirti questa cosa senza causa.
Basta ch’i’ so che vuol moglie.
Fazio.Io desidero
saper da te quel che ne sai e quel che ti
muove a questo.
Noferi.Tel dirò. Per Risobolo
sensale ed altri, m’ha fatto richiedere
che io gli dia per moglie quella giovane
ch’i’ tengo in casa; che forse debbe esserne
innamorato.
Fazio.Che mi di’ tu, Noferi?
Noferi.La sta cosi.
Fazio.I’, per me, mi strabilio:
per ciò ch’i’ mi pensava ch’agli studi
solo attendessi e non dietro alle femine.
Noferi.Noi biasimar, che si porta benissimo
a domandarla in sposa.
Fazio.Dimmi, Noferi:
chi ella è? e quando e come avestila
in casa?
Noferi. L’anno ch’i’ fu’ a Livorno,
che fará, a punto in questo maggio, dodici
anni, passando le galee di Napoli,
ed alloggiando meco, l’amiraglio
(che vi stette duo giorni), seco avendola,
me la lasciò: con condizion di renderla
a’ suo’ parenti, se mai si trovassero.
Fazio. Chi sono e’ sua parenti?
Noferi. Di Cicilia,
par a me; ma non credo che lo sappia
a pena ella.
Fazio. In che modo ebbela
quel capitano nelle mani?
Noferi. Tolsela
a certe fuste di mori che rimasero J
suo’ prigion; tra le quali una ne missero
in fondo, ove era il padre della picciola
fanciulla.
Fazio. Di che etá era ella?
Noferi. Pensomi
che avessi un quattr’anni o cinque.
Fazio. Puossene
ella ricordare?
Noferi. Oh! oh! Benissimo
se ne ricorda.
Fazio. E con lei alcuni uomini
non erano, ch?
Noferi. Si. Era ben un giovane
piamontese, il qual era famiglio
loro; e dicea che l’era di Cicilia
e che, venendo in queste parti, furono
presi da’ mori e di poi, come io t’ho
detto, scontrando le galee di Napoli,
furono fatti liberi. Io pensava
ch’in Cicilia tornassi a dar notizia
a’ parenti di lei della disgrazia
intervenuta e dove ella trova vasi.
Ma, perché allor non aveva un danaio,
colle galee se n’andò verso Spagna
dove erano indiritte. E potrebbe essere
che po’ ito vi fusse. E potre’ giugnere,
un giorno, qua, con qualche suo strettissimo
a cui dariela.
Fazio. Questa non è pratica
da lui.
Noferi. T me lo intendo. E fo disegno,
quando tu ’l voglia accompagnar, di metterti
altro partito innanzi. E son certissimo
che non te ne discosterai.
Fazio. Ragionami
d’una cosa da fare; e, se gli ha animo
di pigliar moglie, io son per fartene
onore.
Noferi. Io vo’ venir teco alla libera
e non per andirivieni. Io desidero,
quando ti piaccia, alla nostra amicizia,
che fu infin da fanciulli, ancora aggiugnere
il parentado. I’ ti vo’ dar l’Emilia
mia figliuola, se la ti va in animo,
con dumila ducati e, piú, le donora
che ella ha: della qual so parlatoti
è stato altra volta; e tu rispostone
hai che ti piaceva e sol tenevati
che ’l tuo figliuol non ave* vòlto l’animo
a pigliar moglie. Ora che di’?
Fazio. Che piacemi;
e son contento, in caso che contentisi
Albizo mio figliuolo.
Noferi. Questo intendesi;
ch’altramente, io non voglio. Or dunque porgimi
la mano.
Fazio.Ecco.
Noferi.Io ti do l’Emilia,
in caso che se ne contenti Albizo.
Fazio.Ed io cosí l’accetto.
Noferi.Or solo restaci
che tu gliel dica e tu lo sappi svolgere
a questo, ch’è’l ben suo.
Fazio.Ne son certissimo;
e son, dal canto mio, per farne ogni opera.
Ma non vo’ giá, quando ben si contenti,
ch’el parentado si scuopra, se l’animo
di questi mie’ danar non ho piú scarico.
