Firenze artigiana nella storia e in Dante/Capitolo IV

Capitolo IV

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Capitolo III Note

[p. 35 modifica]consorzio sono pareggiate a quelle dei poteri supremi, e la loro nobiltà alla nobiltà del blasone. L’imperatore, il re, il magistrato, il barone, il cavaliere, fanno schiera con gli esercenti le arti, e hanno comune con essi il «pregio», l’onore, dell’adempimento dei respettivi uffici.

IV

Noi ricordiamo tutta questa storia gloriosa, di lavoro e di civiltà, di pensiero meditante e di forza operante, di manualità e di poesia, la ricordiamo, o Signori, nel luogo che la vecchia Firenze abbia a ciò meglio destinato e più degno. Perocché qui, nel bicipite fabbricato che la Società Dantesca Italiana e la Lectura Dantis han fatto suo; in queste due torri, non senza significato ancorché senza intenzione e senza avvenentezza congiunte, - la torre [p. 36 modifica] [p. 37 modifica]NELLA STORIA E IN DANTE 29 chiesa donde Dio, e la torre palagio d’Arte donde il Popolo, sovrastavano alla vita cittadina, - in queste due moli repubblicane, si accolgono e la storia di quelle Arti possenti e le più popolari memorie della libertà di Firenze: e attratta appunto da queste memorie e da quella storia, qui si è innovata, nell’intelletto d’amore non del solo popolo fiorentino ma italiano, la poesia evocatrice ammonitrice, del suo Poeta. San Michele in Orto, - l’antica residenza dei placiti curiali, poi loggia di convegni mercantili, emporio alle vettovaglie, ufficio alla carità cittadina che i Capitani d’Orsanmichele distribuivano tra i poveri con pietà di fratelli, - è, chi rivalichi dalle età grosse alle pure, è sempre l’oratorio artigiano, da’ cui pilastri i Santi di ciascun’Arte patroni ripetono al popolo lavoratore, infusa ne’ bronzi del Ghiberti, del Verrocchio, di Donatello, la parola degli avi immortale; e la festa di Sant’Anna liberatrice rende [p. 38 modifica]30 FIRENZE ARTIGIANA a lui, al popolo, ogni anno in perpetuo, sulle mura di quell'oratorio, le bandiere che sventolarono sulla fuga ignominiosa del Duca d'Atene. E questo Palagio che da torre di Grandi i lanaiuoli fecero re- sidenza artigiana, — forte palagio come la loro pacifica potenza, austero come il pro- posito dei devoti al lavoro; - restituito al [p. 39 modifica]NELLA STORIA E IN DANTE 3i suo carattere originale,- rintegrate, quanto era possibile, le sale istoriate di sacro, di civile, d’industriale, di festeggiante; liberati dallo scialbo mortifero delle pareti i mutili avanzi di Santi in maestà e di figure sacerdotali, e di morali allegorie, e di cavalieri alla giostra, e di belle ai balconi, e d’artefici affaccendati al lavoro; ravvivate le semispente armi dell’Arte e di suoi ufficiali, del Comune, del Popolo, dei Medici; riaffacciata intatta, come se ieri dipinta, la mater[p. 40 modifica]32 FIRENZE ARTIGIANA nitàdellaVergine proteggi trice;-il Palagio e Torre dell'Arte della Lana, con l'Agnello vessillifero, che sull'asta di ferro volteggia stridendo a' vènti nell'altana aperta al sole e alla vista di quanto è grande e di quanto è bella, nel suo letto di verde e di fiori, [p. 41 modifica]} [p. 42 modifica]Pagina:FirenzeartigianaDelLungo.djvu/42 [p. 43 modifica]perchè quella famiglia è a sé medesima le- gislatrice, e i vincoli delP industria operosa sancisce con legge propria, e di quelle le- gislazioni artigiane lo Statuto del Comune e lo Statuto del Popolo sono come la co- rona che insieme le costringe e n'è essa stessa afforzata e ribadita. Romana parola, curia, e romano concetto : che nelle dot- trine de vulgari eloquentia il magnanimo sbandito dall'Arte e dalla patria ricon- giungeva alla Curia imperiale vagheggiata unificare idealmente all' Italia i suoi liberi reggimenti e, così egli augurava, le ragioni deir idioma scritto; ma che doveva pure, nell'ansia delle reminiscenze dolorose, ri- fiorirgli la imagine di queste curie citta- dine e popolane, le quali suggellavano di unità effettiva la compagine, nelle sue mul- tiformi espansioni vigorosa, del Comune artigiano; del libero Comune, a cui egli s' era giurato milite in campo e magistrato in palagio, e doveva consacrarglisi poeta [p. 44 modifica]nel volgar fiorentino fatto verbo italico del- l' unità di nostra nazione. Quello Statuto del 131 7, latino come tutti gli Statuti