Eneide (Caro)/Argomenti
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ARGOMENTI.
LIBRO I.
Protasi ed invocazione della Musa 1-11. Giunone a danno dei Troiani domanda ed ottiene da Eolo che scateni una violentissima tempesta contro di loro, che navigano dalla Sicilia in Italia, 12-123. Nettuno sorge a sedare la burrasca; e i Troiani, balestrati dal mare e dai venti verso la Libia, vi approdano, 124-158. Enea, preso terra, fa preda, alla caccia, di sette grossi cervi, che distribuisce, uno per ciascuna, alle sette navi campate dal naufragio; quindi cerca di rianimare i suoi compagni, già stanchi del lungo errare, colla speranza del vicino riposo, 159-222. Frattanto Venere patrocina appo Giove la causa del suo Enea e de’ Troiani: e Giove, svelatole l’arcano dei fati, consola il dolore della figlia colla speranza di una felice posterità, e della futura grandezza di Roma, 223-296; e intanto nascostamente manda Mercurio per disporre a mitezza verso i nuovi arrivati l’animo de’ Peni, 297-304. Quindi Venere si fa incontro ad Enea che ignaro de’ luoghi andava attorno per esplorarli, gli annunzia che le navi disperse erano salve, e in pari tempo gli mostra Cartagine, cui poco lungi di là stava fabbricando Didone, 305-489. Enea, per favore della madre nascosto con Acate dentro di una nube, entra in Cartagine; quivi ammira le opere a cui si dà mano, e vede i suoi compagni amorevolmente accolti da Didone, 490-585. S’apre la nube: e Didone stupisce alla vista e all’avventura d’Enea, lo conduce alla reggia, manda per Ascanio con doni, ed invia gran copia di vettovaglie ai compagni d’Enea, 586-656. Ma Venere diffidando di un’ospitalità concessa in terra devota a Giunone, ed anco dell’indole fiera de’ Peni, rapisce Ascanio ai boschi d’Idalia, e in sembianza di lui manda il suo Cupido, perchè fra gli abbracciamenti e i baci della regina, le inspiri insensibilmente focoso amore d’Enea, 657-722. Gran convito nell’aula. Didone prega Enea che le narri l’eccidio di Troia, i suoi casi, i suoi lunghi errori, 723-756.
LIBRO II.
Benchè a malincuore, Enea così racconta i luttuosissimi eventi, 1-13. I Greci, affranti dalla decenne guerra e diffidando del proprio valore, ricorrono all’inganno: facendo vista di fuggire, veleggiano a Tenedo, e dietro quell’isola si nascondono, dopo aver lasciato sul lido un cavallo di legno, in cui aveva rinchiuso i più eletti fra i capi dell’esercito, e che avevano costruito di tanta grandezza, da non lo potere accogliere entro le porte di Troia. I Troiani parte indotti dalle frodi di Sinone, parte atterriti dal supplizio di Laocoonte, demolita una parte del muro, trascinano il cavallo fin sulla ròcca, 14-249. A notte avanzata i Greci rivenuti da Tenedo invadono la città, le cui guardie erano già state uccise dai guerrieri usciti dal cavallo, 250-267. Intanto Ettore apparisce in sogno ad Enea e lo esorta di provvedere al suo scampo colla fuga, e di salvare dall’incendio gli Dei patrii, 268-297. Ma egli, anteponendo alla fuga una morte onorata, corre alle armi; e in sul primo far impeto la fortuna arride ai Troiani; onde, seguendo il consiglio di Corebo, indossano le armi dei nemici uccisi: ma poi riconosciuti dai Greci e presi in iscambio dagli amici, finiscono oppressi dalle armi degli uni e degli altri, 298-437. Frattanto si dà l’assalto alla reggia di Priamo, che muore miseramente trucidato da Pirro figlio di Achille, 438-558. Tentata indarno ogni prova, Enea, vedendo gli stessi numi dar mano alla distruzione di Troia, affida al padre suo Anchise gli oggetti sacri, e toltosi lui su le spalle, preso Ascanio per mano, ingiunto alla moglie Creusa di seguirlo da presso, si dà alla fuga, 559-729. I Greci l’inseguono. Nel tumulto si smarrisce Creusa; ed egli a ricercarla mentre invano ritorna e s’aggira per gl’incendi della città, vede farglisi incontro l’ombra della consorte che gli fa vaticinii intorno all’Italia, e gli raccomanda Ascanio, 730-794. Allora ritorna al luogo ov’erano i compagni, e vede che vi s’è accolta gran moltitudine di uomini e donne, pronti tutti a seguir la sua sorte, 795-804.