Noferi.Quest’è un caso che ’n picciolo spazio
si doverrá chiarire. Ti do un termine
di duo giorni, e sará’del tutto libero
o tu sará’in stato che potrassene
far el pianto.
Fazio.Face ’egli, pur ch’i’ sappia
di che morte ho a morir! —
Noferi.Mettiti in animo
el peggio ch’avenir ti possa; e poscia,
andando ben la cosa, ne ringrazia
Dio, come si de’ far d’un benefizio
ricevuto.
Fazio.Cosí farò.
Noferi.Or vattene
in casa e conta questa cosa a Albizo;
e di po’ fa’ che, passato le sedici,
i’ ti truovi in mercato.
Fazio.Cosí facciasi.
Addio.
Noferi.A te mi raccomando, Fazio.
SCENA II
Alamanno giovane, Gianni suo servidore.
Alamanno. Fra gli altri segni, quando vuoi conoscere,
Gianni, se sei col tuo padron in grazia
e se t’ha caro, pon’mente se egli
ti conferisce e’ segreti e se fidasi
di te, cora’ or fo io.
Gianni. Io son certissimo
che vo’ m’amate piú che ’l convenevole.
Ed io, dal canto mio, come è mio obligo,
colla mia servitú vi rendo il cambio.
Alamanno. Io lo veggio. E però, senza ch’i’ dubiti, c_
ti vo’ narrar ogni cosa acciò sappimi
me’ consigliare.
Gianni. Io son paratissimo
a darvi tutti i consigli che ottimi
istimerò per voi.
Alamanno. Or dunque, ascoltami.
Colei per cui, giorno e notte, affliggermi
vedi non è, come stimi, l’Emilia
di quel Noferi Amier ch’era or con Fazio;
ma è un’altra piú bella e piú nobile.
Gianni. Dunque, m’avete dimostrate lucciole
per lanterne infino a oggi?
Alamanno. Ascoltami.
Io l’ho fatto a buon fin, non giá per fingere.
Gianni. Non importa, padron, perch’ogni comodo
vostro è mio.
Alamanno. Tutto so benissimo.
Ma odi. Quella per cui sento struggermi
è quella che sta li.
Gianni. Chi? la Lucrezia
di Bernardo?
Alamanno. La figliuola di Cambio
Ruffoli, si.
Gianni. Dunque, si può conchiudere
che voi siete a un taglier medesimo
duo ghiotti.
Alamanno. No. Bernardo la sua opera
mi presta in questo; ed io gli rendo il cambio
in trattener l’Emilia, di cui spasima
egli, non di Lucrezia.
Gianni. Dch! Ve’ chiachiera!
E’ fa a l’amor per voi e voi il simile
fate per lui?
Alamanno. Si.
Gianni. Non posso intendere
questa cosa, né che diavolo muovere
vi possa a usar, in questo, simil termini.
Forse che siete di tal sorte giovane
che avete bisogno ch ’un uom simile,
che sta con altri, vi faccia aver grazia
colla dama, ch? Or non vi basta l’animo
acquistarla da voi, che è d’un povero
uomo figliuola?
Alamanno. E perché l’è d’un povero
uomo figliuola, come di’, diffidomi
v io; e dirotti perché. Ella conoscesi
non aver dote: e non gli par essere
tal che per sposo un uom come me meriti;
ed, ogni di, mi fa favor piú debole.
Onde, vedendo a Bernardo piú facile
l’aquistarla, come amico, imposigli
che vi attendessi egli: intendendosi
che, se mai dello amor fusse a buon termine,
mettessi me nel grado suo; ed io il simile
facessi della Emilia, la cui grazia
non ha mai potuto aquistar, per essere
in quel grado che gli è. E riuscivami:
che giá la cosa era ridotta a termine
buono; e, se ei non partiva cosí subito
per Roma, com’ha fatto, per riscuotere
dumila scudi del padron (che ’l diavolo
ne lo porti!), era io salvo.
Gianni. Potrebbe essere.