delle Arti, confermato e riformato nel 31 nel 33 nel 38 nel 61 8 ), invoca patroni all'Arte, in nome di Dio e della Vergine Madre, Michele arcangelo e i Santi della patria il Batista e Zanobi ve- scovo, « sotto la cui protezione la città e « il popolo fiorentino e le Arti e gli ar- « tefici sono difesi » . E alla professione di fede guelfa soggiungendo, ben rilevata, quella della potenza e sovranità artigiana, prosegue : « a onore, lode e reverenza della « sacrosanta Chiesa di Roma e del sommo « Pontefice ; e ad onore e reverenza del se- « renissimo re Roberto » (- e fate re di tal eh' è da sermone - motteggia, pure in que' giorni, amaramente lo sbandito e ri- belle 9 )) « di Roberto re di Gerusalemme e « di Sicilia, e dei Signori Priori delle Arti « e Gonfaloniere di Giustizia del Comune [p. 45 modifica]hu J^nntm fatue «U«ec— u» «or et ianmflUnt 1 fcirtotn* oeci^ Iranica tketum • ityuumn Statuto dell'Arte della Lana del 1333, nell'Archivio di Stato in Firenze. [p. 47 modifica]« e Popolo di Firenze; e ad unione e buono « e pacifico stato dell'Arte e università della « Lana e degli Artefici di detta Arte, ed « eziandio di tutti i membri e sudditi della « università dell'Arte della Lana». Intesta- zioni e invocazioni augurali, che nella so- lida loro costruzione e imbasatura stanno in fronte a quei vecchi Statuti e Capitoli, come tabernacoli massicci sull'architrave congiungitor degli stipiti del severo edi- ficio. E vi rimarranno, fermi come la vi- rile pietà che gli ha ispirati, anche quando l'umanesimo esornatore, tutte ormai perva- dendo le manifestazioni del pensiero e del sentimento nell'arte e nella vita, trasfor- merà coteste semplici entrature proemiali in vestiboli ben colonnati con isfoggio di capitelli e leggiadria di cimase. Allora, nel 1428 10 ), quando Niccolò da Uzzano e Palla Strozzi instaurano uno Studio degno della tradizione umanistica fiorentina che il Petrarca e il Boccaccio hanno iniziata; [p. 48 modifica]e mentre la Signoria si prepara ad am- mendare le colpe degli avi, chiedendo a Ravenna le ceneri del glorioso proscritto; gli artefici e buoni uomini dell'Arte della Lana deputeranno alla revisione de' loro statuti e ordinamenti quattro « nobili e savi cittadini » pe' quattro « conventi » del- l'Arte, - Oltrarno, San Piero Scheraggio, San Brancazio, San Martino; - che uniti agli otto, due per ciascun convento, Con- soli dell'Arte, emaneranno la nuova legge, non senza aver chiamato a consiglio « eru- ditissimi uomini » . E certamente dalla re- torica di questi « uomini eruditissimi » il proemio ai quattro libri degli Statuti at- tingeva, e avvolgeva in togato latino (il fedel notaio penserebbe poi a volgariz- zarlo per coloro che non sapesser di let- tera) queste sentenze di civile moralità: « nulla nelle cose umane essere più per- « fetto, nulla in città libera più degno, « nulla in ottima e ben istituita repubblica [p. 49 modifica]« più glorioso, che la rigorosa osservanza « del diritto e della giustizia: in tale virtù « essere riposto ogni pregio di costume «e d'umanità; quella, mediante l'equo « governo delle pubbliche cose, partorire « la fermezza dello stato, il riposato vi- « vere de'cittadini, la salvezza della libertà, « il bene universale: impossibili, senz'essa, « fra gli uomini la libertà, la sicurezza, la « pace, l'ideai perfezione. Senza la giusti- « zia non poter avere fermezza gli stati, « non efficacia la religione, non autorità « i magistrati, non alimento i traffici le « convenzioni! mestieri; elementi tutti, non « meno di sociale benessere che di gran- « dezza politica; anzi, non che la pubblica « cosa, ma nemmeno il privato interesse di « qualsiasi anche picciola famiglia, potere, « quando quella manchi, aver consistenza ; « e tutte le umane cose e, se possibil fosse, « le divine esser per deperire e disfarsi. « Con tali intendimenti, a difesa del diritto [p. 50 modifica]« di ciascheduno e a conservazione asso- « luta di giustizia, riformarsi ora e cor- « reggersi gli Statuti e Ordinamenti del- « T Arte della Lana e Lanaiuoli della città « di Firenze, nella quale Arte è invero po- « sta la forza massima di questa Repub- « blica. E ciò a contentezza de' buoni, e ad « esemplar terrore de' malfattori e cattivi. « Nel Palagio dell'Arte della Lana, il 30 « settembre e il 13 ottobre del 1428 ». Vero