LIBRO III.
Caduta Troia, Enea raccoglie i superstiti e messa in assetto, presso Antandro, un’armata di venti navi, fa vela, ed approda primieramente nella Tracia. Quivi mentre sta gettando le fondamenta di una città, è atterrito dal prodigio di Polidoro, ucciso già da Polimestore: onde salpa di nuovo e prende terra a Delo, 1-77; dove consultando l’oracolo di Apollo, ne ha il responso che «dee ritornare all’antica madre della sua gente:» il quale oracolo male interpretato da Anchise fa volgere i Troiani a Creta, 78-120. Ivi, quando già sorgevan le mura, una fierissima pestilenza li flagella. Onde Enea, ammonito in sogno dai Penati, abbandona Creta e si dirige verso l’Italia, 121-269. In questa navigazione colti da improvvisa tempesta, son gettati alle isole Strofadi, di dove respinti dalle offese delle Arpie e dai tristi presagi di una di esse, Celeno, riparano ad Azzio, e vi celebrano i giuochi in onore di Apollo, 270-290. Di là si tragittano a Corcira, e nell’Epiro, che allora era soggetto all’indovino Eleno, un figlio di Priamo. Il quale dopo le accoglienze oneste e liete espone ed Enea tutti i pericoli di terra e di mare che gli restano a correre, e gli apre l’arcano dei fati, 291-505. Lasciatosi dietro l’Epiro, Enea, costeggiando Taranto in sulla punta d’Italia, arriva in Sicilia, in luogo non lontano dal monte Etna: dove raccoglie Achemenide, un Greco abbandonato da Ulisse nell’antro del Ciclope: alle preghiere e alle notizie di costui intorno all’immanità dei Ciclopi, Enea scioglie di nuovo, 506-683; e memore degli avvisi di Eleno, per cansare Scilla e Cariddi, fa il lungo giro della Sicilia, finchè, giunto a Drepano, ivi perde Anchise, che se ne muore per vecchiezza, 684-711. Di là, mentre naviga verso Italia, è sbalzato in Affrica da quella bufera che è narrata nel primo libro. — Qui finisce la narrazione di Enea, 712-718.
LIBRO IV.
Didone, accesa d’amore per Enea, scopre la sua passione alla sorella Anna, e seguendo il consiglio di lei volge l’animo all’idea delle nozze, 1-39. Allora Giunone, per potere più agevolmente allontanare Enea dall’Italia, tratta con Venere perchè anch’essa consenta a queste nozze; ed a lei stessa commette di trovarne il modo e l’opportunità, 90-128. La dimani Enea con Didone usciti ad una gran caccia sono sorpresi da un turbine mandato da Giunone: onde la numerosa comitiva è dispersa, ed Enea con sola Didone riparano ad una caverna: quivi seguono le infauste nozze, 129-172. Jarba re de’ Getuli, alla notizia che gli reca la fama di questo amore, mal sopportando di vedersi da Didone posposto ad un forestiero, ne chiede vendetta a Giove; il quale spedito ad Enea Mercurio, gli ingiunge di abbandonar subito l’Affrica e navigare verso l’Italia, 173-278. Al cenno di Giove, Enea dà ordine che di nascosto si mettano in punto le navi, 279-295. Ma Didone, insospettita di questa preparativi, ne muove gravi querele ad Enea, e pregando e piangendo si affanna per istornarlo da’ suoi propositi; quindi per intercessione della sorella tenta d’impetrare che almeno si trattenga ancora per poco, 296-449. Tutto è nulla. Sicchè la regina, non reggendo a tanto dolore, decreta di morire, 430-473: e fatta alzare nell’alto della reggia una gran pira, finge di voler celebrare certe cerimonie magiche per liberarsi di quell’amore, 474-521, il quale invece, diventando furore, la fa dare in ismanie, 522-553. Intanto Enea, novamente avvisato in sogno da Mercurio, nottetempo si mette in mare, 553-583. Didone, la mattina, vedendo i Troiani già in alto, impreca ogni male ad Enea, consacrandolo alle furie, 584-629; poscia per allontanare da sè anche Barce, la nutrice del primo suo marito Sicheo, la manda con un pretesto dalla sorella, e in quel tempo si dà la morte, 630-705.
