Ecuba/Primo episodio
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Entrano le prigioniere troiane che costituiscono il coro.
coro
A te, Ecuba, venni in gran fretta,
del Signore lasciando la tenda,
ove io fui sorteggiata, e condotta
come schiava, quand’io fui scacciata
dalle Ilíache mura, prigione
degli Achivi, per forza di lancia,
non per darti sollievo dei mali,
ma perché d’un messaggio il gran peso
m’assunsi, ond’io giungo, o Signora,
di gran triboli aralda per te.
A quello che narrano,
fu deciso nel pieno consesso
degli Achei che tua figlia per vittima
fosse offerta ad Achille. Tu sai
quand’egli, sul tumulo apparso,
nell’oro dell’armi,
le navi già pronte a solcare
il mar, già premendo le vele
su gli stragli, rattenne, gridando
cosí: «Dove mai veleggiate,
o Dànai, privo d’offerta
lasciando il mio tumulo?»
E allor, fu tempesta fra gli Elleni
di gravi parole; e s’urtavano
due pareri diversi: ché questi
credevan che offrire la vittima
convenisse, e quegli altri negavano.
E zelava il tuo bene Agamènnone,
per l’amor che lo stringe alla Mènade
profetica. Invece i due figli
di Tèseo, rampolli d’Atene
facean due discorsi diversi.
Però convenivano in questo:
che di giovine sangue era d’uopo
ghirlandar del Pelíde la tomba,
né l’amor di Cassandra dovesse
prevaler su la lancia d’Achille.
E il fervor degli opposti discorsi
pressoché si agguagliava, sin quando
il figliuol di Laerte, il volpino
demagogo dal labbro mellifluo,
convinse l’esercito
che mal convenía, per pietà
d’una schiava, il migliore dei Dànai
rinnegare, sicché, dei defunti
qualcuno, giungendo a Persèfone,
dicesse che i Dànai, partendo
dal suolo di Troia, dei Dànai
dimentichi furon che morte
trovaron pugnando per gli Elleni.
E tra poco qui Ulisse a strappare
verrà dal tuo seno,
dall’annosa tua man’ la fanciulla.
Or tu corri alle navi, agli altari
corri, pròstrati supplice ai piedi
d’Agamènnone, e invoca i Celesti,
i Superi, e gl’Inferi.
Infatti, o potrai con le preci
impedire che tu resti orbata
della misera figlia, o rovescia
cader la vedrai sopra il tumulo,
vermiglia del sangue sgorgante,
fra gli ori che le ornan la gola,
con rivolo negro.
ecuba
Me tapina, che cosa dirò?
che grido, che gemito devo
lanciare? O me trista
per la trista vecchiaia e la grave
servitú ch’io non so tollerare.
Ahi me misera! Chi mi difende,
qual città, quali figli?
Il vecchio mio sposo è sparito,
i figli spariti.
Per che via devo muover? Per questa?
per quella? Ove debbo gittarmi?
Qualche Dèmone c’è, qualche Dio,
che soccorso mi porga? O Troiane,
che tristi, che tristi cordogli
m’avete annunciati, la morte
inflitta m’avete, la morte:
piú non amo la luce del giorno.
O misero piede, sii guida,
sii guida alle antiche mie membra,
alla tenda. O fanciulla, o figliuola
d’una madre fra tutte infelice,
esci fuori, esci fuor dalla tenda.
Ascolta la voce
di tua madre, ed apprendi
quale sorte — ne ho udita la fama —
la tua vita, o figliuola, minaccia.
Da una tenda esce Polissena.
polissena
Madre, madre, che gridi? Qual nuova
annunci, che fuor dalla tenda
m’hai fatta balzare sgomenta
a guisa d’augello?
ecuba
Ahimè figlia!
polissena
Perché queste infauste parole?
Preludî per me son di mali.
ecuba
Ahimè la tua vita!
polissena
Il vero piú a lungo
non celarmi: favella: io pavento
o madre, pavento: ché gemi?
ecuba
Figlia, figlia di misera madre!
polissena
Quale annuncio tal grido m’arreca?
ecuba
Degli Argivi il concorde giudizio
ti sospinge alla tomba, ché vittima
tu cada pel figlio di Pèleo.
polissena
Ahimè, madre, questi orridi mali
come sai? Dimmi, dimmelo, o madre.
ecuba
Ti dico le infauste voci,
o figlia, che udii: che coi voti
la tua morte gli Argivi decisero.
polissena
O bersaglio d’ogni orrido male,
o misera in tutto
madre mia, nella vita infelice,
quale nuova sciagura, atrocissima,
indicibile, alcuno dei Dèmoni
contro te suscitava? Non piú
io, tua misera figlia, compagna
sarò della misera
tua vecchiaia servil. Come cucciolo
nutrito su l’alpe,
o tapina vedrai me, tapina
vitella, strappata
dalla tua man, sgozzata,
sospinta nell’Ade,
fra le tenebre inferne, dov’io
giacerò, trista me, tra i defunti.
