Historia della Sacra Real Maestà di Christina Alessandra Regina di Svetia/4
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Libro quarto. Continua la Regina il suo viaggio per il Tirolo verso l’Italia, è invitata, e Regiamente trattata dal Principe Vescovo di Trento. Dal Tirolo passa incognita per il Dominio Veneto. Entra nel Mantovano, e vien accolta da quel Serenissimo Duca. E’ ricevuta ai confini dello Stato Ecclesiastico dalli Nuntij di Sua Santità, ove è trattata alla grande. Gli stessi trattamenti riceve in Bologna, Imola, e Faenza da’ Cardinali Lomelino, Donghi, e Rossetti. La mattina seguente s’incaminò Sua Maestà verso Trento, uscì il Principe ad incontrarla a cavallo, accompagnato da più di 250 Gentilhuomini, e Cavalieri di conditione, tra quali erano oltre al sopradetto Baron di Firmian Ereditario Maresciallo del Principato di Trento, e Cameriere della Chiave d’oro del Serenissimo Arciduca; Monsignor Vicario Generale Alberti, il Decano Guelfi, l’Archidiacono, il Conte Gio: Battista di Lodrone, Bernardo Malanotte, e Carlo Pompeati Canonici di Trento. I Conti Filippo di Lodrone, Paris di Lodrone, Colico d’Arco; I Signorni Walsperghieri, Gaudentio de Wolchestain, Christofaro Andrea Mattioli, & altri di chiara nascita, e di cospicua, & antica nobiltà.
Al villaggio di Gardolo tre miglia distante da Trento, smontato il Principe, & accostatosi alla Lettica di Sua Maestà complì brevemente, invitandola a ricever il pranso in casa sua. Accettò ella con sembiante lieto l’invito; complì pure il medesimo Principe con l’Ambasciator Pimentel, con Don Antonio della Cueva, col Conte Montecuccoli, e con Monsignor Holstenio. Doppo di questo s’avviarono verso la Città, cavalcando il Principe alla destra del Conte Montecuccoli avanti alla Lettica della Regina. Smontò S. M. alla porta del Duomo, e vi fu ricevuta da tutto il Clero, con l’intervento, & assistenza de Canonici sotto il baldachino portato da’ Signori del Collegio di Trento. S’inginocchiò ella sopra un coscino di broccato d’oro: ricevé il baccio della Croce, e l’acqua benedetta da Monsignor Giuseppe Guelfi Decano della Catedrale: Entrò in Chiesa, ove fu cantato l’hinno Ista est speciosa &c. & inginocchiossi all’Altare del Crocifisso, avanti il quale già furono publicati i Decreti del Sacro Concilio di Trento. Qui sopra un strato Reale rilevato da terra, coperto pure di baldacchino, ascoltò con particolar divotione la santa Messa, celebrata da Monsignor Vicario; doppo questa sotto il medesimo baldacchino portato come sopra, andò a piedi alla Chiesa di Santa Maria Maggiore, corteggiata da molte Dame, & ivi sentito l’organo famoso di quella Chiesa assai rinomata per il detto Concilio tenuto in essa, havendo anche dato un’occhiata al ritratto delle sessioni del medesimo Concilio, si pose in Lettica, facendosi portare nella Chiesa di San Pietro, dove vidde il corpo incorrotto, & insigne del glorioso martire, e fanciullo Simone Trentino, s’inviò verso il sopradetto Palazzo Madruzzo a pranso. Si trovò la tavola regiamente imbandita di tutto ciò, che concedeva la stagione, così di salvaticine, & altri volatili, come di tutte le sorti di carni delicate, pesci d’ogn’acqua, conditi, frutti, confetture, & in fine d’ogn’altra cosa più rara, e grande; nel che abbondò, e spiccò certo la splendidezza, e pontualità di quel generoso, e valoroso Principe. Mangiò la Regina sola, servita da’ principali Cavalieri.
Nell’hora medesima pranzarono ad un’altra mensa col Principe l’Ambasciator Pimentel, Don Antonio della Cueva, il Conte Montecuccoli, Monsignor Holstenio, & altri de’ Primati della Corte Regia, trattati esquisitamente, come pure furono tutti gli officiali, e Gentilhuomini di quella Comitiva.
Doppo pranso si ritirò la Regina alquanto in una stanza; di lì a poco andò il Principe a riverirla, e doppo un breve, ma cordialissimo complimento, ripigliò Sua Maestà il viaggio, accompagnata nel medesimo modo dal Principe, e corteggio di lui, sin alla campagna di Lidorno pur tre miglia distante, dove smontato da cavallo di nuovo riverì, e si licentiò da Sua Maestà, alla quale tutti quei Cavalieri, e Gentilhuomini Trentini ad un’ad uno baciarono la mano; mentr’ella la porgeva benignamente a tutti, dichiarandosi molto tenuta a gli honori, e cortesie ricevute da loro.
Così dunque proseguì Sua Maestà il viaggio, portandosi ad alloggiare quella sera a Calliano, dove i Baroni Troppi Signori di quel luogo, e Cavalieri di alta stima, fecero gran festa, e’l Castello di Besen ivi poco discosto, situato sopra l’erto d’un monte, che lo rende inespugnabile, la secondò con un gran fuoco di cannoni, e di moschetti. Di qui partì la mattina seguente 16 dello stesso mese di Novembre, e passando di lungo per Roveredo, fu salutata da quel Castello con lo sparo dell’artiglieria, mortaletti, e moschettaria, andossene ad Halla Terra picciola, ma assai mercantile per il traffico. Di qui scrisse al sopradetto Monsignor Principe la lettera infrascritta.
Mon Cousin Ie me sens si obligee de vos civilitez, e de bon accueil, que Vous me avez faict, que Ie n’ay pas voulu lasser retorner les gens de Monsieur l’Arciduc sans vous en faire ancor mes remerciemens, e sans Vous asseurer, que Ie sou haisterois fort de trouer le moyens de pouvoir vos testimoigner, ma recognoissance, e vous donner de marques de la sincerite avec la quelle Ie suis.
Mon Cousin.
A Hal 17 Novemb. 1655 Vostre affectione Cousine, & Amie Christine
Mio Cugino
Mi sento così obligata a gli honori, & al buon trattamento, che mi havete fatto, che non ho voluto lasciar ritornar le genti del Signor Arciduca, senza di nuovo ringraziarvene, e senza assicurarvi, che mi augurerò il modo di potervi far conoscere la mia gratitudine, e darvi testimonio della sincerità, con la quale io sono.
Mio Cugino.
Di Halla alli 17 di Novembre 1655 Vostra affettionatiss. Cugina, & Amica Christina
Il giorno dietro passando il Borghetto, uscì dalli Stati del Serenissimo Arciduca, gli officiali, e Corte del quale, che l’havevano sempre per quel Dominio servita, e spesata, presero licenza.
A gli avvisi dell’incaminamento di S. Maestà verso lo Stato Veneto, si erano avanzati già a quei confini i Conti Gio: Battista Allegri, e Marc’Antonio Chiodo, ambedue Proveditori alla Sanità della Città di Verona Cavalieri di gran qualità, e di conspicui natali per intendersi con Don Antonio Pimentel, acciò che non facesse godere della concessione del passo, se non alle persone sole del suo seguito; poiché tutto si faceva in nome di lui, volendo la Regina passar incognita, e senz’alcun incontro, come fu pontualmente osservato. Doveva Sua Maestà far il suo primo alloggio doppo Halla, Dolce villaggio sopra la Chiusa, onde per ordine dell’Eccellentissimo Paolo Contarini all’hora Capitano di Verona, Senatore di gran qualità, vi furono preparati gli alloggi proportionati all’angustia del luogo picciolo, & assai incommodo, per ricevere una Comitiva sì numerosa, né vi mancarono quei rinfreschi, che permetteva il tempo, e l’occasione: l’incombenza del ricevimento fu appoggiata alli Marchesi Sagramoso Sagramosi, e Conte Gio: Paolo Pompei, Cavalieri principali di Verona, assai esperti, e disinvolti.
