Historia della Sacra Real Maestà di Christina Alessandra Regina di Svetia/5
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Libro quinto. Da Faenza s’avanza la Regina a Forlì, Cesena, & a Rimini accompagnata dal sudetto Cardinal Legato di Romagna. A confini dello Stato d’Urbino è incontrata da quel Vicelegato, e Cardinal Legato, entra in Pesaro, ove è trattata, e trattenuta Regiamente. Passa da Fano, & Ancona. Gionge alla Santa Casa di Loreto, & a quella Gloriosa Vergine divotamente consacra lo Scetro, e la Corona. Si porta a Macerata di là a Tolentino, e poscia a Camerino. Perviene a Foligno; va in Assisi, vi visita il celebre Tempio di San Francesco, e riceve trattamenti grandi dal Cardinal Rondinino, poi ritorna a Foligno.
Licentiatosi il sopradetto Cardinal Rossetti dalla Regina, comparve a quei confini il Sig. Fulvio Petrocci da Arieti, Governator di Forlì con numerosa comitiva di Gentilhuomini di Romagna, venuti espressamente con sfoggio di ricchi vestiti, e di vaghe libree ad honorare il loro Legato, & accrescere splendore a’ ricevimenti di questa Principessa. Il Prelato sudetto doppo haver humilmente riverito Sua Maestà, sodisfattissimo della benigna corrispondenza trovata nella Regina, precorse avanti a Forlì, di dove avvanzatosi alcune miglia fuori, il detto Legato col seguito non solo delle sei carrozze proprie ripiene di Gentilhuomini della sua famiglia, con le quali l’andò poi servendo in tutta la legatione; ma anche di 25 altre pur a sei cavalli, guernite della nobiltà della Provincia, concorsa a servirlo nel primo ricevimento. La porta fuori, e dentro, come pur anche le mura, benché deboli di quella Città, erano guarnite di soldatesca, parte ripartita in squadroni, e parte affilata in spalliere. Il Magistrato, che qui si chiama il Numero, la incontrò nell’ingresso con publica cavalcata, & havendogli contribuiti gl’officij del suo ossequio la servì sin in Piazza. Quest’era illuminata con ben intesa proportione. L’ornamento del fuoco, col quale si simboleggiava la Maestà di sì gran Principessa, sparse tanto più luminoso il suo splendore, quanto più oscura era la notte. In varie guise disposti si vedevano fiammeggiar i Geroglifici alludenti al giubilo del Popolo per questo fortunato arrivo. Entrata la Regina nelle stanze del suo appartamento, e quivi preso un poco di respiro, fu invitata ad honorare con la sua assistenza un’Accademia, in cui si recitavano varie compositioni volgari, e latine, in lode di Sua Maestà, tra le quali spiccò grandemente la lettura d’un discorso fatto dal Signor Ridolfo nepote di Sua Eminenza, un’ode Pindarica del Sig. Lodovico Tingoli soggetto altretanto cospicuo per nobiltà, quanto riguardevole per le virtuose, e rare doti dell’animo, e che in fatti è uno de’ principali ornamenti di Rimini sua Patria, & altre compositioni de’ migliori Poeti della Provincia. Cenò Sua Maestà privatamente, e la mattina seguente, doppo haver sentito messa nel Duomo, pransò in publico col medesimo Cardinal Legato, con l’ordine tenuto negl’altri luoghi. Gli servì di coppa il sudetto Sig. Ridolfo, e di Scalco il fratello del Governatore, assistendo al servitio della tavola 12 soggetti primarij di quella Città, la quale siede in aperta campagna assai fertile, & amena, habitata da gente animosa, e di spirito, e che risente tuttavia della martialità de’ suoi primi fundatori.
Doppo il pranso partì la Regina da Forlì, condu Parte da Forlì cendo seco nella carrozza di Sua Santità il Cardinal Legato col seguito di tutto il corteggio. Passò il famoso Rubicone, ma con maggior gloria di Cesare; poiché se questi vi si avvanzò per occupare la libertà della Patria; essa doppo haver rinunciato il Regno paterno, vi si è inoltrata per arrivar all’Imperio di Christo.
Proseguì Sua Maestà il camino alla volta di Cesena, passando per Forlimpopoli picciola Terra, dove fu salutata da squadroni di fanteria, essendo ricevuta tra spalliere di gente armata per tutte le contrade, dove passava.
Ricevimento fattogli in Cesena Nell’accostarsi a Cesena trovò schierati diversi battaglioni di fanteria, & l’incontro del Signor Ricardo Annibale Romano Governatore di quella Città, accompagnato da molti Gentilhuomini a cavallo, gli venne incontro, e smontato passò con Sua Maestà un affettuoso officio di congratulatione per la di lei venuta: lo stesso fece il Confaloniere Conte Giuseppe Fantaguzzi col Magistrato; e tutti insieme gli cavalcarono avanti fin all’alloggiamento preparato nel Palazzo del Conte Lelio Roverelli, famiglia nobile, antica, e principale di detta Città. In quella Piazza giostrarono all’incontro alcuni Cavalieri armati. Qui cenò Sua Maestà privatamente, e come l’hora era tarda si ridusse al riposo senz’altro trattenimento.
Discrittione di Cesena Cesena è tra le principali Città della Romagna, di grosso trafico, & assai popolata in riguardo della sua grandezza. Giace a piedi d’un monte, la radice del quale è bagnata dal fiume Savio. Ha su’l colle un castello con alcune belle, e forti torri all’uso antico già fabricato da Federico Secondo Imperatore.
Li 2 di Decembre uscì la Regina di Cesena a cavallo accompagnata dal Legato, che cavalcava al pari di lei un corsiero del Regno armellino, la bontà del quale osservata dalla Regina, e parendo che molto se ne compiacesse, gli lo presentò. Gli haveva donati ancora in Forlì due globi d’argento, rappresentanti l’uno la Terra, e l’altro la sfera, intagliati diligentissimamente, e sostenuti da due statue pur d’argento dell’Algarbi di gran valore. Monsignor Giuseppe Bologna Cavalier Neapolitano ingenuo, e generoso Governator di Rimini uscì con numeroso stuolo di Gentilhuomini pomposamente vestiti, e ben montati, a quali precedevano quattrocento Soldati a cavallo, e fuori a’ confini gli prestò i dovuti ossequij. Ella entrando pur a cavallo nella Città, hebbe alla porta l’incontro del Magistrato, accompagnato da molta nobiltà, con belle livree. Il Dottor Annibale Nanni capo di quello complì con Sua Maestà in buoni termini, e d’ogn’intorno squadronati, e spalliere di gente di guerra, della quale eran pure le muraglie tutte guernite, come le contrade, per dove passava, arricchite con pomposa vista di nobili tappezzarie.
Passò la Regina a traverso della Città a cavallo, e smontò al Palazzo Publico preparatogli nella gran Piazza. Era questa illuminata, & abellita da vaghi fuochi artificiali, che fecero mirabile, e lodatissimo effetto. Alla porta del Palazzo si trovarono dodici Paggi nobilmente vestiti, e con torcie in mano. Salì Sua Maestà le scale accompagnata dal Legato sin alle sue stanze. Una numerosa schiere di belle, e spiritose Dame bizzarramente adobbate complirono con lei nella sommità delle scale, e poco doppo fecero una solennissima festa, con danze ben’intese, & aggiustate. Vi si tenne pure una bella Academia, e tra la varietà delle compositioni, spiccarono alcuni parti del fertilissimo ingegno del Sig. Filippo Marcheselli, e del Signor Ludovico Tingoli antedetto. La Regina con grave maestà, e con gentilezza soave, gradì sommamente il tutto. Cenò privatamente, e ritiratasi al riposo, lasciò, che la notte godesse lo splendore de’ luminari, e fuochi, che quella bella Città accese in testimonianza del suo gioire.