La sciagura tua, madre, deploro
con flebili gemiti; ma
la mia vita, vergogna e sozzura,
non rimango; e per me fu morire
la sorte migliore.
coro
Ecuba, in fretta qui s’avanza Ulisse,
che reca a te qualche novello annunzio
{{Vc|Giunge Ulisse.
ulisse
La volontà credo io che dell’esercito
già tu conosca, e il voto, o donna; eppure
te lo dirò. Fu dagli Achei deciso
che Polissena, la tua figlia, vittima
cada sopra la tomba alta d’Achille;
ed impongono a me che guida e scorta
della fanciulla sia. Del sacrificio
sacerdote e ministro eletto fu
il figliuolo d’Achille. Or sai che cosa
tu devi fare? Non lasciar che a forza
ti debbano strappar, né meco a zuffa
venir di mani alla tua poca forza
e al mal che incombe sopra te rifletti.
Fare senno conviene anche fra i mali.
ecuba
Ahimè Giunto è, mi sembra, il gran cimento,
colmo di lagni, e non scevro di gemiti:
ch’io non morii quando morir dovevo,
né mi distrusse Giove, e mi risparmia
perché, tapina, io veda altri malanni
dei trascorsi maggiori. E s’è pur lecito
che volga un servo ai liberi domande
che non rechino cruccio, e il cuor non mordano,
tu risponder dovresti, ed ascoltarti
io che tali domande a te rivolsi.
ulisse
Chiedi un istante ben voglio concederti.
ecuba
Ricordi allor ch’esploratore ad Ilio
venisti, brutto nelle vesti sordide,
e giú dagli occhi lagrime di sangue
a bagnare le tue guance stillavano?
ulisse
Sí; ma ricordo me ne resta appena.
ecuba
Ti conobbe, e a me sola Elena il disse.
ulisse
Un gran periglio corsi, lo rammemoro.
ecuba
Stringesti, in tal frangente, i miei ginocchi?
ulisse
Sí che restò la man fra i pepli torpida.
ecuba
Ti salvai, ti lasciai da Troia uscire?
ulisse
Sí ch’io del sol veggo tuttor la luce.
ecuba
E che dicesti allor? ch’eri mio servo.
ulisse
Mille, a schivar la morte, se ne dicono.
ecuba
E tristo i tuoi consigli or non ti rendono,
che il ben da me, pur lo confessi, avesti,
e nessun bene a me rendi, anzi male
quanto piú puoi? Misconoscente è il seme
di quanti ambite il popolar suffragio.
Mai rapporto io non debba aver con voi,
che non badate a danneggiar gli amici,
purché possiate dir ciò che riesca
grato alla folla! Or via, quale pretesto
presero mai, per decretar la morte
contro quella fanciulla? E qual dovere
umano sangue ad immolar li spinse
sopra una tomba, ove immolar giovenchi
piú si conviene? O per uccider quelli
che l’uccisero, Achille a buon diritto
contro costei la morte scaglia? Nulla
di mal, però, costei gli fece: d’Elena
chieder dovuto avrebbe il sacrificio
su la sua tomba: a Troia Elena il trasse,
e fu la sua rovina. E se morire
dovea delle captive alcuna, eletta
prima per la beltà, su noi cadere
la scelta non dovea: bella d’aspetto
di Tíndaro la figlia era fra tutte,
e non meno di noi danno vi fece.
Queste le mie ragioni, e le sostengo
con la giustizia; e qual ricambio devi
offrire a me che te lo chiedo, apprendi.
Tu la mia man toccasti, e la mia vecchia
guancia, prostrato innanzi a me, lo ammetti:
or la tua mano e la tua guancia io tocco,
e ti scongiuro, e a te chiedo la grazia
ch’io t’accordai: che dalle man’ la figlia
tu non mi strappi, e morte non le diate.
Bastan le stragi omai: questa fanciulla
è la gioia per me, l’oblio dei mali,
il conforto piú grande, la città
che mi nutre, il baston che il passo regge.