Andarono questi dunque con nobilissimo corteggio di Cavalieri camerate, di servitù, e di carrozze a sei a ricever il sudetto Pimentel sin alli rastelli del passo, ch’erano al villaggio di Peri, e qui presentarono una lettera del medesimo Capitan Contarini all’Ambasciator Pimentel, accompagnandola con le scuse, & espressioni di buona volontà solite osservarsi in occorrenze simili. Gradì l’Ambasciatore la dimostratione con termini di molta cortesia, e con affettuosi ringratiamenti. Arrivatosi a Dolce, vi fu fatto l’alloggio, come meglio si puoté: Il regalo, o rinfresco fu di pesci del lago di Garda, di salvaticine, di pesci armati, confetture, e vini eccellentissimi così di quelle Campagne, che portano il vanto di moscatelli, i Garganichi, come di altri Greci, e navigati fatti venire da Venetia, molto sontuoso, e proportionato alla grandezza Venetiana. In Dolce fu risoluta la strada, che Sua Maestà doveva tenere per Ussulengo, & Isola della scala verso il Mantovano, la mattina de’ 18 passato l’Adige sopra un gran ponte, che per tal effetto fu quivi condotto, andossene ella la sera a Ussulengo servita sempre, benché sotto colore dell’Ambasciator Pimentel, dalli sudetti Sagramoso, e Pompei con li medesimi rinfreschi. Da Ussulengo alle 4 hore di notte spedì Monsignor Holstenio a dietro il Corriere inviatogli già dal Legato di Ferrara, e dalli Nuntij, dando loro avviso della strada stabilita nel Veronese, e Mantovano, per entrar nel Ferrarese; la mattina delli 19 toltasi di qui la Regina, passò ad alloggiar la notte all’Isola della Scala, Terra pure del Veronese, ove ricevette il medesimo trattamento d’alloggio, e di rinfreschi. In Ussulengo fu sorpresa Madama della Cueva da un poco di febre, cagionatagli da flussione di catarro; onde essa, & il Signor della Cueva marito di lei furono necessitati di fermarsi ivi qualche giorno, se bene poi risanata ella in breve, hebbero campo di seguitar il lor camino, e di sopragionger Sua Maestà, come fecero a Loreto. Era comparso in tanto il Marchese Andreasi, Cavalier di tutto proposito, & havea complito personalmente con la Regina, e fattogli l’invito per nome del Duca di Mantova poco prima tornato da Casale; fu accettato da Sua Maestà l’alloggio a Revere, luogo oltre il Po dirimpetto ad Ostia Terra del Mantovano. Con espressi corrieri avvertito il detto Serenissimo di tutto, fece preparar con gran celerità gli alloggiamenti, chiamando in diligenza le militie, così a piedi, come a cavallo dello stato Mantovano, per servir Sua Maestà con la magnificenza, che comportava il luogo, & il tempo. Egli poi con la Serenissima Arciduchessa sua consorte si condusse a Revere, di dove fece avanzare a’ suoi confini, tutte le compagnie di cavalleria, mettendo in Ponte Molino, Castellotto antico, dove si passa dal Veronese nel Mantovano, una buona guardia di fanteria. Il giorno, che la Regina si mosse da Isola della Scala, il Marchese Andreasi, che doppo haver adempita la funtione dell’invito in Dolce, come si disse, se n’era ritornato a Mantova, fu dall’Altezza Sua inviato, con numerosa, e nobile comitiva a confini, per ricevervi, come fece, Sua Maestà, rappresentandogli, che il Duca sarebbe stato ben presto a riverirla. Né rimase d’esprimere il discontento di Sua Altezza per l’incommodo di Sua Maestà cagionato dalla pioggia, che cadendo in quel tempo grandissima continuò tutto il giorno seguente; onde le strade si resero molto cattive, e restarono impedite grandemente le comparse dell’incontro; poiché il Duca, ch’haveva disegnato di comparire a cavallo, accompagnato dalla Nobiltà, che lo serviva superbamente adobbata, fu per tal accidente costretto servirsi delle carrozze. Inviate per tanto avanti le sue guardie di cavalleggieri, e di lancie ben vestite a livrea, destinate tutte al servitio della Regina, passò S. A. il Po con moltissimi Cavaglieri principali, e si portò in carrozza sin a Ponte Molino, facendo però condur seco i Cavalli sellati, e riccamente coperti, con pensiero di valersene a servir Sua Maestà, doppo che l’havesse riverita; ma la pioggia guastò ogni disegno. Quando il Duca scoperse la Carrozza della Regina, smontò subito dalla sua per riverirla: ond’essa avvisata esser in quel drappello il Duca, fatta fermare quasi incontinente la carrozza, ne saltò precipitosamente fuori, senza riguardo della pioggia, e del fango. Accostataseli S. A. complì seco con maniera altretanto ossequiosa, quanto spiritosa, e gentile. La Regina lo accolse con ugual compitezza, e più volte lo pregò a coprirsi; ma egli ricusò di farlo, dimostrando dispiacere, che Sua Maestà havesse preso l’incommodo di scender di carrozza in quel tempo sì fastidioso, per honorare chi gli era servitore sì divoto. Finito il complimento, rimontò il Duca nella sua carrozza, e passò avanti ad Ostia, per aspettar ivi la Regina, e servirla nel passaggio del Po.
Partito il Duca, gionse la Serenissima Arciduchessa, accompagnata da gran numero di carrozze, e servita da gran quantità di Dame, tutte pomposamente abigliate: Scesa S. A. in sito commodo per riverir Sua Maestà, volse questa usar seco lo stesso stile, ch’haveva tenuto col Duca, e smontata, benché nel fango, l’accolse con soavità maestosa, e con benigna affabilità. Doppo i reciprochi complimenti, la Regina presala presso di sé in carrozza, si avanzò al Po, le cui ripe da una, e dall’altra parte eran tutte, per quanto arrivava la vista, spallierate di Soldatesca a piedi, & a cavallo, con armonia di trompe, e tamburi, alla quale seguì un strepitoso suono di cannonate, e moschettate; e perché era già avicinata la notte, furono allumati moltissimi fuochi lungo le ripe del fiume, compartiti in aggiustati intervalli, che col loro ben regolato splendore tra quell’oscuro, rendevano dilettevole la prospettiva con effetto mirabile, e curioso.
Qui passò Sua Maestà il Po all’opposta ripa di Revere sopra tre porti attaccati insieme, i quali, per esser il fiume all’hora assai scarso d’acqua, servivano poco meno che di ponte, restandone tre altri separatamente disposti, per maggior commodo della comitiva. Era illuminato questo porto da 24 gran torcie accese portate da 24 paggi di S. A. vestiti di ricchissima livrea. Nel scender di carrozza, e nell’entrar sul porto, il Duca diede il braccio alla Regina, che dalle ripe fu portata al basso dell’acqua dentro una sontuosa seggetta secondata dall’Arciduchessa, alla quale servì di braccio l’Ambasciator Pimentel: Così di man in mano seguitarono a passare tutte le Dame, e Cavaglieri del corteggio, e gli altri dell’uno, e l’altro seguito.
La Terra di Revere ha tra le altre una lunga contrada distesa lungo al Po, con case dall’una, e dall’altra parte. Per questa, ch’era tutta vagamente illuminata, fu portata la Regina in seggetta sin al Palazzo Ducale, precedendo i sudetti 24 paggi con le torcie in mano, & una compagnia di guardia, seguendo l’Arciduchessa, e Dame in carrozza, & un’altra compagnia simile. Il Duca con i suoi Cavaglieri per altra strada più breve, si condusse al Palazzo, il quale, oltre all’esser ricchissimamente adobbato, era custodito dalle guardie a piedi di S. A. vestite a livrea, & ornato d’una nobilissima, e vaga spalliera di Dame, che col lucido delle gioie, e dell’oro, di cui eran guarnite, accrescevano lo splendore al numero infinito de’ lumi, che per tutto ardevano.
Smontò dalla seggetta Sua Maestà nella gran Sala del Palazzo. Il Duca gli diede il braccio, conducendola all’appartamento destinatogli. La Serenissima Arciduchessa la seguì, e le Dame fermatesi nell’anticamera poco doppo furono tutte introdotte a riverir Sua Maestà, che le accolse tutte col solito de’ suoi affabilissimi trattati. Ritornate queste nell’anticamera, restò Sua Maestà sola col Duca, e coll’Arciduchessa per qualche spatio discorrendo insieme. Introdotti poscia i musici di S. A. nella medesima stanza, diedero a portiere alzate un trattenimento dignissimo, con varie canzoni ad una, e più voci, intrecciandovi diverse armonie di stromenti, di che restò appagatissima Sua Maestà.
S’apparecchiò intanto la tavola nella stessa anticamera ripiena di nobiltà, che occupava ancora la gran sala contigua, essendovi concorsi in gran numero, oltre i Cavaglieri del Paese, moltissimi delle Città vicine, attirativi non solo da una lodevole curiosità, ma anche dal genio di servir a quel Principe, che con l’attrattiva delle sue amabilissime maniere rapiva a sé l’ossequio de’ più remoti, non che de confinanti.