Questa Città è assai antica, benché hoggi non molto grande. Alla parte del mare s’osservano alcuni avvanzi d’un gran Teatro, che già vi fu. Verso la porta, che va a Pesaro, si vede un arco di marmo eretto già in honor di Cesare Augusto; fuori della medesima porta si trova il fiume Arimino hora chiamato la Marecchia, e questi si passa sopra un ponte longo 200 passi, e largo quindici con cinque archi, spondato da grosse pietre pur di marmo lavorate alla Dorica, che congionge la Città col Borgo, fabricato in honore di Ottaviano Augusto. Vi resta pur anche qualche vestigio dell’antico porto, che non serve adesso, se non per picciole barche, essendo in maggior parte atterrato. La detta Città è ornata di commode fabriche, tra le quali spiccano nobilmente alcuni Palazzi fabricati dalla Casa Malatesta, che la signoreggiò molt’anni, e la Chiesa di San Francesco, tutta di marmi fuori, e dentro, con nobili statue, bassi rilievi, & infinti intagli di marmi Greci, fabricata da Sigismondo Pandolfo della medesima casa Malatesta. Vi conservano pur anche l’antico loro splendore molt’altre famiglie illustri. Hora si vede nobilitata la Piazza di questa Città da una bella memoria di questo passaggio, fatta erger in marmo colle armi del Sommo Pontefice Alessandro Settimo, e di Sua Maestà, dal Dottor Angelino Angelini del tenore seguente. Sedente Alexandro Septimo Pont. Opt. Max. Benefactore. Quod Christina Sveciæ Regina, propria virtute, Catholica fide suscepta, dimissis Regnis sibi subiectis, Romam petens, obedientiam Romano Pontifici præstatura; Ariminum pertransiverit, Anno Gratiæ 1655 Quarto Nonas Brumales, æternæ tam gloriosæ memoriæ ergo; Angelinus de Angelinis I. C. Arim. La mattina seguente, benché il tempo fosse piovoso partì Sua Maestà da Rimini accompagnata come fu sempre dal Cardinal Legato sin alla Cattolica, luogo del confine tra la Romagna, & il Ducato d’Urbino, dove la Regina si fermò; e qui esso Cardinale gli diede un rinfresco di confetture, e paste di zucchero di molto proposito, e prese congedo da Sua Maestà, che lo lasciò grandemente sodisfatto del suo cortese aggradimento. E’ il Cardinal Acquaviva Signore di nascita eminente tra le principali famiglie di Napoli. Egli, com’è composto d’un’indole nobilissima, così spira tutto gentilezza, e generosità: Doppo honorate Prelature, e diversi governi lodevolmente esercitati, fu avvanzato degnamente alla porpora alli 2 di Marzo 1654. Alla Cattolica fu incontrata la Regina da Monsignor Gasparo Lascari, Nobile Nizzardo, Cavagliere insigne, e gentilissimo, Nipote del Gran Mastro della Religione di Malta, Vicelegato d’Urbino: Comparve assistito da una compagnia di corazze, Capitanata dal Conte Alfonso Santinelli, Cavalier principale della Città di Pesaro, che servì poi per tutto quello stato Sua Maestà. Un buon corpo di Soldatesca qui squadronato con una copiosa salva di moschettate la salutò nel passaggio. Di qui avvanzatasi alla Salicata, se gli fe’ incontro l’Eminentissimo Cardinal Luigi Homodei Milanese, Legato d’Urbino, con dodici carrozze a sei, piene di principali Gentilhuomini, cinquanta Svizzeri della sua guardia a piedi, e più di cento Cavaglieri cospicui a cavallo, con ricchi, e sontuosi vestiti, e vaghe livree; Tra questi furono il Conte Annibal Thiene Cavaglier Vicentino, il Conte Ippolito Santinelli cugino del sopradetto Conte Alfonso: Gli Conti Francesco Maria, e Ludovico fratelli pur Santinelli, & in fine gli Conti Bernardino Ubaldini, Francesco Maria Lunardi, e Lutij, come pure il Sig. Francesco Maria Bonamini, tutti soggetti di Nobiltà cospicua, e di spiriti generosi, e vivaci. Smontato dunque di carrozza, il Cardinale complì con Sua Maestà, che pur scesa fuori della sua, lo accolse con tratti di somma cortesia, e d’affettuoso gradimento. Rimontato ogn’uno nelle proprie carrozze, si proseguì il viaggio verso la Città. Alla porta si trovarono i Signori Giulio Cesare Vattielli, e Gio: Andrea Olivieri Gentilhuomini di gran garbo, & ambedue Confalonieri, con sei altri Priori del Magistrato. Venivano a cavallo con i soliti loro rubboni di velluto nero alla Consolare, accompagnati da altri venti Gentilhuomini pur vestiti di honorevoli habiti neri, con quattro trombetti, e 24 Palafrenieri, con bellissima livrea di panno incarnato, guarnito con listoni di velluto bianco. All’avvicinarsi della Regina, smontati da cavallo, s’accostarono alla carrozza, e fecero il loro complimento. Sua Maestà si rizzò in piedi, e rispose loro con proportionati concetti di benignità. Entrò poi la Regina in Pesaro circa all’Ave Maria, salutata da copiosa salva di cannonate, e moschettate, smontò al Duomo, ov’era aspettata dal Legato, che per via più breve in diligenza l’haveva precorsa. Alle catene della Chiesa scese, & inginocchiata sopra d’un cuscino preparatogli, bacciò riverentemente la Croce, che gli fu presentata dalla prima dignità della Catedrale, e di là s’avviò alla Chiesa sotto al Baldacchino, portato da Signori principali della Città, intuonandosi in tanto dal Clero, che precedeva l’Antifona solita: Ista est speciosa &c. Finitasi questa gli Musici cantarono il Te Deum con bellissimo concerto di voci, e di stromenti, udito da Sua Maestà in ginocchio nel Presbiterio sopra d’un inghinocchiatorio, vicino al quale stava pur sopra un gran cuscino genuflesso il Cardinal Legato, e più distanti da questo gli quattro Nuntij, e l’Ambasciator di Spagna. Finito il Te Deum, il Cardinale salì a gradini dell’Altare, e diede la solenne benedittione. Doppo di che il Legato deposta la cappa, servì la Regina; dandogli il braccio sino alla sedia, in cui si portò a Palazzo, preceduta da Sua Eminenza in carrozza con i suddetti Nuntij. Alle scale si trovarono otto Paggi con torcie accese in mano, a capo della scala nell’entrar in Sala fu incontrata, e riverita da un bellissimo stuolo di Dame principali, che facendo corona a Sua Maestà, l’inchinarono, e servirono alle stanze, introdottevi dal Cardinale, e licentiandosi Sua Eminenza, restò ella a riposo. In questo mentre cominciarono a giocare i fuochi artificiosi nella Piazza, che restò tutta la notte illuminata, con vaga dispositione, le strade abbondarono esse ancora de’ proprij lumi. La stessa sera si fece in Camera della Regina una festa di Dame, e Cavaglieri, Gli prenominati Conti Francesco Maria, e Ludovico fratelli Santinelli vi ballarono una gagliarda con la Signora Maria Camilla Diplovatatij; ma perché ballavano da Cavaglieri, la Regina gli pregò, che per maggior sua sodisfattione si levassero il mantello, e le spade d’attorno per meglio poterli essa osservare; ubidirono, e danzarono una gagliarda, che tanto piacque a S. Maestà, che si dichiarò desiderosa di vederli a battere ancora un canario; Ond’essi con la Signora Emilia Urbani, esequirono il tutto con disinvoltura, e leggiadria mirabile. Prima di cominciarsi il sopradetto ballo, il Cardinal Legato, presentò alla Regina, a cui era dedicato un libro in stampa di varie poesie composte dal Conte Francesco Maria Santinelli, la maggior parte in lode di Sua Maestà, la quale grandemente se ne compiacque, e le agradì, commendandole per parti degni di spirito grande, e d’ingegno sublime, come tali furono anche applaudite dell’universale. Cenò poi Sua Maestà privatamente in Camera, ove gli fecero sentire bellissimi concerti di stromenti, tra quali furono un violino, & un arcileuto, che la dilettarono in sommo grado; volse ella per ciò al suo servitio il detto secondo virtuoso, chiamato Antonio Maria Ciacchi Senese. La mattina seguente favorì il Monasterio di Santa Caterina, coll’andar alla Messa in quella Chiesa, ove sentì una musica isquisita di quelle Monache, due delle quali sono riputate molto rare. Entrò doppo nel Monasterio con inesplicabil consolatione, e straordinario contento delle Monache, che non sapevan satiarsi di commendare l’affabilità, e tratti manierosi di Sua Maestà. Pransò quella mattina publicamente col Cardinale, stando assisa sotto al baldacchino, e nel modo stesso pratticatosi ne gli altri alloggi. La servì di scalco d’honore il Conte Francesco Maria Santinelli all’uso di Germania, come fece in Ferrara il Principe di San Gregorio, di coppa il Conte Bernardin Ubaldini, gli diede la salvietta il Conte Annibal Thiene, e’l Signor Francesco Maria Bonamini la servì a mutar di piatto. Doppo il pranso hebbe