LIBRO V.
Enea mentre veleggia verso l’Italia è trasportato in Sicilia dalla violenza d’una procella, 1-34. Quivi amorevolmente accolto da Aceste, celebra l’anniversario solenne ai Mani di suo padre Anchise, cui lo stesso giorno dell’anno precedente aveva seppellito a Drepano, e gli consacra il tumulo e i giuochi, 35-103. Nella corsa delle navi vince Cloanto, 101-285; in quella a piedi vince Eurialo per inganno di Niso, 286-362. Il vecchio Entello al pugilato abbatte Darete, che menava giovanili iattanze, 363-484. Nel trar d’arco supera tutti Eurizione, ma per un prodigio il premio viene aggiudicato al vecchio Aceste, 485-544. Quindi Ascanio in compagnia di nobili fanciulli rallegra tutti dello spettacolo di giuochi equestri in finta battaglia, 545-603. In questo mezzo le donne troiane, stanche della lunga navigazione ed istigate da Iride, appiccano il fuoco alle navi, e ne incendiano quattro; le altre salva Giove con una pioggia improvvisa, 604-699. La notte seguente Anchise apparisce in sogno ad Enea, ed a nome di Giove lo avverte di lasciare donne e vecchi in Sicilia; e che egli col forte dei giovani prosegua alla volta d’Italia; e là che si rechi nell’antro della Sibilla, la quale deve condurlo ai campi Elisi per udire da lui stesso il resto de’ fati, 700-740. A queste ingiunzioni obbedisce Enea dopo aver fabbricato in Sicilia una città, cui diè neme Acesta, 741-778. Mentre è in mare, Nettuno a preghiera di Venere gli fa sicuro il viaggio, 779-834. Ma Palinuro il pilota, vinto dal sonno, cade in mare e con esso il timone, 835-871.
LIBRO VI.
Sorto a Cuma, Enea va nell’antro della Sibilla; e celebrato secondo il rito un sacrificio nel tempio di Febo, dall’invasata Sibilla apprende gl’imminenti pericoli e i casi della vicina guerra, 1-97. Seguono le istruzioni per impetrare il permesso di scendere in Inferno, 98-155. Trovato sul lido il cadavere di Miseno, lo bruciano, e gli dan sepoltura ai piedi del vicin monte, che da ciò prende il nome di Miseno, 156-235. Quinci, còlto il ramoscello d’oro e sacrificate le vittime, Enea guidato dalla Sibilla, per le grotte d’Averno discende all’Inferno, di cui si descrive l’ingresso, 236-336. Palinuro errante intorno alla palude Stigia, perchè il suo corpo è privo di sepoltura, desidera tragittare insieme con loro; ma la Sibilla lo impedisce, e lui consola con la speranza di un cenotafio e di esequie, 337-383. Passata la Stige e assopito Cerbero con focacce medicate, Enea trascorre per le sedi degl’infanti e dei condannati per falso delitto: e di là giunge ai violenti contro sè per insofferenza d’amore, e fra questi parla a Didone, che sdegnosa non gli risponde, ma gli si toglie dinanzi, 384-476. Passando oltre, scorge Deifobo fra le ombre dei valorosi in arme, tutto malconcio da molte ferite, e da lui gli è narrato il misero modo della sua morte, 477-534. Lasciatosi quindi a sinistra il Tartaro, e sapute dalla Sibilla le pene dei malfattori, 535-627, va alla reggia di Plutone, e sulla soglia di essa configge il ramoscello d’oro, 628-636. Dopo ciò perviene alle sedi de’ boati, e là Museo lo conduce al cospetto del padre. 637-678. Allora Anchise spiega ad Enea l’origine, la purgazione e l’ultima sorte delle anime, 679-755; gli fa l’enumerazione dei re di Alba e di Roma, e ricordati alcuni nomi d’illustri Romani, viene alle lodi di Giulio Casare e di Augusto, 756-859; e finisce, levando a cielo Marcello, figlio di Ottavia, colpito da immatura morte, 860-888. Enea, uscito all’aria per la porta d’avorio, rivede i compagni, ed arriva a Gaeta, 889-902.