Si assisero alla tavola la Regina sotto al Baldacchino in prospettiva sopra strato quattro dita rilevato da terra, e di rimpetto alla Maestà Sua i Serenissimi Duca, & Arciduchessa. Don Antonio Pimentel, benché invitato, non v’intervenne, non sentendosi troppo bene. Era la mensa imbandita di ornamenti tanto artificiosi, che l’occhio non satiavasi di vedere, e la mente di stupire della loro natural bellezza. La quantità, e delicatezza de’ cibi fu quale si può desiderar nel sontuoso della splendidezza, o nello splendido della generosità. S’osservò però il tutto senza meraviglia; perché chi conosce, qual sia l’animo di quel Principe, ch’anche nelle cose picciole è sempre grande, per esser uniforme alla grandezza della Casa Gonzaga, non ne prendeva ammiratione. Servì di coppa a Sua Maestà il Conte Luigi Canossa fratello del Marchese Horatio, ambedui Cavalieri d’alta conditione, e di grandissima stima, ma non hebbe questo Cavaliere molta fatica nel far scielta de’ vini, ch’ivi si trovavano pretiosissimi, & isquisiti; poiché la temperanza di questa virtuosa Principessa non gustò, che una sol volta due sorsi di vino, per far un brindesi a Sua Altezza, estinguendo poi l’altre volte la sete con acqua pura.
Continuò la musica, sinché durò la cena, e tutto fu sommamente gradito da Sua Maestà, la quale si ritirò poi alle sue stanze, come fecero i Principi, e tutti gli altri.
La mattina seguente de 21 doppo haver Sua Maestà desinato coll’istess’ordine, e magnificenza, ripassò il Po, montò nella propria carrozza con l’Arciduchessa appresso, che volse servirla sin a confini. Il Duca salì a cavallo con tutti i suoi Cavalieri, non ostante il cattivo tempo, precedendo, e seguendo la carrozza di Sua Maestà le compagnie di Cavalleria dello stato, e le guardie di S. A. In questa forma si caminò quasi sino a Melara, ove smontati, doppo gentilissimi complimenti, si divisero, ritornandosene quei Principi verso Mantova, e continuando la Regina il suo viaggio alla volta di Figarolo.
Gli quattro Nuntij, col Mastro delle cerimonie, e Don Innocentio Conti de’ Duchi de Poli Romano Maestro di Campo Generale delle Soldatesche dello Stato Ecclesiastico, e commandante in Ferrara, eran partiti con alcune compagnie di Cavalleria, ad una delle quali della guardia commandava il Marchese Carlo Theodoli soggetto di cospicue qualità, la mattina de’ 20 per tempo, con la carrozza, lettica, e seggetta inviate dal Papa per incontrar Sua Maestà a confini, ma dalla brevità del tempo, e dalla pessima qualità delle strade, non fu permesso loro d’avanzarsi più oltre di due miglia di là da Calto, dove scoperta la Carrozza della Regina, scesero a terra; lo stesso fece la Regina, quando si fu loro avicinata. Qui complirono i Nuntij a nome di Sua Santità, e gli presentarono il Breve, che Sua Maestà ricevé con molta riverenza; bacciandolo, & aprendolo allo scoperto, benché piovesse, il Breve che era del tenore che segue. Carissime in Christo filiæ nostræ Christinæ Sveciæ Reginæ Illustri. Alexander Papa VII Carissima in Christo filia nostra salutem, & Apostolicam benedictionem. Quanta sumus in expectatione adventus Maiestatis tuæ luculenter significabunt Venerabiles fratres Hannibal Thebanus, & Lucas Ravennatum Archiepiscopi, ac Dilecti filij Magistri Inicus Caracciolus Cameræ Apostolicæ Dæcanus, ejusdemque Clericus Philippus Cæsarinus Nostri ad Maiestatem tuam extraordinarij Nuncij. In hac enim gaudij magnitudine vix animo imperare potuimus, ut eius interpretes intra Ecclesiasticæ ditionis fines se tenerent, atque in tuo ingressu lætitiæ, incensæque erga te charitatis summam explicarent. Huius autem voluptatis sensum quoniam tuo in pectore minorem esse haud quaquam putamus, minime dubitamus quin gratissima etiam tibi futura sit hæc paterni amoris, cupidissimæque voluntatis significatio. Interea suave est illius dici, ac iucunditatis, cum te inter faustas omnium gratulationes Roma excepiet, ac tu sapientiæ, quam olim non ex Christi doctrina, sed in Philosophorum ludo dediceras apud stulta huius Mundi, & interdictos, & ignobiles, verosfontes reperieres, & ad Apostolorum exuvias Principum, ac Regnum monumenta, velut de Mundi fastus Crucis Discipulos triumphantes aspicies, iam nunc non exiguam aut levem partem delibare. Cæterum ea est nobilitas generis, & præter familiæ decus quæsitæ a singulis eorum, quos ad Maiestatem tuam mittimus laudes, ut per quam difficile apud te futurum sit quid in quoque magis probes, constituere. Modo Deus, cuius verbum faciunt venti, & spiritus procellarum, ipse sit in itinere tuo, ac Maiestati tuæ quas amantissime impertimur benedictiones largiatur. Datum Romæ apud Sanctam Mariam Maiorem sub Annulo Piscatoris die 24 Octobris MDCLV Pontificatus Nostri Anno Primo. Natalis Rondininus.
Rimontata poscia nella carrozza di Sua Santità, e seguendola i Nuntij con tutto il corteggio, gionse a Figarolo a mez’hora di notte, ove doppo un breve riposo fu visitata da’ Nuntij, quali incontrò a meza stanza, & accompagnò sin alla porta della medesima.
E’ Figarolo una Terra sparsa intorno alle ripe del Po, dirimpetto alla Stellata altro luogo simile situato nell’angolo, che fa il fiume Panaro nello scaricarsi nel medesimo Po. Non poté trovarsi qui a tempo tutta la commodità, che bisognava per un alloggio di tanta comitiva; perché calcolandosi, che la Regina in riguardo de’ tempi cattivi non potesse mai gionger colà alli 21 come Monsignor Holstenio haveva scritto, non caminarono le cose con la pontualità, e sollecitudine necessaria, al che s’aggionse ancora, che facendo il fiume per il vento fortuna, non lasciò passare, se non la sera de’ 20 alcuni officiali, e robbe destinate per tal alloggio: Furono con tutto ciò disposte le cose con proposito, perché se bene in quell’angusto luogo furono quella notte circa ottocento cavalli, tra la comitiva di Sua Maestà, e la Soldatesca di militia, e benché il tempo dirottissimo alla pioggia, difficoltasse ogni cosa, i commandi ben ordinati di Don Innocentio Conti, apportarono grandissima facilità alla dispositione dell’operare de’ Ministri subordinati al Baldocci, che da Ferrara vi gli haveva spinti; non mancando egli di applicazione in questo, & in quell’altro luogo, per meritare sempre più il nome d’accurato, e diligente.