gusto Sua Maestà di vedere una ciaccona alla Spagnuola, che dal Conte Ludovico Santinelli, fu ballata con gratia, agilità, e destrezza incomparabile, si compiacque pur di gradir alcuni giochi, che si chiamano le forze d’Ercole fatti da alcuni soggetti agili al maggior segno, e con molta leggiadria. Usciti poscia a visitar alcun’altre Chiese, e Conventi di Monache; nel ritornar a Palazzo, fu introdotta a vedere alcune Rappresentationi Academiche, e sceniche, la bizzarria, e novità delle quali incontrò mirabilmente il genio, & il gusto di Sua Maestà; onde non è meraviglia, se questa Principessa si sia poi dichiarata publicamente in Roma, che tra tutti gli honori, che grandissimi gli sono stati resi per tutto dove è passata; niuno è arrivato all’eccesso delle sue sodisfattioni, che quelli da lei ricevuti in Pesaro. Tutte queste compositioni sono stati parti dell’ingegno, e della penna dell’antedetto Conte Francesco Maria Santinelli Cavaglier altretanto cospicuo, per antica nobiltà, quanto riguardevole per vivacità, e sublimità di talento, e di spirito. Finirono quest’attioni verso le sett’hore della notte, la Regina cenò privatamente, & andò a riposare: la mattina de’ cinque, con la solita sua benignità, favorì le Monache di Santa Maria Madalena andando a messa alla loro Chiesa, e godendo d’una bella musica, che gli fecero. Havendo poi pransato, partì per Sinigaglia, servita in carrozza dal Cardinale con la stessa comitiva di carrozze, Cavalieri a cavallo, e guardia de’ Svizzeri, stando per tutto dentro, e fuori della Città spallierate, e squadronate le fanterie, e tirando dalle mura il cannone, molti mortaletti, e moschetti, come s’era fatto nell’ingresso. Pesaro è Città nobile: gentile, popolata, mercantile, e piena di nobiltà fiorita, e manierosa; è posta sul mare in sito allegro, & in grata prospettiva, tutta in piano, e staccata per molte miglia da colli, e monti: Ha buone mura, con terrapieni, e baloardi assai forti, oltre una bella rocca già edificata da Giovanni Sforza, ch’altre volte ne fu Padrone. Il Porto essendo atterrato, serve a legni piccioli, che navigano però con buon trafico a Venetia, & altre parti. Era questa Città ultimamente posseduta dalla nobilissima famiglia della Rovere; ma essendo mancata questa a giorni nostri senza successione mascolina, ricadé alla Sede Apostolica, come feudo di lei. Quivi solevano nove mesi dell’anno habitar i Duchi, che però vi havevano fabricato un Palazzo veramente Regio. Prese la Regina la via di Fano, a confini del quale si trovò Monsignor Bargellini Bolognese, soggetto di degne conditioni, Governator di quella Città, accompagnato da’ Signori Luigi Rinalducci, e Conte Annibale Montevecchio Gentilhuomini principali. Gli altri restarono per far corteggio al Magistrato, del quale era Confaloniere il Sig. Scipione Forastieri, e Priori Alessandro Castracani, e’l Cavalier Pietro Soldati. Per riceverla con maggior honore, fu aperta una porta, ch’era murata, & abbellita di varij ornamenti, si vide tra gli altri sotto all’Arme di Sua Santità l’inscrittione, che segue. D. T. V. Sedente Sanctissimo Alexandro VII P. O. M. Christinæ Svecorum Reginæ Hanc pertranseundi Urbem, Pervium, & angustius ur redderetur Atrium, Regiæ Maiestati excipiendæ Petrus Bargellinus Gubernator aperuit Anno 1655 Qui fu ricevuta dal Magistrato accompagnato da nobile, e numerosa comitiva, e fu servita sin al Palazzo del Governatore, dove girate le carrozze per il cortile, senza che Sua Maestà scendesse dalla sua, gli furono presentate in molti bacili d’argento pretiose confetture, e canditi, de’ quali, assaggiatone alcuni, diede due bacili al Conte Annibal Thiene, ordinando, che gli altri si dispensassero a quei Cavalieri, che l’accompagnavano. E’ Fano Città picciola, fasciata di forti mura, parte all’antica, e parte alla moderna verso il mare, con un balloardo fabricato da Giulio Terzo Pontefice, in sito piano, alla spiaggia del mare, cospicua per il Tempio della Fortuna, che quivi si adorava, e per le vestigie dell’Arco di Augusto; poco lontano passa il fiume Metauro, e vi restano le reliquie d’alcuni luoghi assai celebri per gli avvenimenti accadutivi ne’ secoli passati. Ivi fu ucciso Asdrubale fratello d’Annibale Cartaginese, e Totila Re de’ Goti fuvi vinto, e ferito da Narsete, lasciando poi la vita ne’ monti dell’Appennino presso alle fontane, dalle quali prende la sua origine il nobilissimo fiume Tevere. E’ questa patria abbondante di nobiltà spiritosa, e di fabriche belle; e da questa sono uscite le due Contesse Martinozzi nepoti dell’Eminentissimo Cardinal Mazzarino, Anna Maria sposa del Serenissimo Principe Armando di Conty del sangue Reale di Francia, e Laura del Serenissimo Principe d’Este, Primogenito dell’Altezza di Modana. La casa Martinozzi è di nobiltà antica, & illustre, essendo stata già una delle quattro famiglie nobili di Siena rinomate nelle Historie, come pure da 300 anni in qua è stata riconosciuta sempre principale in Fano. Certo è per scritture, e publiche inscrittioni ne’ marmi da me vedute, che nell’anno 1364 Ginolo Martinozzi come primario della sua Patria, accompagnò a nome publico sin a Rimini il nepote dell’Imperatore di Costantinopoli, come anche si chiarisce più distintamente nelle prove di nobiltà fatte da Vincenzo Rinalducci della medesima Città, Cavalier di Malta, congionto alla detta casa Martinozzi, mediante la persona di Laura sorella del Conte Vincenzo Martinozzi, Avo paterno delle dette Principesse, & Ava del detto Cavaliere. Uscita da Fano salutata da molti tiri di cannone, mortaletti, e moschetti, e riverita da tutte le militie, proseguì il viaggio verso Sinigaglia, ove gionse tramontato il Sole, con tempo così fastidioso di pioggia, e di vento, che non lasciò godere il saluto della moschettaria squadronata nella spianata di quella Città; le porte, le mura, e le strade della quale eran tutte armate. Andò a dirittura al Palazzo de’ Signori Bavieri Gentilhuomini principali, preparato per il di lei alloggio, venendo la Corte distribuita per l’altre vicine case. Quivi fu incontrata dalle Dame di quella Città; Fu tra queste una nepote dell’Eminentissimo Cardinal Cherubini, il quale non potendo esser a servir Sua Maestà, per trovarsi ammalato in Montalbotto sua Patria, non mancò di dar gli ordini opportuni per quell’alloggio. Quivi oltre a i fuochi, e luminari, che si fecero quella sera, per trattenimento di Sua Maestà, gli fu fatta in Camera una Comedietta ridicola dalli Conti Francesco Maria, e Lodovico fratelli de Santinelli, dallo stesso Conte Francesco Maria posta in ordine in una sola notte, per incontrar le sodisfattioni di lei, che se ne mostrò desiderosa. Doppo la Comedia, volse essa vedere anche l’agilità di questi due Cavalieri nel saltar il cavallo, come pur si compiacque della lor maestria nel giocar di spada: onde come la virtù accoppiata con la nobiltà, non solo dispone, ma rapisce gl’animi de’ Grandi all’affettione; così questa Principessa rifletté con la sua generosità, e finezza d’intendimento alla proportione, che l’habilità, e talenti di questi Cavalieri havevano al suo servigio, havuta però piena informatione dal Cardinale dell’antica nobiltà della loro casa, nella quale in ogni secolo sono fioriti huomini di gran valore, come furono il Conte Sforza Santinelli, Cavaliere di S. Michele sotto il Christianissimo Re Carlo Ottavo, ch’era all’hora il primo ordine, & il Conte Giulio Cesare Santinelli Gran Prior di Messina per la Religione nobilissima di Malta, li fece ricercare al suo servitio per Monsignor Holstenio, e poi per l’Ambasciator Pimentel; ond’essi gloriandosi d’haver l’honore di servire Sua Maestà, si dimostrarono pronti ad obbedirla, e poco doppo la sopraggionsero nel viaggio. Sinigaglia è Città di breve recinto; ma munita di fortissimi baloardi, fosse, e parapetti: alla parte verso Fano ha un canale, che la fende, e serve di porto a piccioli navigli: ha pur anche una rocca antica verso il mare, fortificata da grosse, e forti torri, che l’assicurano maggiormente. Di qui partendo la Regina in carrozza col Cardinal Legato, servita da tutta la comitiva antedetta, gionse a’ confini della Legatione, ove si ritrovò li Sig. Giorgi da Fano, maestro di Campo di Pesaro, con un buon corpo di fanteria squadronata; salutò l’arrivo di Sua Maestà con una bella salva di moschettate, ove