LIBRO VII.
Gaeta è così detta dal nome della nutrice di Enea che ivi fu sepolta, 1-4. Da Gaeta l’eroe vedendo i lidi della dimora di Circe, col vento in poppa imbocca nel Tevere, e vogando contr’acqua approda nell’agro Laurente, 5-36. Invocata di nuovo la musa, il poeta narra quale fosse in quel tempo lo stato del Lazio, e da quali prodigi fosse stato anche quivi annunziato l’arrivo dei Troiani, 37-106. Enea si accorge esser venuto il termine del luogo viaggio dal cibarsi che i suoi fanno delle mense: adora gli Dei, e manda oratori con doni al re Latino per domandare tanto spazio di terreno da fabbricare una città. Quindi s’accampa, 107-159. Latino accoglie favorevolmente gli ambasciatori, e concedendo più che non gli si chieda, offre in sposa ad Enea la sua figlia Lavinia. 160-285. Ma Giunone, irritata ai prosperi successi dei Troiani, evoca dall’inferno la Furia Aletto por disturbare la pace, 236-340. Aletto infonde le sue furie prima in Amata, moglie di Latino, poscia in Turno, a cui era già stata promessa in matrimonio Lavinia, 341-474; e finalmente con sue frodi mette lite fra la gioventù troiana e i contadini del Lazio, 476-510. Essa stessa dall’alto di un luogo dà fiato alla tromba di guerra; onde ne nasce un combattimento. Riportati i morti in città, Turno ed Amata eccitano il re Latino a prender le armi e vendicare l’ingiuria, 511-590. Ma poichè Latino, memore dei fati e della giurata alleanza, resiste costantemente, Giunone stessa apre le porte della Guerra, 591-622. «Allor l’Ausonia tutta, ch’era dianzi pacifica e quieta, s’accese in ogni parte.» — Lunga e stupenda rassegna delle genti e dei capitani d’Italia, 623-817.
LIBRO VIII.
Alzato il segnale di guerra sulla ròcca di Laurento, l’esercito italiano si raduna intorno a Turno. Venulo è mandato ad Argirippa o Arpi per invitare Diomede alla comune lega, additandogli il comune pericolo, 1-17. A queste gravi minacce Enea, vedendosi mal difeso per lo scarso numero de’ suoi, a consiglio di Tiberino va, su pel fiume e per quei luoghi dove poi fu fabbricata Roma, e dove allora regnava Evandro, al monte Palatino in una città chiamata Pallanteo. 18-100. Evandro, benignamente riceve Enea, che gli domanda soccorso, 101-183. Lo fa assistere ai sacrifici di Ercole che allora stava celebrando; glie ne spiega l’origine, che fu l’uccisione di Caco, 184-267; glie ne dimostra il rito, e gli addita i luoghi più famosi per quelle imprese di Ercole, 268-389. Intanto Vulcano allettato dalle carezze di Venere si prepara a fabbricare le armi per Enea. Si descrive la sua officina, 390-454. Il giorno di poi Evandro, chiamato Enea in disparte, gli espone come sia volere dei fati che i Tirreni prestino soccorso ai Troiani, 455-519. Venere dal cielo mostra ad Enea lo armi e i segni della vicina guerra; onde egli con cerimonie si dispone a partire per recarsi fra i Tusci; e il vecchio Evandro commosso dice un amaro addio all’unico figlio Pallante, che parte capitano di quattrocento de’ suoi cavalieri, 520-596. In un bosco vicino al campo dei Tirreni, Venere porta le divine armi al figlio, che ne ammira la stupenda bellezza, 597-625, e massime dello scudo, in cui sono scolpite le future glorie di Roma e di Casare Augusto, 626-731.
LIBRO IX.