Non vogliano i potenti ordini dare
che dare non conviene; e non presuma
l’avventurato che la sua fortuna
perennemente duri. Ebbi una volta
anch’io fortuna, nulla sono or piú:
valse un giorno a rapirmi ogni mio bene.
Abbi, su via, te ne scongiuro supplice,
pietà di me, misericordia: torna
all’esercito argivo, ed ammoniscilo
quanto sembri odïoso a morte porre
donne che in pria non uccideste, quando
le strappavate all’are, anzi ne aveste
compassïone. E per gli schiavi e i liberi
uguali pur sono tra voi le leggi
capitali. Ed il pregio onde tu godi
potrà persuadere, anche se male
favelli tu ché non ha già la stessa
efficacia un discorso, allor che stima
gode chi lo pronuncia, e allor che no.
coro
Esser non può sí dura indole d’uomo
che i tuoi gemiti udendo e le querele
dei lagni tuoi, frenar possa le lagrime.
ulisse
Ecuba ascolta, e pel bollor dell’ira
non reputar nel cuore tuo nemico
chi ben favelli. A te salvar son pronto
ond’ebbi il beneficio, e non rifiuto;
ma non rinnegherò quanto pur dissi
a tutti quanti che, caduta Troia,
convenia la tua figlia al piú gagliardo
degli Achivi immolar, che la chiedeva.
Ché di molte città questa è magagna,
allor che un uom volonteroso e prode
nessun vantaggio sui da meno ottiene;
e fra noi, donna, d’onor degno è Achille,
l’eroe che a morte soccombé per l’Ellade,
con somma gloria. E non sarebbe turpe,
se come nostro amico un uom trattassimo
sin ch’egli vive, e quando è morto, no?
Dimmi e se si dovesse ancor l’esercito
adunare, affrontar le ostili schiere,
combatteremmo, oppure ai nostri giorni
riguardo avremmo, quando il morto privo
vedessimo d’onore? Infin ch’io vivo,
anche se dí per dí ben poco avessi,
mi basterebbe; ma la tomba mia
onorata veder vorrei ché a lungo
questo onor dura. E poi che miserevoli
dici le pene che tu soffri, ascoltami.
Ci sono anche fra noi vegliarde, misere
di te non meno, e vecchi, e spose prive
dei prodi sposi onde le salme copre
polvere d’Ida: ed anche tu rasségnati.
E noi, se male ci apponiamo, quando
rendiamo onore ai valorosi, semplici
chiamate; e voi, gli amici vostri, o barbari,
d’amici in conto non abbiate, onore
non fate a chi morí da prode; e l’Ellade
avventurata sarà sempre, e voi
sorte conforme ai vostri sensi avrete.
coro
Ahi, triste cosa, servitú, che, vinta
da forza, ognor ciò che non deve soffre!
ecuba
O figlia, invano i miei discorsi andarono
spersi, che per la tua vita io gittai.
Or, se tu piú della tua madre puoi,
sciogli alla prece, affréttati, ogni accento,
simile a gola d’usignolo, tenta
di schivare la morte. Alle ginocchia
d’Ulisse cadi, e a pietà commovilo.
Un argomento hai pure:
pure anch’egli è padre,
sí che dovrà la tua sorte compiangere.
polissena
lo vedo, Ulisse, che la destra ascondi
sotto il mantello, e torci il viso, ch’io
la tua guancia non tocchi? Oh, non temere,
contro te non invoco il Dio dei supplici.
Ti seguirò, perché lo vuole il fato,
pronta a morire. Ov’io mi ribellassi,
codarda sembrerei, ligia alla vita.
E a che viver mi giova? Era mio padre
signor dei Frigi tutti, e della vita
era questa per me prima ragione;
e fra speranze eccelse io crebbi, a re
destinata consorte, e le mie nozze
non piccolo argomento eran di gare,
di chi dovessi alla magione, all’ara
andare sposa. Ero signora, misera
me, fra le donne d’Ida, fra le vergini
ero ammirata, e, tranne ch’io dovevo
morir, pari alle Dive. Or sono schiava;
e già tal nome insolito mi fa
bramar la morte. E poi, trovar potrei
d’animo duro il mio padrone, quello
che col denaro comperasse me,
d’Ettore e d’altri molti eroi sorella,
ed in sua casa a preparare il pane
mi destinasse, ed a spazzar la casa,
attendere alla sposa, costringendomi
a ben miseri giorni; ed uno schiavo
chi sa donde comprato, insozzerebbe
il mio talamo; e un dí fui destinata
a nozze regie. Oh no! L’ultimo sguardo
libero vo’ che dal mio ciglio brilli,
all’Ade offrendo questo corpo. Guidami,
Ulisse, e la tua guida a me sia morte.