il detto Legato fu da lei ringratiato del buon trattamento fattogli, dichiarandosi al maggior segno sodifatta di lui. Si può dir con verità, che questo Cardinale è l’idea del valore, e della bontà istessa. La di lui presenza è gioviale, & i tratti grandi, manierosi, e sinceri, e giustamente riconosciuto per soggetto savio, prudente, e per l’esperienza fra tanti maneggi, capace d’ogni grand’affare. Si chiama del titolo di Sant’Alessio: fu Chierico di Camera, e Decano: hebbe molte cariche sotto Papa Urbano, & in quella di Commissario generale dell’Armi dello Stato Ecclesiastico fece spiccare il suo buon zelo, e valore. Sotto il Pontificato d’Innocentio esercitò i suoi talenti con tanta virtù, e franchezza, ch’havendo condotto a fine gl’intenti d’intraprese grandissime senza lasciar sfodrar spada, meritò d’esser assonto alla porpora alli 19 di Febraro del 1652. Questa cospicua dignità ha illustrata la sua persona, ma egli con l’integrità de’ suoi costumi ha molto bene corrisposto alla grandezza di quella. Nella Legatione d’Urbino rappresenta intieramente le parti d’un ottimo Principe; Per tutto ha sparso i tesori della sua generosità, & essendo Protettore della Chiesa di S. Carlo al Corso sua nationale, l’ha abbellita con la splendidezza dell’oro proprio. Tra le Case Brugiate, e Fiumicino, ch’è il confine della Marca con lo Stato d’Urbino, si trovò il Marchese Francesco Estense Tassoni Governatore dell’armi di quella Provincia Cavalier Ferrarese, soggetto di sperimentato valore. Haveva egli seco molti officiali di guerra, e gentilhuomini suoi amici riccamente adobbati, & era assistito da una compagnia di guardia a cavallo, i soldati della quale, oltre all’esser ben’armati, e montati, vestivano una casacca a quattro ale di finissimo panno turchino con quattro Croci bianche, orlate di passamani d’oro. Qui pure si trovò Monsignor Francesco Lucini Milanese, Governator d’Ancona col seguito di molta nobiltà a cavallo con vestiti uniformi, e ben concertati. L’uno, e l’altro de’ sodetti messo piede a terra, con le loro camerate riverì Sua Maestà. Monsignore fu ricevuto nella carrozza de’ Nuntij, & il Marchese cavalcò avanti verso detta Città; nel passar, che fece la Regina, fu salutata dalla moschetteria d’un squadrone di quattro mila fanti, schierato qui dal medesimo Marchese, con cinque compagnie di cavalleria, che lo fiancheggiavano in bella, e martial prospettiva. La rocca di Fiumicino salutò Sua Maestà con molti tiri di mortaletti. Il Capitan Antonio Fatati con la compagnia de cavalli della medesima Città d’Ancona, & il Capitan Magagnini con quella di Iesi precedevano a tutto il corteggio. Gionta la Regina alla Porta chiamata di Capo di Monte; cominciò a sparar l’Artiglieria della fortezza, e delle mura della Città, che andò continuando, sin che fu Sua Maestà smontata al Palazzo. La incontrarono alla Porta, e complirono seco gli Antiani a cavallo, vestiti con i loro rubboni di veluto piano nero, e con le valdrappe simili riccamente guernite d’oro, seguitati dal corteggio di molti nobili a cavallo con 12 Paggi tutti Gentilhuomini Anconitani vagamente adobbati, e 24 Palafrenieri vestiti con la divisa della Città, & altri 12 Staffieri con diverse livree degli Antiani, e tre trombette. Erano all’hora Antiani gli Signori Conte Gio: Battista Ferretti, Tomaso Tomasi, Belardino Galli Cavalier di S. Giacomo, Flaminio Scalamonte, Capitano Girolamo Bompiani, e Vincenzo Balestrieri, ambedue Commendatori dell’ordine di S. Stefano. Questi tutti scesi da cavallo, prestarono in nome della Città i dovuti ossequi alla Maestà Sua, parlando il detto Conte Gio: Battista Ferretti, come lor Priore. La Regina rizzandosi in piedi gradì l’ufficio col solito della sua maestosa gentilezza. Furon lasciati i dodici Paggi attorno alla carrozza Reale per servirla; Gli Antiani rimontarono a cavallo, continuandosi il viaggio verso il Palazzo Apostolico. Tutte le strade eran spallierate di soldatesca, e le case adobbate di vaghe tappezzarie. Pervenuta a Palazzo trovò nella prima Sala vicina alla Porta schierate in pomposa, e ricca corona le Dame principali della Città, che leggiadramente se le inchinarono, servendola sin alla porta della stanza; essa le accolse, e trattò con ogni benigna affabilità. Doppo essersi fermata un tantino nella stanza, restando ancora un’hora di giorno, risolse d’andar a veder, come fece, l’Arco famoso di Traiano Imperatore, tutto lavorato di finissimi marmi. Il Senato, e Popolo Romano lo eresse in honore del medesimo Cesare, di Plotina moglie di lui, e di Martiana pur di lui sorella, venerate in quel tempo per Numi, come si comprende dalle inscrittioni, che vi si leggono. Vi andò Sua Maestà in seggetta, servita da i Nuntij, e Governatore in carrozza con altre persone di conditione. Venne salutata da molti tiri d’artiglieria del Rivellino, che sta nella bocca del Porto da’ Vascelli, & altri posti verso il mare. Nel ritorno osservò la Regina i due Archi del Palazzo Apostolico, cioè il primo verso la Piazza ripulito di nuovo, e con una inscrittione oltre all’antica, che diceva Fit Cœlestis, dum Sol Regius aspicit Arcus e due grand’armi, l’una del Papa Regnante, e l’altra della Regina con il motto nel mezo di quelle Astro, & Austro secundis, nel secondo si leggeva: Christinæ Svecorum Reginæ Maiestatis ni ecido ad venerationem, Virtutis certe excitor ad immortalitatem. Quest’Arco di pietra ridotto in forma di marmo di Verona, fu nella superficie delle colonne, basi, capitelli, e medaglioni messo a oro, e sopra di esso s’inalzava una grand’arme di Sua Maestà fra due statue grandi, una che rappresentava la Virtù eroica, e l’altra la liberalità, sotto quella era scritto Cedendo vincit, fugiendo comprimit hostes, sotto l’altra Donando Regnum protulit Imperium, e di sopra all’arme in un cartellone: Crescit eundo. La sera poi verso un’hora di notte, risplendendo tutte le Piazze, e contrade di fuochi, e luminari; Sua Maestà dalle sue stanze si portò a quelle, che riguardano nella Piazza: Qui vicino alle scale dette dell’Incoronata, stava una machina di legno dipinta alta 36 palmi, che con sei monti, una stella, e due quercie figurava l’arme di Sua Santità; a piedi di questi monti era il Tevere, che sotto una mano teneva una grand’arme, da cui in vece d’acqua, attualmente gettava vino, con l’altra sosteneva l’arme della Regina, alla quale era appoggiato un Leone; da una parte vi era una donzella, che ricorreva ad esso Tevere, e dall’altra una Statua, che sostenendo in mano l’Arco Traiano rappresentava la Città d’Ancona; nella base di essa donzella era un motto, che diceva: Tuta redor. Era questa machina ripiena de fuochi arteficiati, che riuscirono di straordinaria bellezza. Molte composizioni furono fatte in honore di Sua Maestà, tra le quali spiccarono alcuni versi del Conte Paolo Ferretti Cavalier virtuoso, e di stirpe antica, & illustre, discendendo da quell’Ulderico Ferretti Padrone della Contea di Ferretta sopra Basilea verso la Borgogna Contea, qual hebbe una figliuola maritata ad Alberto Secondo Duca d’Austria. Doppo questo cenò la Regina in publico nella stanza avanti alla Cappella con li Signori Nuntij, & Ambasciator Pimentel, precedendo quelli a questo. Il Signor Stefano Benincasa gli diede l’acqua alle mani; Il Marchese Francesco Estense Tassoni la salvietta; Il Commendatore Alessandro Fanelli servì di Scalco, e’l Cavaliere fra Cesare Nappi di coppa, & ogni volta, che Sua Maestà beveva, aggiustati li dovuti segni, si sparavano i cannoni della fortezza. Monsignor Luigi Gallo Vescovo d’Ancona Cavalier principale d’Osimo, soggetto d’esperimentata prudenza nelle cariche, e maneggi da lui sostenuti per la Santa Sede, stimando, che la Regina dovesse in conformità dell’intruttione di Roma, venir subito alla sua Catedrale, ch’è la Chiesa di S. Ciriaco situata sopra uno di quei Promontorij, fecela apparare di ricche tappezzarie, come pure anche haveva fatto adobbar gli Altari de’ più pretiosi ornamenti. Ma non poté godere di quest’honore, perché stando la detta Chiesa assai lontana dal Palazzo, e sopra l’erto del monte, tralasciò la regina d’andarvi; ma in vece di ciò la mattina seguente, doppo haver udita la Messa nella Cappella di Palazzo, mostrando essa desiderio di vedere le reliquie, che colà si conservano assai insigni, gli Nuntij per l’auttorità