La mattina de 22 Novembre pransò Sua Maestà in Figarolo, e doppo salita in carrozza, s’avviò verso Ferrara 15 miglia distante, sempre a lungo il fiume Po sopra gli argini, che ben forti vi sono per riparo delle pericolose escrescenze di lui. Per tutta la strada era disposto numero grande di Soldatesca; poiché D. Innocentio Conti, ch’è Cavaliere di gran valore, & intelligenza, havendo commandato 5000 fanti, e mille cavalli, gli haveva su quelle sponde con tal dispositione ripartiti, che gli fece parere assai più numerosi con meraviglia d’ogn’uno. Monsignor Bussi Nobile Viterbese Prelato di parti riguardevoli, Vice Legato di Ferrara, con una grossa comitiva di Gentilhuomini Ferraresi a cavallo, venne in vicinanza di Figarolo a complire con Sua Maestà, significandogli, che il Cardinal Legato sarebbe stato ben presto a riverir la Maestà Sua. Sua Eminenza, uscita dalla Città, si avanzò ad Occhiobello sei miglia distante ad incontrarla con buona comitiva di Carrozze a sei ripiene di Cavalieri principali di quella patria. L’Eminenza Sua veduta la Regina 25 passa lontano, che veniva sola dentro la carrozza del Papa, smontò andando incontro a Sua Maestà. La Regina, fatta fermar la sua carrozza dieci passa lontano dal Cardinale, smontò ancor essa, e quivi seguì il complimento, nel quale la Regina trattò sempre il Cardinale con titolo di Eminenza; rientrò poi la Maestà Sua in carrozza servita di braccio dal medesimo Cardinale, il quale salì pure nella sua carrozza, e seguitò Sua Maestà: era vestita la Regina d’un casacchino di velluto nero piano da huomo, col collaro, e guarnelletto bigio, e nero, senza il quale sarebbe parsa veramente un huomo. Gionta al Ponte del Lago scuro tre miglia lontano da Ferrara, luogo assai memorabile per il Forte, che pochi anni prima su l’opposta ripa fatto dal Pontefice, fu combattuto dall’armi Venete. Qui si trovò fabricato un ponte al maggior segno bello, e commodo, ordinato con architettura mirabile dal Marchese Girolamo Rossetti Cavalier Ferrarese di gran spirito, e di conditioni cospicue. Era composto di 46 grossi barconi, con un tavolato sopra così largo, che vi potevano caminare quattro carrozze al pari. Da una ripa giongeva all’altra, né semplicemente da un margine all’altro dell’acqua; ma sopra l’argine stesso. Era veramente la costruttione del detto ponte maravigliosa, e forse delle più belle, che già mai si siano vedute in Europa. Sua Maestà volse passarvi sopra, benché per lei fosse preparato un sontuosissimo Buccintoro ornato con l’armi del Papa, e di essa Regina, & un’altra nobilissima barca più picciola. Passata Sua Maestà, benché il detto Ponte restasse caricato da gran numero di carrozze, cavalli, e Soldatesca, a segno che non ve ne poteva capire d’avantaggio; con tutto ciò stette sempre saldo, e forte senza alcun minimo disconcio. Alla porta della Città fu incontrata la Regina dal Marchese Francesco Calcagnini Cavaliere Primario di quella Città, e dotato di talenti non ordinarij. Questi era all’hora Giudice de Savij, e doppo col Magistrato, Collegio de Dottori, e con la di lui guardia d’alabardieri vestiti con la divisa solita della Città, e con gran numero di Servitori, s’avanzò a complire con la Regina, che lo ricevette col solito della sua affabile gentilezza: Egli doppo il complimento la servì, cavalcandogli avanti con tutta la sua comitiva, tra la quale furono 24 paggi di nobil nascita, vestiti di veluto nero piano, destinati a servire la Maestà Sua. La Città non risparmiò, né spesa, né applicatione; poiché il Conte Giulio Cesare Nigrelli Ambasciatore di quella Patria in Roma, carica esercitata da lui con somma lode, & attentione, haveva in ciò avvertito il Magistrato della mente del Pontefice; sulle prime fu salutata da sei grossi cannoni con palla, sparando tutti in un tempo, e fu seguitato il saluto da tutta l’artiglieria delle mura, con infinito numero di mortaletti trameschiativi. Erano tutte le porte, strade, e parapetti armati di soldatesche, luminari per le strade, e torcie alli Palazzi de’ Cardinali Legato, e Vescovo, Case del Publico, del Vicelegato, e d’altri Cavalieri particolari.
Venne in lettica sin alle colonne avanti la Catedrale, e quivi smontò. L’Eminentissimo Cardinal Pio Vescovo parato d’Amitto, Piviale bianco, e mitra pretiosa, nel mezo di due Canonici con le cappe, precedendo la Croce, Clero, e Capitolo, l’incontrò, & ella inginocchiatasi nel piano dentro alle catene sopra un coscino di broccato d’oro disteso in un grandissimo tappeto, baciò divotamente la Croce offertagli dal medesimo Cardinal Vescovo, e poi precedendo la medesima Croce, seguitata dal Clero, e Capitolo, e nell’ultimo luogo il Cardinale nel mezo de’ Canonici antedetti, fu presa Sua Maestà sotto ad un baldacchino di lama d’argento, e condotta sin alla porta della Chiesa da’ Magistrati secolari; nel qual tempo si cantò l’Antifona Ista est speciosa &c. Il Cardinal Legato smontato di carrozza, fatta profonda riverenza alla Regina passò alla Sagrestia per spogliarsi, come fece, gli habiti da campagna, e si vestì di sottana lunga, rocchetto, e mozzetta, attendendo ivi il Cardinal Vescovo.
Nell’ingresso della Chiesa il Cardinal Vescovo con la mitra in capo, preso l’asperges dalla mano della prima dignità capitolare, asperse la Regina, e gli altri ivi presenti; poi riverì Sua Maestà, e cavossi la mitra, & in tanto fu da’ musici cominciato a cantare l’Inno del Te Deum. Finito il primo versetto, il Vescovo si ripose la mitra in capo, e precedendo similmente la Croce, e Capitolo, s’avviò verso l’Altar maggiore, sopra il quale era esposto il Santissimo Sacramento. Salì all’hora Sua Eminenza al corno dell’Epistola, e deposta la mitra, & inginocchiatosi al versetto Te ergo quæsumus &c. si rizzò di nuovo in piede, e voltato alla Regina, subito che fu finito il Te Deum, recitò i versetti, & orationi Salvam fac Ancillam tuam &c. Dominus Deus, cuius providentia &c. e finalmente stando nel mezzo dell’Altare diede la benedittione solenne, & inchinata la Regina, andossene in Sagrestia a deporre li paramenti, e vestitosi d’habito conforme a quello del Card. Legato, uscirono insieme dalla Sagrestia sudetta, & ambidue si portarono da Sua Maestà, la quale entrò sola in carrozza, e li due Cardinali, Nuntij, & Ambasciator Pimentel in altra carrozza si condussero al castello, e sin al di lei appartamento.
La Chiesa haveva la facciata tutta illuminata da torcie, & al di dentro era tappezzata riccamente, con un inginocchiatore per la Regina, e coscini per i Nuntij, i quali seguivano sempre nel servire Sua Maestà. Alla porta della Sala del Castello si trovarono molte delle più nobili Dame della Città riccamente adobbate, e tutte riverirono, e complirono con la Regina, che affettuosamente le accolse, e poi ritirossi nelle sue stanze, dove fu accompagnata da i due Cardinali, dalli Nuntij, e da tutto il corteggio, non passò altro in quella sera, se non che tutti gli officiali destinati al buon ordine di quest’alloggio non restarono otiosi, impiegandosi nel compartire senza confusione il suo alloggiamento ad ogn’uno. Quelli, che non puotero capire in Castello, furono ripartiti in Palazzi, e Case de’ particolari per la Città. Quella sera la Regina cenò privatamente, e fu trattenuta da una eccellentissima musica. Furono poi spediti Corrieri a Roma per dar conto di tutto al Papa, come si andò poi anche osservando di mano in mano a tutte le altre posate, non solo per obedire alle premure, che haveva Sua Santità, di andar sentendo quanto si faceva; ma anche per ricevere da Sua Beatitudine gli avvertimenti opportuni intorno a quel più, che si dovesse fare per un compito, e Regio ricevimento. Due giorni si trattenne Sua Maestà in Ferrara, dove visitò diversi Monasterij di Monache, & altre cose più notabili della Città, accompagnata sempre dalli due Cardinali in carrozza, sedendo l’Eminenze loro dalla parte del Cocchiere, e la Regina sola nel di dietro; i quattro Nuntij la seguivano poi, come fecero sempre, dentro un’altra carrozza, e così di mano in mano continuava il corteggio d’altre carrozze di nobiltà. Volse vedere quella bella fortezza, il che seguì con suo grandissimo gusto, e qui ella stessa assisté allo sparo d’alcuni pezzi d’artiglieria. In questi due giorni la Città stette tutta in feste, & allegrezze, procurando ogn’uno di publicarle con quelle dimostrazioni, che si convenivano. Si fecero bellissime mascherate, & altre comparse,, che potessero invaghir gli occhi, e dar divertimento a’ sensi. La Regina al suo ingresso nello Stato Pontificio spedì da Ferrara a Roma per le poste il Conte Raimondo Montecuccoli, accioché in suo nome complisse con Sua Santità, rendendogli gratie di tutti gli honori, che Sua Beatitudine s’era degnata di fargli, e di quelli particolarmente, ch’haveva cominciato a ricevere nel Dominio Ecclesiastico, al quale consignò lettere affettuose per Sua Santità. Questo Cavaliere con la solita vivezza de suoi nobili, e spiritosi talenti conplì molto bene, & esattamente alle sue parti, lasciando il Papa contentissimo del suo ministerio, se ne ritornò di lì a pochi giorni a ritrovar la Regina nel viaggio, riconducendosi con lei in Roma.