Ché sostegno di speme e di fiducia
non ho d’aver piú mai fortuna. E tu
non opporti con fatti o con parole,
o madre mia, bensí brama con me
ch’io muoia, prima di patir qualche onta
di me non degna: perché quei che avvezzo
ai malanni non è, certo li tollera,
ma nel piegare il collo al giogo, soffre.
E meglio val per lui morir che vivere:
ché vivere tra i mali, è pena grande.
coro
Chiaro insigne sigillo è pei mortali
il nobil sangue; e nobiltà grandeggia
in quelli piú che degni se ne mostrano.
ecuba
Nobilmente hai parlato; eppure, o figlia,
a nobiltà dolore s’accompagna.
Se il biasimo fuggir dovete, e grati
mostrarvi al figlio di Pelèo, costei
non uccidete, Ulisse, e me guidate
alla pira d’Achille, e trafiggetemi
senza pietà: ch’io partorito ho Paride
che con le frecce pose a morte Achille.
ulisse
Di tua figlia la vita agli Achei chiese
il fantasma d’Achille, e non la tua.
ecuba
E con mia figlia allor me trafiggete,
e doppio beveraggio avran di sangue
la negra terra, e il morto che lo chiese.
ulisse
Basta una sola morte, della vergine;
né conviene a quest’una un’altra aggiungerne.
Cosí costretti a questa pur non fossimo!
ecuba
Che con mia figlia io muoia è necessario.
ulisse
Come? Ho qui dei padroni? Io l’ignoravo.
ecuba
A lei m’avvinghierò, come a quercia ellera.
ulisse
No, se a quei che piú senno hanno vuoi credere.
ecuba
Non lascerò di mio grado mia figlia.
ulisse
Né io di qui via me n’andrò, lasciandola.
polissena
Odimi, o madre. E tu, piú remissivo
con una madre sii, che a buon diritto
s’adira, o figlio di Laerte. E tu,
non contrastare coi piú forti, o misera.
Cadere al suol vuoi tu, vuoi trascinare
a forza spinta, le tue vecchie membra,
ed una turpe vista offrir, via tratta
da un braccio giovanil? Questo accadrebbe.
Oh no, degno non è! Porgimi invece
la dolcissima destra, o madre cara,
e ch’io la guancia alla tua guancia appressi:
ch’io non potrò mai piú del sole scorgere
il raggio e l’orbe, e questa è l’ultimissima
volta. E tu, madre, i miei saluti estremi
accogli, o madre: io già nell’Orco scendo.
ecuba
O figlia, ed io vivrò, schiava sarò.
polissena
Sposo e imenei dovevo aver, né li ebbi.
ecuba
Tu sei misera, o figlia, io sventurata.
polissena
Da te divisa giacerò nell’Ade.
ecuba
Che fare, ahimè! Dove finir mia vita?
polissena
Morirò schiava, eppur nacqui d’un libero.
ecuba
lo di cinquanta figli orba rimasi.
polissena
Dir che debbo al tuo vecchio sposo, ad Ettore?
ecuba
Dí ch’io son delle donne la piú misera.
polissena
O petto, o sen che dolce mi nutristi!
ecuba
Trista, immatura la tua sorte è, figlia.
polissena
Salute, o madre! Ed anche a te, Cassandra.
ecuba
Salute han gli altri; ma tua madre, no.
polissena
O Polidoro, e a te, fratel, che presso
ai Traci vaghi di cavalli vivi.
ecuba
Se pure vive: io non lo spero: tanto
sono in tutto infelice.
polissena
Vive; e a te
gli occhi in punto di morte ei chiuderà.
ecuba
Spenta pria di morir son dagli affanni.
polissena
Guidami, Ulisse, e sotto il manto ascondi
il volto mio, ché, pria di cader vittima,
pei lagni di mia madre in cuor mi struggo,
e faccio che costei si strugga in lagrime.
O luce, il nome tuo posso invocare;
ma sol di te potrò godere il tempo
che alla pira d’Achille e al ferro io giunga.
ecuba
Ti perdo ahimè! Le membra mie si fiaccano.
Affèrrati alla madre. La man tendimi,
porgimi figlia. Non lasciarmi priva
di figli.
Polissena è tratta via da Ulisse.
Ecuba piomba al suolo.
Amiche son perduta! Deh,
a tal sorte ridotta dei Dïoscuri
la spartana sorella Elena io vegga!
Coi suoi begli occhi, a sorte nefandissimo
Troia, ch’era felice, ella ridusse.