Nell’assenza di Enea, Turno, istigato da Giunone per mezzo di Iride, accosta l’esercito agli accampamenti dei Troiani, che si tengono entro la fossa e le mura, 1-46. Sdegnato che nessuno venga in campo, tenta d’incendiare le navi troiane, 47-76. Ma la Madre Idea, nel cui bosco furono tagliati i legni di quelle navi, ottiene da Giove di poterle salvare dalle fiamme e convertirle in ninfe marine, 77-125. Turno vuol persuadere che questo portento sia contro ai Troiani, perchè così Giove toglie loro ogni mezzo di fuga; onde investe sempre più la città, 126-167. Mentre i condottieri troiani sono a consulta per trovar modo di spedire un messo ad Enea, che lo istruisca del pericolo de’ suoi, Niso ed Eurialo, due giovani amicissimi, si offrono a questo rischio, 168-245. Applauditi da Alete e da Ascanio, e accompagnati dal più fervidi voti di tutti, i due giovani escono e fanno strage delle sentinelle sepolte nel vino e nel sonno; e indossano le loro spoglie, 246-369. Ma nel ritirarsi, scoperti al raggio della luna dai cavalieri latini, corrono ad una vicina selva, dove Eurialo sopraggiunto, malgrado le preghiere di Niso che si offre a morte in luogo dell’amico, è trucidato da Volscente. Niso, dopo aver vendicata valorosamente la morte dell’amico, trafitto anch’esso da tante punte cade sul cadavere del caro compagno, 367-449. Le loro testo portate in punta a due picche sono riconosciute dai Troiani che amaramente se ne addolorano, e la madre d’Eurialo ne manda disperati lamenti, 450-502. Turno intanto muove all’assalto con tutte le forze: grande strage da ambe le parti. Primo fatto di Ascanio in guerra: Apollo però gli ordina di ritrarsi dalla zuffa, 503-663. Pandaro e Bizia, troppo fidando alla propria forza, aprono la porta della città troiana, e Turno con molti nemici irrompe nel mezzo dei Troiani, e ne mena ampia strage, 664-777; finalmente circondato dal numero, a poco a poco è costretto di retrocedere verso quella parte della città che è bagnata dal fiume, dove gettatosi a nuoto, ritorna salvo ai compagni, 778-818.
LIBRO X.
Giove, convocati gli Dei a concilio, li esorta alla concordia. Venere, dopo essersi lagnata del pericolo a cui si trovano esposti i Troiani e dell’odio implacabile di Giunone, domanda un qualche termine a tante calamità; ma Giunone rimanda la colpa di tanti mali ai Troiani e a Venere stessa, 1-99: onde Giove, non trovando maniera di por fine alle contese, dichiara di non voler favorire nessuna delle due parti, e di rimettersi in tutto ai fati, 100-117. Intanto i Rutuli con tutte le forze assalgono, e i Troiani difendono la città, 118-145. Mentre questo si fa nel Lazio, Enea, dopo aver ottenuto in Etruria quanto desiderava, con sussidi di molti popoli alleati ritorna ai compagni, seguito da un’armata di trenta navi, 146-214. Nel tragitto gli si fanno incontro le ninfe nate dalle navi arse; ed una di esse, Cimodocea, gli espone lo stato delle cose, 215-257. Enea, giunto in vista de’ suoi, fa prender terra agli armati; quando i Rutuli, desistendo dall’assalto, tentano d’impedire lo sbarco. Grande strage da ambe le parti, 258-361. Pallante, dopo stupende prove di valore, viene ucciso e spogliato da Turno, 362-500. Enea per dolore e vendetta del morto amico fa eccidio de’ Rutuli. Ascanio, con una sortita, unisce le sue forze a quelle del padre, 510-605. A questi fatti Giunone commossa, temendo per la vita di Turno, ottiene da Giove la grazia di salvarlo da estremo pericolo, e mostrandoglisi in forma di fantasma somigliante ad Enea, si lascia inseguire da lui, e così lo trascina lontano dalla zuffa sopra una nave, 606-6S8. Mezenzio intanto, per volere di Giove, rinfranca la battaglia atterrando gran numero di Troiani e di Etruschi, 689-761; finchè piagato da Enea, è costretto, per fasciare la ferita, di ritirarsi dalla mischia, in ciò proteggendolo il figlio Lauso, 762-795; che, mentre cerca di far le vendette del padre, è ucciso da Enea, 796-832. All’annunzio di questa morte, Mezenzio, così ferito, monta a cavallo, e ritorna al combattimento per vendicare l’uccisione del figlio; ma cade sotto i colpi della medesima destra, 833-908.
LIBRO XI.