La mattina seguente volendo Sua Maestà mangiar in publico, fu preparata la tavola con una posata sola sotto al baldacchino; ma perché essa volse honorare i Cardinali Legato, e Vescovo col tenergli a pranso seco, furono portate altre due posate, una a destra, & l’altra a sinistra della mensa, un poco distanti dal capo, dove stava la Regina, partecipando però ambidue qualche poco del baldacchino. Tutte tre le posate havevano le panattiere dorate, il Cardinal Legato si pose alla mano destra, e’l Vescovo alla sinistra: & il Legato benedì la tavola. Don Luigi Pio di Savoia, Principe di S. Gregorio, fratello del Cardinal Vescovo, diede a Sua Maestà l’acqua alle mani, & assistilla a tavola, mutandogli la vivanda all’uso d’Alemagna. Don Innocentio Conti gli porse la salvietta, e’l Marchese Ippolito Bentivoglio la servì di coppa, con far sempre la credenza, o assaggio. Era venuto il sudetto Principe di San Gregorio da Roma a Ferrara su le poste, per riverire la Regina, come quello, che curioso di veder il Mondo, doppo esser stato alle Corti di Spagna, Francia, Fiandra, Olanda, e Danimarca, sendo passato anch’in Svetia, haveva ricevuti colà da Sua Maestà molti honori, e tra gli altri l’accompagnamento d’un Vascello da guerra della Corona sin a Danzica, oltre al ritratto della stessa Regina circondato da cento bellissimi diamanti, favore solito farsi da quella generosa Principessa a gl’Ambasciatori di Teste Coronate, e Cavalieri d’alta conditione. L’haveva per tanto riverita a confini del Ferrarese, & era stato ricevuto con somma benignità; onde compita questa fontione, licentiossi, e riprese le poste verso Roma per servirvi Sua Maestà. Il detto Prencipe com’è dotato di spiriti vivaci, d’animo splendido, e sopra tutto ripieno di quelle virtù, e talenti, che si convengono ad un Cavaliere di gran nascita, così in tutte queste parti nell’età sua ancora giovenile segue molto degnamente le glorie dell’Eminentissimo Cardinal suo fratello, il quale alla integrità della sua vita esemplare ha congionta una somma prudenza, & una isquisita cognitione di tutte le cose più degne della nobiltà de’ suoi pensieri, facendo spiccar sopra tutto gl’atti di somma generosità, e le pretiose prerogative della cortesia.
Ritornando a ciò, che fu osservato nella tavola: furon date alla Regina, & a’ Cardinali le bavarole; stavano l’Eminenze loro in rocchetto, & osservarono pontualmente di non toccar vivanda alcuna, se prima scopertasi la posata, & il piatto di Sua Maestà, ella non havesse preso il primo boccone.
Il primo discorso introdotto qui dalla Regina, fu sopra i Pittori di Roma, concludendo ella a favore di Pietro da Cortona, e del Cavalier Bernino; entrò doppo ne’ Musici, e si mostrò informatissima di tutti i Soprani, o castrati, dicendo, che Bonaventura era all’hora l’unico, e che il Cavalier Loreto da Spoleti haveva insegnato il cantar leggiadro: continuò un pezzo nelle lodi della musica, chiamandola ornamento de’ Principi, e diletto delle camere. Alla prima bevuta, che Sua Maestà fece furono sparati tre gran pezzi di artiglieria. Discorse poi de’ Tempij dell’Europa; tre disse esser i maggiori; cioè S. Pietro in Roma, S. Paolo in Londra, e’l Duomo in Milano, ma che S. Pietro era il più bello, e’l più grande: aggionse, quasi sospirando, che San Paolo in Londra era adesso una Stalla, e qui ragionò assai degli affari dell’Inghilterra. Sentendo poi un poco di caldo, fece aprir le vetriate dall’alto al basso di quella stanza, & all’hora la gente, che stava tutta attorno la mensa, si discostò alquanto. La Regina doppo haver bevuto la seconda volta disse, che non haveva mai bevuto tanto vino, quanto in Italia, e che vi era in sommo grado eccellente: Il Cardinal Vescovo rispose: V. M. ne ha bevuto poco, perché lo inacqua molto, e si vede, che porta seco la virtù del Settentrione, la Regina se ne compiacque; finalmente non cessando mai di comparire nuove vivande, lodò l’Italia, che havesse tutto in sé, eccetto le droghe; il Cardinal Legato soggionse; come zuccari? la Regina ripigliò: questi vi sono in Sicilia; E con tali, e simili discorsi, che sogliono esser i passatempi de’ Grandi nelle ricreationi delle mense, e de’ conviti, si sparecchiò la tavola, e nel mezo a’ due Cardinali sopradetti ritirossi alla sua stanza, ove si fermarono seco le loro Eminenze, trattenendosi in varij discorsi; Ne’ suoi ragionamenti mostrò ella di far gran stima della Francia, e d’esser informatissima di tutti gli affari del mondo, e sopra tutto della Corte Romana, e sin dell’ultimo Conclave. La sera fu divertita da una Comedia fatta a spese del Marchese Cornelio Bentivoglio, Cavalier d’una delle principali Case d’Italia, e che si può chiamar meritamente vero amatore de’ Virtuosi; questa riuscì sopra tutto mirabile per la bellezza, e vaghezza delle machine; Si rappresentavano in quest’opera gli honori di Borea con Oritia. Sua Maestà facendo meritamente stima di famiglia tanto cospicua, honorò del titolo di Gentilhuomo della sua Camera, e Coppiere il Marchese Ippolito antedetto, che insieme col detto Marchese Cornelio suo padre servirono poi la Maestà Sua sin a Roma, come pur fece Donna Costanza Sforza, Dama di rare doti, e di gran qualità, moglie del sudetto Marchese Cornelio, la quale in cambio di Madama della Cueva, rimasta in dietro ammalata, come si disse, supplì con ugual spirito, e decoro alla carica di Cameriera maggiore di Sua Maestà, servendola in tutto il resto del viaggio sin a Roma; Il rimanente della notte fu solennizato da varietà di fuochi artificiati, e da tutte quelle dimostrationi di giubilo, e d’allegrezza, che poterono uscire da cuori ambitiosissimi di conformarsi alla generosa nobiltà de’ sentimento del loro Principe. Mentre si trattenne Sua Maestà in Ferrara, capitò ivi il Conte S. Vitali Cavaliere di gran qualità, spedito dal Serenissimo di Parma con titolo di suo Ambasciatore straordinario, per complir seco, come fece. E’ Ferrara Città grande, e spatiosa, adorna di vaghi, e sontuosi edificij, e di molte piazze, habitata da diverse famiglie grandi; è bagnata all’Oriente, & al mezo dì da un ramo del Po; giace in campagna piana, bassa, & humida, e perciò stimata d’aria non in tutto salubre, è munita di forti mura, bastioni, parapetti, ben fiancheggiata con larghe, e profonde fosse, assicurata da una fortissima, e ben intesa Cittadella, in alcune parti inaccessibili a gli approcci per il sito in parte marascoso. Il Castello, ch’è l’habitatione de’ Card. Legati, è magnifico, e sontuoso, e qual si può creder sia stata la regia residenza de’ Serenissimi Estensi splendor dell’Italia, per grandezza d’animo, & eminenza di valore. Il Card. Gio: Battista Spada nobile Lucchese, soggetto di bontà, e di talenti rari per lunghi servigi prestati alla S. Sede decorato della porpora a 2 di Marzo 1654 col titolo di Santa Susanna, esercitava con molta sua gloria quella Legatione, & in questa congiontura abondò certo col sodisfare egregiamente alle sue parti.
Il giorno de’ 25 partì la Regina da Ferrara salutata dal cannone delle mura, e della fortezza nel modo tenutosi nell’ingresso, e si videro tutte le strade guarnite di soldatesca. I due Cardinali Legato, e Vescovo l’accompagnarono sin a’ confini della Legatione, che terminano al fiume Reno, poco discosto dalla Villa del Poggio, luogo de’ Marchesi Lambertini, famiglia antica, e cospicua di Bologna: Quivi all’entrar nel Bolognese fu incontrata da Monsignor Ranuccio Ricci Vicelegato con comitiva di colti Gentilhuomini tutti a cavallo, il quale complì con Sua Maestà a nome dell’Eminentissimo Cardinale Gio: Girolamo Lomellino Legato, e se ne ritornò a Bologna, lasciando la compagnia di cavalleria, che colà l’haveva accompagnato, acciò assistesse alla Regina. Alloggiò la Maestà Sua quella sera nella Villa di S. Benedetto, nel Palazzo del Marchese Senatore Gio: Nicolò Tanara all’hora Confaloniere di Giustitia, soggetto molto qualificato, rimanendo ripartita la Corte con li quattro Nuntij, ne’ Palazzi, e nobili habitationi circonvicine, ove fu sontuosamente trattata.