Pontificia, che tenevano, ordinarono, che nella medesima Cappella di Palazzo fossero da due Canonici coll’assistenza de’ Signori Operarii transportate, come furono; & una fu la punta del ferro della lancia, ch’aprì il costato di Nostro Signore Giesù Christo, lasciata in Ancona dall’Ambasciatore di Baiazette Imperator de’ Turchi l’anno 1492 quando passò di là alla volta di Roma, ove donò ad Innocenzo VIII la cuspide del medesimo ferro; l’altra il piede destro di Sant’Anna Madre della Gloriosissima Vergine Maria in carne, & ossa donato pure alla stessa Città dal Patriarca di Costantinopoli Paolo Paleologo l’anno 1380. Avanti a queste la Regina, s’inginocchiò, baciandole con molta divotione. Monsignor Holstenio, che come Canonico della Basilica di S. Pietro haveva più volte maneggiata la reliquia di detta cuspide, non solo testificò a Sua Maestà la mancanza della detta punta; ma ancora gli asserì esser uniforme il colore della rubigine; come pure la Santità di Papa Clemente VIII passando per Ancona alla volta di Ferrara, volse, che si confrontasse, come seguì, la punta d’Ancona con la mancanza della detta cuspide di Roma. Finita questa funtione, Monsignor Vescovo fu a riverire Sua Maestà, dalla quale fu accolto con ogni humanità. Doppo haver fatto collatione, continuò la Regina il suo viaggio verso Loreto, accompagnata dal medesimo Monsignor Governatore con tutto il corteggio sino al Ponte d’Arciato, ch’è il confine dell’Anconitano. I Signori Antiani non andarono a servirla, com’havevano fatto nell’ingresso, poiché il Maestro delle cerimonie disse loro, che secondo l’instruttione ciò non era necessario. Nell’uscire dalla Città fu salutata da tutta l’artiglieria, e partì molto sodisfatta del ricevimento, & honori ricevuti da questa nobilissima Patria. Ancona sta collocata nella pendice d’un Monte, che dilatandosi nel mare, forma come un Anfiteatro. Ha un porto grande, & altrettanto coperto da venti Sirocchi, quanto esposto alle tramontane, a capo di questi è piantato un rivellino fondato nel mare, dentro il quale si sporge più di mille piedi, e per andarvi si passa sotto l’Arco sudetto di Traiano. Questa Città è munita di forti mura ben fiancheggiate, e da un Castello di buona struttura, che situato sul monte, signoreggia il porto. Le case, e le contrade di essa sono un poco anguste; ma però così ben architettate, & industriosamente disposte, che la rendono assai bella, e vaga. I Cittadini sono cortesi, & amorevoli, particolarmente co’ i forastieri; l’occasione del mare vi porta un buon trafico di tutte le merci. La Regina fu incontrata a quei confini da Monsignor Gentile Governatore di Loreto, il quale doppo haver complito con Sua Maestà in nome del Pontefice, se ne ritornò sollecitamente, per poter riceverla alla porta della Città. Subito che la Regina pervenne in luogo, di dove scoprì la cuppola della Santa Casa, smontata di lettica, inginocchiandosi con grandissima divotione, baciò più volte la terra, risalì in lettica, conducendovisi sin alla falda del monte, dove poi volse scender di nuovo a piedi, e caminar sino alla Chiesa. Nel gionger la Regina alla porta della Città, fu ricevuta dal detto Mons. Governatore, e dal Magistrato; sparò tutta l’artiglieria dalle mura, e tutta la moschetteria, che stava schierata per quelle contrade. Alla porta della Chiesa fu dal Capitolo, dal Clero, e da quel Vescovo accolta nelle forme solite. Entrata Sua Maestà dentro la Santa Casa, quivi si trattene mez’hora in circa, facendo oratione con grand’humiltà; doppo andossene in Palazzo, ove havendo cenato privatamente, si ritirò al riposo. La mattina de gli 8 di Decembre levatosi per tempo, si confessò, calata in Chiesa sentì una Messa privata. Assisté poi alla Messa grande cantata in musica isquisita all’Altar maggiore. Finita che fu, presentò a piedi di quella Santissima Imagine una Corona, e scetro Reale tempestati di gioie di gran valore. Questa Principessa non poteva con simboli più proprij, e significanti compir i voti della sua Christiana generosità; Era ben di ragione, che se ella per assicurarsi il vero, & importante Regno del Cielo, haveva rinonciato quei della terra, ne apprendesse una rara ricordanza in quelle insegne, delle quali si era spogliata. E se tutto haveva fatto per amor di Christo, era anche di dovere, che ne lasciasse alla madre di lui una cara, e pretiosa memoria. Doppo di questo fece ritorno alle sue stanze, e mangiò in publico, per sodifare alla curiosità del Popolo concorsovi numerosissimo da tutta la Marca, e Paesi convicini. Gli fu data l’acqua alle mani dal Sig. Conte Ferretti Cavalier Anconitano, il Barone Bernardino Spada Nipote del Cardinal Spada gli porse la salvietta, il Conte Bonarelli d’Ancona la servì di Scalco, e’l Sig. Urbano Rocci nipote del già Cardinale di questo cognome, fece l’officio di Coppiere. Finito il pranso, arrivò Don Antonio della Cueva con Madama sua moglie. Erano restati, come si disse, in Ussulengo per il male sopravenuto a questa Dama; furono veduti dalla Regina con allegrezza, e contento uguale all’affetto, che portava loro. Se ne passò poi Sua Maestà alla Sagrestia, dove ammirò il tesoro, che vi si conserva, de’ pretiosi doni fatti a quella Casa dalla religiosa pietà di diversi Principi, e Signori. Nel passar avanti al credenzone, dentro del quale erano stati riposti i regali dello scettro, e Corona da lei fatti, fu questo pure aperto, perché ella gli vedesse, ma col solito della sua generosa modestia disse, che lo richiudessero, non essendo degna quella bagatella d’esser veduta. Mirato, ch’hebbe il tesoro, e tutte le altre cose curiose di quel santo luogo, tornossene alle sue stanze, dove venne trattenuta da musiche, e dalla conversatione de’ Signori Nuntij, e poi cenò privatamente. Non si può esprimere, qual fosse il contento, il giubilo, e la tenerezza, che provò Sua Maestà in quel santuario; Questi sono doni riservati dal Cielo, per darci ad intendere, che Dio solo può con le sue gratiose misericordie darci in questo mondo un saggio, benché picciolo delle dolcezze, che sa egli instillare ne’ sensi d’un’anima innamorata di lui. Era in tanto capitata a Sua Santità la lettera scrittagli da Inspruch, come si accennò di sopra, onde a questa aggiungendosi gli avvisi poscia de gli atti di Pietà fatti quivi da essa Regina, restò Sua Beatitudine grandemente edificata di tali dimostrazioni, la detta lettera era del contenuto che segue.
Beatissimo Padre. Essendo io finalmente arrivata al tanto da me desiderato segno di vedermi ricevuta nel grembo della nostra Santa Madre Chiesa Cattolica Romana, non ho voluto mancare di darne parte a Vostra Santità, ringraziandola umilmente dell’honore, che mi ha fatto de’ suoi benignissimi commandamenti, li quali sono osservati da me col rispetto dovuto alla Santità Vostra. Ho manifestato al mondo, che per obedire a Vostra Santità ho lasciato con somma allegrezza quel Regno dove il riverirla è posto fra i peccati irremissibili, & ho messo da parte ogni rispetto humano, per far conoscere, ch’io stimo assai più la gloria d’obedire a Vostra Santità che quella del più degno trono. Supplico Vostra Santità di ricevermi così spogliata, come sono, d’ogni grandezza con la paterna, & usata benignità, che s’è degnata di mostrarmi sin hora. Io qui non ho altro da sacrificare a i Santi piedi di Vostra Santità, che la mia persona insieme col sangue, e con la vita, l’offerisco tutta a Vostra Santità con quella cieca obedienza, che s’è dovuta, supplicandola a voler disporre di me conforme giudicherà più convenirsi al publico bene della nostra Santa Chiesa, alla quale, & alla Santità Vostra come a suo unico, e vero capo ho dedicato tutto questo che mi resta di vita con ardentissimo desiderio d’impiegarla, e spenderla tutta alla maggior gloria di Dio. Da questo auguro a Vostra Santità quei lunghi, e felicissimi anni, che sono tanto necessarij al bene, e riposo commune della Christianità; pregando Nostro Signore di conservare nella Santità Vostra quei gran doni, che le ha dati, e di far me così fortunata, ch’io possa arrivare al desiderato giorno, nel quale mi sia permesso d’inchinarmi a i santissimi piedi di Vostra Santità, li quali humilmente le bacio pregandola di parteciparmi la sua santa, e paterna benedittione &c. Inspruch li 5 Novembre 1655. Di Vostra Santità Obedientissima figlia Christina.