è bensì che la retorica umanistica di quel più tardo Statuto dell'Arte della Lana nella repubblica fiorentina è insuf- ficiente (né alcuno vorrebbe certamente crederla da tanto) per ismentire ciò che i moderni studi sulle corporazioni artigiane medievali, e in particolare su questa no- stra n ), hanno indótto e dimostrato: e cioè che in essa, come generalmente nelle altre, cotesta magnificata giustizia non tanto è da interpetrarsi per quella giustizia sociale, verso cui si volgono oggi, da ogni ordine [p. 51 modifica]e di poteri e di cittadinanza, le più no- bili aspirazioni e gli sforzi di tutti, quanto per un elevato spirito di legislazione co- strittiva e afforzativa, intesa specialmente a disciplinare le forze del capitale e i pro- cedimenti tecnici e amministrativi, senza troppo curarsi dell' adequata retribuzione al vital contributo della mano d' opera. Ciò del resto atteneva al modo, ben diverso dall' odierno, col quale si sentiva e si eser- citava, non che l'arte, la vita 12 ); e allo es- sere il complesso di questa, nelle sue varie espansioni, subordinato al concetto reli- gioso dell' autorità e a quello, politico in- sieme ed estetico, della potenza. E la potenza, innanzi tutto della cor- porazione artigiana, poi del Comune del quale essa è individuo, che è l'oggetto pre- cipuo, o diciam pure unico, della legisla- zione statutaria, così di questa come delle altre Arti ; ma più che di tutte, di questa della Lana. Dei componenti la corpora[p. 52 modifica]zione, tocchi quel che tocchi a questo o a quello (e toccava, si avverta bene, a mol- tissimi); ma ciò che insomma preme, non sono le membra, sì il corpo. Quelle pa- role superbe, nello Statuto del 1428, che « nell'Arte della Lana è invero posta la « forza massima della Repubblica » , non sono esagerate, né la retorica proemiale vi ha parte; specialmente se si riferiscano alla politica interna, e si riconoscano all'al- tra Arte di Calimala le consimili funzioni che questa assumeva verso lo Stato nelle proprie relazioni commerciali coi paesi stra- nieri, dai quali importava, e ad essi poi esportava preziosamente trasformati, i tes- suti. E le conferma, coteste parole statu- tarie, il Machiavelli quando dice 13 ) che « l'Arte della Lana era potentissima e la « prima per autorità di tutte », premet- tendo tale osservazione al racconto di quella rivolta de' Ciompi, che nella storia fiorentina nulla è di più che un « tu[p. 53 modifica]multo »: tumulto sanguinoso e violento, che arde e divampa; e furono fiamme di fuoco vero quelle che , come su altre case di popolani, passarono anche sulle mura di questo popolano palagio. Quel [p. 54 modifica]tumulto rappresentava appunto l' insor- gere, necessariamente efimero e ineffi- cace, delle quantità in cosiffatto sistema trascurabili e trascurate, cioè delle forze meramente operaie, le quali, nel linguag- gio sì dell' istorico e sì degli Statuti, non altro sono che « la plebe infima, il popolo minuto, i membri minori, esercizi d'arte anzi di mestieri d'arte » 14 ). Ma la potenza del Comune repubblicano aveva in questa popolana oligarchia, che ne' due organi- smi essenziali dello stato - Arti e Parte Guelfa - trionfa, fondamenta aveva grani- tiche. Il che è tanto vero, che di quelli oligarchi, le cui compresse ambizioni pre- parano lentamente la caduta degli ordini repubblicani, non saranno gli Albizzi né gli Strozzi, i quali stanno col popolo grasso o borghese, dominante, quelli che perver- ranno a consumarla, perchè quei loro grassi e borghesi son lo stato essi me- desimi: saranno invece i Medici, la cui [p. 55 modifica]preminenza, fermentata nel subbuglio dei Ciompi, si è venuta radicando negli strati di quella inferiore democrazia malcon- tenta, dai Medici pazientemente lusingata e servita, per arrivare un giorno (vecchia storia di tutti i tempi !) a dominare e quella e lo stato. Y Ma storia di tutti i tempi non è, né di tutti i paesi, che uno stato, basatosi come la Repubblica fiorentina sul lavoro arti- giano e sul concetto della potenza che emerge dal lavoro, abbia con tanta e sì consapevole deliberazione, voluto e fatto elemento di quella potenza la bellezza; cosicché arte nel suo significato più sem- plice, e arte del bello, fossero un solo quasi e medesimo esercizio. Quella filia- zione dell'Arte dalla figliuola di Dio la [p. 56 