Ma io, per me, d’un simil uom, per dirvela,
non mi rídere ’mai.
Alamanno. Perché?
Gianni. Uno ignobile m
di rado ama un ch’è nobil. Non convengono
e’ giude’ co’ samaritan.
Alamanno. Son favole
coteste. E poi Bernardo è uomo nobile
a casa sua.
Gianni. Dio ’l sa.
Alamanno. Iddio e gli uomini
ancora el sanno. E, se tu vuoi promettermi
di noi dir mai, per ciò che è d’importanzia
grande, il suo caso ti dirò per ordine.
Gianni. Come, in ogni altra cosa, segretissimo
vi son, cosí prometto in questo d’essere.
Non dubitate.
Alamanno. Alza la fede.
Gianni. Eccola.
Alamanno. Or odi. In prima, quantunque e’ si nomini
Bernardo, el nome proprio suo è Giulio;
e, benché a tutti dica esser da Genova,
è da Palermo cittá di Cicilia;
e ’l padre suo, se gli è vivo oggi, chiamasi
Girolamo Fortuna.
Gianni. Dch! Ve’ favola
ch ’è questa!
Alamanno. Ed era, a casa sua, richissimo
e nobile.
Gianni. E per che conto usa ei fingere
esser un altro?
Alamanno. Tel dirò. E’ dubita
non esser amazzato; e’ ha grandissima
taglia dietro, per ciò che a un omicidio
si trovò d’un de’ primi di Cicilia.
E ’n questo stato stará fin che piaccia
a Dio: che so che tuttavia si pratica,
per mezzo d’un suo amico, di levargliela
e di rimetterlo, un di, nella patria;
dove soleva aver anco una rendita
di secento fiorin, di cui ha perdita
fatta, e riaver forse potrebbela.
Gianni. Or dich’i’ ben che gli ha ragion da vendere
a far a questo mo’. Ma perché domine
si chiama e’ piú Bernardo che Girolamo
o Matteo o altro nome? e perché Spinola
piú presto che Rosaio?
Alamanno. Oh! oh! Dirottelo.
Gli ha preso questo nome, che gli ha in Genova
un grand ’amico che cosí si nomina.
Gianni. Come?
Alamanno. Non odi tu? Bernardo Spinola,
che fu figliuol d’un mercante di credito
grande. E questo è quello che procaccia
di levargli la taglia e nella patria
ridurlo.
Gianni. Ben.
Alamanno. Or io in questo termine
mi truovo. Quando gli avea la Lucrezia
giá in pugno, e’ s’è partito; che giá lettere
gli aveva scritto ed ella esser prontissima
a compiacergli gli rispose, in caso
ch’e’ la pigliassi per sposa legittima.
E di tutto è la fante consapevole.
Gianni. Ben, be’, la cosa è molto in lá.
Alamanno. Consigliami,
adunque, ora tu quel che far debbia
in questo caso. I’ pensa’ che fra quindici
giorni ei tornasse, e son passati i sedici
giá due volte.
Gianni. I’ vo’ dirvi quel che subito
m’è venuto nel capo. V so che scrivere
sapete....
Alamanno. Diavolo anche ch’i’ non sappia!
Gianni. ...e contrafar la mano.
Alamanno. Al possibile;
che non è man ch’i’ non sappia benissimo
ritrar, che scritta da quel proprio paia.
Gianni. Buono. Questo mi piace. Or dunque, scrivasi
da voi una lettera che paia
di mano di Bernardo, o di Giulio,
che vogliam dir.
Alamanno. Di Bernardo, di grazia.
Non dir ma’ «Giulio». Questo si sdimentichi
da te in tutto e per tutto.
Gianni. Perdonatemi.
Non lo dirò ma’ piú.
Alamanno. Or avertiscivi,
ch’emporta.
Gianni. Al savio un sol cenno è bastevole.
Alamanno. Or be’, che ho io a dir in questa lettera?
Gianni. Come siate tornato e che gran numero
di danar vi trovate....
Alamanno. Verisimile
fia questo, perché gli andò per riscuotere,
come t’ho detto.
Gianni. Or udite.