La Città di Loreto ristretta nell’ambito d’un picciol Borgo, è su la schiena d’un monte tutto fruttifero. La di lei forma è bislunga, a capo di essa verso il mare è la Chiesa di struttura nobilissima, e nel mezzo di questa la Santissima Casa di Maria Vergine genitrice gloriosissima di Christo Redentor del mondo. Avanti alla porta del detto tempio è una bella Piazza, & nel mezzo di essa una fontana, che getta acque copiose. Alla destra sono il Palazzo del Governatore, e le habitationi di quelli, ch’officiano la Chiesa, è discosta dal mare tre miglia; è in sito allegro, e fortificato con ben intese mura, guernite di forti terrapieni, e fiancheggiate da torrioni, e baloardi. Fuori della porta si stende un picciol borgo ripieno di hostarie, e Camere locande per alloggio d’un immenso numero di popolo, che concorre di continuo a questa divozione, la più venerabile, e miracolosa di tutta la Christianità. Dalla sommità di questo santo monte si compiacque la Regina di rimirar in vaga prospettiva la scena del mare, e di molti Castelli, e Borghi sparsi sopra quelle montagne, e colline. Godé pur anche verso Ancona del Promontorio Cumeno, sotto di cui giace Sirolo luogo celebre per il suo famoso Crocifisso. Osservò pure i siti d’Osimo, e d’Urbino, & il Castello di Cingolo edificato da Tito Labieno, di cui parla mordacemente Cicerone. La mattina de gl’11 doppo un poco di collatione si partì da Loreto su le 16 hore salutata dall’artiglieria, e moschettaria, & accompagnata da Monsignor Governatore sin’a confini di Recanati; Qui si trovò, con alcune Carrozze a sei ripiene di Nobiltà, Monsignor Gallio figliuolo del Duca d’Alvito Milanese Governatore della Marca, soggetto di eminenti conditioni. Questi doppo haver complito con Sua Maestà rimontato in carrozza ritornossene a Macerata Metropoli di quella Provincia, e sua residenza, per riverirla colà. Passò la Regina per Recanati Città tre miglia discosto da Loreto, picciola, e collocata su’l dorso d’un rilevato monte attorniato da colli, e monticelli tutti ameni, e fruttiferi, cinta da vecchie mura con qualche antica torre per batteria da mano. Fu ricevuta alla porta dal Sig. Luigi Bighi Governatore, e da quel Magistrato, Capi del quale erano i Signori Mario Massucci, Bonfrancesco Vulpiani, e Giacomo Angelelli, Gentilhuomini principali, le contrade si trovarono non solo spallierate di Soldatesca numerosa, ma vagamente tappezzate, tutto che la pioggia fosse grandissima, & in tal guisa fu Sua Maestà accompagnata fuori dell’altra porta: Si sarebbe ella fermata qui un tantino per vedere nella Chiesa maggiore il sepolcro di Gregorio XII sommo Pontefice, che nel Concilio di Costanza rinunciò il Papato; ma per lo tempo cattivo continuò il viaggio. Quattro miglia più avanti in un Campo assai spatioso si viddero per ordine del prenominato Marchese Tassoni squadronati più di 8000 Soldati a piedi, & a cavallo, co’ quali fu con salve copiose di moschettate salutata Sua Maestà: Essa passando il fiume Potenza, che fende, & irriga una bella, e dilettevole Valle spondata da monti, e colli fruttiferi, gionse finalmente all’Arco Pio vicino alla porta della Città: l’Arco sudetto è così chiamato, com’eretto dalla felice memoria del già Cardinal Carlo Emanuele Pio, che nel governo di quella Provincia con una gloriosa direttione guadagnò gl’applausi, e le benedittioni universali di tutti quei Popoli. Dal detto Monsignor Governator Gallio, e dal Magistrato fu incontrata qui S. Maestà con numerosa cavalcata di Gentilhuomini, & il medesimo Magistrato complì con i dovuti termini d’ossequio. Quest’Arco era tutto abbellito di pitture, con figure, imprese, geroglifici, & inscrittioni in lode, & honore della venuta di sì gran Principessa, le strade erano pure riccamente apparate, e tutte guernite di Soldatesche. Furono vestiti 12 Paggi di quelle principali famiglie, per assistere, come poi fecero, al servitio di Sua Maestà. La Regina si condusse in lettica al Palazzo del suo alloggiamento, salita ad alto fu riverita nella sala da una gran quantità di Dame, tutte pomposamente, e leggiadramente abbigliate. Una di queste chiamata la Signora Girolama Ciccolini fece il complimento in nome di tutte le altre, e Sua Maestà lo gradì con affettuosa risposta, se ne ritornarono esse alle Case loro, e la Regina cenò privatamente. La mattina delli 12 si levò assai per tempo, conforme il suo solito, e si trasferì alla Chiesa di S. Giuliano, ch’è la Catedrale. Il Vescovo, ch’è Monsignor Silvestri, haveva fatto alzar qui un arco bellissimo con varie figure, imprese, & inscrittioni in lode di Sua Maestà. Nell’entrar in Chiesa fu ricevuta alla porta con la solita cerimonia da tutto il Capitolo, e Clero, e poi da buona musica fu cantato il Te Deum, doppo questo sentì messa, e ritornata a Palazzo, e fatta collatione, si mosse verso Tolentino dieci miglia distante. Nell’uscire fu accompagnata dal medesimo Governatore sin a confini di quella Diocese, e salutata dalla soldatesca con lo sparo di mortaletti, e moschetti, restando Sua Maestà contentissima de gli honori ricevuti in questa Città, la più nobile, e celebre della Marca. E’ ella assai grande, & è collocata sopra d’un monte, ma piano, & amplo, e vi risiede il Governatore della Provincia. Da Macerata si avanzò Sua Maestà alla volta di Tolentino, alli cui confini si trovarono tre mila soldati per ordine del Marchese Tassoni squadronati dal Sargente maggiore Mutio Campani. Gionta alla porta della Città, Monsignor Francesco Maria Monaldi Governatore di essa la riverì, come pur fecero il Confaloniero, Dottor Nicola Rotilini, e gli Priori Giuseppe Gualtieri, Antonio Capiccioni, e Bartolomeo Martini, col resto del Magistrato, oltre a tutti li principali di quella patria; passando poi per le strade tutte ripiene di soldatesche, e tappezzate, andò a smontar alla Chiesa di S. Nicolò, dove fu ricevuta con le cerimonie consuete. Quivi gli furono fatte vedere le due braccia, e mani di detto Santo, la scudella in cui mangiava, & il di lui sangue miracolosamente prodigioso, mentre vien asserito esser egli stato ben spesso veduto a liquefarsi, e muoversi, quando è accaduto qualche sinistro accidente alla Christianità, come appunto avvenne, quando il Turco s’impadronì del Regno di Cipri, & ultimamente occupò la Canea nel Regno di Candia. Questa reliquia è tenuta in somma veneratione, sta rinchiusa nell’Altare della Cappella del medesimo Santo, dentro una cassa di ferro, e quando occorre di mostrarla, assistono i Signori del Magistrato, che ne tengono le chiavi. Dalla Chiesa passò Sua Maestà all’alloggiamento preparatole nel Palazzo del Duca Sanesio parato sontuosamente. Qui mangiò privatamente, e fu trattenuta da Signori Nuntij sin all’hora di cena. A gli 11 di Decembre udita la messa, e fatta collatione col medesimo corteggio di Monsignor Gallio Governatore della Provincia, partì la Regina da Tolentino; Questa Città fasciata di antiche mura, e torri semplici, giace nel fondo della medesima valle irrigata al fiume Chianti. Il Vescovo di questa è pur anche Vescovo di Macerata; trovandosi questi due Vescovati uniti insieme. Incaminandosi Sua Maestà alla volta di Camerino, tenne la strada di Valcimarra, e Seravalle. Arrivata a Belforte terra murata sopra un monte distante tre miglia da Tolentino, trovò Monsignor Casanatta Governatore di detta Città a cavallo, accompagnato da buon numero di Gentilhuomini, e Cavalieri, e con una compagnia di cavalleria ben all’ordine, che al confine del suo governo la venne a ricevere. Al comparir di Sua Maestà smontò, e fece il suo complimento, servendola poi per tutto il camino. A Valcimarra si trovò una compagnia di 300 fanti, e vicino alla Città un’altra simile. Fu ricevuta alla porta dal Magistrato, capo del quale era il Signor Fulvio Magalotti, e dal Collegio de’ Dottori, e consiglieri tutti ben vestiti, e con molta servitù intorno, con tutti i primarij Gentilhuomini della Città, con trombe, tamburi, e gran numero di soldatesca schierata per tutte le strade, che pur’eran adobbate di