La mattina seguente seguitò il viaggio verso Bologna, di dove uscito il Cardinal Legato con più di 40 carrozze a sei ripiene di nobiltà, e tre compagnie di Cavalleria, si portò ad incontrarla sin alla Villa di Funo cinque miglia distante, restando tutte le strade spallierate di soldatesca, e di numeroso popolo concorso per vedere questa gran Principessa. Ella gionta dieci passi vicino a Sua Eminenza, che havendo già messo piede a terra, l’aspettava nel mezo della strada, scese di carrozza, e ricevette con grand’affabilità, e cortesia il complimento, che gli fece il Cardinale. L’Eminenza Sua doppo di questo, fu necessitato di tornarsene indietro, come subito fece, per avanzarsi a riceverla nella Chiesa Cattedrale in assenza di Monsignor Arcivescovo Boncompagno.
Gionta che fu vicino alla porta della Città, si cominciarono a sentire i tiri dell’artiglieria, ch’andarono continuando, sin che arrivò a Palazzo. Alla Porta fu ricevuta dal Confaloniere, e tutto il Magistrato a cavallo con gli habiti loro solenni. Doppo i complimenti simili a quelli, che gl’eran stati fatti in Ferrara, si portò alla Chiesa di S. Pietro, ch’è la Catedrale, e qui smontata fu ricevuta con le medesime cerimonie usate nella Chiesa di Ferrara, doppo le quali fu portata in seggetta al Palazzo accompagnata da tutto il corteggio. Il Cardinal Legato, che si era sollecitamente avvanzato colà, la ricevé a piedi delle scale, e nel passare per la Sala Farnese, si trovarono ivi in spalliera da una, e dall’altra parte più di cento Dame sontuosamente adobbate, che tutte con profondi inchini la riverirono. Gionta al suo appartamento, poco doppo mirò i fuochi all’incontro delle sue stanze, sopra una lunga, e vaga ringhiera a tal effetto fabricata con piramidi, & una gran figura significante la fede con l’armi del Papa, di Sua Maestà, e di Sua Eminenza, fra le quali erano compartite varie imagini di Leoni, insegna di questa Patria. Riuscirono i fuochi di straordinaria bellezza, e furono veduti in un tempo medesimo volare dalla sommità di due torri sei mila raggi.
Doppo questo entrò la Regina nella Sala d’Ercole, dove sedendo sotto al baldacchino nel soglio preparatogli, vidde i balli, che si fecero da cento, e più bellissime, e superbamente abbigliate Dame.
Il giorno seguente andò a vedere la Chiesa di San Domenico, e vi venerò il Corpo di detto Santo, mostrando particolar divotione verso di lui, e stima uguale di questa antica, e nobilissima Religione: qui gli furono mostrati all’Altare delle reliquie i cinque libri di Moisè scritti in Ebraico in cuoio sottile dal Profeta Esdra; e Sua Maestà ne lesse alcune parole; Volse puoi vedere le scuole publiche, nelle quali gli fu recitata un’eloquente oratione sopra l’honore dall’Abbate Certani, soggetto di gran dottrina, e di virtuosi talenti. Sull’avviso, che la Regina era arrivata a Bologna, il Serenissimo di Modena spedì il Marchese Silvio Molza Cavagliere di spirito, e di talenti non ordinarij, acciò in qualità di sua Ambasciatore fosse, come fu, per riverire Sua Maestà, ma non seguì il complimento, perché non si puotero aggiustar le pretensioni ch’egli haveva.
Si fermò in Bologna due giorni, com’haveva fatto in Ferrara, e nel secondo andò a Messa a San Michele in Bosco fuori della porta di San Mamolo, Monastero famoso de’ Padri Olivetani; si compiacque sommamente nel vedere quel Chiostro dipinto da’ più rinomati Pittori Bolognesi Caracci, e Reno, e nella Sagrestia il S. Michele di bronzo, opera insigne dell’Algarbi; visitò anche al rientrar nella Città il corpo della Beata Caterina da Bologna, che si conserva ancora da quelle Monache tutto intiero, palpabile, e sedente senz’aiuto d’alcun appoggio. Tornata Sua Maestà a Palazzo, il Reggimento di Bologna mandò a rigalarla di dodici volumi dell’opere del Dottor Aldrovandi, che gli furono molto cari. Nella stessa mattina la Regina pransò in publico col Cardinale, osservandosi il medesimo stile tenuto in Ferrara; molte Dame vennero mascherate a vedere il convito, che fu sontuoso, quanto imaginar si possa; poiché l’animo grande di quel Legato, non tralasciò cos’alcuna, che havesse del grande, e del maestoso. Il Confaloniere diede la salvietta a Sua Maestà. Il Conte Francesco Carlo Caprara nipote del General Duca Piccolomini la servì di piatto, e di coppa, ambidue soggetti riguardevoli.
Il doppo pranso visitò il Collegio Maggiore di Spagna, fondato dal già famoso Cardinale Egidio Albernozzi, e la sera verso le tre hore della notte si portò ne gli appartamenti del Reggimento, e di là nel Teatro.
Fu questo per tal effetto fabricato in forma d’una gran nave, la quale nelle sue estremità arrivava sin alla facciata sopra le pescarie, e sopra una parte del Palazzo, per una gran finestra del quale Sua Maestà, accompagnata dal Cardinale, passò per un Ponte sontuosamente adobbato, dov’erano più di 140 Dame, tutte guernite egualmente dallo splendore della propria bellezza, e da una ricchissima miniera di perle, e di gioie d’inestimabil valore. Il Teatro, ch’era coperto, haveva nella sommità alcune gran lumiere, e d’ogn’intorno eran distribuite regolatamente più di 300 torcie, & altri lumi minori, che davano abbondanza di chiaro. I parapetti del palco erano adobbati di varij tappeti, parte di arazzi, e parte di seta di varij colori.
Doppo la comparsa de’ Mastri di Campo, che furono il Marchese Angelelli, e’l Conte Odoardo Pepoli, ambidue Senatori, si vidde uscir un gran carro dorato, con 24 Palafrenieri vestiti di tela d’argento, con torcie in mano, tirato da 12 cavalli superbamente guerniti, sopra del quale sedeva vestita da Pallade Felsina, rappresentante Bologna, che Felsina appunto fu già chiamata all’hora, che fu la Città Reale della Toscana; più a basso stavano la Pace, la Fama, e la Guerra, che intercalavano il canto di Felsina, e doppo haver passeggiato il campo, fermossi alla presenza della Regina per introdurre le giostre. Cantò ella all’hora, che per applaudere a tanta Maestà, li Personaggi del Triumvirato, che sul fiume Lavino poco distante da Bologna si divisero il mondo, conducevano tre squadre di Cavalieri, che di Giostre di Quintana, e di rincontro haveriano ossequiato il merito della Maestà Sua. Tacque poi Felsina, e partita col suo seguito, dalli Mastri di campo furono introdotte le tre squadre guidate, una da Ottaviano Augusto, la seconda da Lepido, e la terza da Marc’Antonio, composta ogn’una di 6 Cavalieri, precedute da Trombetti, Paggi, e Palafrenieri con torcie accese in mano; ciascuna di queste bizzarramente abbigliata passeggiò il campo, accompagnata da due Padrini, e con due Cavalieri coperti di tutte l’armi per la giostra, che si doveva fare all’incontro. Le pennacchiere, & i cimieri erano altissimi composti di varietà di penne pretiose, ch’accrescievano leggiadria alla pompa della comparsa.
La prima squadra conteneva oltre gli antedetti due Padrini, i Conti Luigi Bentivogli, Marc’Antonio Sampieri, Ercole Malvezzi, Filippo Maria Bentivoglio, Marchese Ippolito Bevilacqua, Marchese Cesare Tanara, i Conti Ludovico Albergati, Antonio Orsi, & Alessandro Fava, tutti Cavalieri di nascita, e di valore.