Alamanno. Be’, seguita.
Gianni. ...e che vo’ siate ascosto acciò non trovivi
il padron.
Alamanno. Dunque, lo vuoi ladro fingere?
Questo giá non mi piace; ch’ogni grazia
perderá, se l’è donna ragionevole.
Gianni. Dch! ascoltate... e che siate prontissimo
a tórla per isposa e po’ menamela,
con que’ danari del padron, a Genova.
Alamanno. Pur lo fa’ ladro.
Gianni. No; ch’i’ voglio aggiugnere
«che dir si posson mia per il salario,
ch’i’ l’ho servito tant’anni». E credibile
questo parrá a lei, perché le femine
non discorron piú lá.
Alamanno. Oh! oh! oh! Piacemi
cotesto.
Gianni. E, perché gli è necessario
prima parlar insieme, pregherretela
che, come il padre è ito fuori, subito
vi metta in casa, nel modo e coll’ordine
ch’i’ vi dirò di poi, quando la lettera
scriverrete.
Alamanno. Sta bene.
Gianni. E, se l’è d’animo
che voi mi dite e se n’è consapevole
la fante, per uscir di tal miseria,
vi è me’ per riuscir che io non dicolo.
E, come siate in casa, che ella veggavi
in viso, vo’ saresti ben uom debole,
se, in poche parole e presto, non ve la
facessi amica; che di Monterappoli
ara la lancia né gli fia possibile
far altramente che la vostra grazia
mantenersi e donar quel non può vendere.
Che dite?
Alamanno. Vo’ lo far. Ma come domine
gli manderò poi la lettera?
Gianni. Diavolo
che ci manchi chi vadia! Un uom incognito.
Basta ch’el padre sia fuori ed ei lascila
in casa. E sia la soprascritta a Cambio;
ma sia disuggellata, acciò che leggerla
possa: che lo fará, perché le giovani
son sempre curiose de lo ’ntendere.
Alamanno. Se la non la leggesse?
Gianni. Oh! Se cadessino
i cieli?
Alamanno. Orsú! T’ho ’nteso. I’ vo’ tal ristio
correre. Andianne. Ma di casa Fazio
chi esce? È ei Bernardo? Ah! Gli è Albizo.
Che dira’ che mi par sempre vedermelo
inanzi?
Gianni. Cosí fa quel che desidera.
SCENA III
Bolognino servidore, Albizo giovanetto suo padrone.
Bolognino. Il mal vi siete fatto voi medesimo.
Voi medesmo el piagnete.
Albizo. Deh! Di grazia,
non mi dar piú passion che i* m’abbia.
Pensiam, piú presto, se e’ ci è rimedio.
Bolognino. Vi dirò ’l vero. A me non basta l’animo
di trovar se non quel ch ’e’ piú dar usano
negli altrui affanni.
Albizo. Quale?
Bolognino. Pazienzia!
Albizo. Ah Bolognin! Tu vuoi sempre la baia
con esso meco.
Bolognino. E voi usate termini
da volella. Dite un po’: chi costrinsevi,
potendo voi la Spinetta con comodo
aver in braccio, a domandarla a Noferi
per moglie?
Albizo. Io lo feci, che richiesemi
cosi ella.
Bolognino. Bastava di promettere
cotesto infin che ’l vostro desiderio
di lei adempissi.
Albizo. Ah! Non è convenevole
ingannar chi si fida.
Bolognino. Un uomo savio
non pensa a tante cose. Sol bastevole
gli è aver l’intento suo.
Albizo. Tristi si chiamano
cotesti; non giá savi.
Bolognino. Siete giovane,
Albizo, né intendete ancora il vivere
de’ nostri tempi. Questi tanto ottimi
son tenuti poi sciocchi.
Albizo. Chi ma’ diavolo
are’ pensato che subito Noferi
avessi fatto sopra me disegno?
e, chiedendo io la Spinetta, l’Emilia
mi voglia dare?
Bolognino. Oggidí, tutti gli uomini,
giusta lor possa, al lor mulino tirano
l’aqua. La vostra domanda si semplice
gli dette occasion poi di muovere
questo.