tappezzarie, benché il tempo fosse piovoso. Arrivata alla porta della Catedrale, fu da Monsignor Emilio Altieri Vescovo, e dal Capitolo, e Clero ricevuta con le solite cerimonie, e con musica assai buona. Andossene poi al Palazzo Episcopale prepartogli, e doppo breve riposo fece chiamare i musici, col canto de’ quali si trattenne sin all’hora di cena, che fece in privato. Tutte le contrade, e fenestre erano piene di fuochi, e luminarij. Essendo il tempo cattivo, freddo, con neve, e piovoso, Sua Maestà medesima comandò, che si tralasciasse di tirar il cannone. Nella Sala del Palazzo trovò 15 Dame principali. La Signora Margherita Morelli, Pier Benedetti Pronipote del già insigne Cardinale di Camerino, fece il complimento per tutte l’altre. Quella sera gionse da Roma il Conte Montecuccoli di ritorno a Sua Maestà, la quale da Ferrara lo haveva spedito al Pontefice, come si disse. Nella piazza era rizzato un Arco trionfale con due gran colonne, sopra delle quali appariva un’Iride: l’Arco sodetto era ornato di varie figure, e di molte inscrittioni, & imprese. Allogiò in Camerino la Regina con una parte della sua Corte, il resto era andato per la Valle a Valcimarra per fuggir l’incommodo di quella salita. La mattina Domenica de’ 14 di Decembre si levò Sua Maestà avanti giorno, e calò in Chiesa a sentir messa; poi tornata di sopra, e fatta collatione si partì, accompagnata, e servita sempre da Monsignor Governatore, e dalla soldatesca a cavallo sino a confini: Passando alla muccia, vi trovò squadronata una compagnia di 300 fanti. La Città di Camerino è situata sopra un colle in mezo dell’Appenino; la circondano mura vecchie, e quasi affatto dirupate; alla parte di mezo giorno è guardata da una Rocca antica, il cui Castellano era allhora il Signor Gio: Maria Benigni della medesima Città, in luogo del Cavalier suo fratello, l’artiglierie della quale furono levate dalla felice memoria di Papa Urbano Ottavo ne’ bisogni della guerra. Il Palazzo dove habitano il Governatore, e Tesoriere, è assai vecchio; ma quello del Vescovato è moderno, e bello. Fu già questa Città governo perpetuo della Casa Varana, e dell’anno 1518 fu eretta in Ducato, e conceduta a Gio: Maria Varani ultimo di questa famiglia, che lasciò una figliuola sola chiamata Giulia, nata di Caterina Cibo nipote d’Innocenzo Ottavo maritata nel Duca d’Urbino. Questo Principe restandone padrone, la cedé poi alla Sede Apostolica, col pigliarne in cambio Sinigaglia. Doppo con le ragioni d’un altro della Casa Varani, che la pretendeva per heredità, come chiamato nelle prime concessioni, fu da Paolo Terzo Pontefice ceduta a Pier Luigi Farnese suo congionto, che ne fu rinvestito Duca, e l’anno 1544 la permutò finalmente con gli Stati di Parma, e Piacenza. Monsignor Marazzani Governator dell’Umbria, dalla sua residenza di Perugia portato su quel confine, comparve a Colle fiorito, accompagnato da nobilissima comitiva di Cavalieri, e servitù, e complì con Sua Maestà, fu qui salutata la Regina dalla moschetteria d’uno squadrone di 300 fanti; andò a pranso alle Case nuove, dove per i buoni ordini del Signor Baldocci fu regiamente trattata, e gionse verso un’hora di notte a Foligno. Alla porta della Città fu incontrata da Monsignor Cuccini Romano Governatore, e dal Magistrato, quali la ricevettero, e riverirono accompagnati da dodici paggi, sontuosamente abbigliati con torcie accese in mano, destinati al servitio della Maestà Sua. Alloggiò nel Palazzo de’ Venturini a spese però della Camera Apostolica, e sotto gli ordini del detto Monsignor Marazzani. Avanti alla porta di questo Palazzo era un Arco sostenuto da quattro colonne con varie figure, imprese, e geroglifici replicati da ben intese inscrittioni. Haveva quella Città preparato diversi fuochi, e cose simili per far spiccar splendidamente i suoi ossequij verso di Sua Maestà, e lo stesso havevano pur anche fatto le prenominate Città di Macerata, e Camerino; ma la pessima qualità de tempi sempre piovosi ne impedì l’effetto. La Regina nell’arrrivar in Sala fu ricevuta da molte Dame, una delle quali complì a nome dell’altre, servendola poi tutte sin dentro alle stanze, dove furono cortesemente da lei licentiate. Fu grande il contento & il concorso delle Città convicine, & in particolare di Perugia per lo commodo, ch’hebbero di vedere una Regina sì degna, e sì virtuosa. Qui cenò per tempo, e privatamente. E’ Foligno Città di poco giro, murata di costruttione antica; e allegra, e mercantile, & assai frequentata, massime ne’ tempi della fiera, che vi si fa celebre. Qui si vede la famosa porta, dalla quale quei Cittadini cacciarono già i Longobardi. E’ in sito amenissimo, dentro il piano d’una valle delle più fertili, e meglio coltivate, che si possano trovare; è spondata dall’una, e dall’altra parte da colli tutti vestiti di olivi, di vigne, di frutti, e di habitazioni, sì che sembra una vaga Scena. Havendo Sua Maestà deliberato di vedere la Città di Assisi, per venerarvi il Tempio del Serafico Padre San Francesco, la mattina de’ 13 doppo messa partì da Foligno, accompagnata dal sopradetto Monsignor Governatore, e da tutto il corteggio. A Spello fu incontrata da due compagnie di lancie, e da due altre di Cavalliggieri, & a i confini dal Cardinal Paolo Emilio Rondinini Vescovo di essa Città, con diverse carrozze piene di nobiltà; e con buon numero di paggi, e palafrenieri riccamente vestiti di livrea di veluto piano: si trovorono ivi pur anche due altre compagnie di cavalleria, una di lancie, e l’altra di corazze della Città d’Assisi, con altre della Provincia. Il detto Cardinale uscito già di carrozza al comparir di Sua Maestà s’aviò verso di lei; ma essa scopertolo, fece subito fermar la lettica, e scesa a terra sopra un tappetto quivi portato, e steso per ordine del Cardinale ricevé il di lui complimento, con segni di molta stima, e d’affetto: Sua Eminenza rimontata in carrozza per altra strada s’avanzò alla Città per esser pronto a riceverla alla Chiesa. La Regina continuò il viaggio, salutata di quando in quando dalla moschetteria squadronata ne’ posti più cospicui, e particolarmente a S. Maria degli Angioli. Indi portatasi in vicinanza della Città, ove erano pure due compagnie simili, fu ricevuta alla porta dal Sig. Granella da Gualdo Governatore, e dal Magistrato, che complirono seco; Si avanzò alla Chiesa di S. Francesco, nell’ingresso della quale fattesi dal Cardinale, e dal Clero le cerimonie consuete, passò avanti all’Altar maggiore, e qui sentita la messa sollennemente cantata da Monsignor Torreggiani, uno de’ quattro Nuntij con musica isquisita; andò nella Sagrestia segreta a riverire il santissimo velo di Nostro Signore, e le altre più insigni reliquie, che si conservano sopra l’altare della medesima Cappella. Vide in oltre Sua Maestà le memorie più cospicue di quella divotissima Chiesa. Doppo salutata di nuovo dallo sparo dell’artiglieria, e de’ mortaletti passò in lettica al Palazzo de Signori Giacobilli, destinatogli per alloggiamento, dove con eccessi di Regia benignità gradì l’ossequioso tributo, che della loro divotione gli fecero le Dame, che vi si trovavano in numero grande, e sontuosamente ornate, e la servirono sino alle proprie stanze. Il Palazzo sudetto si trovò riccamente abbellito di vaghe, e ricche tappezzarie, & in capo della scala si vidde drizzata una bella loggia, che la copriva, con un prospetto arricchito di molte figure, imprese, & inscrittioni. Fu in tanto imbandita la mensa con trasparenti lavori di gelo, e con statue di zuccaro così ben disegnate, misteriose, e riguardevoli, che potevano insieme dar gustoso alimento al corpo, & all’animo. Mangiò Sua Maestà in publico col Cardinale, gli servì di coppa il Sig. Marcello Rondinini fratello del Cardinale, di Scalco il Conte Francesco de gli Oddi figlio del già Conte Angelo Cavalier nobile di Perugia, di salvietta il Conte Sforza Fiumi d’Assisi, per isprimere la lautezza, & isquisitezza de’ cibi, basterà dire, che vi si trovò, quanto di eccellente nasce dalla terra, quanto di pretioso