modifica]Natura, che, secondo la teoria dantesca, imprime al lavoro, dico al lavoro manuale e lucrativo, la dignità, la santità, di opera preordinata ab eterno agli avanzamenti della umana famiglia, lo nobilitava tal- mente, che qualunque anche più squisita manifestazione dell'intelletto e del senti- mento, qualsiasi espressione sensibile di quel mistero gentile che è la bellezza nelle creature e nelle cose diffusa, qualsivoglia neir affiguramento del bello più alta vit- toria di conseguito ideale, non degradava dalla sua degnità, ad essere considerata come funzione di lavoro. Ora, non ci al- lontaniamo troppo dal vero a dire che quella teorica parificazione di arte utile e arte bella, arte procacciativa e arte imitatrice o figurativa, fu cosa di fatto nella Firenze del Medioevo e del rina- scimento. « Casamenti bellissimi pieni di molte bi- sognevoli arti, oltre alle altre città d'Ita[p. 57 modifica]Ha >, cioè pieni di botteghe opportune ai bisogni della vita. Tale era la Firenze che la borghesia guelfa, di cui vi riferisco te- stuali parole 15 ), la borghesia guelfa dei tempi di Dante ' si compiaceva d' esser venuta formando, pur di fra il cozzo delle fazioni sinistro, da cent'anni in poi : da quando, intorno a Santo Spirito in Casel- lina oltrarno, campi e orti s'erano tra- mutati in vie fiancheggiate di fondachi e palagi ; e nel sesto di Por San Piero le vec- chie torri che erano state dei conti Guidi, da arnesi che avrebber voluto essere di guerra, dovevano adattarsi ad accogliere pur botteghe e fondachi ; e ne' sestieri della città botteghe e fondachi formavano delle massime fra le Arti maggiori i cosid- detti « conventi » , vocabolo che di religioso addiveniva artigiano senza deviare dal con- cetto evangelico 16 ), « buona e gioconda cosa essere che insieme convengano i fra- telli in gagliarda unità » . Di mezzo a quei [p. 58 modifica]« casamenti »; che il bruno massiccio pa- lagio del Potestà già aveva, dintorno a sé, come accolti in dedizione volenterosa sotto il braccio ferreo della legge ad essere il Comune ; di mezzo a quei « casamenti » , voluti bellissimi, sorgeva poi, agile e bal- danzosa, la casa del popolo e della sua Signoria, sorgeva nelle ostentate parvenze di castello magnifica; simbolo, appunto in quelle parvenze eloquente, dell' assogget- tamento che il risorto municipio latino aveva imposto alle forze di propaggine germanica, dai dominii di contado trasci- nate a cittadina uguaglianza : - sorgeva la casa dell'Arte, così come oggi la rivedete, nella sua poderosa bellezza di arnese da guerra converso alle benefiche fraternità della pace : - sorgeva la casa di Dio, nel cospetto del vetusto tempio battesimale, girando ardite, flessuose, potenti, sotto quelle dell' infinito azzurro, le volte de'suoi archi poggiate sui pilastri monumentali; [p. 59 modifica]dalla torre di Giotto diffondendo le voci della preghiera, della carità, dell'umano dolore ; con la cupola del Brunellesco in- coronando la speranza e la fede. 17 ) E tutto era bellezza. Il « chericato » dei dotti, come chi dicesse oggi 1' aristocrazia del pensiero, numerato drappello « con- tento ne' pensier contemplativi > l8 ), la- sciava che il « laicato » degli operanti la vita attiva attraesse e si appropriasse tutte, e d'inizio suo, con le virtù del sen- timento, le industrie dell'ingegno elabo- ratore del vero naturale, che è di per sé anche il bello. Solo in Leon Batista Al- berti, ingegno mirabilmente universale, l'arte si disposò alla dottrina: e di quei « laici » possenti, uno solo — ma fu un gi- gante dalle cento poderose braccia, Leo- nardo da Vinci, - dall' attuazione del bello risalì, solitario precursore, alle ragioni filosofiche di questo. Innanzi e accanto e appresso a lui furono legione gli attua[p. 60 modifica]tori, non dirò inconsapevoli, ma sponta- nei e ineruditi: legione di concorde mi- lizia, dove si univano e si aiutavano gli artefici dell' arte bella e voluttuaria, e gli artefici, quasi altrettanto pregiati, delle arti utili e necessarie. L' arte era, insomma, essenzialmente democratica: e non nella sola Firenze, ma in nessun altro comune come nel nostro, questo concetto e que- sta pratica dell' arte ebbe così stretta- mente attinenze vitali col concetto e con la pratica dello stato. Quando pel San Gio- vanni le botteghe facevan la « mostra » , e i magistrati cittadini e artigiani, lungo le strade adornate da tanta magnificenza di lavoro operaio, si recavano al battistero all' « offerta » , quella processione e quella mostra erano com'un trionfo annuale che il popolo fiorentino rinnovava a sé mede- simo, dove tutti erano i vincitori, i vinti nessuno. Dalle stoffe che la « gente ri- trosa » I9 ) d' oltralpe produceva appannate [p. 61 modifica]e grosse, e V artefice di Calimala addo- ciliva e foggiava a ornamento vistoso ; dalle lane, che i pascoli d'altre regioni prative e pastorizie mandavano a questa, incollinata e fiorita, del cuor di Toscana, perchè qui non era solamente la gual- chiera a sodare e il mangano a lucidare, ma la mano dell'operaio che carezzava sapien- temente V ispida preziosa materia ; dalle sete che, a gara e concorso coi « testori » lucchesi, s' indrappavano a oro e ariento, s' accendevano ne' caldi colori del pago- nazzo, s' incupivano ne' misteriosi del ver- debruno, e ne' disegni capricciosi dei dom- maschi accennavano fiorentine all'Oriente nativo ; dai lavori di pellicceria, che davan le ampie orrevoli robe soppannate di vaio ai cavalieri é ai legisti, e i manti avvolgenti e gravi alle dignità della Chiesa, de' reami, della sovranità popolare; -da queste delle maggiori, non discendendo ma distenden- dosi alle creazioni, conformemente ispirate, [p. 62 modifica]delle Arti minori ; - alle vittorie del mar- tello, della lima, del cesello, del brunitoio, sul ferro ribelle, donde gì' instrumenti da guerra e da giostra, e i fidati arnesi della vita civile o domestica, la spada e la chiave, il pugnale e il sigillo, la corazza P elmo la gorgiera il palvese e la catenella il bacile la cintura il fermaglio, si affilano s'inci- dono si rabescano si smaltano si frasta- gliano, e « spira dal fabbro l'arte del martello » 20 ); alle impressioni sul morbido cuoio, pe' calzari di donne gentili e gar- zoni intreccianti le danze, o pe' farsetti da sotto P armatura, o per P addobbo di se- dili e di pareti ne' palagi superbi ; alle pazienti ansiose sollecitudini con che il gettatore affida alle cavità della creta il bronzo fremente che vi s' impronta di ri- lievi d'insenature di curve; ai cauti de- licati ardimenti dell'orafo, che cimenta il pregio del suo magistero con quello della materia, e le sottili industrie dell'affina[p. 63 modifica]tore con la potenza dello scultore, che si chiameranno poi in una persona sola, e di stampo unico al mondo, Benvenuto Cel- imi ; - tutto questo corpo che faceva in- sieme e le arti e lo stato, tutto era una spontanea energia di bellezza, le cui ma- nifestazioni, non meno nelle consuetudini della vita quotidiana che nei monumenti per F eternità, compenetravano la storia della democrazia fiorentina. « Artista » nel verso di Dante è sino- nimo di « cittadino » , pur rimanendo l'an- sioso creatore d' imagini, che « dietro alla bellezza, come all'ultimo suo », procede sicuro dell' «abito dell'arte », ma con « la man che trema» 21 ). Nella Firenze di Cac- ciaguida la cittadinanza era, e tale l'avrebbe Dante voluta sempre, gelosa della sua« pu- rità» di stirpe così nei Grandi come «nel- F ultimo artista » 22 ). E dalle ventuna Arti invero, mediante l'inscrizione in una delle loro matricole, o delle sette maggiori o [p. 64 modifica]delle quattordici minori, ciascuno rice- veva, e non altramente, Y abilitazione agli uffici statuali, cioè la pienezza della citta- dinanza; anche se tale immatricolazione abilitativa fosse, non congiunta col reale esercizio, sibbene meramente nominale, come fu quella di Dante all'Arte de' Me- dici e Speziali 23 ). Né molto diverso era il caso dell'aggregamento di alcune, an- coraché aliene, professioni all'una o al- l'altra delle Arti, specialmente delle mag- giori ; come de' Pittori a quella stessa dei Medici e Speziali, la quale così ha po- tuto dare al Poeta, anche sotto l'insegna artigiana, il fraterno consorzio di Giotto 24 ). E professioni e mestieri s'intrecciavano amicamente in questo largo abbracciare che l'arte faceva: anzi mestieri non vi erano, se non come « mestieri d'arte » (tale era la denominazione); de'quali l'Arte che più ne accoglieva era, nelle sue du- gento e più botteghe, questa della Lana, [p. 65 modifica]per la effettiva moltiplicità del lavorio e delle industrie. Ma la bottega, che