Ucciso Mezenzio, Enea vincitore inalza un trofeo a Marte; poscia rimanda con gran pompa funebre il corpo di Pallante alla città di Evandro, dove lo ricevono con universale cordoglio, 1-99. Intanto ambasciatori latini domandano dodici giorni di tregua: i quali essendo concessi, e Troiani e Latini ricercano i cadaveri dei suoi, e rendono ad essi gli ultimi onori, 100-224. Frattanto Venulo, che sul principio della guerra era stato mandato dai Latini a Diomede per indurlo a far lega, ritorna dicendo, essergli stati negati i soccorri per combattere una gente cara agli Dei, 225-295. Latino, in assemblea consultando intorno a questa guerra, propone che si mandino oratori ad Enea per trattar della pace, 296-335. Ivi Drance e Turno, per odio inveterato che era fra loro, a vicenda si caricano d’ingiurie, 336-444. Frattanto Enea, diviso l’esercito in due, manda innanzi per le vie aperte la cavalleria leggiera; ed egli per luoghi selvosi e montuosi cerca di riuscire verso la parte più elevata di Laurento. A tal notizia, l’adunanza si scioglie, e si provvede alla difesa della città, 445-485. Turno, scoperto per mezzo degli esploratori il disegno d’Enea, divide anch’egli l’esercito in due; ordinando che la cavalleria guidata da Messapo e da Camilla si faccia incontro alla cavalleria nemica: ed egli coi fanti si mette in agguato in certe gole, per dove Enea necessariamente doveva passare, 486-531. — Narrazione che fa Diana intorno alla vergine Camilla, nel raccomandarla alla ninfa Opi, 532-596. — Scontro delle due cavallerie e vittoria lungamente indecisa, 597-647. La vergine Camilla, i cui splendidi fatti accrescono per qualche tempo il coraggio nei Latini, è uccisa insidiosamente da Arunte, 643-835; il quale poco appresso è trafitto da una freccia di Opi, 836-867. I Rutuli sgomentati per la morte di Camilla si danno alla fuga; i Troiani si dispongono a dar l’assalto, 868-895. Di che Acca, una compagna di Camilla, recando la notizia a Turno, questi abbandona lo gole ove si teneva in agguato, e vola in aiuto de’ suoi. Enea gli tien dietro; e poichè pel sopraggiungere della notte non si può venire alle mani, l’un esercito e l’altro si mette a campo dinanzi a Laurento, 896-915.
LIBRO XII.
Turno vedendo l’abbattimento dei Latini, e che omai solo in sè stesso poteva riporre ogni speranza, malgrado le rimostranze di Latino e le molte lacrime della regina che lo scongiurano a porsi giù dall’impresa, delibera di venire a singolar tenzone con Enea, e gli manda la sfida, 1-106. Enea l’accetta; e le condizioni sono solennemente giurate da una parte e dall’altra; ma la ninfa Iuturna, sorella di Turno, eccitata da Giunone, subito le disturba, 107-243. Ad istigazione dello stesso augure Tolumnio, di qua e di là si viene a sanguinoso conflitto, nel quale Enea ferito è costretto di abbandonare il combattimento, 244-323. Di ciò accortosi Turno fa dei Troiani intorno a sè un monte di cadaveri, 324-382. Intanto Venere con dittamo cretico guarisce la piaga del figlio, 333-429. Il quale, dopo una breve esortazione ad Ascanio, accorre di nuovo in aiuto de’ suoi, e provoca Turno a battaglia, chiamandolo a nome. Ma questi per frodi della sorella Iuturna è vòlto altrove, 430-485. Perlochè Enea, fatta molta uccisione di Rutuli, avvicina tanto l’esercito alla città, da appiccare il fuoco agli steccati e ai primi edifizi, 486-592. Allora la regina Amata, credendo che Turno fosse spento, s’impende a un laccio, 593-613. Turno, sapute queste cose, vedendo che non può esimersi di combattere da solo a solo con Enea, se pur non voglia permettere che sotto i suoi occhi quella città alleata venga in potere de’ nemici, provoca Enea, secondo il patto, a duello, 614-696. Enea vincitore in questo combattimento, mentre alle preghiere del caduto rivale sente già quasi commuoversi a pietà di lui, venendogli a un tratto veduto il balteo di Pallante sugli omeri del nemico, preso da subita ira, gli immerge la spada nel petto, 697-952.