Albizo. La cosa è qui. Ora il rimedio
convien trovare e ’l modo ch’i’ mi scapoli
da questo intrigo.
Bolognino. Fia cosa difficile.
Pur, penseremci.
Albizo. Non bisogna indugio.
Mio padre vuol, come Bernardo subito
è tornato, scoprir lo sponsalizio
e far le nozze.
Bolognino. Che bisogna piagnere?
Pensate ch’i’ non trovi uno arzigogolo
con cui vi tragga di questo travaglio?
Albizo. Deh! fallo, Bolognino mio carissimo,
per quanto ben ti vo’ ; che t’arò obligo
grande.
Bolognino. Io ci penso.
Albizo. Che di’?
Bolognino. Sará ottimo
questo partito...
Albizo. Come?
Bolognino. ... e riuscibile.
Date la man. Vo’ siate accivito.
Albizo. Eccola.
Bolognino. Udite quel che mi è venuto in l’animo.
I’ vo’ che la Spinetta, innanzi vespero,
si cavi fuor di casa (il che per opera
si fará d’Aldabella) e che voi poi
con essa per un mese a spasso andiatene.
Il vecchio vi ama si ch’aia di grazia,
pur che torniate, che per moglie abbiatela.
Albizo. Si. Ma come poss’io di casa muovermi,
senza un quattrino?
Bolognino. Oh! Cotesta è la giuggiola!
È quel ch’i’ ho pensato, che non manchino
i danari.
Albizo. E fará’lo?
Bolognino. Senza dubbio.
Albizo. Donde gli caverem?
Bolognino. Donde difficile
piú par: da vostro padre. E vo’ che mettavi ’nfino
a cavai.
Albizo. Come potrá mai essere?
Bolognino. Udite. Tutto vi dirò per ordine.
Albizo. Oh Bolognin mio caro!
Bolognino. Orsú! Lasci n si
le cerimonie, e ascoltate.
Albizo. Di grazia,
di’; che volentieri odo.
Bolognino. Oh! Sta’, sta’. L’uscio
di casa s’apre. Gli è Fazio. Partitevi,
ch’i’ voglio, a sol a sol, con lui quest’opera
fare. Andate a l’Aldabella. Non perdasi
tempo. Fate che costei oggi cavisi
di casa e ch’i’ vi truovi pria che Fazio
acciò sappiate rispondere.
Albizo. Al Carmine
sarò.
Bolognino. Sta ben. Costi non fia possibile
ch’el vecchio venga e guasti. Tutto piacemi.
SCENA IV
Fazio, Bolognino.
Fazio. Con tutto che le cose mi succedino
bene del parentado che da Noferi
sono stato richiesto, perché Albizo
ci acconsentisce pur, benché li paia
un po’ fatica, non però ci è ordine
che rallegrar mi possa; perché l’animo
ho sempre vòlto a’ mie’ danar che portano
pericol grande.
Bolognino. Questo è a proposito
al mio disegno.
Fazio. Se io non mi scarico
da questo peso, non saria possibile
che mai mi quietassi.
Bolognino. Or ho il comodo
d’assaltarlo; or bisogna saper fingere.
Oh che cattiva sorte ha questo Fazio
mio padrone! Io non credo ch’un altr’abbia
la simil.
Fazio. Che dice costui?
Bolognino. Oh che perdita
è questa!
Fazio. Oimè!
Bolognino. Come lo ’ntende, subito
si morrá di dolor.
Fazio. O Dio, aiutami!
Bolognini Tu non odi?
Bolognino. Chi mi chiama?
Oh padron mio!
Fazio. Che ci è?
Bolognino. Novelle pessime.
Vo’ ben dir, che vi dica cattivissimo.
Fazio. Hai nuove di Bernardo?
Bolognino. Cosí avessile
avute d’altra sorte!
Fazio. Che ha? Dimelo.
Non tardar piú.
Bolognino. Gli sta come e’ non merita,
il poveretto.
Fazio. Che ha male?
Bolognino. Grandissimo.