nobi- litava quelli umili, era essa dagli artefici veri nobilitata. Erano botteghe quelle nelle quali i grandi Maestri del Tre e del Quat- trocento col pennello e con lo scalpello operavano al Popolo desideroso la bel- lezza, troppo più possentemente e inti- mamente che poi non facessero nelle Accademie patrocinate dai Principi i Pro- fessori del disegno : e da' Maestri di pie- tra e di legname sorgevano in quelle bot- teghe gli Architettori. « L'arte del mae- stro, che dentro a sé V ama, tanto che mai da lei l'occhio non parte » 25 ), Dante, e arte e maestro, li aveva veduti fra le mura di quelle botteghe, dove tanto lume d'ingegni raggiava su tanta semplicità di costumi. Ad una di quelle botteghe la Madonna di Cimabue attirava in alle- gria festosa, come per solennità di Co- mune, la gente : appiè d' una parete [p. 66 modifica]frescata dal Ghirlandaio in Santa Maria Novella, Lorenzo de' Medici, popolano ma- gnifico che sa come preparare ne' suoi di- scendenti que' Principi, vede consacrata col latino del Poliziano la memoria della floridezza di commerci, splendore di arti, politica autorità, da lui procurate alla città bellissima (pulcherrima civltas) 2Ò ) : alla costruzione di Santa Maria del Fiore so- printendevano da questo Palagio i Consoli dell'Arte della Lana 27 ): e alle ultime ri- vendicazioni del diritto popolare, in quella repubblica ormai insanabilmente medicea, sopravvivevano, sulle soglie del Palagio che fu della Signoria, imperituri simboli di libertà, la Giuditta di Donatello e il David di Michelangiolo. VI Ma un altro monumento della propria grandezza Firenze artigiana aveva già con[p. 67 modifica]fidato ai secoli: ed era il Poema di Dante. Ispirata in germe da un amore trasognante e fantasioso, concepita in laboriosa gesta- zione di allegorie dottrinali, maturata al caldo delle cose che si vivono e si pati- scono, la Comedia dell' umano ordinato al divino ebbe sua forma dagli affetti che in una tenebrìa piena di fulgori tempestavano il fiero animo di quel Magnate inscrittosi artefice, di quel Guelfo respinto da' Guelfi e non però voluto esser de' Ghibellini, di quel Popolare imperialista, di quel Cristiano dannator di Pontefici, di quell'Esule a vita dalla patria e dall' invocato ideale. Nel con- trasto di questi affetti assunse materia, concetto, poesia, la Comedia: con intendi- mento universale, che avea per confini i cieli stellati; ma con sentimento personale, il cui centro era, ne' sogni affannosi del- l'esilio sospirata e maledetta, Firenze. Il nome di Firenze, del « nido di malizia tanta », « si spandeva per l'inferno » da [p. 68 modifica]lui costruito e popolato di Fiorentini; le al- ternazioni del reggimento democratico gli apparivano come le smanie d'una inferma sul suo letto di dolore ; lo essersi inal- zato all'Empireo con la fanciulla de' Por- tinari teologizzata, e' lo diceva un avere scosso da sé quanto d' « ingiusto e malsa- no » aveva la sua concittadinanza 28 ): - ma quella sua Beatrice era pur fiorentina, era Bice ; ma il « seno dolcissimo della patria, « della bellissima figliuola di Roma, nel « quale egli era nato e cresciuto fino al « colmo degli anni» , era pur sempre quello nel quale t « desiderava riposare l' animo « stanco e terminare la vita » 29 ); e negli estremi di questa e del Poema, il suo trionfo di pensatore e di poeta era da lui vagheg- giato come trionfo di cittadino in quel San Giovanni che « mio bel San Giovanni » egli chiamava tuttavia ricordando in visione, pur non avendo accettato d'esservi ricon- dotto fra i perdonati e gli offerti 30 ). [p. 69 modifica]Chi novellò, e fu Giovanni Boccaccio 31 ), che Dante si proponesse di verseggiare la- tinamente la Comedia, e giunse persino a riferirne i primi esametri, sapeva di dir cosa consentanea alla machina del Poe- ma che l'autore medesimo avea chiamato « sacro », e le genti intitolarono « divino », e ne scrissero sulla tomba di lui la lode più alta che allora potesse attribuirsi al pen- siero dei dotti, quella di Teologo 32 ). Un poema teologico medievale non avrebbe invero potuto essere scritto se non in la- tino. Ma la teologia, nel pensiero di Dante e nel concepimento del suo Poema, era un astratto, un che di supremo, in capo agli ordini dell'umano progressivi quali egli intendeva nel Poema figurare, e dare a questo le forme della realtà