Nella seconda erano i Conti Francesco Carlo Caprara, Costanzo Maria Zambeccari, Alfonso Ercolani, Girolamo Caprara, Ercole Isolani, Antonio Gabrielli, Antonio Giuseppe Zambeccari, Felice Montecuccoli, e Rinaldo Bovio, de’ quali eran Padrini gli Conti Gio. Battista Albergati, & Annibale Ranucci, soggetti di gran merito, e di Lodevoli conditioni. Nella terza erano i Marchesi Andrea Paleotti, & Guido Antonio Lambertini, gli Conti Enrico Ercolani, e Francesco Maria Ghislieri, & i Signori Ottavio Casali, Gio. Battista Sampieri, Alessandro Roffeni, Girolamo Pini, e Fabio Guidotti, per Padrini servivano i Conti Vincenzo Marescotti, e Cesare Annibale Marsilij, li quali Cavalieri eran tutti delle più cospicue, e nobili famiglie di quella Città.
Queste tre squadre doppo haver riverita separatamente la Regina, corsero alla quintana, rompendo più di 130 lancie con applauso universale. Terminata questa operatione, si fece quella dell’incontro di due Cavalieri d’ogni squadra, furono della prima i Conti Luigi Bentivogli, e Marc’Antonio Sampieri; della seconda i Conti Francesco Carlo Caprara, e Costanzo Maria Zambeccari, e della terza i Signori Ottavio Casali, e Gio. Battista Sampieri; ogn’uno di questi corse cinque lancie, con tanto coraggio, e bizarria, che cavarono gli applausi più vivi dalle voci de’ spettatori. Doppo di questo s’unirono tutte le squadre in un semicircolo, riverirono con profondo inchino Sua Maestà, e gli fecero gratie dell’honore fattogli colla sua presenza, di che mostrò ella segni di benigno, e singolar gradimento. Nel ritornarsene la Regina al suo appartamento quella notte stessa passando per le stanze publiche del Magistrato della Città, chiamato il Reggimento, vidde il Pollione del famoso Pittore Guido Reni da Bologna, con l’imagine de i Protettori della Città, e tanto se ne compiacque, che volse di bel nuovo vederli. Gli honori fatti a Sua Maestà dal Legato, e da tutti quei Cavalieri furono veramente riguardevoli sì per l’ordine, come per la magnificenza; Gl’ingegni più rari di quella Patria, non tralasciarono di tributarvi abbondantemente la felicità naturale de’ loro genij. Il Cardinale Legato hebbe discorsi molto sensati con S. M. la quale se ne dimostrò al maggior segno sodisfatta, tra le altre cose gli rappresentò, che in Roma come Città grande, e ripiena d’ogni Natione vi potria vedere persone differenti, e dediti così al bene, come al male; perché se li primi sono facili ad appigliarsi a que’ mezzi, che più pensano potere avanzare le loro pretensioni, è all’incontro così grande il numero de buoni, & esemplari nelle sante operazioni, che vi si fanno, che la Maestà sua havrebbe potuto andar disponendo l’animo suo, e al compatimento, & all’edificazione.
Giace Bologna alle radici del Monte Appennino nel mezo della via Emilia, di forma bislonga, e quasi a somiglianza d’una Nave. Ha dodici porte, che mostrano, qual sia la di lei grandezza, vi passa a canto il Fiume Savena, e per mezo un ramo del Reno navigabile sin a Malalbergo lontano da Ferrara circa 20 miglia, dove poi s’entra nella Valle detta la San Martina che conduce sin a Ferrara. Gli edificij sono ampli, comodi, e più maestosi dentro, che fuori. Vi sono portici spatiosi per tutte le strade per lo che si può girar tutta la Città senz’esser tocco dalla pioggia, né dal Sole. E’ ripiena di nobiltà, virtuosa, splendida, e cortese, è abbondante di tutto, ricca, e popolata, con un territorio il più ameno, e fecondo, che sia in alcun’altra Provincia d’Italia. Vi è un nobilissimo studio, nel quale fioriscono soggetti eminenti in ogni genere di scienze. Sono i Bolognesi habili ad ogni esercitio; l’armi, le lettere, e’l negotio vi spiccano in sommo grado; la nobiltà in particolare è di grand’attitudine, e di continuo si rende illustre ne gli esercitij della gloria, e de gli honori. Questa sì bella, sì ricca, sì felice patria è governata adesso dall’antedetto Cardinale Gio. Girolamo Lomellino del titolo di S. Onofrio, Cavaliere delle più nobili, e cospicue famiglie di Genova, che doppo haver esercitato le cariche di Referendario, di Chierico di Camera, di Tesorier Generale, di Governator di Roma, & altre fu decorato della porpora a 19 Febraro 1652, soggetto esperto ne’ maneggi, pronto nelle esecutioni, esemplare della giustitia, e rettitudine, ch’ama grandemente i virtuosi, odia in estremo i tristi; onde il retto governo di lui, è stato providamente proprogato per un altro triennio in quella legatione.
Il giorno de’ 29 doppo Messa, & una lautissima collatione partì la Regina da Bologna, accompagnata, e servita dal detto Cardinal Legato, con tutto il corteggio della nobiltà, e Soldatesca sin a confini di quel territorio. Sua Maestà continuò il viaggio verso Imola, passando i fiumi Indice, e Savena tra Bologna, e S. Nicolò, e tra questo, & Imola la Giana, il Selerino, e’l Senio per torrenti, che scendono dall’Appennino, e sovente sono mancanti di acqua, com’appunto erano in quest’anno scarso di pioggia. Vicino a Dozza Terra spettante al Marchese Campeggi, che sta sul confine dell’Imolese, et è consequentemente il principio della Provincia di Romagna doveva trovarsi il Cardinale Acquaviva Legato, ma non lo fece, perché si riserbò d’incontrarla la sera del giorno seguente a Forlì, e ciò per essequire la mente di Sua Santità, che non volse defraudare i Cardinali Donghi, e Rossetti dell’honore di riceverla. Vi mandò bene Mons. Francesco Cennini Vicelegato, Prelato di spirito, e di tratti manierosi; Nepote del già Cardinale Cennini di lodata memoria, che a nome di lui complì con Sua Maestà, e vi fece trovare la sua compagnia di corazze di guardia, la quale gli servì di scorta per tutta la Provincia. Vi fe anche apprestare un squadrone di quattro mila Soldati, commandati dal Maestro di Campo Capelletti Signor di valore, il quale in tutto lo Stato della Provincia, secondo gli ordini datigli dal Cardinale sudetto, facendo esser fuori due miglia d’ogni Città allestiti altri nuovi battaglioni, formati di due mila Soldati l’uno doppo l’altro sin a confini della Provincia. Era oltre di ciò accompagnato Monsignore da molta nobiltà Romagnuola, e da 300 cavalli delle Cernide, tutti ben all’ordine, così di vestimenti come di cavalcature, e d’armi. Complito, ch’ebbe con la Regina per nome del detto Card. Acquaviva Legato di Romagna, ritornossene ad Imola, lasciando la cura del ricevimento all’Eminentissimo Cardinal Gio. Stefano Donghi Vescovo di quella Città, il quale in conformità dell’instruttione di Roma passò ad incontrar Sua Maestà fuori alla Madonna del Pradello, in carrozza accompagnato da buon numero di Gentilhuomini di quella Città. Il complimento seguì con esser smontati di carrozza l’una, e l’altro nella maniera appunto osservata con i Cardinali di Ferrara, e di Bologna; subito che la Regina fu rientrata in carrozza, precorse Sua Eminenza alla Città per ritrovarsi pronto a riceverla. Nella Campagna fuori d’Imola erano diversi squadroni di fanteria, che con scarica continuata di moschetti la salutarono nel passar ch’ella fece, alla porta fu ricevuta dal Magistrato, capi del quale erano il Conte Francesco Maria Sassatelli, i Signori Tadeo dalla Volpe, Gio. Battista Borghesi, e’l Capitano Tomaso Mazzi, che accompagnati da gran numero di Gentilhuomini, con nobilissime livree, complirono con gli ossequij dovuti alla loro riverenza. Le porte, e le contrade erano spallierate di soldatesca, le mura essendo semplicemente all’antica, e senza capacità d’artiglieria, non si puoterono armare. Non smontò alla Cattedrale, come haveva fatto in Ferrara, e Bologna, perché era già notte, onde andossene a dirittura al Palazzo del Vescovato suo alloggiamento, la facciata del quale era tutta illuminata di torcie. Il Cardinale la ricevette, e l’accompagnò sin alle stanze, come pur fecero tutte le principali Gentildonne di questa Patria, che si trovarono in spalliera a piedi delle Scale. L’apparecchio così delle Camere, come delle mense fu superbo, e riccho, poiché la splendidezza naturale del Cardinale non tralasciò cos’alcuna di quello, che si conveniva alla pontualità d’un Regio ricevimento. Cenò Sua Maestà in publico col medesimo Cardinale, osservandosi nel sedere, e nel trattarsi alla mensa lo stile stesso di Ferrara, e di Bologna. Servì a Sua Maestà di coppa il Conte Alessandro Sassatelli, e di Scalco il... Assistevano alla tavola, oltre a buon numero di soggetti qualificati, dodici Paggi figli de primi Gentilhuomini di quella Città. Le figure, ch’adornavano la mensa, erano così ben’archittetate, e con geroglifici sì misteriosi, che la regina fissandosi con l’attentione nel godimento loro, diede maggior nutrimento all’animo, che al corpo.