si sostiene per l’aria, & in fine quanto di buono si asconde nell’acque. Nel medesimo tempo, che si trattenne Sua Maestà alla mensa, furono banchettati alla grande anche i Nuntij, l’Ambasciator di Spagna, e tutti gl’altri Cavalieri Grandi, e cospicui della Corte, nel Convento di S. Francesco, dove furono preparati dieci appartamenti riccamente adobbati. Finito il pranso, si ritirò la Regina alle sue stanze, e chiamato Monsignor Holstenio, ch’era nello stesso punto ritornato da S. Francesco, gli disse, che havrebbe havuto gusto di riveder ad un ad uno i trionfi, o sian statue di zuccaro, de’ quali era stata adornata la sua tavola; furono portati subito a Sua Maestà, la quale ammirò l’ingegno, e l’inventione; E però essendosene tanto compiaciuta Ella, che sa col suo fino intendimento discernere, quanto di buono, o di bello si trova in qualunque cosa, non sarà forse discaro a chi legge il sentirne qui una succinta descrittione, senza però pregiudicar a gli altri conviti, ne quali sempre si trovarono di simili imbandimenti da noi tralasciati di descrivere, come cosa troppo lunga, e forse tediosa. In uno si rappresentavano le quattro virtù Cardinali, che sopra un pilastro ornato di bassi rilievi dorati sostenevano con la destra una corona Regia, a gli angoli del medesimo pilastro sedevano quattro fanciulli, ch’alzavano una corona, & uno scettro per ciascuno, nelle faccie del medesimo pilastro sopra il piatto posavano quattro medaglie ornate di basso rilievo con festoni d’oro. In un altro sopra il pilastro circolare la Dea Pallade, che data l’Asta, e l’elmo ad un putto, con la destra stava in atto riverente di porgere una Corona alla Regina, mostrando di cedergli nelle scienze il primato. Era il medesimo pilastro ornato di bassi rilievi coperti d’oro, fra quali erano ripartite quattro Arpie finte di bronzo. Si vedeva poi un piedestallo quadrato ornato di medaglioni dorati in basso rilievo atterrato il tempo, a cui soprastava la fama in un pilastrino, che tenendo una tromba nella sinistra, sosteneva con la destra sopra il capo una medaglia rappresentante la Regina; teneva quella con catena d’oro allacciato il tempo, quale col manto ricopriva molte medaglie d’Heroi, e così avvinto dimostrava esser soggetto alla fama di Sua Maestà, A gli angoli del piedestallo sorgevano quattro fiori in forma di Pino, che spuntavano da un rosone d’oro, nell’artificiosa postura de’ quali pareva, che l’arte havesse emolata la natura. Era nel mezzo di ciascuna faccia del Pilastro, una medaglia di color rosino miniata d’oro, con abbellimento intorno di diversi fiori, con proportionata simetria compartiti.
D’indi scorgevasi in un altro situata dentro splendori d’oro una nuvola, sopra la quale s’estendeva il carro del Sole, che tirato da quattro cavalli era retto da Appollo, che portava nella destra un mazzo di Spiche dorate, sopra de quali un Angioletto sostentava una corona d’oro, e con la sinistra stringeva le redini de’ cavalli vagamente bardati di nastri d’oro, e d’argento, e questi eran preceduti da un puttino in aria con una face in mano dinotante il crepuscolo, o Lucifero. In oltre posava un altro pilastro circolare, a cui Rocca argentata premeva il crine cinto di corona d’alloro, l’estremità della figura si convertiva in scoglio, da cui s’inalborava una palma, che dilatava i rami sopra di quella, & era dalla medesima abbracciata con la sinistra, quando con la destra additava pronte a Regij servitij l’herbe, ch’ella produce, mentre queste erano in tal’ordine disposte, Intorno al pilastro erano intagliati quattro pilastrini, ove stavano altrettanti puttini con coroncine di cedro, entro le quali si scoprivano foglie de’ fiori tra essi appoggiate al pilastro circolare spiccavano quattro Arpie di bronzo con olive di Spagna dorate in mano, e con festone d’oro, che nasceva da esse, formava ciascuna un piattino ripieno di granati, ch’era poi tramezzato da altri, compartimenti di pignoli entro a festoncino dorato, e quelli uniti a rosoni d’altri frutti, che la terra produce, con intagli d’oro abbelliti.
Doppo che Sua Maestà hebbe veduti, & attentamente vagheggiati i detti trionfi, disse mancarvene uno, com’era in effetto, essendo stato dal Cardinale mandato a Monsignor Servantii uno de’ Maestri delle ceremonie di Sua Santità, e che si trovava in altra habitatione fuori di Palazzo, & instando di volerlo vedere, subito gli fu portato. Figurava questi l’immortalità, qual sopra pilastro quadrato abbellito di mascaroncini d’oro ergeva con le mano sopra la testa un cerchio dorato, dentro di cui stava una medaglia con l’impronto di Sua Maestà, come questa non habbia altri confini, che quelli medesimi, che può assegnarli l’eternità, stavano tripartiti sopra gl’orli del piatto tre fanciulli, uno de’ quali simboleggiante la pittura su la tavola d’oro, formava col pennello il di lei ritratto, l’altro con il scalpello denotante la scoltura l’effigiava in mano, e’l terzo additando l’historia con la penna, formava caratteri sopra un libro unitamente dimostrando esser tutti tre intenti ad eternare il nome di Sua Maestà, tra questi erano tre vasetti ornati con mascaroncini coperti d’oro, che tenevano spighe di grano dorate, e ne’ spatij che nascevano tra i fanciulli, & i vasi spuntavano fiori di zuccaro di mirabil artificio, & il tutto posava sopra un candito, che terminava in un gratioso festoncino.
Hebbe la Regina gran piacere nel vagheggiare queste fatture meravigliose, non perché contenessero le lodi di lei, che ha modestia, e generosità per sprezzar ogni applauso, & encomio, ma solo per l’inventione, e per l’eccellenza della maestria. Terminate tutte queste cose Sua Maestà accompagnata dal medesimo Cardinale si portò con esso alla Chiesa de gl’Angeli, e non permettendo, che Sua Eminenza passasse più oltre, per esser l’hora assai tarda, montata in lettica s’incaminò verso Foligno, sodisfattissima d’haver veduta quella famosa divotione, e d’haver conosciuta la gentilezza, e degne conditioni del medesimo Cardinale, soggetto ripieno di tutte le virtù, che si convengono ad un Principe Ecclesiastico, magnanimo, e compito.
Questo Signore nipote del già Cardinal Ludovico Zacchia, nacque in Roma, e vi compì i suoi studij di belle lettere, e di Filosofia nel Collegio Romano sotto la fortunata disciplina de’ Padri Gesuiti: fece quelli di legge in Perugia, ove in questo mentre fu fatto Chierico di Camera da Papa Urbano Ottavo. Doppo haver amministrato molti officij di quel Tribunale, esercitò anche in compagnia del Cardinal Raggi la carica di Tesoriere in luogo dell’Eminentissimo Rapaccioli, che si trovava Commissario delle Soldatesche; doppo di che alli 12 di Luglio 1643 fu decorato della porpora, col titolo di S. Giorgio, e da Papa Innocentio X hebbe il vescovato d’Assisi.
Sta questa Città alla falda del Monte Asio, il quale in una linea procliva per la costa d’un rilevato colle, che dal medesimo Monte Asio pendente deriva, per lunghezza d’un miglio da Levante a Ponente si stende, essendo tutta a mezzo giorno rivolta, e se bene al capo, & alle spalle è circondata da monti non però malagevoli, e ricchi di fecondi pascoli, ha alli fianchi fruttifere colline, e vagamente vestite, & a piedi un’amenissima pianura, che per l’ampiezza non meno, che per la fertilità si rende tra le più belle, e migliori parti d’Italia riguardevole.
Ritornò S. Maestà a Foligno verso le tre hore della notte, incontrata dal Governatore, dal Magistrato, e da una parte della sua propria Corte, che quivi si era fermata. La notte fu illustrata da molti fuochi d’artificio, & essa vi cenò privatamente. La mattina seguente de’ 14 andò al Duomo, alla porta del quale fu ricevuta nella forma solita da Monsignor Montecatini Vescovo di quella Città: Trovossi quella Chiesa pomposamente adobbata: Sua Maestà vi sentì Messa; poi visitata la Chiesa detta delle Monache Contesse, dove gli fu fatta un poco di musica, ritornossene a Palazzo, & ivi pranzò in publico, per consolare tutti coloro, che vivevano bramosi di vederla in tal attion