Fazio. E’ mia danari ha seco?
Bolognino. No, che toltogli
sono stati.
Fazio. Oimè!
Bolognino. Ma si potrebbono
forse ancor ritrovar.
Fazio. Oh infelicissimo
me! Dimmi quel che tu ne sai, che struggere
mi sento.
Bolognino. Mentre che, or or, tornavomi
a casa di mercato, dietro sentomi
un a cavallo che, con grand’instanzia,
mi chiama e mi domanda se di Fazio
Ricoveri so la casa. Io risposili:
— Vedila lá. — Soggiuns’elli: — Conoscilo? —
— Come! — diss’io — che sto al suo servizio? —
— Dunque — diss’elli — non fia necessario
ch’i’vadia piú avanti. Tu benissimo
gli fará’l’ambasciata che ’l suo giovane
(e’ ha nome, pare a me, Bernardo Spinola)
fu, son tre giorni, assaltato e fu toltali
una sua bolgia dove dice ch’erano
ben dumila ducati; ed ei gravissimamente
è ferito; e, quanto può piú, pregalo
che mandi un dove gli è, che qualche indizio
ha di quelli assassini e forse, usandosi
diligenzia, ritrovar si potrebbero. —
Fazio. Dove fu il caso? ed ei dove ritrovasi?
Bolognino. Il caso fu, par a me, allo scendere
della montagna di Viterbo; e ei trovasi
li in Viterbo.
Fazio. Oh sorte mia contraria!
Ma dimmi: che uomo è quello che disseti
questo? che la non sia una burla.
Bolognino. Era un giovane
da bene.
Fazio. Onde ciò seppe?
Bolognino. Trovòvisi.
E dice che anch’ei portò pericolo
grande; ma che, per aver buona bestia
sotto, si liberò da quella furia.
Fazio. Dunque era seco?
Bolognino. Si, per quanto dicemi.
Fazio. Gli are’ voluto parlar.
Bolognino. Ben un asino
fu. E gne ne dissi: che, se servizio
v’avea a far, dove’ di bocca propria
farvi questa imbasciata. Ma non valsemi
il pregar: che non volle; e, senza indugio,
dette volta al ronzin, che possa rompere
il collo!
Fazio. Oh Dio! Che partito ho io a prendere?
Bolognino. A mandar a Viterbo un uomo, subito.
Fazio. E chi debb’io mandare?
Bolognino. Mandate Albizo.
Fazio. Cosí solo?
Bolognino. Se io sono a proposito,
andrò in sua compagnia. E, s’abbia m lettere
di favore a chi ministra giustizia
o a qualch’amico, ben mi basta l’animo,
con Albizo, di far qualche buon’opera.
Fazio. I* temo che non sia un gittare il manico
dietro alla scure.
Bolognino. Eh! che non ci è pericolo.
Fazio. Tu sai ben, tu. Poi, che può far un giovane
con un par tuo?
Bolognino. Fate voi. Spendetemi
per quel ch’i’ vaglio.
Fazio. Vo’ pensarci.
Bolognino. Fatelo.
Fazio. Ma dimmi: sa’mi tu dir dov’è Albizo?
Bolognino. Alla Nunciata, a udir messa, dissemi
che andava.
Fazio. Sta ben. Se torna, fermalo
a casa.
Bolognino. Tanto farò. Or fa opera
la medicina. Dio voglia giovevole
ne sia a’ nostri bisogni. I’ vo’ subito
andar a cercar d’Albizo, che ei sappia,
se gli accadessi, a suo padre rispondere
ch’è presto alle sua voglie: che certissimo
son ch’alia fin, dopo molto dibattersi,
piglierá questo partito per ottimo;
che, benché lo ritenga un po’ el grandissimo
amor del suo figliuol, pur l’avarizia,
come vecchio, ara ’lfin in lui vittoria.
Il che se fa, ci fíen danar da spendere,
che è quel che noi vogliamo; e potrá Albizo,
in cambio di Viterbo, ir a suo comodo
colla Spinetta. E cosí sará ottimo,
com’io promessi, al suo male il rimedio.