Il Cardinal Donghi hebbe un Chiericato di Camera, & altri officij vacabili, sulla traccia de’ quali hebbe largo campo di far pompa de’ suoi valorosi talenti, e questi doppo la benemerenza accresciutagli dalle più intense applicationi verso il servitio della Sede Apostolica ne’ moti della guerra di Castro, lo portarono all’acquisto della porpora. E’ Signore di somma integrità, e franchezza; il che ha mostrato vigorosamente nelle due Legationi di Ferrara, e di Romagna, da lui amministrate con somma lode, e vantaggio de’ buoni, e con esemplar castigo de’ tristi. Ha l’animo generoso, e franco, e l’intelletto capace di qualsivoglia gran maneggio. Il giorno di Sant’Andra, doppo la messa uscì la Regina da Imola servita, & accompagnata dal detto Cardinale sin alli confini del distretto di Faenza, dove si trovò Monsignor Castelli Signore molto degno, e gentile Governatore di questa Città a cavallo, accompagnato da quantità di gentilhuomini, e da due compagnie di cavalleria. Complito ch’egli hebbe con Sua Maestà, si spinse avanti; onde continuando la Regina sollecitamente il viaggio per quelle strade, che sono piane, e buone, alcune miglia fuori della Città fu incontrata dal Cardinal Carlo Rossetti Vescovo di quella Città, che con bella livrea di 30 Palafrenieri, e col seguito di molte carrozze da campagna piene di nobiltà, smontato a terra, come pur fece la Regina, fece il solito complimento accolto con egual benignità, e cortesia. Approcciatasi la Maestà Sua alla Città, viddesi la campagna circonvicina tutta sparsa di gente accorsa per veder questa gran Principessa, e di soldatesca squadronata, per honorare la di lei venuta. Alcuni pezzi d’artiglieria collocati sopra le mura, benché semplici, e senza terrapieni, fecero l’officio loro, & il lor tuono fu secondato dallo strepitar de’ tamburi, trombe, mortaletti, e moschetti. Tutte le strade della Città erano spallierate da gente armata, e da vaghi adobbi pendenti dalle fenestre, e dalle ringhiere. Nell’ingresso della porta fu inchinata dal Magistrato publico, che a cavallo, e con robboni di velluto intorno servì Sua Maestà sin al Palazzo del Vescovato, destinato per suo alloggio, e tutto guernito di pretiosi arredi, con doppie guardie di soldatesche. Scesa la Regina di carrozza, in cui veniva sola, e ricevuta dal Cardinale, ch’era precorso avanti, salì le scale del Palazzo, a capo delle quali hebbe l’incontro delle principali Dame della Città, che doppo breve complimento la servirono sino alle stanze preparate con ogni splendore, e magnificenza.
Mentre S. Maestà prendeva un poco di riposo, furono con buonissimo ordine assegnati i quartieri a tutta la numerosissima Corte di lei da gentilhuomini a tal funtione destinati, che facevano a gara nel dimostrar la loro pontualità. Uscita poscia dalle sue stanze, andossene al pranso lautamente preparato con artificio sì mirabile di statue rappresentanti Roma, le quattro parti del Mondo, la monarchia mondana, & altre cose intagliate, messe a oro, e colorite sì al vivo, che non mancava loro, ch’il moto. Sedette alla tavola S. M. col Cardinale nel modo già osservatosi.
Il Marchese Francesco Rossetti nipote di Sua Eminenza, diede l’acqua alle mani alla Regina; il Marchese Girolamo fratello di lui porse la salvietta, e servì di coppa; il Conte Laderchi, e’l Cavalier Pasi ambidue Cavalieri di Santo Stefano fecero l’officio di Scalchi, ricevendo le vivande dalle mani di dodeci Gentilhuomini assistenti al servitio. Nel pranso hebbe Sua Maestà continui ragionamenti col Cardinale, misti di tanto tratto, e gravità, che senza lasciar già mai il posto di Regina diede chiaramente a divedere, quanto gradisse le maniere di Sua Eminenza; essendosi messa in tanto all’ordine un’Accademia per trattener Sua Maestà in quegli esercitij, che come più proprij dello spiritosissimo suo intendimento con più saporita mutatione la potessero far passare dalle vivande del corpo all’alimento dell’animo. In quest’accademia, oltre al discorso principale fatto in lode della Chiesa Romana, del Padre Maestro Zenobi Domenicano, soggetto di gran virtù, e talenti, vi si dovevan sentire più di 30 componimenti recitati da soggetti tanto Ecclesiastici, quanto secolari, eminenti in diverse lingue, Latina, Spagnuola, Greca, Fiaminga, & Italiana, e tra questi uno in Musica, parto dell’ingegno del sopradetto Marchese Francesco Rossetti, che con vaghissima inventione introducendo la Musica, il Silentio, e la Poesia a cantar le glorie di Sua Maestà, riusciva non men armonioso all’orecchio, che dilettevole all’intelletto, ma non hebbe effetto, poiché in vece di fermarsi ivi la notte volse continuar il viaggio, onde levatasi Sua Maestà dalla tavola doppo breve dimora fatta nella sua stanza con singolar esempio di pietà andò a visitare la Chiesa Cattedrale, che se bene per esser disegno del famoso Architetto Bramante, poteva con decoro comparire ignuda anch’a gli occhi d’una gran Principessa, era nondimeno stata tutta abbigliata di seta, con sì ben regolata divisa di colori, che palesemente mostrava la sua gioia in accoglier nel giro delle sue mura, chi non haveva potuto capire nella vastità d’un Regno. Faenza è Città antica, e nobile, munita di mura, e torri, situata nel mezo di fertilissime campagne, celebre per l’arte, propria di lei, di fabricar vasi di terra leggieri, e bianchissimi. E’ divisa dal fiume Lamone, che passando tra il Borgo, e la Città, gli lascia poi congionti con un bel ponte di pietra, e due torri su la strada Emilia. L’aria vi è salubre, gli habitanti industriosi, civili, & amatori della patria. La nobiltà cortese, pontuale, e molto generosa.
La Regina uscita dalla Catedrale rientrò nella sua carrozza Pontificia, conducendovi seco il Cardinale sin a confini di quel territorio, verso dove s’incaminò su le 22 hore in seguimento del suo viaggio, con haver lasciati impressi ne gl’animi d’ogn’uno altissimi concetti delle sue rarissime doti.
Mostrò Sua Maestà di restar grandemente sodisfatta di questo Cardinale, havend’egli, oltre la letteratura, e cognitione degl’affari del mondo, tutte le prerogative proprie d’una manierosa gentilezza. E’ questi di patria Ferrarese, dell’antica, e nobile famiglia de’ Conti Rossetti, hoggidì Marchesi. Trovandosi egli ripieno più di virtù, che d’anni, fu dal glorioso Pontefice Urbano Ottavo amatore de’ letterati, e virtuosi, inviato come ministro Apostolico ne’ Regni d’Inghilterra presso alla Maestà di quella Regina. Quivi operò tutto il possibile in vantaggio, & a pro della Religion Cattolica, e vi scorse pericoli grandi, tra le persecutioni degli Eretici, come può chiaramente comprendersi da una lettera scrittagli alli 13 di Luglio del 1643 dall’Eminentissimo Cardinal Francesco Barberino, nipote d’Urbano, nell’opportunità della di lui promottione, del tenor, che segue: Faranno un poco tregua i travagli della Patria, e della Christianità, acciò fra tanti dispiaceri io possa respirare, vedendo tante fatiche di V. Eminenza ornate con la porpora. Piaccia al Signor Iddio con la tranquillità dell’Italia dar tanto più adito, ch’al suo continuo travagliare la dia a tutto il Cattolichismo, e che mercé delle sue opere, sudori, e pericoli noti al mondo, rifiorisca nelle terre della Gran Brettagna, acciò questa dignità da lei sì ben meritata, non manchi degli effetti felici, che V. Eminenza ha desiderato, e dal suo canto cooperato del ben publico, e le bacio riverentemente le mani &c. Di V. E. Humiliss. & Affettionatiss. Servitore il Card. Barberin