vissuta e par- lata in « questa moderna favella » 33 ), del cui stile avea fermate le dottrine nella Vol- gare eloquenza. E a quella rappresentazione dell'umano in tutti quanti i suoi aspetti, fu il [p. 70 modifica]Volgar fiorentino che dette le forme legit- time, sole adequatamente eloquenti ; sole che potesser servire agl'intendimenti per- sonali di Dante, a' suoi ricordi, alle sue speranze, a' suoi rammarichi, alle sue ven- dette 34 ). Fu il Volgar fiorentino di questo popolo artigiano, col quale e coi «buoni cit- tadini popolani e mercatanti », seguitatori di Giano della Bella, egli, uno de' « buoni uomini nobili di sangue » , « s'era raunato » sotto il gonfalone della Giustizia 35 ), dopo aver combattuto, milite di cavallata, nella guerra guelfa di Toscana: fu la viva baliosa lingua, a tanto avvenire dal Poema di Dante preconizzata, così come sonava sulle boc- che di questo popolo artigiano, pel quale egli avea seduto orator ne' Consigli e magi- strato in Palagio; e mandatone, in una tra- gica ora, ambasciatore al Pontefice, aveva da quell'ambasciata numerato i suoi passi nelle vie dell'esilio, e da quel Pontefice la serie dei destinati alle giustizie inesorate di [p. 71 modifica]cotesto Poema. Poema, che sotto l'ideale della giustizia divina, fulgente d'ogni bel- lezza, d'ogni bontà, e del vero che n'è l'es- senza, costringeva a gastigo tutte le umane miserie e le iniquità, le viltà e le violenze, le deficienze e gli abusi: che di quell'Iddio, giusto retributore di là dalla vita, costi- tuiva nella vita mondana ministri, spiri- tuale il romano Pontefice, temporale l'Im- peratore pur sempre di Roma, di Roma eterna, cardine della storia umana ; ma sotto i due grandi maestrati lasciava in- tatte, come le libertà dell'arbitrio volitivo meritorie 36 ), così le libertà popolari ine- renti originariamente al Comune italico 37 ), del quale faceva il Poeta esaltare dal suo Cacciaguida le virtù domestiche e i fasti cittadini 38 ). E il popolo, nel cui idioma, anteposto al latino dei dotti, era scritto, avrebbe sentito, quel Poema esser cosa sua, e ne avrebbe fatto il libro della na- zione. [p. 72 modifica]Ciò sentì col popolo il Boccaccio mede- simo, quando la umanistica novelletta, del poema voluto scriver latino, conchiudeva così 39 ) : che Dante lo avesse poi scritto in volgare per « mostrar la bellezza del no- stro idioma », e per adoperar uno « stile atto a' moderni sensi »; - due fini, adun- que, essenziali di modernità e sincerità d'arte; - e meglio ancora, quando al po- polo si faceva egli stesso spositore della Comedia in Santo Stefano di Badia. Ascol- tavano quella lettura i nepoti degli esiliatori del Poeta; ed era espiazione: - Y ascolta- vano « artefici lanaiuoli e setaiuoli » , mot- teggiatali poi all'umorismo boccaccevole, come non buoni ad altro che a « saper « divisare un mescolato, o fare ordire una « tela, o con una filatrice disputar del « filato » 40 ); ma il grande pittore della co- media umana non riputava pur indegni co- testi « mecanici » 41 ), che fosse loro « spie- « gata la sublimità de' sensi nascosta sotto [p. 73 modifica]« il poetico velo», confidando, diceva, nella « perspicacità universale a voi, signori Fio- « rentini » 42 ). La « lectura Dantis » in per- sona di Giovanni Boccaccio consacrò la po- polarità della Divina Comedia. Verso la quale se efficacia non ebbero certi signorili disdegni del Petrarca, molto meno po- teva averne la trivial contumelia di taluno de' più mediocri umanisti del Quattrocento contro il Poeta che aveva osato « parlar « la lingua degli artigiani, e farsi dime- « stico a questa razza di uomini » 43 ). Il che oggi a noi suona altissima lode : e quel tanto di diritto a parteciparvi che abbiano e il Petrarca e il Boccaccio, costituisce ad essi il maggior titolo di gloria nella grande popolare letteratura del secolo che di tale sua forte e sana popolarità ebbe da Dante gl'inizi e il suggello. [p. 74 modifica] VII

Ben era degno adunque che un palagio artigiano del secolo XIV addivenisse, sugli albori di questo vigesimo, la Casa di Dante in Firenze; e di tanto fosse privilegiato il Palagio di quell'Arte che in alcuni momenti della storia fiorentina parve personificare in sé la gloriosa Repubblica. Francesco Petrarca -con un Sonetto che le industrie degl'interpreti forse non hanno mai compiutamente afferrato 44 ), - in uno dei movimenti generosi di quel suo gran cuor di poeta, si volgeva nel 1334 a Fi- renze: quando la malfida cristianità d'Oc- cidente pareva pentirsi del turpe assogget- tamento della Chiesa alla Francia, e disporsi anco una volta a rimuover da sé l'onta della barbarie musulmana impune e trionfante. Furono di tanto bene, anche quella volta, [p. 75 modifica]apparenze fallaci : ma una visione di guerra santa, di cristianesimo purificato, di con- cordie italiche in un pensiero magnanimo conciliate, passò per l'animo del Poeta, e ci si riaffaccia dinanzi in quei versi. Il suc- cessore del re dei Franchi, capo della Cro- ciata, « fiaccare le corna» della « Babilonia» orientale a un tempo e della avignonese: il « Vicario di Cristo » , che « con la soma delle chiavi e del manto al nido torna » : la « nobil Roma », dismesse le indegne guer- ricciuole baronali, ricongiungersi col « suo sposo » : e ai Fiorentini, - in questa palin- genesi cristiana, civile, romana, - assegnato l'ufficio nobilissimo di adoperare per tale effetto, contro i violenti rapinatori dell'uni- versale diritto, il potente braccio del Co- mune pacificato: La mansueta vostra e gentil Agna abbatte i fieri lupi: e così vada chiunque amor legittimo scompagna ! [p. 76 modifica]Erano i medesimi « lupi » che Dante avea deplorato «dar guerra al bello ovile ov'egli avea dormito agnello » 45 ) ; erano i « lupi ra- paci» che «in veste di pastori» infestavano i « paschi » della cristianità 46 ), e contro i quali Firenze guelfa alquanti anni dipoi proclamerà la guerra degli Otto Santi. E la perdizione alla quale, nel verso augura- tivo delle cristiane rivendicazioni, eran vo- tati quei « fieri lupi », quei Legati condot- tieri, ladroni sanguinari in veste profanata di sacerdoti, la medesima perdizione è im- precata a quanti « scompagnino l'amor le- gittimo » fra cittadini, del quale Firenze, « la città » forse più delle altre tutte « par- tita » 47 ), è chiamata a dare a tutte le città italiane 1' esempio. Di questo « amor le- gittimo », pel quale la « gentilezza » del Comune doveva aver ragione di quella « fie- rezza » de* lupi malefica, è dal Poeta del- l' amore voluta simbolo, e simbolo della [p. 77 modifica]città nostra, P « Agna mansueta», che in tante regioni di mondo scolpita sulle fac- ciate de' fondachi dei nostri mercatanti, essa e l'Aquila d' oro di Calimala attestavano la grandezza di Firenze artigiana. Quella grandezza è passata; mai simboli di essa, i vessilli delle Arti, de' quali si allegrò per le vie di Firenze, nella pri- mavera dell'unità nazionale, compiono ap- punto otto lustri, il secentenario natalizio di Dante; e che il Comune alla rinnovata perpetua lettura del Massimo fra gli Ar- tieri fiorentini, ebbe assegnati come il più degno ornamento; que' sacri simboli di la- voro e di pace, sopravvivono alle loro cor- porazioni, destinati a guidare verso l'av- venire P umanità travagliata. L' « Agna mansueta e gentile », sulle mura di questo Palagio che Dante oggi fa suo, ebbe da quelli Artieri, forse non senza mistero, dop- pia identica figurazione: dal lato donde il [p. 78 modifica]sole tramonta, e da quello del sole che sorge. Abbiam reso omaggio agli splendori tramontati. Salutiamo l'avvenire luminoso! Salutiamolo nel nome del popolo e nel nome del Re ! Del Re d' Italia, o Signori, che oggi, in questa solennità artigiana e di Dante, è fra noi nella persona della Madre e Regina, al cui « serto » è « luce adaman- tina» 48 ), nelle gioie e nel dolore, l'affetto reverente non di Lui solo ma di quanti in Italia sanno, ricordano, sperano: del Re d'Italia, che al diritto popolare, da' suoi maggiori asserito eroicamente, rivendi- cato, fatto esser legge, chiede, con leale animosa fidanza, 1' ispirazione e la forza: che l'opera del suo governo vuole be- nefica ai campi, fecondi del pane quoti- diano promesso da Dio alle fatiche degli uomini; benefica alle officine, agli opifici, ai cantieri : donde il nome, non più di questa o quella delle città nostre, ma il nome uno, [p. 79 modifica]il santo nome, d' Italia, sulla bandiera del nostro riscatto, bandiera di tutte quante son le città che la lingua di Dante congiunge, deve diffondersi alle genti glorioso d'arti, di lavoro, di civiltà. [p. 81 modifica]Pagina:FirenzeartigianaDelLungo.djvu/81